Amybeth e Lucas #2: tutte le special scene
AMYBETH E LUCAS
special scene
Ecco la seconda e imperdibile parte 2
delle special scene. Ognuno di questi incontri è diverso dall'altro...
4. 𝘈𝘔𝘖𝘙𝘌 𝘐𝘕𝘍𝘐𝘕𝘐𝘛𝘖
𝘈𝘮𝘺𝘣𝘦𝘵𝘩
"Guarda cosa dovevo passare al mio compleanno... Quell'idiota... mi ha rovinato tutto il divertimento." Borbottai intenta a sciogliere le cime.
Cercai di raggiungere la poppa senza inciampare. Ma nel buio e con quei tacchi scomodi, qualcosa andò storto. M'impigliai perdendo l'equilibrio e precipitando in acqua.
Mossi convulsamente le braccia per tornare a galla, mi stava mancando l'aria nei polmoni.
Qualcosa mi stava tenendo ferma e bloccata... probabilmente stavo per morire annegata.
Un'ombra si tuffò... un uomo, credo.
La luce filtrava a malapena e non riuscivo a tenere gli occhi aperti. Era tutto sfuocato. Il mio salvatore, o chiunque fosse, individuò la causa e mi liberò la caviglia.
Stavo inevitabilmente per perdere i sensi. Mi afferrò saldamente per la schiena e mi riportò in superficie. Potei riempire i polmoni di ossigeno e dare respiri lunghi e profondi.
Ero viva... ma terribilmente stordita.
Gli occhi bruciavano a causa dell'acqua salata e non riuscivo ad aprirli del tutto. Percepivo la presenza di quell'uomo che mi aveva salvato da una fine inevitabile.
"Stai bene?" domandò in apprensione, mentre mi aggrappavo su di lui, tremando come una foglia.
"È stato orribile, ho sbattuto la testa e la corda si è attorcigliata attorno al piede." Singhiozzai. "Sono quasi morta."
"Buon compleanno."
"Ironia della sorte... è proprio il mio compleanno." risposi, interdetta.
"Infatti, lo so. Buon compleanno Amybeth." Pian piano, quel velo sparì e la sua immagine tornò nitida. Un debole raggio di luce gli scolpì il viso, mi soffermai sulle sue labbra, fino a salire ai suoi occhi. Il cuore iniziò a pompare più sangue e mi staccai con uno scatto fulmineo.
"Sei lui!"
Risalimmo sullo yatch infreddoliti e completamente fradici. Al pensiero che sarei potuta morire se non si fosse tuffato, un brivido mi correva lungo la spina dorsale. Quell'esperienza mi aveva insegnato che la vita non aveva una durata precisa, poteva finire in un istante e bisognava non sprecare il tempo in frivolezze.
Il silenzio regnò fra di noi per qualche minuto. Mentre i suoi occhi vagavano nel vuoto, mi stringevo nell'enorme telo da spiaggia, l'unico indumento asciutto scovato nel sottocoperta.
Credevo ancora fosse un sogno destinato a sparire quando avrei aperto gli occhi o mi sarei data i pizzicotti sul braccio... ma quella distesa scura, ricoperta di stelle luminose e la brezza leggera che soffiava, così come la sua figura di maniacale perfezione non svanirono.
Lo scrutai attentamente. Ero abituata a cogliere certi dettagli, che altri avrebbero semplicemente trascurato.
Aveva le mani ruvide e delle braccia forti, l'avevo notato quando mi aveva stretto al suo corpo e riportato a galla. Nonostante fosse solo un ragazzino, aveva il dono di attirarmi come un polo magnetico. Il mio cervello scacciò questo pensiero, facendo posto ad uno più importante: "cosa faceva nei dintorni... a un'ora così tarda?"
"Allora hai scoperto il mio nome in qualche modo... Sei passato dinanzi al locale e hai sentito i miei amici chiamarmi alla festa." Mi esaminò in maniera strana mentre gli esponevo l'ipotesi bizzarra.
Forse lo stavo infastidendo.
"Dovresti mettere del ghiaccio su quel bernoccolo." mi fece notare preoccupato, e ricordai di aver battuto la testa cadendo. Nulla di allarmante. Tastai in quel punto con la mano, c'era un piccolo bozzo. "Ti senti meglio?" continuò senza smettere di fissarmi e mi sentii in imbarazzo.
"Se non mi verrà la polmonite." Di certo, era stato il momento peggiore della mia vita ed era stato spaventoso trovarsi con l'acqua alla gola. Quel debole sorriso da parte sua mi stava facendo perdere il filo del discorso. "Diciamo che dev'essere stata una coincidenza che tu sia il ragazzo di cui ho disegnato gli occhi su quel bus. Non pensavo che ti avrei rivisto."
"Il signor Clark dovrebbe avere dei vestiti di riserva. Vogliamo controllare?" Sviò la mia domanda, concentrandosi sul fatto che stessi per congelare.
Quello però mi turbò intensamente acutizzando i miei sospetti. Sembrava avere troppe informazioni sul mio conto, al punto che cominciai a pensare che fosse un agente segreto.
"Come conosci il nostro capitano?" chiesi sospettosa. "Chi sei tu? Come mai eri qui?" La sua espressione tranquilla non cambiò di una virgola. Non era angosciato come lo poteva essere una persona colta con le mani nel sacco.
"Sono Lucas... il ragazzo che hai disegnato su quel bus, un mese fa." Si presentò dolcemente, ma continuava ad ostinarsi ad aggirare le domande e non mi dava risposte chiare. Faceva di tutto per confondermi...
"Dico sul serio... chi sei?"
La sua aria spensierata si cancellò, il panico gli fece aggrottare la fronte e portare la mano sulla nuca.
"Non voglio innervositi. Ero sulla barca e ti ho visto cadere in acqua, così mi sono tuffato dietro di te. Cerca di rimetterti, me ne vado."
Mi resi conto in quel momento di essere stata troppo dura e feci un passo avanti per intralciarlo ponendogli la mano sul braccio. E presi un respiro.
"Ecco... Ok, mi hai salvato la vita... grazie, te ne sarò sempre grata. Ma cerca di capire anche me... incontro in fondo al mare il proprietario degli occhi su cui ho lavorato per un mese. In più mi dai dettagli sulla mia vita, sai anche come mi chiamo... Non credi che la mia paura sia più che giustificata? Potresti anche essere uno stalker."
Mi rivolse un sorrisetto ironico. "Sì, è come avevi immaginato... più o meno. Sono passato davanti a quel locale mentre camminavo per conto mio. Ti ho visto e ho letto il nome su quel cartello sotto la scritta. Conosco bene il signor Clark perché qui conosco tutti i capitani."
"Anche tu hai una barca?" domandai su di giri, perché quel mondo mi affascinava fin da piccola.
Desideravo ardentemente essere un lupo di mare, esplorare posti sconosciuti e lasciarmi cullare dalle onde del mare. Restò in silenzio per un secondo pensando a come rispondere.
"Non ho una barca."Farfugliò. "Insomma... mi occupo di tutte le barche qui. Le pulisco, le vernicio, le scartavetreo... cose così. Non lavoro tutti i giorni, ma aiuto se occorre."
"E non solo per benevolenza, immagino."
"No. Assolutamente." Sussurrò rivolgendo gli occhi verso il basso e si passò la mano fra i ricci ancora umidi. Decisi allora di tagliar corto con quella storia per evitare che si chiudesse in sé stesso.
"Non sei sorpreso? Ti ho appena detto che ho usato te come soggetto del mio ritratto e tu non sei rimasto un po' sorpreso! Non dirmi che hai ricevuto altre proposte... oltre la mia?" Cercai di sdrammatizzare e riuscii nell'intento, perché rilassò le spalle e abbozzò un sorriso.
"Certo che no."
"Pensi davvero che ci caschi?" Sollevai il mento, incrociando le braccia al petto. "Fai pure il misterioso! Ma ti avverto... mi annoio facilmente."
I nostri occhi entrarono immediatamente in una competizione serrata, ch'ero decisa a vincere a qualsiasi costo.
Avrei buttato giù ogni muraglia che si era costruito col tempo e svelato quello che nascondevano i suoi occhi verdi.
"Amybeth... Amybeth?"
Sentii mio fratello chiamarmi a gran voce e avvicinarsi sempre di più, accompagnato dalla mia amica e spezzai quel contatto visivo per girarmi. Se mi avessero trovata, mi avrebbero costretto a far ritorno al locale con loro e mi sarei dovuta sorbire ore e ore di rimproveri.
"Sbrigati! Vai su e metti in moto la barca. Presto! Fai presto!"
Il riccio era visibilmente interdetto dal mio ordine, mentre lo spingevo in quella direzione agitata.
"Cosa? Sei sicura?"
Si tolse il telo dalle spalle e lanciai il mio da qualche parte.
"Lo sono, sì! Sbrigati!" Lo incalzai mentre si arrampicava su per la scala.
"Ok. Sciogli le cime." Mi assecondò.
Ripetei l'operazione di prima da ambo i lati, stando attenta a non scivolare, lanciando la fune per aria.
Ero leggera come una piuma e felice più che mai, soprattutto del compagno che mi era capitato. C'era sintonia. Entrambi volevamo lasciarci alle spalle la civiltà e perderci nell'orizzonte.
"Amybeth?" Aymeric corse trafelato sul pontile raggiungendomi e urlando il mio nome più volte, ma ormai eravamo partiti. Alzai le braccia muovendole continuamente per salutarli. "Amybeth! Stai bene?" urlò fermandosi.
"Sto molto bene! Anzi mai stata meglio!" urlai in risposta e loro mi fissarono sconcertati, non sapendo come interpretare quel mio ennesimo gesto impulsivo. "Tanti auguri a me! Ti voglio bene!" continuai a saltellare emozionata come una bambina.
"Dove stai andando? Chi c'è con te?"
La barca si stava allontanando dal molo e non distinguevo nemmeno i loro volti, che diventavano più distanti.
Mi stavo liberando di quel macigno. Non m'importava di farli disperare, avrei sicuramente trovato una scusa credibile, ma adesso mi proibivo di pensarci godendomi la gita fuori porta.
Quando lo raggiunsi al comando, stavamo navigando da un po'.
"Non mi va' di dargli spiegazioni. E perché dovrei, scusa? Loro non mi capiscono... mi ripeterebbero soltanto che il mio non è un comportamento adeguato a una signorina."
"Sei una ragazza intrigante." Confessò con lo sguardo puntato sull'orizzonte e mi strofinai piano l'orecchio.
"Strano... Mia madre mi dice sempre che sono una tipa stramba e con la testa fra le nuvole. Mi fa sentire un alieno." Girò la testa divertito, continuando a governare il timone. "Forza, capitano! Ferma la barca così potrò risolvere i tuoi misteri."
Il vestito era umido e mi stavano venendo i brividi, così scesi giù nella cabina per trovare qualcosa di caldo. Prendermi il raffreddore non era nei miei piani e, a questo proposito, l'uniforme del signor Clark fu l'ideale. Era asciutta, comoda e mi permetteva di dare sfogo all'immaginazione.
Una volta su, invitai il riccio a sedersi accanto a me e lui timidamente accettò, nonostante fosse titubante sul da farsi. Scherzando gli avevo detto "mica ti mordo?" e lui annuì e si sedette.
Non ero mai stata per mare a notte fonda, ma quello spettacolo mi toglieva il respiro. Potevo perfino toccare le stelle solo allungando la mano...
Anche lui aveva i capelli bagnati, il ciuffo gli ricadeva sulla fronte e la maglietta bianca si era appiccata al suo torace. Mi stesi leggermente, guardandolo negli occhi. La sua bellezza era più ipnotica del resto. Aveva uno sguardo penetrante, messo in evidenza dalle folte sopracciglia. Sentivo le farfalle nello stomaco.
Era un ragazzo buono e volenteroso, con alle spalle una famiglia umile oltre che generosa. Un tozzo di pane per loro apparteneva a tutti. Frequentava l'università, ma al tempo stesso svolgeva dei lavoretti part-time.
Esistevano ancora ragazzi del genere in grado di sacrificarsi per amore?
Tutto ciò mi aveva colpito all'istante, il suo incredibile altruismo aveva fatto breccia nel mio cuore.
Non era un ragazzo come gli altri.
"Perché hai scelto proprio la facoltà di Ingegneria Mineraria? Non hai trovato altro su cui impegnarti?" La mia logorroicità in quel frangente era di gran lunga superiore alla sua, che si limitava a girarsi i pollici con il capo abbassato. "Dimmi la verità, è a causa del tuo punteggio, giusto? Lucas... forse non riuscirai a realizzare il tuo sogno di diventare ingegnere. Hai un piano di riserva in quel caso?"
Sospirò. "Invece sì, ce la farò. Scenderò in fondo alla miniera per analizzare e modificare le condizioni di lavoro e prevenire gli incidenti. Trasformerò la miniera in un posto sicuro per tutti." dichiarò con tono determinato, come se quel futuro fosse a portata di mano.
Dopotutto doveva avere stoffa per un impegno pericoloso come quello...
"Sei un idealista?"
"Devi esserlo, altrimenti a cosa servirebbe la laurea?" obiettò con un sorriso dolce stampato sulle labbra.
Scossi appena la testa e farfugliai. "Hai ragione... Sto parlando a vanvera. Non farci caso. Non voglio spegnere le tue speranze."
"Mary... sostiene che parlare senza pensare richiede un gran coraggio."
"Oh, e stai pure girando il dito nella piaga! Ma naturalmente... è il mio difetto più grande... Ora lo sai."
"Insomma... un po'." concordò mentre fissavo l'orizzonte e un dubbio si insinuava nella mia testa.
Non potei più trattenere la curiosità per la frase precedente.
"Questa Mary... è la tua fidanzata?"
Si voltò di scatto e alzò il sopracciglio, affrettandosi a ribattere. "Assolutamente no, non lo è. È la mia più grande amica, cioè ci conosciamo da tantissimo tempo. È una donna incredibile e molto saggia, ha un che di nobile. È più matura di me, ma non lo dimostra... Sembra più giovane." Si sporse con un sorriso bellissimo e gli occhi luminosi quanto o più delle stelle sopra di noi. "È molto giovanile... adulta. Ci siamo scelti l'un l'altro. Siamo entrati subito in empatia. Non riuscirei a sopravvivere senza i suoi consigli. Un po' come una seconda madre."
"Davvero?" domandai. "Mi piacerebbe conoscerla. Dev'essere una persona molto interessante, da come l'hai descritta." dissi affascinata da ciò che avevo ascoltato. Aveva puntualizzato quanto fosse essenziale nella sua vita, nelle sue scelte e come se ne prendesse amorevolmente cura. Una forte scossa mi fece vibrare dentro e delle sensazioni inaspettate si intensificarono, di colpo.
Sembrava più felice della sottoscritta, circondato da persone semplici e senza troppe pretese.
"Non sono morta oggi, anzi sono rinata dalle ceneri." I miei occhi erano incastonati ai suoi. "Ho vissuto delle esperienze e imparato qualcosa sulle miniere. Grazie a te, mi sento di nuovo in vita." Si grattò la nuca imbarazzato. "Forse anche noi ci siamo scelti. Che ne pensi?"
Distolse il viso e scostò i ricci con la mano, affinché non gli dessero fastidio. Era un suo gesto abitudinario... visto che prima l'aveva fatto e m'incantavo a contemplarlo.
Dopo qualche secondo, rialzò il capo e propose. "Andiamo?" Lo fissai di sottecchi perplessa. "È tardi e i tuoi si preoccuperanno."
Come al solito, avevo aperto bocca e rovinato l'atmosfera.
"Okay." pronunciai.
Non avevo molta voglia di tornare a casa, sapendo che cosa mi sarebbe aspettato. Preferivo dormire sotto le stelle.
"Andiamo, allora."
Si rimise in piedi e iniziò a camminare sul bordo, facendo il possibile per mantenere l'equilibrio.
"Ahi!" esclamai all'improvviso.
"Attenta!" urlò di rimando raggiungendomi e prendendomi per le spalle, mentre scoppiavo a ridere.
"Scherzetto!" Era il mio ultimo momento di spensieratezza e volevo passarlo nel migliore dei modi. "Non devi comportarti sempre da eroe. So benissimo cavarmela da sola, vedi?"
Lasciò scivolare via le mani dal mio corpo senza dire nulla e si voltò per continuare a camminare.
Quando attraccammo al molo in piena notte, Lucas stava rimettendo a posto le cime e io avevo già messo piede sulla passerella, aiutata dal capitano Clark che mi osservò severamente.
"Va tutto bene, signorina Amybeth?" domandò, mentre i suoi occhi scuri rimbalzavano tra le nostre figure. La stessa espressione meditabonda la ritrovai nella faccia dell'altro, di carnagione bronzea, dietro le sue spalle.
"Magnificamente!" sottolineai con accesa felicità e mi rivolsi al riccio. Non avevo la certezza che ci saremmo rivisti a breve, anche se ci speravo, perché quegli occhi erano meravigliosi. "Mi hai migliorato la serata! È stato il compleanno più bello!" Non avrei mai potuto dimenticare il suo gesto. Ero viva grazie alla sua prontezza di riflessi. Gli porsi la mano. "Grazie."
Lui tentennò e poi ricambiò la stretta.
Le sue labbra si curvarono in un sorriso. "Buon compleanno... Amybeth."
Mi aspettava una ramanzina, ma non m'importava avendo davanti quello sguardo. Non riuscivo a staccarmi, volevo scolpirlo nel cervello per non dimenticarlo. Eravamo l'uno di fronte all'altra, presi la sua mano e la rigirai, rivolgendo il palmo verso l'alto. Feci scorrere l'indice delicatamente sulla pelle, tracciando il simbolo dell'infinito mentre alzava lentamente il viso e puntò i suoi occhi dentro i miei, con maggiore trasporto.
Da quel momento, quel simbolo invisibile avrebbe creato una connessione e legato le nostre anime, fino alla fine dei tempi.
"La macchina la sta aspettando."
Il signor Clark mi riportò bruscamente con i piedi per terra e il riccio distolse il viso per primo. A quel punto, girai i tacchi, mi allontanai velocemente da lì, ma l'immagine di quel ragazzo ormai albergava nella mia anima.
Se era un bellissimo sogno... allora avrei voluto dormire per l'eternità come una principessa delle fiabe.
#2 𝘪𝘯𝘤𝘰𝘯𝘵𝘳𝘰
"Ciao, bellissima..." Una voce proveniente da fuori mi fece ridestare dal sonno in cui ero piombata. Aprii le palpebre e guardai in alto. "So che non ci sono stato..." Mi alzai mettendomi seduta. "Ma non ti ho dimenticato." Mi passai le mani ai lati del volto. "Forse volevo scappare da quei giorni... Abbiamo vissuto tanto insieme. Tu, io...e-" Non terminò quella frase colmo di dolore. "Non potevo tornare. Non potevo... Forse non volevo ricordare. Ma mi fa male... Posso stare qui senza rammentare quei giorni?"
"No..." risposi e sbucai fuori, mentre lui mi osservava in alto con il completo elegante indossato alla festa. Nei suoi occhi regnava il gelo. "Non si può fare a meno di pensarci, anche se non si viene qui."
"Signora Hynes." Mi salutò con distacco ed espressione indecifrabile.
"Perché non mi chiami Amybeth?"
"Ti chiamo come si conviene a una donna sposata. Cosa fa qui?" Lo guardai negli occhi, ma non riconobbi più l'uomo dolce di un tempo. "E soprattutto in una notte importante come questa. Oggi non è il suo anniversario? Non dovrebbe passarlo con suo marito?"
Salii sopra lo scalino e mi fermai davanti a lui. "Cosa vuoi da me, Lucas?"
"Sei tu che sei venuta qui!"
"Perché sei tornato? Perché non ti sei lasciato alle spalle questa città? Avresti potuto costruirti un'altra vita..."
"Non farti strane idee. Sono qui per affari." affermò scorbutico.
Abbozzai un lieve sorriso. "Davvero credi in quello che hai detto?"
"Sei qui per ascoltare le mie risposte?"
Negai con la testa. "Sono qui... perché questo è il mio rifugio. Sono qui per alleviare la mia sofferenza." Osservai ancora una volta il suo viso impassibile. "Mi odi."
"No."
"Allora perché te ne sei andato stasera?" continuai. "Perché hai accettato di venire a casa nostra?"
"Perché sto lavorando con suo marito, signora Hynes. L'ha dimenticato?"
"Marito..." ripetei con ribrezzo. "Marito della donna che tu ami!" Poggiò l'indice sulla mia bocca per zittirmi.
"Tu non sei più la mia Amybeth." Allontanò il dito e mi fulminò. "Non sei più niente. Sei solo un'estranea."
Deglutii un fiotto di saliva, resistendo alla tentazione pressante di piangere. "Se è questo ciò che pensi, allora vattene da qui." Aveva lo sguardo proiettato altrove. "Non hai sentito? Se vuoi che ti creda, dammi una prova, ed esci dalla mia vita!"
"Pensi che io sia lo stesso." rispose con lo stesso tono. "Davanti a te non c'è più quell'uomo che sacrificava tutto per ogni misero sguardo. Hai seppellito quel Lucas... Ormai non c'è più. Ha chiuso per sempre Jane Eyre in un cassetto... perché la donna che lo custodiva, ha scelto di mettere la sua vita nelle mani di un altro uomo."
"Tu vuoi punirmi. Vorrei che funzionasse... Lo vorrei tanto! Mi sdraierei e aspetterei che tu mi schiacciassi, ma non funzionerebbe, lo so." Appoggiai la mia mano sul suo petto e lo guardai. "Questa ferita non guarirà. Qualunque cosa tu faccia... o dica, il dolore rimarrà bloccato qui."
"Sei arrugginita. È inutile... Non puoi più ingannarmi." commentò e feci scivolare via la mano.
"Forza!" mi afferrò per il braccio e mi aiutò a salire sulla passerella. "Forza, torna da chi appartieni!" mi urlò addosso.
"Non puoi trattarmi così!" protestai.
"Lamentati con tuo marito... controlla se nel tuo deposito ci sono abbastanza soldi da inviarmi."
"Pensi di essere l'unico a soffrire in questa storia?" chiesi con fare allusivo, squadrando la sua faccia interrogativa. "Che vergogna..."
A quel punto, gli girai le spalle con gli occhi offuscati dalle troppe lacrime, iniziando ad allontanarmi.
𝟱. 𝗬𝗢𝗨𝗥 𝗛𝗢𝗠𝗘 𝗜𝗦 𝗬𝗢𝗨𝗥 𝗗𝗘𝗦𝗧𝗜𝗡𝗬
(Ana Denver e Lucas Hicks)
𝘈𝘯𝘢
Stavo girando a vuoto per colpa del navigatore, che mi aveva condotto in una strada limitrofa. Intravidi un gruppo di bambini, accovacciati vicino a un'auto parcheggiata, che poi corsero via. Un insolito rumore mi fece fermare e tirare il freno. "Che succede?"
C'erano dei chiodi che avevano sgonfiato la ruota anteriore. "Grande... Aspettavano me. Oh... bambini."
Mentre esploravo i dintorni, una strana donna attirò la mia attenzione.
"Dov'è finito il mio rosso! Dov'è? Non c'è..." sbraitò scavando nell'acqua stagnante a mani nude.
Percorsi pochi metri prima di fermarmi in prossimità di un'officina, caduta proprio a fagiolo.
"Ehy! C'è qualcuno?"
"Dov'è il mio rosso!?" continuò a borbottare la donna e a scavare con insistenza. "Non è qui? Dov'è?"
La raggiunsi, accovacciandomi al suo fianco.
"Signora, sta bene?"
"Il mio rosso..."
"Per favore, si alzi. Non può farlo. Quest'acqua è infetta." Cercai di prenderle le mani, ma scosse la testa. "Va tutto bene, le prometto che lo troveremo... Ok? Qualunque cosa stia cercando, io rimarrò qui con lei." Si rialzò e pose una mano sulla guancia. "Lo troveremo, si fidi di me." La donna riprese la sua affannata ricerca. "Si può sapere cosa cerca? Non la capisco."
"Rosso, rosso!" sbottò a denti stretti, fingendo di pitturarsi le labbra. Forse era quello l'oggetto perduto?
"Zia, no!" la rimproverò una ragazzina smilza accorsa da dentro l'officina.
"Non c'è."
"Lo troveremo, tranquilla." cercai di rassicurarla per l'ennesima volta.
La ragazzina scattò in piedi e urlò. "Capo! Capo, venga a vedere!"
"Il mio rosso non è qui."
"Che sta succedendo?"
La lasciai per un momento nelle mani della ragazzina per dirigermi verso l'auto e in quell'istante i miei occhi s'incastrarono in quelli del giovane che stava arrivando.
Non gli rivolsi una parola o un cenno, eppure c'era un'energia palpabile. Spalancai la portiera e presi uno dei miei rossetti che non usavo.
"Non è qui!"
"Oh, santo cielo! Che stai facendo zietta? Ti prego... Te ne comprerò uno nuovo, più bello." La donna fece no con la testa. "Guarda, hai le mani fredde e sporche. Ti prego, rialzati."
Intanto le mostrai uno dei miei, che tenevo conservato nel cruscotto.
"Guardi... questo non le piace? È rosso scuro." La donna sorrise meravigliata da quella visione e afferrò il tubetto, rigirandolo nelle mani.
"Rosso scuro... Rosso scuro." balbettò mentre il ragazzo mi guardava, riconoscente.
"Dai, alzati." La fece rialzare e la biondina la scortò dentro. "Kyla prepara una tisana alla zia, così si riscalda. Guarda come sta. Per poco non si è congelata."
Li seguii, prendendo le scarpe, mentre lui ordinava di accendere il calorifero.
Mi fermai in corrispondenza della soglia per leggere una targa.
"Abbiamo una ciotola di zuppa... Se avete fame venite a condividere il nostro cibo... e i nostri problemi."
La signora continuava a sparlare tra sé e sé, dall'altra stanza.
"Le sue scarpe." intervenni mentre gliele porgevo.
"Ti ringrazio. Ky, ecco a te, fagliele indossare."
Si avvicinò, asciugando le dita sporche di olio.
"È davvero tua zia?" gli chiesi.
"Una specie, ma le voglio molto bene." Gettò il panno sul tavolino e mi porse una salvietta. "Ti sei sporcata."
"Non importa, i vestiti si possono lavare." Dichiarai cominciando a strofinare per togliere il fango.
"Che problema hai con la macchina?"
Lo guardai, a mia volta. "La ruota si è bucata. I ragazzi hanno lanciato qualcosa per strada e dal momento che l'officina è proprio qui vicino."
"Hai pensato che fosse colpa nostra."
"Più o meno."
Mi osservò e poi esclamò, rivolgendosi a un ragazzino più giovane. "Pierre! Controlla l'auto della signorina e falle una buona manutenzione."
"Ok, capo."
"Anche la nostra morale non è così male." riprese.
"Questo lo so." ribattei sorpassandolo per appoggiare sul tavolo il mio fermaglio. Presi un'altra salvietta, strofinandola fra i capelli biondi. "Dopotutto la personalità di un uomo deriva dal posto da cui proviene, giusto?"
"Dici che non sono cattivo." Sollevò un sopracciglio. "Allora quelli intorno a me... Potrebbero esserlo."
"Un po', no?"
"Pulisci qui." Sussurrò strofinando dolcemente con la sua salvietta, scendendo verso la mandibola, mentre i nostri occhi si scontravano gli uni negli altri. "Qui i bambini giocano per strada. Non hanno le PlayStation." Si allontanò. "C'è uno specchio lì." indicò con un cenno della testa.
Mi riscossi da quella trance e gli strappai dalle mani la salvietta allontanandomi. "Allora prendo questo. Come se quello che avessero fatto fosse una cosa divertente ed educativa. Se avessero provocato un incidente? Come si sarebbero giustificati? Avrebbero detto: "ci scusi signor giudice, ma non siamo signori?"
"Certo, è probabile che avrebbero risposto così, ma... Cosa c'è? Sei un avvocato?"
Sorrisi di fronte al mio riflesso e mi voltai. "Come lo sai?"
"Beh, è stato facile... perché minacci di trascinarci davanti a un giudice." Mi fece l'occhiolino.
"Oh, non posso crederci..." Mormorai più a me stessa mentre passavo la salvietta sul collo.
"Questo è il mondo dei bambini di questo quartiere. Ma la gente che non è di qui, non lo capisce."
Mi bloccai e girai il viso. "Sul serio? Quale sarebbe il mio posto?" Alzò il suo da terra e mi osservò, in silenzio. "Conosco questo posto molto bene."
"Strano, molto strano..." sibilò confuso. "Guardi spesso serie tv su questi quartieri?"
"Spesso... voglio dire che se un uomo è pacato e gentile viene etichettato automaticamente un debole. Mentre quelli che restano o si mettono nei guai o ci mettono altri. Non c'è una via di mezzo."
"Le persone qui non sono divise in due categorie" replicò venendomi incontro. "Non è la legge di Darwin, siamo tutti uguali."
"Vero... E ci sono anche persone come te, giusto? C'è chi viene oppresso e chi opprime. Tu a quale categoria apparterresti?" Ci pensai su guardandolo. "Sei come quel re presuntuoso che per egoismo negò l'alloggio a una vecchietta durante una tempesta di neve... e fu tramutato in un mostro spaventoso per il resto dei suoi giorni."
"Qui ce n'hai ancora un po'." mi fece notare toccandosi al lato delle sue labbra poi si diresse verso l'uscita.
"Accidenti! Non ho mai ascoltato una conversazione più profonda di questa. Nessuno è mai riuscito a tenergli testa." esordì la ragazzina bionda sedendosi sullo sgabello.
"Cosa?"
"Non l'hai paragonata alla bestia del cartone animato? Ma il nostro re non è brutto, come pensi." ripresi a pulirmi i capelli con imbarazzo. "Se hai visto il film lo saprai. La bestia alla fine non soltanto conquista l'amore della fanciulla, ma si tramuta in un principe bellissimo e vanno a vivere in quel castello meraviglioso fra i boschi... A proposito, tu mi ricordi la protagonista, eccetto per i capelli biondi." Le sorrisi. "Di cosa stavo parlando? Stavo parlando di una cosa..." aggrottò la fronte. "Stavo parlando del mio ricciolino. Lui è senza dubbio l'eroe del quartiere. Robin Hood... Superman."
"E tu? Uhm?"
"Io?" Mi sedetti. "Sono Kyla... e lavoro per lui."
Mi guardai attorno. "È la prima volta che mi capita d'incontrare una ragazza che lavora in un'officina."
"Non dirlo a me... Non ho mai visto nessuna ragazza fare questo lavoro, ma le cose che succedono le prime volte sono così, ti fanno sentire strana." Scossi la testa e sorrisi. "A proposito, ti presento Pierre, lui è per metà francese, è il secondo assistente." Il diretto interessato passò davanti e lei lo richiamò. "Pssst! Pierre, questo ragazzo...." lo indicò e si rimise in piedi, facendo un insolito gesto con le mani in sincrono. "Questo ragazzo tra cinque anni lo vedremo sui palcoscenici più famosi del mondo. Diventerà un rapper! Ha molto talento."
"Ora non esagerare." La rimbeccò prima di andarsene.
"Va bene, siete tutti molto dolci. Ma che mi dici della scuola? Nessuno la frequenta?"
"Oh, beh... Lucas ci ha salvato dalla strada e ci ha offerto di stare sotto il suo tetto. Non potremmo mai dirgli di pagarci le rette scolastiche, non sarebbe giusto nei suoi confronti."
"Beh, se vuoi andare a scuola, non c'è problema... potrei chiederglielo io." offrii rimettendomi in piedi incrociando le braccia.
"Credo che non ce ne sia bisogno... Perché? Devo andare a prendere la merce rimasta nel magazzino."
Stava per andarsene quando Lucas la raggiunse, ponendole le mani sulle spalle. "Non correre, non correre. È quasi pronta la cena." La ragazza sparì nell'altra stanza e l'altra con ancora il sorriso sulle labbra e il rossetto nelle mani mi guardava emozionata.
"Si sente bene ora?"
Portò le mani ai lati del mio viso accarezzandolo. "Bellissima..." Poi si lasciò cadere sul mio petto e infine si allontanò gioiosa.
"Ti ama. L'hai conquistata."
"Ma ora continuerà a mettere quel rossetto tutta la notte."
"Ti va di restare per cena?" propose il riccio.
"No, si è fatto un po' tardi e devo tornare nel mio quartiere prima che faccia buio. Sarà per la prossima volta." Gettai un'occhiata fuori mentre lui annuiva. "Hanno finito?"
"Abbiamo finito?" urlò e il giovane alzò la testa dal motore.
"Sì, abbiamo finito, capo!"
"Hanno finito."
"Quanto ti devo?"
"Non mi devi niente, sono io in debito con te. Hai fatto ridere mia zia, le porte di questa casa saranno sempre aperte quando vorrai tornare."
"Ti ringrazio." risposi mentre mi accompagnava verso l'auto.
Salii e allacciai la cintura, prima di guardare il riccio con uno sguardo riconoscente per poi mettere in moto e lasciare quel posto...
6. 𝗖𝗼𝗺𝗲 𝗽𝗶𝗼𝗴𝗴𝗶𝗮 𝗱'𝗲𝘀𝘁𝗮𝘁𝗲
𝗗𝗥𝗔𝗠𝗔
Era notte inoltrata quando l'Uber accostò di fronte al mio palazzo. Avevo bisogno di una dormita urgente. L'autista mi aiutò a scaricare la valigia e lo salutai, mentre allargavo la cravatta spingendo il portone.
Portai il trolley dentro, accesi le luci e abbandonai le chiavi nel solito recipiente disposto sul primo mobile.
Quando attraversai il corridoio per recarmi nella stanza da letto, un dettaglio stuzzicò la mia attenzione. Nella penombra vidi qualcosa.
Procedetti a passi felpati nell'open space e accendendo la lampada la vidi.
Un'allucinazione scioccante... c'era una donna beatamente appisolata sul divano e sgranai gli occhi all'inverosimile. Mi guardai in giro per capire da dove fosse spuntata, ma il luogo era perfettamente in ordine. Niente finestre o maniglie manomesse.
Mi avvicinai cautamente, trattenendo il respiro e m'inginocchiai.
"Shhh! Ehi, tu?" La donna però non si svegliò. Allungai una mano e con l'indice cercai di sfiorarla. "Lucas, è solo un'allucinazione! Stai lavorando troppo... Altrimenti perché dovresti vedere una donna in casa tua?!"
Calma. Calmati...
D'altronde, avevo accumulato stanchezza e fatto molte pause caffè, dopo ciò era ovvio che la mia salute mentale sarebbe potuta vacillare...
Scioccato, tirai fuori il cellulare e scattai una foto. Mi chiusi in camera e la inoltrai su WhatsApp.
"Chi è lei?" scrissi.
"Ah, Dalmar... non so cosa tu abbia nel cervello, ma non puoi portare una ragazza nel mio appartamento!"
Il sonno andò a farsi benedire.
Non facevo altro che andare avanti e indietro, come un animale in gabbia.
Tutto... molto bene, Lucas.
La vibrazione mi salvò da una crisi di nervi e corsi a vedere la risposta.
"La governante" Poi né inviò un altro. "Amybeth McNulty, l'ho assunta quattro mesi fa. C'è qualche problema dottore?"
Problemi! Sospirai bloccando lo schermo. Il fatto che avesse indossato il mio pigiama e non contenta di riposare sul mio divano... non era un problema.
Come avrei potuto riposare, sapendo che lei era di là?
La mattina arrivò presto. Non avevo chiuso occhio, appena due ore scarse, ed ero già vestito per andare in ospedale. Quando entrai nell'open space, lei intanto dormiva.
Mi avvicinai al tavolo e tintinnai il cucchiaio sul bordo della tazza. La ragazza finalmente mostrò i primi segni di un lentissimo risveglio. Prima si stiracchiò, poi mugugnò qualcosa. Quando si girò e si scontrò con la mia faccia contrariata, restò pietrificata.
Si agitò convulsamente e si alzò inciampando sul lenzuolo.
"Buongiorno..."
"Dottore!?"
"Gradisce un caffè? Oppure un cornetto?" feci l'ironico.
"Io... Io le posso spiegare!" Il pigiama le stava largo e una spalla le si scoprì. Bevvi un po' di caffè e la guardai. "Le posso assicurare che questa è la prima volta. Non sono mai rimasta!" spiegò cercando anche di sistemare il divano e piegare la coperta. "È che... s-se mi sta chiedendo il perché." schiarì la voce. "Ieri quando sono venuta a lavoro... Glielo posso giurare, non ho mai dormito qui prima di adesso."
"Fermati, Agatha. Prendi fiato."
"Amybeth."
"Puoi sistemarlo più tardi." Mi guardò spaventata e si torturò le mani. "Ti ascolto... Dimmi."
"C'è stato un grosso problema. Mia sorella mi ha chiamato per dirmi che avevano cambiato la serratura. Dobbiamo dei soldi al proprietario e purtroppo ci sono anche altre spese. Forse a lei non interessa... ma senza dire niente quel bastardo ci ha lasciato in mezzo alla strada! Le sembra giusto?"
Posai la tazza e tolsi gli occhiali riponendoli nella custodia. "Quando non hai pagato l'affitto, il padrone di casa vi ha cacciato e hai pensato bene di rimanere qui."
"Solo oggi... Soltanto oggi." precisò. "Non sapevo dove andare... Mi dispiace terribilmente. Sono desolata! Ma le assicuro che non sono mai rimasta qui."
Il cellulare interruppe la conversazione. "Pronto? Come sta il paziente?" passeggiai per la cucina. "Probabilmente la dose prescritta per le crisi epilettiche non è sufficiente. Quand'è che ha fatto l'ultimo esame del sangue?" Annuii. "Glielo faccia fare e farò un'altra ricetta. A più tardi." riattaccai e la ragazza s'immobilizzò. "Quanto?"
"Solo una notte."
"Parlavo del debito."
"Tre mesi..." Alzai un sopracciglio. "Circa... 1.200 euro. Ma ho già pensato a una soluzione. Presto servizio anche in un'altra casa. La signora Albert, la moglie dell'architetto, sa è gente così simpatica e generosa... Certo, non quanto lei. Ma, una volta, mi disse: vieni da me se hai un problema. Potrei anche seguire il consiglio..."
Tutte le sue chiacchiere si fecero ovattate e altri pensiero riemersero.
Se avessi chiesto a un'altra ragazza di accompagnarmi, avrei evitato di accettare l'invito di Shannon.
Contemplai quella ragazza... Aveva un non so che di strano, oltre che una parlatina esagerata.
"Mi daranno un anticipo sulla mia paga e toglierò il disturbo. Lo so che merito il licenziamento..." Scossi la testa e mi portai il cellulare all'orecchio per rispondere a un'altra telefonata.
"Pronto? Ah, signora Rachel... No, meglio che lo visiti. Lo porti in ospedale." La guardai spegnere la lampada e tornai vicino al divano. "Arrivo fra poco." Riattaccai e feci un respiro profondo. "Stasera ci sarà un ricevimento. Non ho un'accompagnatrice." Guardai lo schermo del mio laptop e poi lei. "Per svariati motivi..." Lo chiusi e afferrai la giacca. "È un impegno di un paio d'ore, non di più. Se accetti di venire ci metterò una pietra sopra ed estinguerò il tuo debito. Potrai pagare l'affitto e ovviamente non sarei in debito con me. Ma se in futuro dovessi rimanere a dormire qui un'altra volta, non esiterò a licenziarti in tronco. Ok?"
"Cosa intende per ricevimento?"
"È una festa con il personale dell'ospedale. Non ti preoccupare per il vestito, farò in modo di procurartene uno... Finisci alle sei, giusto?"
"Sì, però..."
"Il mio autista ti porterà dal parrucchiere e poi nel luogo stabilito. C'incontreremo lì. Ci vedremo alle otto. Comunica la tua taglia alla mia segretaria." spiegai velocemente prendendo la ventiquattrore senza aspettare una sua risposta.
Stavo per raggiungere l'Uber, quando mi sentii chiamare da lei. La vidi correre fuori dal palazzo con addosso il mio pigiama.
"Dottore... Se ha un po' di tempo, vorrei chiederle un favore. È importante." Annuii e mi porse un dischetto. "È della mia vicina, è come una sorella." Sospirò abbassando lo sguardo sulla strada. "Ha visto molti medici e hanno detto che non si può fare nulla. Ma siccome lei è bravo in questo campo, forse è stato tralasciato qualcosa. E loro non l'hanno visto. Me l'ha chiesto lei."
"La tua vicina?"
"Dalila Bela."
"D'accordo, lo esaminerò e stasera ti dirò qualcosa." Ci scrissi sopra un promemoria e lo infilai nel taschino. "Ci vediamo stasera."
"Grazie." Rispose e alzò il palmo per salutarmi, mentre mi sbrigavo a salire per raggiungere l'ospedale.
7.𝗠𝗬 𝗦𝗪𝗘𝗘𝗧 𝗛𝗢𝗠𝗘
Amybeth
"Aymeric!"
"Siamo fregati, fottutamente!" sottolineò con fare melodrammatico dalla parte opposta.
"Calmati. Spiegami, cos'è successo?"
"I falegnami sono scappati!"
Arricciai la fronte, interdetta.
"Come? Scappati? Perché?"
"Cosa vuoi che ne sappia. Dobbiamo aprire il negozio fra una settimana esatta... e sono stato costretto ad inchiodare gli scaffali da solo. Mi sono anche schiacciato il dito!" frignò facendomi chiudere gli occhi e sospirai. "Aiutami, Amybeth, aiutami!"
"Va bene, non farti prendere dal panico. Troverò una soluzione." Scesi dalla macchina disobbedendo a mio padre ed entrai nel montacarichi insieme a due addetti. Da quell'altezza riuscivo a vedere l'intero cantiere e, ad un certo punto, un pantalone grigio e una cintura allacciata alla vita mi sfilarono davanti, ma non vidi altro, dato che la cabina salì sopra e il tizio si voltò.
Ebbi l'impressione di averlo visto da qualche parte, ma decisi di accantonare quel pensiero.
"Odio questo lavoro da somari!" bofonchiò il castano mentre controllavo l'unica lampada che pendeva dal soffitto.
"Non preoccuparti. Papà mi ha promesso che ci manderà il migliore fra i suoi uomini. Mi ha dato la sua parola." Mi girai verso di lui. "Ma si vocifera che sia un po' arrogante, quindi non farti mettere i piedi in testa."
"L'ultima cosa che mi serve è essere picchiato da un carpentiere!"
Ridacchiai, e avvertendo un rumore concitato di passi, lo invitai ad alzarsi e seguirmi. "Dev'essere qui. Su, vieni!"
"Ci hanno mandato un solo uomo... Dovrà fare tutto il lavoro da solo."
Gli diedi una gomitata, intimandolo a non dire idiozie.
Il ragazzo che stava avanzando, sistemò la cintura con i suoi arnesi, e quando osservai il suo volto, i ricci che ondeggiavano ad ogni passo, smisi per un attimo di respirare.
Strabuzzai gli occhi e spalancai la bocca.
Aymeric sussultò quando si fermò di fronte a noi con atteggiamento rude, posando le mani sui suoi fianchi.
"Dov'è il lavoro?"
"Bene..." si schiarì la voce. "Benvenuto. Da questa parte, ma prima vuole bere un po' di caffè?" Roteò gli occhi ed entrò nella camera in ristrutturazione. Il mio amico lo seguì a ruota per spiegargli dove cominciare.
Mi affacciai dallo stipite, ancora stravolta per l'accaduto, tentando di non dare nell'occhio mentre il riccio smontava le mensole.
"Che stai facendo!? Ci stavo lavorando da due giorni!" piagnucolò lui.
"I pannelli di gesso sono inclinati, non sono resistenti. Per prima cosa, dobbiamo sistemarli." Con facilità sganciò anche l'ultima gettandola sul pavimento.
"Cosa? Non rompere i pannelli di cartongesso!" sbraitò Aymeric, terrorizzato al pensiero che volesse buttare giù tutto quanto a colpi di martello. "Dove li trovo io dei nuovi pannelli di gesso? Amybeth!" Quando urlò il mio nome, rovesciai un secchio di pittura per lo spavento.
Da quel preciso momento, nulla fu più come prima. Il sorriso e l'espressione imbambolata non abbandonarono più il mio volto.
Avevo qualche problema a restare con i piedi puntati a terra, mentre navigavo nelle mie dolci fantasie romantiche con il mio aitante e bel carpentiere.
La porta automatica si bloccò, come successe in ospedale, e quando mi voltai fui sbigottita nel ritrovarlo dietro le spalle con la solita espressione seria.
Ma stavolta non emisi un solo suono.
Come la prima volta, spinse le porte con la mano, schiacciandosi su di me, e il meccanismo ripartì.
Lucas
Tirai fuori la sigaretta dal pacchetto integro e la strinsi fra le labbra, osservando la giovane di mia conoscenza che scendeva dal marciapiede. Risalii sul mio furgone e girai la chiave nel quadro.
La ragazza mi lanciò un sorriso timido, stringendosi nel cappotto, e ricambiai il saluto appoggiando le mani sul volante.
A quel punto, sventolò il braccio e un tizio incappucciato, a bordo di una motocicletta, gliela strappò. Inserii la prima marcia per intercettarlo, cercando di fargli perdere l'equilibrio con un veloce slalom, e riuscii nel mio intento. Impattò contro il muso del camion e volò direttamente sul tetto, sventrando il telo di copertura.
Uscii imbracciando un bastone di ferro, che avevo per sicurezza, e lo utilizzai per spaventarlo. Il tizio scappò a gambe levate senza togliere il passamontagna.
Gettai la mazza sul sedile un'altra volta e m'inginocchiai accanto a lei.
"Stai bene?"
"Sì..." Si spostò delle ciocche e piegò la testa.
"Cosa ci fai con così tante penne? Le vendi?" domandai raccogliendole a mia volta mentre l'aiutavo.
"Di solito, le dimentico." rispose con un filo di voce.
Ci rialzammo e ripose gli oggetti al loro posto, nella sua borsa.
"Hai la macchina?"
"No." Guardò i dintorni. "Sto aspettando il bus. Suppongo che ne passi uno, a quest'ora." Sbattei le mani per la polvere allontanandomi verso il mio furgone e urlò. "Sai per caso quando passa il prossimo?"
Non potevo ovviamente lasciare una ragazza sola, col rischio che poteva esserci una volta fatta sera. Aggiustai delle cianfrusaglie, diedi anche un'occhiata alle ruote e al telaio. La invitai a salire, sfregando le mani a causa del freddo.
"Andiamo da qualche parte?" Domandò mentre mettevo in moto. "E se si mette a nevicare?" Mi voltai e recuperai una coperta, lanciandogliela sulle gambe. "Cos'è?" Accelerai di colpo e senza avvisarla, strappandole un urlo. "Dirò a mio padre di far riparare il tuo tendone." Quando spostai lo sguardo su di lei, la vidi avvolta nella coperta come un involtino e tentai di non ridere. "Picchi la gente con quel coso? Perché picchi la gente?" Non risposi continuando a guardare la strada. "Mi dispiace..." sussurrò.
"Perché?"
"Perché ti ho urlato contro l'ultima volta." Abbozzai un leggero sorriso fissando lo specchietto centrale. "Ok, ok... Vedo che non sei di molte parole tu. Sto zitta..."
Dopo che arrivammo a destinazione, scese dirigendosi verso l'abitazione a piccoli passi e la fermai, a metà strada.
"Comunque... tienila la coperta."
"G... Grazie." balbettò. Le rivolsi un ultimo sorriso prima di ingranare la marcia e sparire nella notte.
8. 𝗨𝗻𝗮 𝗽𝗮𝗿𝘁𝗲 𝗱𝗲𝗹 𝗺𝗶𝗼 𝗰𝘂𝗼𝗿𝗲
Amybeth
Mia madre diceva sempre: "chi ha paura del diavolo, si mostra a lui."
Un rumore assordante mi disturbò mentre tentavo di ripassare per l'ennesima volta l'argomento che avrei portato all'esame. Continuavo a perdere il filo del discorso, a causa di quel trapano infernale che stava lavorando da ore sotto casa mia.
Inizialmente avrei voluto ignorarlo e riprendere a studiare. Divorai un biscotto, mi tappai le orecchie con le mani, poi sbattei il tallone sul pavimento per protestare, ma quel trambusto non accennava a smettere.
Chiusi il libro con un tonfo e mi catapultai giù, non badando al mio abbigliamento casalingo. Bussai alla porta con veemenza, prima di sentire dei passi avvicinarsi e una voce maschile in sottofondo.
"Che succede? Stavo per aprire la porta!" Un ragazzo con un caschetto intrappolato fra i ricci e la mascherina a coprirgli la bocca si palesò alla soglia. Lo guardai irritata e se la calò sotto il mento, inarcando un sopracciglio.
"Intendi abbattere l'edificio per caso!"
Increspò un sorriso. "Non esagerare. Si tratta di piccole riparazioni..."
"Piccole?!" sbottai. "Non posso studiare per colpa di quel trapano infernale! Sono dovuta scendere..." L'aggeggio riprese, coprendo le mie lamentele. "Vedi? Non riusciamo neanche a sentirci!"
"Ascolta, devo finire questa giornata. Fai qualcosa, distraiti o accendi la televisione."
"Tutti dovrebbero avere una televisione?" Mi fissò, interdetto. Lo squadrai dall'alto infastidita. "Lascia stare. Dovrei pure scusarmi per averla interrotta." Me ne andai senza salutarlo o altro... Ero troppo arrabbiata per le forme di cortesia.
La mia impressione su quel ragazzo inizialmente fu pessima. Era un tizio arrogante e sgarbato, ma...
Quando la pace tornò a regnare in casa mia, qualcuno bussò alla porta.
Guardai dallo spioncino, ritrovando lui, e aprii appoggiandomi con la spalla allo stipite, accostando i bordi della vestaglia.
"Salve..." Mi salutò con evidente imbarazzo.
"Salve."
"Sono di nuovo io." Continuò, a disagio. "Non sapevamo che qui dentro abitasse qualcuno e abbiamo spento il sistema di riscaldamento..." Fissai l'oggetto che manteneva in braccio goffamente. "Fuori si gela." Per poco non gli scivolò dalle mani, ma lo afferrò facendomi sussultare. "Mi dispiace, io..." Sorrise. "L'ho comprato per te. Potrebbe servirti."
"Non dovevi disturbarti. Non ne ho bisogno." Dissi per essere gentile.
"Certo che ne hai bisogno." obiettò. "Gli inverni a Chicago sono molto rigidi e la temperature potrebbero scendere sotto lo zero stanotte." Salì il primo scalino e l'appoggiò ai miei piedi, tenendo gli occhi incollati ai miei. "Te lo lascio qui. Nel caso in cui lo voglia usare..." Ci fissammo per qualche secondo e lui si portò d'istinto una mano sulla nuca. "Comunque... Sono Lucas." Mi allungò la mano, che strinsi dopo un momento d'incertezza.
"Amybeth."
"Amybeth..." ripeté sottovoce. Poi si girò in direzione delle scale. "Sono nel seminterrato, se hai bisogno di qualcosa, chiamami pure."
"D'accordo."
Fece un lieve cenno con la testa, continuando a sorridermi, mentre scendeva al piano di sotto.
Non so cosa ci trovasse di speciale in me. Ma è iniziato tutto lì... Lucas è entrato nella mia vita quel giorno e si fece poi strada silenziosamente nel mio cuore...
9. 𝗨𝗻 𝗱𝗲𝘀𝗶𝗱𝗲𝗿𝗶𝗼 𝘀𝗼𝘁𝘁𝗼 𝗹𝗲 𝘀𝘁𝗲𝗹𝗹𝗲 𝗱𝗶 𝗡𝗮𝘁𝗮𝗹𝗲
Amybeth
"Eccoci qui... Amybeth." Spinsi la porta verniciata di rosso, accolta da un'atmosfera natalizia, fin troppo... e un omino intonò una canzoncina imbarazzante. "Carino, molto discreto... Ciao!"
Mentre stava posando la tazzina di caffè, mia madre sobbalzò rischiando di rovesciarla sul pantalone del cliente.
"Ah! La mia piccolina!" Strillò piena d'entusiasmo, battendo le mani come una bambina.
"Ciao." La salutai e si fiondò nelle mie braccia per stringermi forte a sé.
"Come sono felice che tu sia venuta!"
"Oh, mamma cara, mi stai soffocando..."
Smise di avvolgermi come una piovra e mi osservò attentamente, come se stesse facendo una radiografia o qualcosa del genere.
"Ma come sei magra! Quand'è che hai mangiato l'ultima volta? Oh, mio povero amore mio... La mamma ti fa subito un bel panino con il prosciutto." Mi prese per mano, esortandomi a seguirla in quel striminzito locale, messo su con quattro spiccioli.
"Sai che sono vegetariana, mamma."
"Non sarò io a costringerti." rispose andando dietro il bancone. "Si gela fuori... Ti va di bere una cioccolata calda? Cosa va di moda in una grande città? Abbiamo un nuovo tè allo zenzero, vuoi provarlo?"
"Si, certo. Sai mamma, quando il nuovo megastore verrà aperto avrai oltre cinquanta tipi di tè fra cui scegliere."
"E che cosa dovrei farci con cinquanta tipi di tè diversi?" domandò passandomi vicino per mettere il bollitore sul fuoco.
"Non lo so. Più scelta, magari."
"Preferisco acquistare dai McAllister, sennò come farei a sapere che il loro figlio è diventato avvocato o che la madre di Lynne ha una nuova ricetta per la torta di mele?" precisò, trotterellando da una parte all'altra.
"Beh, su Twitter." sussurrai abbassando la testa e quando la rialzai mi porse la tazza. "Grazie."
Mi fece accomodare al tavolo per fare quattro chiacchiere, mentre osservavo il ferma posto a forma di slitta...
"Allora sei qui esclusivamente per questo?" chiese con aria delusa. "Per il consiglio comunale che si riunisce più tardi..."
"È una delle ragioni."
"Sei venuta da sola o hai portato uno dei legali con te? Perché posso aggiungere un posto a tavola per il cenone natalizio." ironizzò.
"Hai sempre il solito senso d'umorismo, eh, mamma..."
"Beh, tenterò di tutto pur di avere mia figlia qui." Alzai il viso dal liquido. "dovresti restare, è una ricorrenza che va trascorsa in famiglia."
Sospirai. "Mamma, io..."
"Non importa! Mi daresti una mano ad attaccare questi?" Si alzò dalla sedia, che scricchiolò e appoggiò lo scatolone davanti a me, tirando fuori gli ornamenti. "Ecco, dovrebbero andare lì sopra. Purtroppo con l'età che avanza..."
"Ci penso io." Dissi avvicinando un'altra sedia per salirci sopra. Cercai di metterli sul contorno, aggiustando come meglio potevo, sollevandomi sulle punte.
"Tesoro, un po' più a sinistra..."
"Così?" le chiesi.
"Quasi. Un po' più giù... No, credi che a destra andrebbe meglio?"
Annuii e cercai di aggiustarlo come mi aveva indicato, ma d'un tratto quel maledetto tacco mi sbilanciò e la sedia traballò pericolosamente.
"Tesoro, attenta!" urlò mia madre dal basso. Cercai di appigliarmi a qualcosa, ma persi l'equilibrio. Chiusi gli occhi, ma anziché sentire il fondo... delle braccia muscolose uscite chissà dove mi tenevano. Superato lo spavento iniziale, quando sollevai lo sguardo e vidi quella mascella e risalii ai suoi occhi per poco il mio cuore non si schiantò contro la cassa toracica.
"Lucas!" lui continuò a tenermi fra le braccia e a sorridere, dato che gli ero praticamente atterrata addosso.
"Ehi..." Mi salutò mentre arrossivo leggermente.
"Potresti mettermi in giù?"
"Oh, già..." Concordò lui, obbedendo e rimettendomi a terra con calma. Ci guardammo qualche istante, poi incrociò le braccia e indicò le decorazioni rimaste a penzolare. "Sembri..."
"Anche tu... Sì." Abbassai lo sguardo con imbarazzo e lui si portò una mano sulla nuca. Quel gesto faceva parte di lui.
"Com'è Dublino?"
"Folle... e affollata. Folle e affollata, si." Gli feci un sorriso tiratissimo e lui m'imitò, muovendo la testa come un gatto cinese. Presi un respiro e incrociai le braccia al petto. "Eh... Si."
Lui si scongelò e indicò la porta.
"Ho dimenticato una cosa... Vado."
"Okay."
"È stato bello rivederti."
"Anche per me. E scusa per prima..."
Mi sorrise prima di uscire velocemente, mentre trattenevo il respiro dopo aver ricordato qualcosa di passato, che credevo di aver seppellito.
"Sai, alla fine... tra lui e Shannon, la sua vecchia ragazza non ha funzionato." Mi confidò mia madre non appena fummo da sole, osservando sognante la porta.
"Oh,... Che peccato." Dissi con una vocina stridula, che non l'avrebbe convinta per niente del mio totale disinteresse. "Non dovevano sposarsi e avere molti bambini? Era questo il piano."
"L'avrebbe mollata perfino sull'altare, ma non c'è stato bisogno di aspettare quel momento..." Rise. "E ha trasformato la falegnameria in un mobilificio, ha ordinazioni per un anno..."
"Evviva Lucas..." stirai le pieghe della mia giacca e mi allontanai.
*Fine*
Qual è il vostro momento preferito?
Fatemelo sapere...
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