Amybeth e Geraldine: "Una parte del mio Cuore" 3: A Devastated Heart

Una storia speciale dedicata al grande amore di una madre per la propria figlia, che toccherà realmente le corde del vostro cuore...
Auguri mamma!

Amybeth McNulty    Geraldine James

"EPISODIO 3"

𝙐𝙉𝘼 𝙋𝘼𝙍𝙏𝙀 𝘿𝙀𝙇 𝙈𝙄𝙊 𝘾𝙐𝙊𝙍𝙀 💔

Mi piaceva stare con lui nei momenti liberi. A volte, passeggiavamo fino al porto, ma d'un tratto il mio cellulare squillò, riportandomi bruscamente alla realtà e... Lontano dalle sue braccia.

«Mi aspetti?» Gli chiesi prima di allontanarmi, lasciandolo a dare uno sguardo all'orizzonte.

«Mamma.»

«Ciao, tesoro. Come stai? Tutto bene?»

«Come va a te?» Domandai con tono acido.

«Perché mi parli così?» Mi voltai verso il riccio affondando le mani nelle tasche. «Stai male?»

«No, mamma. Sto bene. Possiamo parlare più tardi? Ora sono occupata.»

Non le diedi il tempo di rispondere e riattaccai, tornando di fronte a lui.

«Perché hai terminato la chiamata così in fretta? Potevi parlare.» Abbassai lo sguardo ai miei piedi, intrecciandomi le dita. «Ti vergogni a parlarle di fronte a me?» Chiese divertito, avvicinandosi di più e prendendomi il viso fra le mani, poi gli sfuggí una risatina.


***

«Si può sapere perché stacchi sempre velocemente?» Domandò mia madre sorpresa, mentre l'aiutavo a portare le borse in cima alla scarpata.

«Perché chiami quando sono in classe.» Sbuffai. «Cosa hai messo qui dentro? Qualche sasso di un fiume forse?»

Si bloccò, toccandosi la schiena con una smorfia di fastidio, mentre le appoggiavamo a terra.

«Sarà sicuramente la trapunta.»

«Non potevamo comprarla qua?» La rimproverai seccata.

«Non ne troviamo di più calde come al nostro paese.» Le sollevò di nuovo con difficoltà. «E tu hai sempre freddo. Ho portato qualche cappotto. E della carne.» Elencò mentre faticavo a mantenere un passo spedito. «Come si vive qui?»

«Bene.»

«Immagino che non puoi uscire in biancheria intima. Altrimenti la gente ti vedrebbe e... addio alla tua reputazione.» Scherzò su.

«Sì, mamma! Ecco perché indossano abiti formali anche in casa.» lasciai andare di nuovo le borse, sentendo le braccia indolenzite e a pezzi. «Non ce la faccio più!»

«Dammi a me amore, se non riesci a portarle.» Si drizzò con la schiena. «Amybeth?»

Guardai dentro la borsa. «Hai portato anche le patate?»

Sorrise. «Sì. Ovviamente.»

«Non ci sono patate qui?» Le urlai in faccia.

«Ho solo pensato che-»

«Perché l'hai fatto? Stai cercando di nuovo di farmi vergognare.» L'accusai strattonando dalle sue mani quelle buste, sotto il suo sguardo ferito.

«Non è così.» Sussurrò flebilmente guardando la strada, poi le sfuggí un urlo. «Aspetta, stanno rotolando!»

«Mamma, non fa niente.» Le afferrai il braccio per convincerla a desistere da quel sciocco intento.

«Perché? Ho fatto un grande sforzo per portartele!»

Slegò la mia presa e corse velocemente giù, rincorrendo le patate.

«Mamma!» Continuai a urlare senza sosta, ma era lei era sorda a qualsiasi supplica.

«Non ho inseguito questa barbietola senza successo!» Squittí entusiasta mentre poggiava il piatto sul tavolo. «Aiuta a ricostruire il sangue.» Mi toccò dolcemente una mano. «Povera cara, riscaldati mani e piedi, si gela in questa casa...» Si sedette di fronte a me con aria allegra. «Dovresti mangiare.»

«Non voglio mangiarlo.» Rifiutai.

«Devi mangiare. Stai dimagrendo molto!» Insisté, spingendomi la forchetta vicino alle labbra, come quando ero piccola.

«Non mi piace!»

«Va bene.» Si guardò intorno e si sfilò i calzini dai piedi. «Dovresti mettere un camino, qui dentro si congela. Basta accenderlo e l'ambiente diventerà caldo in un baleno. Ecco, prendili.»

Mi porse i suoi calzini mentre deglutivo il boccone.

«Che stai facendo? Non mi servono!»

«Per favore, mettili.» Mi pregò premurosa e li afferrai controvoglia, continuando a sbuffare.

Improvvisamente mi arrivò una notifica, e guardai lo schermo, incurante del fatto che lei stesse tentando di capire a cosa fosse dovuto il mio evidente imbarazzo e il rossore sulle guance.

«Amybeth?» Mi chiamò chiudendo delicatamente la porta della camera da letto. «Come puoi vivere in questo sudiciume? Il posto è sporco. Ho dovuto pulire tutto due volte! Questa pulizia durerà abbastanza fino alla mia prossima visita. Va bene, piccola mia?»

«Certo.» Risposi distrattamente, assuefatta completamente dallo schermo del telefono.

«Amybeth.» Mi scosse la gamba. «Tesoro?» Alzai gli occhi puntandoli di sfuggita nei suoi. «Stai parlando con qualcuno? Non smetti di inviare messaggi.»

«No, mamma. Sto parlando con alcuni amici dell'università degli esami. Ora vado a letto.»

«Con i tuoi amici? Sul serio?» Ammiccò facendomi ruotare gli occhi. Il telefono vibrò ancora e me lo portai a un palmo dal viso sorridendo. «Amybeth.» Mugugnai qualcosa di confuso in risposta. «Com'è? Bello?» Lasciai ciondolare la testa sul cuscino. «Spero che sia un dottore. È un dottore?»

Sospirai. «Mamma, siamo amici. Non ci sarà mai niente fra di noi... Che assurdità!»

«Certo, è solo un amico...» Ironizzò sarcastica, da sopra la mia spalla mentre scivolavo sotto le lenzuola. «È importante andare d'accordo. Trascorrerete tutta la vita insieme.» Mi accarezzò i capelli.

«Mamma, non voglio più sentirti.» Sbottai, coprendomi fin sotto il mento.

Poi controllai il cellulare.

«Metti giù il telefono.» Mi diede un bacio affettuoso sulla guancia e si girò verso il comodino. «Buonanotte.»

«Buonanotte.»

Spense la luce e ne approfittai per controllare la casella, ma lei mi si gettò addosso.

«Ascolta, non seguirlo ovunque t'inviti. Vacci piano. Lascia che ti conquisti. E quando vi vedete porta degli amici con te. Devi conoscerlo prima di spingerti oltre, va bene?» Mi consigliò mentre mi coprivo la faccia con il lenzuolo esasperata.

***

Non avevo bisogno delle sue continue raccomandazioni, ma che per una volta mi lasciasse libera di fare le mie scelte, senza ostacolarmi.

Lucas cominciò a frequentare spesso la nostra caffetteria, me lo trovavo seduto al tavolino ad ogni pausa e gli portavo il caffè. I nostri sguardi parlavano da sé, era noto a tutti ormai: era impossibile stare senza l'altro e quello ch'era iniziato come un timido scambio di messaggi, diventò un legame indistruttibile.
Un legame chiamato "amore".

«Bene, questo è il nostro libro di oggi. Dovremmo leggerlo? Siete pronti bambini?» Chiesi sedendomi sullo sgabello, accerchiata da tanti visini innocenti e curiosi.

«Sí!» esclamarono in coro.

«Va bene.»

Lo poggiai sulle gambe, e in mezzo a quelle figure variopinte, notai un cuore rosa attaccato al segnalibro e alla sua estremità un anello prezioso.

Ero incredula e mi portai la mano contro la bocca. Lo lasciai scivolare poi all'anulare, stringendo la mano al petto e spostai lo sguardo verso la soglia.
Lui tolse lentamente la maschera a forma di cane che gli nascondeva la faccia e mi sorrise calorosamente.

«Sono così eccitata per stasera. Mi chiedo se i tuoi genitori saranno come i miei.»

«Perché non dovrebbero essere come loro, tesoro?» Spostò gli occhi sul mio volto mentre guidava. «Sono sicuro che saranno molto simpatici.»

Girai gli occhi contro il finestrino,
«Non conosci i miei genitori.» bisbigliai più a me stessa che al mio fidanzato.

Non vedevo i miei da mesi e da quella serata sarebbe dipeso il mio futuro, tutta la mia felicità. Abbiamo aspettato un'ora...


«Amybeth, aspetteremo ancora per molto i tuoi genitori?»

Alzai timidamente lo sguardo verso la donna. «Sono sicura che non tarderanno ad arrivare, signora.»

Era una donna alterigia e fin troppo composta nei suoi atteggiamenti, si vedeva lontano un miglio quanto non gradiva quell'atteggiamento maleducato, cosa che mi fece sperare di poter svanire in quell'istante...

«Intendo...» continuò con una nota di disprezzo nella voce. «Ho un altro impegno per questa sera.»

«Eliza, non sappiamo quando finirà la cena? Perché hai fatto altri piani?» La rimproverò suo marito, mentre nascondevo il viso fra i capelli rossi.

«Pensavo che sarebbe finita presto.» Sputò lanciandomi un'occhiata truce. «Voglio dire... Non è che ci sia molto di cui parlare.»

Lucas mi rassicurò con un sorriso solare, ma il senso di angoscia si faceva più pungente nel mio stomaco.

«Mamma.» Mi strozzai con la mia stessa saliva quando la vidi raggiungerci dopo aver tolto il cappotto.

«Amybeth!» Urlò dal fondo della sala e mi misi in piedi, a fatica. «Oh, piccola! Fatti abbracciare!» Mi si gettò fra le braccia senza indugi e mi osservò con meticolosa attenzione. «Sei splendida. Faccio quasi fatica a riconoscerti.»

«Salve, sono Lucas.» Si fece avanti il mio ragazzo e le allungò gentilmente una mano.

«Sei molto bello.» Commentò mia madre sognante, accarezzandogli la mascella con fare materno.

«Grazie, signora.»

«Benvenuti. Sono Walter, il padre di Lucas.» L'uomo si alzò e le strinse la mano.

«Mia madre, Eliza.»

Ma, come pensavo, la donna di ghiaccio non si scomodò ad avvicinarsi e la guardò con sospetto mista a reticenza. «È un onore essere qui.»

«Siediti, tesoro.» Fu Lucas a spostare la sedia, dato che a stento riuscivo a respirare. «Com'è andato il viaggio? Spero che sia stato bello...» Domandò poi per rompere il ghiaccio.

«Molto bene, mio caro.» Assestò una forte pacca sulla spalla di mio padre. «Io e Robert abbiamo parlato tutto il tempo.»

«Grazie per aver accettato il nostro invito. Eravamo impazienti di conoscervi.» Continuò Walter.

«Anche per noi è un piacere.» Rispose papà non molto a suo agio in quella situazione.

«È un piacere.» Ringhiò Eliza a denti stretti.

«Si, un piacere.» Si corresse papà credendo di aver sbagliato qualche parola, essendo lui analfabeta.

«Beh, mia cara!» Esclamò mia madre dandole un colpetto sulla schiena e guadagnandosi un'occhiataccia. «Come stai? Sei molto silenziosa.»

«Stiamo molto bene. Siamo qui perché ce l'ha chiesto nostro figlio.»

«Quando nostro figlio ci ha detto che si sposerà ci siamo emozionati.» Walter posò la mano sulla spalla del riccio. «Sopratutto quando ci ha presentato Amybeth. Vero, cara?»

«Non direi.» Puntò gli occhi su di me e sollevò il mento, puntualizzando. «Bisogna vedere se sarà la ragazza giusta.»

«Dice che 'bisogna vedere?'» bisbigliò mia madre all'orecchio del marito, cercando di capire se si trattasse di un insulto o un complimento.

Sul tavolo calò un silenzio imbarazzante, scandito dai battiti del mio cuore e la voce del cameriere.

«Volete ordinare, signori?»

«Prima dammi un po' di zuppa.» Gli ordinò rudemente mio padre senza troppi giri di parole, stringendo la forchetta nella mano.

«Perché la zuppa? Mangia un po' di carne.»

«Prima voglio la zuppa, ho detto!» insistè.

Mia madre ridacchiò per sdrammatizzare i loro soliti litigi. «Abbiamo una fame da lupo.»

«Vorrei una bistecca di manzo, mediamente matura con alcuni spinaci, grazie.» A sentire quella richiesta ricercata, mia madre scoppiò a ridere fragorosamente, appoggiandosi su mio padre e dandogli un pugno scherzoso.

«Non puoi sfuggire agli spinaci!»

«Mamma, ti prego.» La reguardii con uno sguardo.

«Per favore, smettila di ridere così o ci farai fare una brutta figura.»

Ma la donna continuò a ridere senza sosta.

«Mamma!»

«Voglio un po' di carne... ben cotta.» Gesticolò goffamente con le mani e ridacchiò. «Non m'importa del contorno.»

«Va bene. Puoi andare. Ordineremo più tardi.» Lo congedò stizzita la bionda, sventolando la mano e scivolai ancora di più nella vergogna.

«Ora... Possiamo capire quanto sia difficile crescere un figlio a quest'età.» Fece una pausa mio padre, non sapendo come continuare. «...È molto costoso.»

«Ha ragione, Robert. C'è bisogno di molta pazienza.»

«Ma...» lo interruppe mia madre puntando il dito sul mio fidanzato. «Hai cresciuto un bellissimo ragazzo, a quanto vedo.»

«Anche lei ha allevato bene Amybeth, signora. È così... inteliggente, attenta e molto astuta.» Sputò inacidendo sempre di più il tono e la fissai, interdetta.

«Che cos'ha detto?» Bofonchiò mia madre sbattendo le ciglia più volte.

«È stato un successo per sua figlia aver convinto mio figlio a farle la proposta.»

Mia madre si guardò attorno confusa, non sapendo come classificarne il senso.

«Papà, puoi continuare.» Lo supplicò Lucas, prima che la situazione prendesse una piega disastrosa.

«Beh, sappiamo tutti perché siamo qui.»

«Sì, è una storia conosciuta da molti.» Mia madre la guardò torva. «La povera ragazzina di campagna che s'innamora del ragazzo ricco...»

«Mamma! Smettila!» tuonò Lucas.

«Vuoi forse negarlo, tesoro?» gli chiese e si girò verso di me.

«Per favore, signora Eliza.» Sussurrai e lei si zittí, ma ormai una profonda inquietudine segnava il volto di mia madre.

«Condividerò anch'io il mio pensiero.» Disse bruscamente. «Tuo figlio lavora per suo padre, giusto? Quindi ottiene i soldi da lui.»

«E con questo? Che assurdità!»

«Che assurdità? È vero! Mia figlia è una brava e meravigliosa insegnante. Si è costruita una carriera, non è una sprovveduta. Se suo marito decidesse di non fare più affari con suo figlio, sarà mia figlia a sostenerli economicamente. Non è così, Robert?»

«Mamma, ti prego.»

«Deve avermi frainteso.» Tentò di dire l'altra avendo compreso il disappunto.

«Io non ho frainteso un bel niente.» La guardò negli occhi. «Non ti piacciamo.» Scosse la testa osservando i presenti, poi scrollò le spalle e rise sardonica. «Bene. Neanche a noi piaci.»

«Basta così, mamma.»

«Tu sta zitta. Hai sentito, no?»

La donna applaudì teatralmente.
«Grandioso! Visto che entrambe le parti si odiano, possiamo dimenticarlo.»

«Bene, allora dimentichiamolo!» Asserì mia madre e la mia bocca si distorse in una smorfia. «Cos'è tutto questo sarcasmo, è da quando siamo arrivati che ci guardi come se fossimo spazzatura. Non forzare tuo figlio a sposare mia figlia!»

«Basta!» Tuonò l'altra e saltò in piedi. «Basta con questa farsa! Me ne vado.»

«Siediti! Non vai da nessuna parte, mamma.» La sgridò Lucas adirato come non mai.

Gli agitò il dito contro. «Se la sposi, dimenticati di me!»

«Non importa! Andiamocene!»

Si alzò anche mia madre mentre la fissavo con gli occhi offuscati dalle lacrime.

«Signora, aspetti.» Balbettò il mio ragazzo con sguardo triste.

«Mia figlia non ti sposerà!» Sentenziò perentoria. «Dai, Amybeth. Lascia perdere! È una vergogna!»

Scattai in piedi, afferrando la borsetta.

«Amybeth! Aspetta un attimo!» Urlò Lucas, mentre imboccavo l'uscita con una rabbia incontrollabile.

«Cerco subito il camion.» Ci informò sbrigativo papà, allontanandosi verso il parcheggio.

«Voglio andare via il prima possibile!»

«Cosa fai, eh!?» Chiesi con tono fermo vedendola infilare i guanti. «Che cosa stai facendo? Me lo spieghi?»

«Stai zitta!» Tuonò puntando l'indice contro il mio viso. «Non dire una parola. Ci hanno invitato solo per insultarci.»

«Non ti è bastato farmi vergognare in passato?»

«Non importa.» Sussurrò, mentre mi tremava il labbro ed ero sul punto di distruggere qualcosa.

Cominciai a singhiozzare, calde lacrime mi scivolavano sulle guance e le parlai a pochi millimetri dal suo viso. «Sono stanca, hai capito? Esausta! Chi ti ha detto che devi prenderti cura di me!? Lasciami in pace, basta! Non ho bisogno di te.»

«Cos'è abbastanza?»

«Mi hai rovinato la vita!» Le sputai addosso, risentita. «È da anni che mi perseguiti e va avanti questa storia. Ora sono grande, posso decidere da sola cosa è giusto e cosa non lo è.»

«Fermati, è un'assurdità!»

Strinsi i pugni. «Ti odio! Hai capito? Devi sparire, non ti voglio vedere più! Per me sei già morta!»

Mi allontanai senza darle retta, e tornata a casa trascorsi tutta la nottata a piangere nel mio letto. Ricevetti molte chiamate da Lucas, ma le ignorai. Non avevo la forza di affrontarlo e di scusarmi... Mi ero abbandonata in una cupa disperazione.

Lei venne più a volte a vedere come stessi. Bussò leggermente alla porta e mi mostrò speranzosa un vassoio, ma prima che potesse varcare la soglia le sbattei la porta in faccia.

"Cosa me ne facevo della sua stupida colazione!"

Mio padre mi rimboccò le coperte, ma a stento lo degnai di uno sguardo. Una notte, lei uscì senza dire niente a nessuno e... pioveva a dirotto.

Non so come sia successo, non so il motivo, ma ci siamo sposati ed è stato un meraviglioso matrimonio.
Il giorno più bello della mia vita.
Mia madre non partecipò alla cerimonia e non è mai venuta a trovarmi nella nuova casa. Si limitò ad osservare in disparte quanto fossi felice e realizzata accanto all'uomo che amavo profondamente.

«Tesoro, non ti basta lavorare tutto il giorno?» Mi riproverò Lucas seduto al tavolo con una tazza fra le mani. «Avrei potuto ordinare d'asporto. Non c'era bisogno di preparare tutto questo.»

Li raggiunsi con un piccolo sorriso e versai del caffè a mia suocera.

«Vita mia, non è niente. È soltanto un po' di cibo, non devi preoccuparti.»

«Stai lavorando troppo e sei stressata.» Ribatté lui, non volendo far cadere la questione nel vuoto. «Siediti e basta.»

«Come continuerai ad insegnare con un bambino?» Domandò Eliza. «Penso che dovresti lasciare il lavoro quando il bambino nascerà e dedicarti a lui a tempo pieno. Un figlio è una grande responsabilità.»

La guardai di sottecchi. «Questo lo so, Eliza. Però sa' quanto amo il mio lavoro e non intendo rinunciarci. Naturalmente non mi allontanerò dal mio dovere di madre.»

«Tesoro, non vedi i tuoi genitori da così tanto tempo.» Mi fece notare mio marito dispiaciuto, accarezzandomi il dorso della mano. «Forse potresti chiamarli e dirgli del bambino. Tua madre potrebbe aiutarti fino alla nascita.»

«Non è necessario.» Lo interruppe la madre sgarbatamente. «Possiamo assumere qualcuno che potrà svolgere i lavori più pesanti durante questi mesi. Non è necessaria la sua presenza.»

«Mamma.» La rimproverò Lucas mentre bevevo in silenzio. Il cellulare improvvisamente suonò. Andai a rispondere e udii dei leggeri singulti dall'altra parte. «Mamma?»

«Come stai, bambina?»

Rimasi perplessa da quella domanda.
Era da mesi che non avevo avuto sue notizie.

«Sto bene. È successo qualcosa?» Inarcai un sopracciglio e mi voltai verso il riccio. «Ti sento triste...»

Lei stette un silenzio, poi riprese.
«Amybeth, dovresti venire qui.»

«Perché?» Chiesi dubbiosa.

Singhiozzò e poi farfugliò.
«Tuo padre...»

A quel punto, capii ch'era successo qualcosa che mi avrebbe segnato per sempre.

***

Quando è morto mio padre, una parte di me si è spenta definitivamente. Una carezza, una parola d'affetto, un sorriso... non ho mai avuto niente di tutto ciò da parte sua. Non l'ho neppure salutato un'ultima volta prima che esalasse l'ultimo respiro e la mia anima è spoglia, esattamente come le chiome degli alberi che mi passano davanti sulla difficile strada del ritorno.

Scesi dall'auto avvolta dal foulard nero, come segno di rispetto. Sul luogo, molte persone erano venute a commemorare l'uomo, alcune non le avevo mai conosciute prima di adesso.

Lucas mi stava vicino e impediva che cadessi al suolo ad ogni piccolo passo.

Mia madre seduta su una panca piangeva a dirotto e le vicine facevano il possibile per consolarla. Ma il suo volto si illuminò di gioia nel vedermi arrivare e mi corse incontro con passo traballante.

«Amybeth!» Mi si gettò nelle braccia e avvolsi le mani sulla sua schiena, restando inerme a contemplare la bara esposta lì. Gli occhi di mia madre erano rossi e gonfi, portò le sue mani sul mio viso e poi si voltò. «Robert! Nostra figlia è qui! Adesso è orfana.»

Ha lasciato un vuoto dentro di me: quel qualcosa che non mi sarebbe più stato restituito. Ma non importa. Non ho avuto il suo affetto prima, non l'ho in questo frangente. Il mio cuore è avvolto da uno strato di ghiaccio, è immune al dolore, a questa sofferenza.
È facile abituarsi all'assenza di qualcuno se non ti sei mai sentita apprezzata o amata. Vorrei essere stata accarezzata almeno una volta. E che abbia detto "sono orgoglioso di ciò che sei". Vorrei che fosse stato tanto generoso nel mostrare rabbia e rancore, verso chi avrebbe dovuto amare...

«Spero che basti per tutti. Spero che piaccia.» Si chiese mia madre, sedendosi al mio fianco.

La mora passava di tanto in tanto con il vassoio e m'invitò spesso a mettere qualcosa sotto i denti, ma il solo odore mi provocava una terribile nausea.

«No, Dali, non lo voglio.» rifiutai per la centesima volta.

Mia madre afferrò il piatto e lo appoggiò sul tavolino. «Non mangi? E perché, tesoro?»

«AB, stai bene?» Sussurrò Dalila con fare premuroso, facendo scorrere la mano sulla mia spalla, credendo che fosse stata la perdita... a scatenare il mio malessere fisico.

Increspai un sorriso. «Sto bene, davvero.»

Mia madre mi accerchiò le spalle. «Tesoro, vuoi stenderti sul letto?» Poi si rivolse alla mia amica. «Dalila, puoi portare i bagagli in casa? I nostri ragazzi hanno affrontato un viaggio e avranno bisogno di riposare più tardi.»

«Non ce n'è bisogno, Dali, siediti.» Le presi la mano costringendola a non muoversi e mi voltai automaticamente verso l'altra. «Mamma, non posso restare. Devo tornare a Chicago.»

«Intendi...» Si accostò di più. «Non vuoi restare per la veglia funebre stasera?» Piegai la testa. «Pensaci, non avere fretta.» mi tolse il bicchiere dalle mani e andò verso la cucina.

«Amybeth, non hai messo nulla nello stomaco. Coraggio, mangia un po'...» M'implorò la mora cercando di imboccarmi, ma mi feci indietro disgustata scostando la forchetta.

«Dalila... Mi fa venire la nausea.»

Si bloccò, interdetta. «Hai la nausea?» Posò il piatto e si portò la mano alla bocca incredula. «Davvero? Non mi dire che...» Increspai un sorriso. «Sei incinta?» Scossi la testa. «Santo cielo! Mamma! Non ce l'ha nemmeno detto!» Esclamò rivolgendosi a sua madre seduta affianco e mi abbracciò di slancio. «Oh, AB...» Quando ci staccammo adagiò la sua mano sul mio addome. «Sono così felice per te. Ma quando l'hai scopert-?»

«Amybeth.» Mia madre tornò, ignara dei nostri discorsi.

«Complimenti, eh...» Sputò la madre di Dalila e mia madre le lanciò un'occhiata confusa.

«Come dici?»

«Dio prende una vita e in cambio né da un'altra. Spero che tu abbia un bambino sano e forte.» Abbassai gli occhi, sentendo la sua espressione ferita posarsi inesorabilmente su di me. Li rialzai incatenandoli ai suoi.

All'inizio non aprì bocca per elaborare la cosa, contemplò il vuoto con faccia seria. «Con la morte di Robert.» Parlò incerta. «Mi è passato di mente.» Mi posò la mano sulla spalla. «Stavo per dirvelo.» Mi sentivo un essere spregevole, avevo mentito alla persona più cara che avevo. «Me ne sono dimenticata. Scusatemi tanto.»

Si portò la mano sul petto, poi trasse un sospiro e si chinò, pur di nascondere la tristezza.

Poco dopo osservai il cortile, dove giocavo da piccola, ed era tutto così tremendamente lontano che sembrava sbiadito. Quell'epoca era terminata e con essa... molte cose non sarebbero più tornate, come prima.

«Grazie per essere venuto caro.» Lucas le strinse la mano e le diede dei baci sulle guance.

«Chiamami in qualsiasi momento se ti serve qualcosa, Geraldine.» Mi guardò. «Tesoro, ti aspetto in macchina, va bene?» E s'incamminò.

«Avvisami quando arrivi, va bene, Amybeth? Non farmi stare in pensiero.» Disse mia madre esortandomi a camminare, mentre si appoggiava al mio braccio.

Cercò di seguirmi con passo sofferente, ma la fermai, prendendole la mano.

«Sto affrontando una gravidanza a rischio e domani devo sottopormi a un controllo, per questo non posso trattenermi.»

Mi sorrise, accarezzandomi la pancia e riprendemmo a muoverci, lei con il cuore gonfio di paura. «Va bene, prenditi cura di te.» Poi si dispose di fronte a me. «Amybeth... Perché non me l'hai detto per prima? Perché appena sei arrivata non mi hai detto che sei incinta?» Non era arrabbiata, soltanto delusa.

«L'abbiamo saputo da qualche mese e non ho avuto la possibilità di chiamarti. Inoltre, con il funerale di papà non mi sembrava il momento...»

Mi sorrise, dandomi una leggera carezza. «Altrimenti me l'avresti detto, vero? Che bella notizia! Diventerò nonna. L'avresti mai detto, Amybeth? E tu ch'eri convinta che non sarebbe mai successo. Ma ti sei innamorata, ti sei sposata e ora... avrai un bambino.»

«Sì, lo so.» Risposi. «Mamma, che cosa hai intenzione di fare qui da sola, ora che papà non c'è più?» Chiesi non appena ci staccammo da quel commovente abbraccio in cui mi aveva stretto poco fa.

Mi strinse il mento con dolcezza.
«Questa è casa mia, tesoro. Qui ci sono i nostri ricordi più belli.» Si guardò intorno come se li vedesse. «E poi non sono sola. Ci sono i nostri vicini, gli animali, la tomba di mia madre... e anche il tuo ciliegio. Sono come una vecchia quercia, ho messo radici. Non mi troverei in nessun posto al di fuori di questo paese. È un piccolo angolo di paradiso.» Si accostò mentre fissavo ogni dettaglio. «E se vorrai tornare un giorno...»

«Tu dici?»

«Tesoro, non puoi saperlo. Sappiamo dove sono le nostre radici. Ma non sappiamo dove riposeremo. Inoltre hai bisogno di una casa dove tornare.» Mi strinse forte la mano. «Io non ho mai avuto una casa ma voglio che l'abbia tu.»

«Fa' freddo qui fuori, entra.» Le feci notare, cambiando discorso.

«No, sto bene.» Tossí. «Aspetterò fino a quando non te ne andrai, piccola.»

«Hai una brutta tosse. Finirai per ammalarti così...» Tossí ancora più forte, coprendosi la bocca con il suo foulard rosa. «Prendi.» Lasciai scivolare dei soldi nella tasca del suo cappotto.

«Amybeth.»

Mi fissò con gli occhi sgranati.

«Questi sono per le spese del funerale.»

«Questo è inappropriato! Per favore!»

«No. Ne avrai bisogno.»

Sbuffò. «Va bene, grazie.»

«Ora va' dentro.» Le ordinai ancora prima di salire in auto.

Ma lei non obbedì e restò a contemplare il mio volto. Voleva che restasse impresso nella sua mente fino all'ultimo dei suoi giorni. Mi salutò con la mano, quando l'auto uscì dal vecchio portone.

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