𝐶𝑎𝑝𝑖𝑡𝑜𝑙𝑜 𝟷.𝟺 ⭒ 𝑁𝑜𝑡𝑡𝑒 𝑑𝑖 𝑆𝑜𝑙𝑒

«Dai, non vuoi farmi compagnia per l'ultima birra? Poi non ne bevo più te lo giuro» Cesare tentò di allentare quella leggera tensione che ora aleggiava in camera da letto.

«Facciamo che ce ne smezziamo una e ti faccio compagnia così? Una intera so già di non finirla. Non ho neanche cenato questa sera quindi...»

«Come mai?» Aprendo la birra in modo spartano, con un accendino usato come apri bottiglia -preso dal comodino insieme a un pacchetto di sigarette- si stava sedendo sul letto.

«Fumi?» Francesco suonò fin troppo scosso di quanto volesse dimostrargli.

«Non so se dirti di sì o di no. Non lo so bene anch'io. È più un accompagnamento ogni tanto alle birre o ad altro. Ti dispiace se me ne accendo una?»

«È casa tua capo, figurati» Ironico sdrammatizzò, colpito non poco da questa novità.

Si accese la sigaretta aspirando ed emanando il fumo direzionandolo verso l'alto, fece un sorso di birra e la passò all'amico.

«Come mai non hai cenato allora?» Domandò con la sigaretta stretta tra le labbra che gli modificò momentaneamente l'accento, mentre si dirigeva verso il lucernario del salotto per aprirlo in modo da arieggiare la casa.

Sorpreso, in modo positivo, dall'interesse di Cesare notando la
normale partecipazione ad argomenti comuni sostituita dalla solita apatia e freddezza, Francesco si ritrovò a sorridere involontariamente.

«Ero pensieroso e mi si è chiuso lo stomaco» Disse dopo un sorso di birra di incoraggiamento.

«Ti avrei risposto prima o poi, potevi stare tranquillo a riguardo» Cogliendo al volo d'esser stato chiamato in causa, anche se non intenzionalmente, Cesare gli confessò la verità.

«Sono più tranquillo adesso che sono qui» Confessò anch'esso passandogli la birra non dopo aver fatto un altro sorso.

Questa volta Cesare con l'apertura della birra non aveva preso nulla in più e glielo fece notare Francesco quando gli chiese: «Cosa ti fa sentire esattamente?»; alludendo in modo fin troppo curioso alle pillole.

«Nulla» Una sola e semplice parola che si abbatté violentemente nella stanza facendo tanto rumore, insieme al fumo della sigaretta aspirata prima di pronunciarsi.

Girandosi di schiena dopo quell'affermazione inavvertitamente creò un distacco che l'aria raccolse subito appesantendosi di conseguenza.

La mente confusa di Francesco, inebriata leggermente dalla nicotina adesso oltre che dalle birre, voleva cercare di elaborare un pensiero e dirgli qualcosa ma non ce la faceva. Avrebbe tanto voluto dirgli qualcosa ma non riuscì a razionalizzare le parole così, puramente d'istinto, agì con i fatti.

Raggiungendo la parte del letto dove Cesare era seduto a fumare, senza pensarci gli buttò le braccia al petto stringendolo forte.

«Mi dispiace che tu debba affrontare tutto questo fardello da solo, non dovresti. Sai che ci sono» Parlava con la testa poggiata di lato sulla sua possente schiena, in tono così pacato da risuonare come un'onda di vibrazioni rasserenanti. Aveva toccato le corde giuste.

«Grazie» Poggiò la mano libera su quelle di Francesco che calde gli stavan scaldando il petto non solo in superficie.

«Le posso vedere?» Sporgendosi da una spalla, sciogliendo quell'abbraccio, gli propose.

Dopo un sorso di birra, ormai arrivata a metà del suo ciclo vitale, Cesare prese dal comodino la bustina e gliele passò entrambe.

Francesco si mise a sedere per bene dall'altra parte del letto, allontanandosi dalla vicinanza di Cesare, con uno strano luccichio negli occhi. Bevendo un bel sorso di birra, come la carica di un giocattolo a
molla, la posò sul comodino della sua parte di letto e iniziò a studiare le
oscure pillole.

«A primo impatto non mi dicono nulla, eh» Teneva lo sguardo fisso e appiccicato alla trasparente bustina in modo concentrato oltre che concitato.

«Ma sei scemo?» Ridendo spense la sigaretta nel posacenere di ceramica scuro per poi avvicinarsi al migliore amico.

«Cosa dovrebbero fare, le capriole per caso?» Cesare si sedette accanto a lui, «Te la dicono poi dopo qualcosa...» Ironizzò il pesante argomento riprendendosi la bustina.

Francesco riprese la birra e dopo un ultimo sorso, così aveva deciso, gliela passò chiedendogli: «Ma hanno, non so, un sapore per esempio? Ah, e la birra puoi finirla comunque»

«Hanno il sapore di mondi ultraterreni, sereni e tranquilli» Giocò glissando la seria domanda di lui.

«E... se ne volessi un piiiccolo assaggio?» Con una vocina striminzita gli chiese Francesco avvicinando l'indice e il pollice della mano destra portandoseli davanti agli occhi strizzati.

«Non stai dicendo sul serio, vero?» Cambiò immediatamente umore, questa volta Cesare era serissimo.

«Beh... un assaggino può farmi davvero così male?»

«Non voglio essere io a farti provare 'sta merda!» Quasi ringhiò buttando la bustina verso il comodino.

«Cesare, sono serio», si voltò per guardarlo meglio in viso, «dicevo solo così per divertimento, per provare»

«Sai che queste sono le classiche "parole famose" vero?» Forse era stato un po' brusco con il gesto di poco prima.

«Dai, siamo insieme, ci stiamo divertendo e mi hai fatto quasi ubriacare co' 'ste birre», Francesco iniziava a biascicare qualche parola, «un po' di divertimento in più può farci così male?»

«Non è questo il discorso Frenci è che-»

«Hey, hey, no, non parlare più», lo incalzò gesticolando bloccandogli le parole sul nascere, «godiamoci questa serata insieme»

Una serata unica, irripetibile, dove il cielo piangeva la sua fine versando incessante quelle lacrime di cristallo pure e copiose che lo avevano ormai riempito. Stelle cadenti, portatrici di desideri reconditi, di speranza e di rinascita, mutavano mostrando la loro vera natura distruttrice mentre i due ignari e spensierati amici erano intenti a ricucire un rapporto d'amicizia quasi perso del tutto.

«Tieni» Cesare gli porse la piccola parte di pillola insieme alla birra che
impaurita era lì, cosciente della sua imminente fine.

Prendendosi nuovamente la birra, stava ingoiando ora Cesare l'altra metà.

«Non ci avrei mai creduto se non l'avessi visto con i miei occhi»
Mettendosi di nuovo a sedere sull'orlo del letto, Cesare afferrò il pacchetto di sigarette.

«Oh, ma la smetti?» Ridendo in modo incontrollato, Francesco lo punzecchiò con un piede proprio sul fianco facendolo sobbalzare.
«Ma perché stai così lontano poi, vieni qui» Lo pungolò ancora con l'alluce.

«Ma sto fumando» Rispose ridendo di gusto vedendo il migliore amico proprio come un tempo quando erano insieme.

Stelle incandescenti, nel frattempo, fluttuavano sopra alle loro teste non poi così lontane iniziando a rischiarare il cielo che si mescolava al loro colore creando un connubio indubbiamente stupefacente.

Dopo averlo tirato per la felpa, intento a volerlo vicino, Cesare si decise ad accontentarlo. Prese con sé il posacenere e salì sul letto andando verso la parte di Francesco.

«Sai... mi sei mancato, tanto. Tutto questo mi è mancato. Semplicemente stare insieme di nuovo» Dal nulla prese a parlare Francesco.

Il fumo che stava espirando dalla bocca gli andò quasi di traverso per la schiettezza di quelle parole che non si aspettava in un momento come quello.

Una volta partito il discorso, come un fuoco in successione rapida
di un'arma automatica, diventò impossibile frenarlo. Francesco si mise a gambe incrociate davanti al suo interlocutore per guardarlo negli
occhi mostrando tutto di sé. Cesare si era appena accorto, così, della sclera di entrambi gli occhi che stava guardando che aveva assunto un colore rossastro. Sicuramente per il consumo di alcol e di altro che stava entrando in circolo, lo sapeva già. Non era decisamente più il Francesco sobrio e razionale che era arrivato a casa sua ore prima.

«Te l'ho detto di non essere qui a farti la predica, la ramanzina, ma voglio che tu sappia che su di me puoi sempre contare e in qualsiasi momento tu voglia» Appoggiò le mani sulle gambe di Cesare, incrociate anch'esse, stringendo la distanza e dimostrando la sua presenza effettiva con il contatto fisico.

«Vorrei tanto aiutarti ma non so come, non so cosa fare, quindi... sono qui, semplicemente. Per qualsiasi cosa tu voglia. Ci sarò sempre per te!»
Francesco non era intenzionato a smettere di parlare. Come un fiume in piena che si riversa con la sua potenza, travolgendo le cose presenti, le parole fuoriuscivano da sole dalla sua bocca.

«Vorrei che tu riprendessi in mano la tua vita, te lo meriti. Se hai bisogno di una mano io ci so-»

Spiazzato, sgomento, dal gesto rimase ad occhi sbarrati a fissarlo smettendo di parlare.

«Almeno ti sei fermato dal parlare» Ridendo Cesare tornò a poggiarsi con la schiena alla testata del letto dopo averlo baciato in modo fugace, a stampo sulle labbra.

«Non avevi detto proprio tu di "non parlare più" prima?» Lo incalzò sempre Cesare stavolta però intenzionato ad alleggerire l'atmosfera che si stava creando.

Nonostante questo aveva apprezzato molto l'apertura, mentale e non solo, da parte del migliore amico. Significava tanto per lui anche se forse non lo dimostrava. Anche se forse non voleva affatto farlo notare. L'ansia era diventata una scomoda convivente in quei mesi trascorsi a brancolare in solitudine nel buio pesto, nel tunnel delle pillole in cui era caduto e da cui la luce non riusciva a filtrare, eppure... in quel momento, con Francesco, non sentiva quell'asfissiante sensazione che l'ansia gli donava giornalmente. Era tutto più leggero e semplice in modo insolito. Avvertiva una leggerezza al cuore tale da tornare a respirare come un tempo disfandosi dell'angoscia che l'ansia gli trasmetteva.

Ridendo per l'ambigua situazione, Francesco tornò a sedersi accanto a lui con le gote arrossate.

«Forse dovresti aprire di più il lucernario del salotto» Disse
quest'ultimo guardando Cesare che si stava togliendo la felpa rimanendo in t-shirt.

Gettandola al lato del letto si alzò concordando con Francesco per aprire maggiormente la finestra.

Tra le labbra serrate aveva una sigaretta fumata per metà. Nell'aprire la finestra la t-shirt, forse lievemente stretta e piccola, gli si alzò mostrando la pancia scoperta insieme a della peluria che si concentrava poi verso il basso ventre. Dall'ombelico una linea
retta scendeva verso il basso.

Ma cosa stava guardando esattamente Francesco?

Tornando verso il letto i passi di Cesare risuonavano sul pavimento.
Impettito, con le braccia forti che ora libere dalla felpa si vedevano, sembrava un'altra persona e senza alcun motivo logico Francesco lo stava ancora fissando. Gli sembrò che ci avesse messo un'eternità a tornare da lui. Una sfilata di un modello in passerella.

«Perché mi guardi?» Ridacchiando, Cesare si gettò di peso a letto.

Anche se certamente abituato a quelle condizioni, Cesare stava iniziando a sentire il peso del miscuglio di birre e delle pillole.

«Non posso farlo scusa?» Gli sorrideva lievemente rosso in viso.

«Queste risposte composte da altre domande sai che non possono essere fatte?» Con un dito Cesare gli infilzò un fianco facendolo scattare all'insù.

Nessuna risposta fu pervenuta.

«Stavo pensando che ti sta bene la barba un po' lunga, un po' cresciuta, insieme al solito baffo sai!?» Dal nulla cambiò totalmente argomento dopo attimi di silenzio e questo fece scoppiare Cesare in una fragorosa risata.

Proprio come nel medesimo fragoroso modo dei meteoriti stavano iniziando ad abbattersi da qualche parte sulla Terra.

Mettendosi eretto, guardandolo nuovamente in viso, Francesco gli disse: «Sì, ti sta decisamente bene» Accarezzandogli la guancia con il dorso del dito indice.

«Ma smettila dai» Cesare lo scacciò via come si fa con una fastidiosa mosca.

Questo innescò inevitabilmente "la guerra del solletico". Come due bimbi si punzecchiavano e si davano fastidio l'un l'altro ma, concentrato a livelli ipnotici su qualcosa che di fin troppo grande aveva visto nel cielo, Francesco si fece così braccare perdendo "la guerra del solletico".

«L'hai vista anche tu?» Chiese il perdente della guerra fissando i bellissimi occhi verdi che aveva addosso, insieme al peso del suo possessore.

«La solita scusa perché hai perso vero?» Si posizionò meglio facendo peso sulle mani, sui propri polsi, rimanendo in parte sopra Francesco.

«No, dico davvero... va bene, hai ragione tu» Francesco sapeva che non l'avrebbe mai creduto e poi non era convinto neanche lui stesso di cosa avesse visto solcare il cielo a quella velocità.

Approfittando degli attimi di stallo, Francesco si agganciò con le gambe incrociate al bacino di lui e con una spinta rotolò poi di lato portandosi dietro anche Cesare per la forza creata dai pesi dei corpi.

Sbalzato, sorpreso dal vile gesto da vigliacco, quest'ultimo si ritrovò a braccia alzate verso l'alto poggiate e distese sul letto. La maglia tirata, adesso, stava lasciando fuoriuscire lievemente la peluria delle ascelle.

«Mi arrendo, okay» Cesare rimase immobile in quella posizione a tratti in stato di notevole piacere.

Ancora una volta Francesco lo stava osservando come se non conoscesse quella persona, il proprio migliore amico. Nel farlo si era tremendamente avvicinato al viso di Cesare che non si schiodava da quella posizione e non opponeva alcuna resistenza o forza.

Inconsciamente, non a pieno controllo del suo corpo, appoggiò le
labbra su quelle di Cesare. Leggiadro, delicato, lento. Un battito d'ali di farfalla sulle labbra contornate da una scura barba. Poi, tornando in sé, si alzò da Cesare senza dire nulla. Era diretto verso il frigo sapendo già cosa voleva.

«Tanto è l'ultima davvero questa. Chi se ne frega no?» Alzò la superstite bottiglia di birra una volta tornato in camera da letto.

*

E anch'essa aveva servito bene la patria, abbandonata ora insieme ad una sua compagna lì sul comodino.

Cesare, dopo aver posato la birra adesso vuota che avevano bevuto insieme, afferrò automatico il pacchetto di sigarette e la sua bustina contenente le pillole.

«Ne dai una anche a me?»

«Vuoi una sigaretta?» Puntualizzò Cesare.

«Dai, un'altra soltanto e poi andiamo a letto entrambi. Non ho per niente voglia di tornare a casa mia ora. Non ho le capacità necessarie per mettermi alla guida e non dovrei farlo a prescindere»

L'ora era più che inoltrata nella notte, anche se fuori sembrava quasi giorno per via della moltitudine di scie diamantate che sorvolavano il cielo notturno. Entrambi erano al corrente che ci fosse qualcosa che non andava in quella singolare notte ma non sembrava che l'argomento li toccasse particolarmente.

Anche Cesare era stanco e aveva voglia di riposare, così non discusse più la bizzarra richiesta di Francesco riguardo una seconda pillola. Non aveva le forze di controbattere per contestarlo un'altra volta. Non ne aveva la volontà.

Si accese l'ultima sigaretta della giornata e poco dopo estrasse due pillole dalla bustina afferrando una vecchia e logora bottiglia d'acqua uscita come per magia da sotto il letto, tra polvere e acari che danzavan beati e accoppiati. Doveva essere una rimanenza, vista la poca quantità al suo interno, rimasta e dimenticata lì.

«Chiudi gli occhi» Disse Cesare divertito dopo aver emanato fuori il fumo della sigaretta.

Francesco era perplesso davanti quella stramba richiesta ma decise di restare al gioco serrando le palpebre.

Così Cesare si avvicinò a lui mettendosi di fronte la sua visuale, gli guidò le gambe in modo da farle scontrare azzerando così ogni distanza. Convinto che non fosse abbastanza però, lo prese dai piedi incrociati insieme alle gambe e sollevandole se lo caricò in parte sulle proprie di gambe.

Spaesato, ma sempre ad occhi chiusi, Francesco emise soltanto un suono di stupore, nulla di più.
Avvertiva la vicinanza tale da sentire il poderoso petto di Cesare sul proprio. Le narici erano ricolme, totalmente inebriate, da un cocktail di aromi che lo stava confondendo maggiormente. Ormoni, nicotina, luppolo, un misto fatale in quel momento in grado di persuaderlo e ammaliarlo come non mai. Gli occhi chiusi non facevano altro che amplificare in modo esponenziale gli odori di cui si stava beatamente nutrendo in quel momento.

Nella posizione giusta, ora, Cesare si mise in bocca una pillola insieme ad un sorso dell'acqua stantia ma che ancora era in grado di svolgere il proprio compito. Lo afferrò gentilmente dalla nuca indirizzandolo verso la propria bocca e in un gesto pieno di romanticismo malato -sfiorandogli le labbra già schiuse di Francesco- gli passò la pillola
insieme all'acqua. Lui la ingoiò ancora ad occhi chiusi, estasiato dall'etereo momento mentre nel cielo imperversava una tempesta altroché estasiante. Le labbra ancora schiuse sembravano chiedere di più, sembravano bramare ancora quell'idilliaco istante. Francesco aprì gli occhi e lo vide intento ad assumere la propria di pillola.

«Cesare...» Sussurrò incerto, tremolante.

«Hey» Ingoiò di fretta per rispondergli con voce roca non preoccupandosi di dove stesse poggiando la bottiglia ancora aperta.

Senza parlare, Francesco, gli sfiorò la barba scura tra le dita curioso di avere ancora il contatto antecedente. Curioso di quella cosa tanto diversa, differente, da tutto quello che aveva mai provato nella vita fino a quel momento. Un desiderio ardente che lo stava infiammando dall'interno, consumandolo, proprio come in lontananza degli edifici stavano crollando tra fiamme incandescenti seguite da quelle lacrime scarlatte adesso.

Infernali lacrime d'ambra che iniziavano a precipitare sulla città portando morte e distruzione!

Un caldo bacio seguì, naturale, cercato e desiderato, nel suono di un assordante sirena che strillava echeggiando in avvertenza di un pericolo imminente. Il cuore in groppa ad un selvaggio cavallo stava cavalcando immense distese verdi, libero. All'unisono i due cuori si erano appena incrociati assumendo un unico suono, un unico battito.

Lasciandosi andare nel letto del migliore amico, Francesco si distese lentamente all'indietro con le mani ancorate alle guance irsute di Cesare che stava assecondando il bacio e il movimento verso il materasso
distendendosi sopra Francesco.

Fameliche bocche assaporavano una
profana linfa, nettare divino e insaziabile. La naturalezza con cui stava accadendo rapidamente tutto ciò fu disarmante per entrambi ma non c'era ormai bisogno di tante parole, di tante spiegazioni, nei loro sguardi si era appena innescato un gioco da cui nessuno poteva tornare più indietro. Guidati da un innato istinto a cui avevano appena rotto le catene di un'arcana maledizione che lo relegava in un angusto angolo del loro animo.

Negli occhi riflessi gli uni negli altri eran contornati in modo perfetto, come in un quadro di rara bellezza, luci che avevano completamente
riempito il cielo da sembrar giorno. Smeraldi succubi di fiamme di passione si fissavano divorandosi a vicenda.

Increduli si guardavano, confusi in modo violento da quello che stava appena nascendo in quella camera da letto.

La nascita contrapposta alla morte. Due lati della stessa moneta che si
rincorrono l'un l'altro. In quella tenera camera in mansarda era appena nato qualcosa di speciale proprio mentre sul mondo era disceso un oscuro serafino armato di falce pronto a svolgere il suo designato compito.

Anche se increduli i loro visi sprigionavano dolcezza, serenità.

«Voglio soltanto essere felice per una sera» Parlò Cesare sorridendogli con un sottofondo di urla struggenti che nessuno dei due sentiva più ormai, annichiliti dalle loro essenze che si stavan fondendo in quel critico momento.

Le gambe intrecciate tra loro che finivano con dei piedi che si
cercavano. Le maglie di entrambi sgualcite per la vicinanza dei corpi sovrapposti. Corpi che ambivano unicamente alla presenza dell'altro su di sé. Respiri affannosi ricolmi di pura bramosia. I loro cuori, le loro emozioni, facevano rumore proprio come le esplosioni che gli illuminavano il viso creando oscure ombre danzanti. La gola secca per quel continuo scambio di baci tale da trasformarsi in un singolo e infinito lungo bacio. Le sensazioni provate in quel momento erano così forti, soffocanti, da non riuscire a fermarsi.

Una contagiosa malattia che li stava
spingendo lì, proprio al punto di non ritorno. In bilico su quella sottile linea stavano sfidando la sorte decisi a continuare.

Le loro mani, prese da un frenetico moto, avevano iniziato a toccare parti del corpo che prendevano una forma nuova in quel momento.

Francesco le aveva lasciate cadere dal viso dell'altro intrecciandole inizialmente attorno a quell'invitante collo. Incontrollate eran scese da sole infilandosi sotto la t-shirt per poter palpare i grandi pettorali scolpiti di Cesare al meglio.

Quest'ultimo le aveva invece posizionate sul bacino dell'altro per poi trovarsele ad accarezzargli le cosce portandosele vicino al proprio corpo più che poteva.

«Frenci...» Si pronunciò senza fiato, con le labbra arrossate e gonfie, afferrandogli la felpa.

«Zitto, non parlare!» Sbuffò d'un fiato l'altro aiutandolo a togliersi l'indumento in questione.

Staccandosi dal biondo a petto nudo adesso, rimanendo eretto sulle ginocchia, incrociando le mani sull'orlo della t-shirt Cesare in un rapido gesto verso l'alto se la sfilò agilmente. Seduto ora sul bacino di Francesco si stava lasciando ammirare compiaciuto, pieno di sé, del sorrisetto malizioso creato sul volto dell'amico.

Alzandosi anch'esso, Francesco arrivò alla sua altezza per poterlo nuovamente baciare e sentire così il suo sapore. Facendo forza dal petto, sfruttando il suo peso, lo spinse ribaltando le posizioni di poco prima. Cesare inerme assecondava il movimento senza interrompere la magia di quel focoso bacio.

Il tempo per loro si era appena assottigliato creando una bolla dove il suo scorrere era diverso, quasi bloccato in quelle oniriche pareti della camera. Ma la realtà era ben più crudele e qualcuno aveva appena bussato alla porta di quella casa, sbattendo la sua onice livrea annunciando la sua presenza e lasciando per terra un delicato e raro piumaggio. Il luccichio della falce brillava come una chiara zanna che amava e venerava la luna. Alle sue spalle lo seguiva una pioggia torrenziale di grandi lacrime d'ambra.

Incollati l'un l'altro, imperterriti, si stavano consumando a vicenda bruciando insieme alle pillole e a tutto quanto quello che l'eco delle deflagrazioni annullava sotto il riverbero di un cupo plenilunio rosso sangue.

«Finiamo insieme al mondo, va bene?»

[Scorri per passare alle considerazioni finali...]

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