Esaurimento nervoso

L'aria della sera ha un che di elettrico mentre camminiamo verso la macchina di Nate. Non ho idea di dove mi stia portando, ma il suo silenzio ostinato mi irrita.
E allo stesso tempo, mi tiene in un assurdo stato di curiosità – che odio, ovviamente.
«Posso sapere almeno se stiamo andando in un vicolo buio? O magari hai in programma di vendermi su un sito di contrabbando?» sbotto, incrociando le braccia e salendo in macchina con un cipiglio.

Lui trattiene un sorriso e mi lancia uno sguardo divertito. «Non preoccuparti, Liv. Ho standard più alti di così».
«Ah, meraviglioso. Quindi preferisci rapire persone con competenze culinarie migliori delle mie. Buono a sapersi».
La sua risata, profonda e rilassata, si diffonde nell'abitacolo. Quel suono mi colpisce, scivola sotto la pelle e si insinua dove non dovrebbe. «Sei sempre così sospettosa? Fidati di me, per una volta».
Mi limito a borbottare qualcosa di incomprensibile e a fissare il finestrino mentre Cape May si dissolve attorno a noi, lasciando spazio a una strada più selvaggia, circondata da alberi scuri che sembrano sussurrare segreti. Quando finalmente si ferma davanti a un cancello di ferro arrugginito, sollevo le sopracciglia, incredula.
«Siamo arrivati».

Lo fisso, sbigottita. «Ti piace portare le ragazze nei set di film horror, Hawkins? Perché se sì, devo dirti che non è un grande strategia di conquista»
«Conquistarti non è una mia intenzione, Olivia Harper», ghigna diabolico prima di scendere dall'auto. Apre il bagagliaio e torna da me con una torcia in mano. La luce illumina un cartello arrugginito che grida Proprietà Privata.
«Questo posto è abbandonato», un ramoscello si piega sotto la suola della mia scarpa e trasalisco. Perché diavolo ho accettato di venire qui?
Con uno sconosciuto?
Okay, non è proprio uno sconosciuto, ma quanto realmente so di Nate Hawkins? E se nel tempo libero fosse un pazzo serial killer? In fin dei conti gli piace tagliare cervelli umani e colonne vertebrali e...

«È chiuso», scuote il cancello una volta, poi lo lascia andare, producendo un suono sinistro che mi fa accapponare la pelle.
«Bene. Andiamo via», muovo un passo indietro, ma Nate mi blocca.
«C'è un pulsante in grado di aprire il cancello, nascosto tra le mattonelle della fontana in giardino», comincia.
So già cosa sta per dire.
Aguzzo lo sguardo, ma nel buio non vedo nessuna fontana.

«Io non riesco ad arrampicarmi», continua. «Per via della mano. Non è ancora in grado di reggermi»
«Non ci penso proprio», lo anticipo.
«È semplice», ribatte. «Ti aiuto io».
Lo guardo, sbalordita. «No. Non pensare nemmeno di chiedermi di scavalcare»
«Non sto pensando di chiedertelo. Lo sto già facendo, Liv».
Mi stringo il cappotto attorno alle spalle, cercando di mantenere un minimo di dignità. «Hawkins, voglio ricordarti che è illegale introdursi in una proprietà privata. Sei consapevole, vero?»
«Totalmente», risponde, come se gli importasse meno di zero. Poi indica il cancello con un cenno della testa. «Su, Liv. È solo un cancello. Non morde»
«È illegale»
«Il crimine a bassa intensità può essere liberatorio, a volte».

Le mie guance si scaldano: «Liberatorio come finire in prigione?»
«Non finiremo in prigione», risponde. «Fidati di me. Ne vale la pena».
Lo fisso, incapace di decidere se strangolarlo o lasciarmi incantare. Opto per la terza opzione: un profondo, esasperato sospiro.
«Va bene, ma sappi che se mi arresteranno, dovrai pagarmi la cauzione»
«D'accordo»
«E se cadrò battendo la testa, il mio fantasma ti perseguiterà»
«È un rischio che sono disposto a correre», replica, spostandosi per farmi spazio.

Afferro il cancello con riluttanza e comincio a scalare, cercando di non pensare a quanto sia ridicola la situazione. Dietro di me, sento Nate ridacchiare.
«Cosa c'è di così divertente?» grido, cercando di mantenere l'equilibrio mentre mi aggrappo alla parte superiore del cancello.
«Niente. È solo che sei molto... atletica», dice, la voce carica di ironia.
«Non ti sopporto»
«Il sentimento continua ad essere reciproco, Olivia Harper»
«Non ridere di me», sibilo.
«Non sto ridendo». Ovviamente sì.
«E non guardarmi!», urlo, sentendo la sua presenza alle mie spalle.
«Non ti sto guardando», risponde, ma il tono divertito mi dice esattamente il contrario.

Mentre cerco di non farmi male, comincio a borbottare sottovoce, più per me stessa che per lui. «Questo è ridicolo. Mia madre mi ucciderà. Verrò arrestata. E tutto perché Nate Hawkins ha deciso che il crimine è un hobby sano. Chi è il pazzo che inventa queste cose? E cos'è questa storia del flusso? Forse il flusso è un fiume di disperazione—»
«Stai parlando da sola?» chiede dal basso.
«No!».
Proprio mentre sto per scendere, lo sento armeggiare con il cellulare. Non faccio in tempo a chiedermi cosa stia combinando, che un suono acuto, simile a una sirena d'allarme, esplode nella quiete della sera.

Il cuore mi balza in gola.
Perdo la presa e crollo dall'altra parte del cancello con un tonfo poco elegante.
«Nate!» grido, la voce piena di panico. «Aiuto!».
La torcia di Nate illumina la mia figura distesa a terra. È piegato in due dalle risate, le spalle che tremano mentre cerca di parlare. Il suono della sirena proviene dal suo maledetto Iphone.
Mi tiro su a fatica, massaggiandomi il fianco e lanciandogli un'occhiata carica di veleno. Sto ancora cercando di far tornare alla normalità il mio battito cardiaco: «Tu sei pazzo!» sbraito, scrollandomi la polvere di dosso. «Chi diavolo fa una cosa del genere? Hai idea di quanto mi abbia spaventato?»

Nate ride ancora, il che non fa che aumentare la mia furia. Ma non ho tempo di insultarlo ancora, perché Nate tira fuori una chiave dalla tasca dei jeans e si avvicina al cancello.
Rimango immobile, con la bocca spalancata. «Cos'è quella?» chiedo, indicando la chiave come se fosse un'arma del crimine.
Lui mi lancia uno sguardo innocente. «Una chiave».

«Hai una chiave? Hai una chiave?» ripeto, la mia voce che sale di un'ottava. «E mi hai fatto scavalcare lo stesso?»
«Ti ho regalato un'esperienza», sfila la serratura con un clic e spalanca il cancello come se fosse la cosa più naturale del mondo. «Non capita spesso che tu faccia qualcosa fuori dalla tua comfort zone»
Lo spingo al petto con entrambe le mani, ma lui non si sposta di un millimetro. «Se per esperienza intendi l'imbarazzo totale e un livido sul fianco, allora sì, grazie mille. Non potevi semplicemente usare la maledetta chiave?»

Nate mi guarda con quell'espressione sorniona che odio e, accidenti a lui, trovo irresistibile. «Liv, quando è stata l'ultima volta che hai fatto qualcosa di impulsivo?»
«Mai, e ne vado fiera»
«Appunto», il suo sorriso si allarga. «Adesso hai qualcosa da raccontare ai tuoi nipoti».
Lo fulmino con lo sguardo, ma qualsiasi risposta acida stia per formulare muore sulle mie labbra quando lui preme un interruttore e le luci della villa si accendono.

I fari illuminano una struttura maestosa ma con un'aura malinconica. I muri bianchi si ergono imponenti, intrecciati da rampicanti di edera. Le grandi finestre riflettono la luce come occhi antichi e una fontana – la famigerata fontana – si staglia nel giardino davanti a noi, decorata da statue di angeli sbiaditi dal tempo.
«Wow...», mormoro, senza riuscire a trattenermi. Nonostante la mia rabbia, non posso fare a meno di ammirare la bellezza del posto.
Nate si avvicina lentamente, la sua voce bassa e quasi seria. «Sapevo che ti sarebbe piaciuta».
Mi schiarisco la gola, recuperando un po' di dignità. «Non significa che ti perdono. Sei comunque un idiota»
«Grazie».

Con un gesto teatrale, apre la porta d'ingresso, che si spalanca con un cigolio. «Prego, madame».
Lo supero con aria di sfida, ma appena varco la soglia, sento il suo braccio sfiorare il mio per un istante. È un tocco leggero, quasi impercettibile, ma sufficiente a farmi sentire un'esplosione di calore.
L'interno è altrettanto affascinante. L'ingresso ha un soffitto alto, con un grande lampadario di cristallo che pende al centro. Un tappeto orientale copre parte del pavimento in legno scuro, e un'enorme scala curva domina la scena, conducendo al piano superiore.

«È bellissima...», mormoro, incapace di trattenere lo stupore.
«Era dei miei nonni», dice Nate, la sua voce più morbida ora. «Ci venivo spesso da bambino. È vuota da anni, ma cerco di tenerla in ordine quando posso».
Mi giro verso di lui, sorpresa. «Non sembri il tipo che si preoccupa di mantenere una vecchia casa in buone condizioni»
«E tu non sembri il tipo che si arrampica sui cancelli», ribatte, con un sorriso lento che mi fa sentire come se fossi l'unica persona nell'universo.
Incrocio le braccia, cercando di ignorare il battito accelerato del cuore.

«Perché mi hai portato qui?», chiedo, cercando di mascherare il nervosismo.
«Perché volevo vedere se eri capace di scavalcare un cancello senza ammazzarti».
Alzo gli occhi al cielo. «Sul serio, Nate. Perché siamo qui?».
Non risponde alla mia domanda, ma dice invece: «Vieni, ti faccio fare un tour».
E la mano che preme contro la mia schiena mi fa un po' tremare.
Mentre lo seguo, mi ripeto mentalmente che va tutto bene. Non è necessario agitarsi tanto. Non è una serata romantica. È solo Nate Hawkins che decide di portarmi in una casa abbandonata e di traumatizzarmi a vita. Questo non è nemmeno vicino alla mia lista di "cose divertenti da fare prima di morire".

Eppure, ogni fibra del mio essere è consapevole della sua vicinanza. Del calore della sua mano contro la mia schiena. Del modo in cui cammina, rilassato e sicuro, come se non ci fosse niente di strano in questa situazione assurda.
Ci addentriamo nel soggiorno, un'immensa sala dalle pareti avvolte da un colore avorio. La luce del lampadario scintilla sopra di noi, riflettendosi sul pavimento in legno lucido e su un grande camino in pietra che domina la stanza. Mi fermo accanto a un mobile carico di cornici.
Foto in bianco e nero si alternano a scatti più recenti, ognuno intriso di storie che non conosco.

Una foto, in particolare, cattura la mia attenzione. È Nate, con il braccio attorno a una ragazza dai capelli scuri e il sorriso luminoso. La loro vicinanza è evidente, e un fastidio che non comprendo del tutto mi si insinua nello stomaco.
«È la tua fidanzata?», la domanda mi esce di bocca prima che riesca a fermarla, e immediatamente mi pento. Che mi importa, dopotutto? Non è come se fossi interessata. No, di certo non lo sono.

Nate si avvicina, gettando uno sguardo distratto alla foto. Un sorriso quasi nostalgico gli incurva le labbra. «Quella è mia sorella, Rachel. Vive a Boston adesso, con il marito e i loro gemelli».
Un'ondata di sollievo mi travolge, tanto improvvisa quanto irritante. «Oh. Bene. Cioè, non che mi importi. Solo... era curiosità.»
«Certo». Il suo tono è neutro, ma so che si sta trattenendo dal fare qualche battuta.

Mi schiarisco la gola, tentando di riacquistare la compostezza. «Quindi, posso sapere perché mi hai portato qui?»
«Perché è qui che organizzerai il gala di beneficienza per la ricerca contro il Parkinson», dice senza più giri di parole.
«Come, scusa?», boccheggio, già in preda a un flusso di pensieri sul come poter riportare in vita questa villa fredda e semi-abbandonata.
Nate si appoggia con disinvoltura al bordo del camino, le mani infilate nelle tasche dei jeans e uno sguardo che è allo stesso tempo serio e provocatorio.

La sua voce si abbassa di un'ottava, e per un momento vedo un'ombra di vulnerabilità attraversargli il viso. «Mio nonno aveva il Parkinson. È per lui che voglio farlo qui. Voglio che ogni persona che entra in questa casa sappia che non stiamo solo raccogliendo fondi. Stiamo facendo qualcosa di importante. Per persone come lui. Come tante altre famiglie».
Rimango in silenzio, colpita. Non è la risposta che mi aspettavo. Non da Nate.

«È una bella idea», mormoro finalmente, sentendo il bisogno di rompere il silenzio. «Ma ti rendi conto di quanto lavoro ci vorrà per rimettere in sesto questo posto? Abbiamo meno di un mese e la mia agenda è già stracolma».
Lui sorride: «Per questo ho parlato a Miley di te, Liv. Non c'è nessun altro a cui affiderei qualcosa di così importante».
Il suo commento, detto con una sincerità disarmante, mi colpisce più di quanto vorrei.

Mi passo una mano tra i capelli, persa in una miriade di considerazioni: «Ci sono così tante cose da fare... Per prima cosa, dovremo assicurarci che l'impianto elettrico sia perfettamente funzionante. Questo lampadario, ad esempio, potrebbe essere riparato o sostituito. E poi, quei tappeti... sono autentici? Se sì, devono essere puliti professionalmente. Oh, e il giardino! Serve un intervento drastico, e magari anche qualche luce strategica per valorizzare la fontana. Potremmo aggiungere delle candele per un tocco romantico, ma dobbiamo essere sicuri che siano antincendio, perché l'ultima cosa di cui abbiamo bisogno è che—»
«Olivia», m'interrompe.

Mi blocco con un dito a mezz'aria, sollevato per indicare un brutto mobile. «Cosa?»
«Non adesso», mormora con un tono che non ammette repliche. «Non devi pensare a tutto ora. Rilassati».
Lo fisso come se avesse appena proposto di abolire il caffè. «Rilassarmi? Nate, questa villa non si sistema da sola. E se non cominciamo subito, saremo sommersi da-»
«Olivia», ripete. Questa volta mi ammutolisco.
Soprattutto perché il suo corpo adesso sembra troppo vicino al mio.

«Hai due scelte», dice, il tono basso, sicuro, come se stesse discutendo di una strategia di guerra. «Puoi continuare a farti venire un esaurimento nervoso su ogni minimo dettaglio... oppure puoi restare a cena, mangiare del pessimo cibo cinese da asporto e dare un'ora di pausa al tuo cervello».
Non so se sia il tono della sua voce o il modo in cui mi guarda, come se stesse sfidando il mondo a contraddirlo. Ma per un momento rimango bloccata, il cuore che batte un po' troppo forte.

«Pessimo cibo cinese?» domando, con un filo di ironia per nascondere il disorientamento.
«Il peggiore che trovo», promette con un sorriso pigro che mi fa venire voglia di mollare tutto e accettare.
Mi mordo il labbro, combattuta. Ogni istinto mi dice di rifiutare, di tornare alla mia routine e alle mie liste. Ma un'altra parte di me – quella che ha scavalcato un cancello e si è ritrovata in questa villa – mi sussurra che forse, solo per stasera, posso lasciare che sia qualcun altro a decidere.

«D'accordo», mormoro, fingendo una riluttanza che non sento del tutto. «Ma ho voglia di pizza. E di patatine fritte. E di pollo croccante».
«Altre richieste, Olivia Harper?»
«Nessuna»
«Affare fatto, allora».
Il suo sorriso si allarga, e per un istante penso che sia la cosa più pericolosa di tutta la sera.

Buon pomeriggio! ❤️
Come state?
Ho pubblicato prestissimo, come promesso.
Nate ha portato Olivia a casa dei nonni 👀👀
Che ne pensate?
Che ve ne pare di questo capitolo?
Spero vi sia piaciuto. I due piano piano si avvicinano 🤯🤯
Fatemi sapere cosa ne pensate.
Un bacio grande.
Sara

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