Ulcera

La spiaggia è una tavolozza di colori pastello mentre l'alba tinge il cielo di rosa e arancio. Non sono ancora nemmeno le sette del mattino e io, Olivia Harper, sono su un tappetino di yoga, con un completo sportivo azzurro, stesa sulla sabbia come una sardina troppo zen per preoccuparsi del mondo. Non è esattamente il mio buongiorno preferito, ma Sophie ha insistito. Dice che ho bisogno di meditare.
Lei inizia con il solito tono che potrebbe tranquillizzare anche un pitone incazzato: «Iniziamo con la posizione del loto, aprendo i fianchi e respirando profondamente»

«Okay», dico. «Pensi che troveremo i croissant alla marmellata alla pasticceria di Denny, dopo?»
«Non pensarci ora»
«Va bene»
«Respira profondamente»
«Sì»
«Voglio guidarti verso il centro del tuo essere»
«Peccato che il mio "centro", in questo momento, sia un vorticare di e-mail non lette, fiori da scegliere, e un neurochirurgo con troppi muscoli e troppo poco senso dell'umorismo»
«Concentriamoci sul respiro», Sophie mi ignora con prepotenza. «Inspira... Espira»

«Sophie, tu diresti di abbinare le rose bianche ai gigli per un matrimonio serale o è troppo da funerale?», cerco di incastrare le gambe in una posizione che non sembra fatta per gli esseri umani.
«Il respiro, Olivia»
«Sto respirando», confermo. «Ma, seriamente, dovrei pensare a delle peonie, vero?»
«Porta la tua attenzione al momento presente», insiste Sophie, con una calma che mi fa venire voglia di scuoterla.

«Sì. Scusa», assumo una posizione che, a detta sua, dovrebbe farmi sentire un tutt'uno con l'universo. Ma l'unica cosa con cui mi sento un tutt'uno è il granello di sabbia che mi si è infilato nel naso. Provo a concentrarmi, davvero, ma poi la mia testa vaga e mi ricordo che un cliente mi ha chiesto un matrimonio stile "festa campestre chic". Allora mi chiedo: che diavolo significa "chic" quando si tratta di fieno e tacchini? Boh.
«Cane a testa in giù». Assumo la posizione che dovrebbe essere rilassante, ma in realtà mi fa sentire come un animale selvatico ubriaco.

«Ma secondo te quanto può essere difficile trovare delle lanterne giapponesi che non sembrino fatte di carta da forno?».
Sophie si ferma e mi guarda come se avessi appena
bestemmiato in chiesa. «Olivia, questo è un momento per te. Non per le lanterne. Ora chiudi gli occhi. Immagina che ogni tuo pensiero fluisca via con il respiro, come onde sulla spiaggia»
«Onde sulla spiaggia», ripeto.
«Lascia andare i pensieri»
«Sì»
«Cobra», dice lei, con la solita calma olimpica, e io mi accascio sul tappetino, cercando di non sembrare un serpente impalato.

«Sophie», la chiamo. «Pensi che dovrei rifiutare l'incarico per il matrimonio di Rebecca e Spencer? Insomma, loro sono scappati in Tailandia e mi hanno lasciata qui tra le grinfie di un chirurgo con la mano rotta. Questa cosa lo rende super nervoso e, di conseguenza, pare che io sia diventata il suo bersaglio preferito. L'altra sera ha lanciato con rabbia una tazza solo perché un'infermiera gli ha augurato una pronta guarigione. È pazzo. Credi che dovremmo invitarlo a fare una lezione di yoga?».
Sophie non risponde.
Sbatto le palpebre e sussulto quando la vedo raccogliere il tappetino e la sua borsa in tela. Ma cosa?
«Dove stai andando?», chiedo.
«Lontano da te», borbotta. Le ho fatto perdere la pazienza. Forse ho esagerato. Lei non perde mai la pazienza.
«Aspetta! Dobbiamo ancora fare il saluto al sole!».
Mi risponde allontanandosi con il dito medio ben in vista.

Tre giorni dopo, mi trovo davanti a uno dei ristoranti più esclusivi della città, il genere di posto dove ti servono porzioni microscopiche a prezzi astronomici e dove l'arredamento minimalista ti fa sentire obbligata a sussurrare, come se gridare disturbasse l'armonia delle linee architettoniche. Si tratta di uno dei ristoranti che stiamo valutando per il catering del matrimonio di Rebecca e Spencer. Non ho ancora avuto il coraggio di chiamare Paul per una degustazione.

Sbuffo e controllo l'ora. Sto aspettando da venti minuti, in piedi e con i tacchi alti che affondano leggermente nella pavimentazione di lusso.
Nate è in ritardo, ovviamente.
E il mio stomaco brontola in modo fin troppo rumoroso. Afferro il cellulare e decido di chiamarlo. Non voglio aspettare ancora per poi scoprire che non si presenterà. Lo ha già fatto, dunque non mi stupirei più di tanto.
Uno squillo, due squilli, tre... «Olivia».

La sua voce profonda che s'insinua nel mio orecchio all'improvviso mi provoca una strana stretta allo stomaco. Mi mette ansia parlare con lui? Forse sì. Forse non lo sopporto talmente tanto che il mio corpo si rifiuta di sentire la sua voce.
«Ti sto aspettando», gli ricordo. «Da ben quindici minuti»
«Davvero?», risponde sorpreso.
«Dove sei?»
«Non ricordavo di avere un appuntamento...»
«Non è divertente», sibilo. Vorrei ucciderlo.

«Forse hai fatto un po' di confusione con gli impegni», il suo tono adesso è divertito.
«Smetti di giocare», mi mordo il labbro per non dire qualcosa di davvero poco professionale. Lui non risponde.
Lo immagino con quel sorriso irritante, mentre si gode ogni secondo della mia frustrazione.
«Sono qua in piedi ad aspettarti da ben diciassette minuti, adesso»
«Diciassette è un bel numero», commenta.

«Sto perdendo la pazienza, Nate. Potresti gentilmente dirmi dove sei?»
«In un posto interessante», risponde vagamente. «Con una bella vista».
Chiudo gli occhi e respiro profondamente.
«C'è anche questa donna... Molto elegante. Ha un'espressione imbronciata che trovo insopportabilmente adorabile. Mi chiedo se sarebbe meglio avvicinarmi o lasciarla crogiolare ancora un po' nella sua rabbia».
La mia sicurezza vacilla e inizio a guardarmi intorno, il cuore in gola. «Molto divertente, davvero», sbuffo.

Lui fa una pausa, e quasi riesco a sentirlo sorridere attraverso il telefono. «Credo che resterò ancora un po' qui. Temo sia meglio non avvicinarmi. Indossa quel genere di tacchi che potrebbero uccidere qualcuno, se si arrabbiasse abbastanza»
«E credimi, Nate Hawkins, sono furiosa»
«Bel vestito, comunque. Ti dona il nero. Come la tua anima, no?», ghigna diabolico.
Il mio stomaco fa una capriola. Mi sta provocando un'ulcera. Dannazione. Mi guardo ancora intorno, ma proprio non lo vedo.

«Dove diavolo sei?»
«Forse dovresti guardare con un po' più attenzione».
Lo cerco disperatamente con lo sguardo, e infine lo vedo: dall'altra parte della strada, appoggiato al muro, il leggero vento che fa svolazzare lievemente la giacca del suo completo grigio scuro. Sta sorridendo, con gli occhi verdi che mi fissano con una malizia quasi infantile. Come se tutto fosse un gioco.
Il sangue mi sale al viso. Faccio un passo verso di lui, pronta a dirgli esattamente quanto poco apprezzi il suo senso dell'umorismo, quando lo vedo staccarsi dal muro e attraversare la strada con quella sua andatura rilassata, quasi predatoria.

Più si avvicina, più mi sovrasta con la sua altezza. Si ferma a pochi (pochissimi) centimetri da me. Senza preavviso, allunga la mano e mi toglie il telefono dalle mani, spegnendo la chiamata con un tocco rapido. Rimango a fissarlo, sconvolta, con la bocca aperta e il cuore che batte all'impazzata. Ha appena preso il mio telefono? Sorride infilandosi il mio cellulare nella tasca della sua giacca. Non so se voglio schiaffeggiarlo o... No. Ho decisamente voglia di schiaffeggiarlo.
«Sei il mio cliente peggiore», dico con sincerità.
«Buonasera anche a te, Olivia Harper. Ti trovo meravigliosamente nervosa stasera».

Non rispondo. Invece, mi giro e inizio a camminare verso il ristorante, i tacchi che battono decisi sul marciapiede.
Entriamo e l'atmosfera cambia subito. Luci soffuse, un pianoforte che suona in sottofondo, l'aria intrisa di eleganza.
Mi avvicino alla reception con passo deciso, pronta a dare il mio nome. Il ragazzo dietro al bancone, giovane e dall'aria vagamente annoiata, mi sorride con cortesia. «Buonasera, avete una prenotazione?»

«Sì, a nome di Olivia Harper», rispondo con sicurezza, aspettando che lui scorra la lista e ci faccia accomodare.
Lui consulta lo schermo per un attimo, le dita che si muovono rapide sulla tastiera. Poi, lentamente, alza lo sguardo verso di me. «Mi dispiace, ma non risulta nessuna prenotazione a questo nome»
«Come, scusi?»
«Non c'è nessuna prenotazione a nome Harper», ripete, con un tono leggermente più cauto. Nate, al mio fianco, trattiene a malapena una risata. Prima che possa dire qualsiasi cosa lo anticipo, puntandogli un dito contro: «Ho tutto sotto controllo»
«Lo vedo».

L'omicidio è illegale.
L'omicidio è illegale.
Mi rivolgo di nuovo al ragazzo: «C'è chiaramente stato un errore. Ho prenotato personalmente e dato ulteriore conferma tre giorni fa. Olivia Harper. Forse c'è stato un malinteso?»
«Mi dispiace, signora», dice lui, visibilmente in imbarazzo, «Ma qui non risulta nulla. E purtroppo siamo al completo per stasera».
Nate sembra divertirsi un mondo. «È questa la famosa efficienza di Olivia Harper?»

«Stai zitto, Nate», ringhio, mentre cerco disperatamente di mantenere un tono professionale. Mi rivolgo ancora al ragazzo, con un sorriso che non arriva agli occhi. «Guardi, sono sicura che possiamo risolvere questa situazione. Non potrebbe farci accomodare in qualche modo? Magari in un tavolo vicino alla cucina?»
«Mi dispiace».

Sento il calore salire dal collo alle guance. Non posso credere che questo stia succedendo proprio a me.
«Ascolti», dico, stringendo le labbra mentre cerco di mantenere la calma. «Non so chi stia gestendo le prenotazioni stasera, ma è evidente che c'è stato un errore nel vostro sistema. Ora, so che siete un locale esclusivo, e capisco perfettamente la vostra politica. Ma io sono una wedding planner e lavoro con clienti estremamente esigenti e influenti. Ho scelto il vostro ristorante proprio per valutare se è all'altezza delle aspettative per uno dei matrimoni più importanti dell'anno. Mi segue?»

Lui annuisce lentamente, ma il suo sguardo è quello di chi sa che nulla potrà smuoverlo dal suo ruolo. «Capisco perfettamente, signora Harper, ma non c'è proprio modo di farla accomodare».
Lo fisso, stringendo i pugni per evitare di esplodere. «Le sto offrendo un'opportunità. Forse non sa chi sono, ma quando dico che questo ristorante potrebbe diventare parte di un matrimonio da sogno, intendo dire che sto mettendo in gioco la reputazione di questo locale. Davvero vuole rischiare di farvi scivolare tra le dita un'occasione del genere?».

Sembra leggermente intimidito, ma il risultato è lo stesso. «Mi dispiace. Non posso fare nulla».
A questo punto, Nate, che fino ad ora si è limitato a osservare la scena con il solito sorrisetto irritante, fa un passo avanti e mi posa una mano sul fianco. «Grazie lo stesso. Torneremo un'altra volta», dice. Sento la pressione delle sue dita attraverso il tessuto del mio vestito, e prima che possa protestare, mi trovo a essere letteralmente trascinata fuori dal ristorante.
«Ma cosa diavolo stai facendo?» sbotto, cercando di liberarmi dalla sua presa, ma lui non molla.

«Ti sto salvando da una denuncia per aggressione, Olivia», risponde con quel tono rilassato che riesce a mandarmi fuori di testa. Lo odio. Lo odio. Lo odio.
Mi fermo di colpo, girandomi verso di lui con gli occhi che brillano di rabbia. «Avevo tutto sotto controllo».
Lui solleva un sopracciglio. «Sì, certo. Per questo il ragazzo era a un passo dal chiamare la sicurezza»
«Non è vero!» protesto, anche se so che forse ha ragione. Sto per aggiungere qualcos'altro, ma lui mi interrompe.
«Olivia, va bene. Seriamente, lasciamo perdere. È solo un ristorante, non la fine del mondo»
«Avevo prenotato», mi difendo. «E ho fame».

La mia ultima affermazione lo fa sorridere e per un istante, un brevissimo istante, trovo la sua espressione quasi tenera. «Andiamo a mangiare qualcosa di buono altrove», ribatte.
Lo guardo sospettosa. «Altrove? Dove?»
«Vieni con me».
Non so perché lo seguo, ma forse è la fame che sta cominciando a farsi sentire, o forse è semplicemente che non ho più energie per discutere.
Lo vedo fermarsi davanti a un piccolo venditore ambulante di panini, uno di quelli con il carretto che sfrigola e che emana un profumo irresistibile di carne e spezie. Il mio stomaco emette un rumore imbarazzante.

«Tu non stai parlando sul serio», dico, guardando il carretto con scetticismo.
«Oh, invece sì», ribatte Nate, ordinando senza esitazione due panini. Fa un cenno del capo in direzione di una panchina sul lungomare: «Tu e la tua aura negativa potete aspettare lì», suggerisce. «Ti raggiungo appena tutto è pronto. Cosa vuoi da bere?»
«Acqua», ringhio. Sono troppo arrabbiata.
Nate, invece, ordina due birre.
Ho già detto che lo odio?

🌼🌼🌼
Buon pomeriggio ❤️
Come state? Spero tutto bene.
Che mi dite di questo capitolo?
Nate ha salvato Olivia dall'arresto praticamente 😂
Ma abbiamo il loro primo momento "non programmato" 😍 
Fatemi sapere cosa pensate del capitolo e dei due protagonisti. Iniziate ad affezionarvi ?
Vi aspetto nei commenti.
Un bacio grande
Sara
Ps. Su Instagram lovewillkillus_

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