𝐶𝑎𝑝𝑖𝑡𝑜𝑙𝑜 𝟷.𝟹 ⋆ 𝐶𝑟𝑖𝑠𝑡𝑎𝑙𝑙𝑜 𝑛𝑒𝑙𝑙𝑎 𝑆𝑒𝑟𝑎

Arrivato sotto casa dell'amico, inaspettatamente, il suo cuore iniziò ad accelerare. Un inconsulto battito cardiaco risuonava nella sua cassa toracica tale da essere perfettamente percettibile, udibile, nella silenziosa auto.

Percorse il vialetto che da tempo immemore non vedeva, ora grigio e non più rigoglioso come una volta, in perfetta sintonia con la persona che prima se ne occupava.

Sopra di lui, scaltre e rapide da non essere notate da un occhio disattento come il suo in quel momento, due strisce luminose illuminarono il cielo viaggiando insieme. Come un'anziana e longeva coppia, unite, parallele, percorsero un grande tratto nel
firmamento sfilando con una nonchalance ultraterrena.

Salì le scale, sentendosi un ladro in quella particolare serata che vi era fuori, arrivando dinnanzi a quella porta verde che gli era decisamente mancata, se ne era appena accorto vedendola.

Tergiversò per qualche attimo prima di bussare definitivamente alla porta ma poi si decise. Dopo qualche istante, dall'interno uno strano borbottio cresceva insieme a dei pesanti passi, quasi svogliati, man mano che si stava avvicinando alla porta.

«Ma chi è?» Sempre dall'interno, quasi come una voce in lontananza, non suonò tanto come una domanda ma la porta si stava aprendo nonostante l'ora.

«Cesare!» Esclamò appena la porta gli si aprì davanti, sorpreso di vederlo a casa ma decisamente contento che fosse integro.

«Frenci, ma che ci fai qui?» Era sul punto di chiudere la porta che tanto svogliato aveva aperto, senza nemmeno la minima intenzione di ascoltare una replica.

Conscio che sarebbe stato inutile puntualizzare sul perché non avesse risposto ai messaggi, o alle chiamate, Francesco con il suo atteggiamento che lo contraddistingueva repentino buttò avanti un piede per bloccare la porta infilandosi per metà all'interno dell'appartamento esordendo con: «Dai, non ci vediamo da tanto. Ho fatto tutta questa strada per venire da te e sta anche piovendo ancora. Vuoi davvero cacciarmi?»

Usando l'incertezza creata in quel momento, approfittando del suo avversario confuso come dopo un gancio destro sul ring, entrò scaltro definitivamente in casa.

«Due minuti e poi vai via» Categorico, il padrone di casa era ancora scettico sul da farsi.

Nel tono che aveva assunto, però, non vi era rabbia oppure stizza. Le parole appena uscite dalla sua bocca cozzavano con il tono della sua voce con parvenza di essere quella solare di sempre.

Un barlume di speranza per il caro amico preoccupato per lui?

Francesco non gli rispose neanche, era pienamente a conoscenze della verità di quelle false parole, così si stava perdendo a osservare quella casa che non vedeva da quasi un anno dopo tutte le peripezie di mezzo che hanno intralciato e rovinato una vita. Non sapeva cosa aspettarsi, non riusciva ad immaginarlo, a visualizzarlo, ma quello che i suoi occhi increduli stavano spiando furtivi lo lasciò sbalordito. Era tutto stranamente in ordine. Non vi era presente caos o sporcizia. Era tutto quanto stranamente al proprio posto.

Qualche felpa, superstite di un'antica guerra, era gettata su una sedia del tavolo del salottino. In cucina, in leggera lontananza, non si notava nulla di troppo in disordine. Nessuna colonna di piatti da lavare, oppure avanzi buttati alla rinfusa sui ripiani della cucina stessa.

A tratti è più pulita e in ordine di casa mia, il pensiero nacque in automatico nella sua mente lievemente stordita da tutto ciò.

Anche se per pochissimi istanti il silenzio si impadronì dell'atmosfera che divenne subito ambigua.

«Cesi, lascio il cappotto qui» Ad alta voce, di proposito, fece in modo di farsi notare dall'amico già sdraiato sul divano.

Nessuna risposta. Nessuna importanza.

«Cos'hai fatto oggi di bello?» In leggera difficoltà, Francesco voleva tirare in ballo qualcosa per farlo parlare e non gli venne in mente nient'altro.

Sentendo la domanda, reputandola stupida e infantile, spostò gli occhi sul ragazzo biondo che gli si era appena seduto di fianco sul divano replicando con distacco: «Non vuoi saperlo davvero» Sogghignò poi in un modo che fece palesemente rabbrividire l'altro. Una piccola scossa elettrica infatti gli partì dalla base della nuca facendogli accapponare la pelle sulle braccia scendendo fino alle gambe.

Lo sguardo che stava osservando dopo tale risposta era spento, apatico, inespressivo. Con quel ghigno orribile sulle labbra che non ricordava neanche lontanamente un sorriso. Con una leggerezza disarmante aveva pronunciato quelle parole di grande spessore conoscendo perfettamente che Francesco sapeva la sua situazione, di conseguenza poteva immaginare a cosa stesse alludendo con quell'affermazione.

«Che c'è, ti meravigli?» Rincarò la dose continuando a parlare dopo il silenzio creato con la mina sganciata l'attimo prima, posizionandosi meglio sul divano sedendosi portando i piedi privi di scarpe su di esso e appoggiando la schiena in modo da poterlo vedere meglio.
Accigliato com'era, con un atteggiamento quasi inquisitorio, suonò limpida come una provocazione quella di Cesare.

Era una situazione difficile da gestire. Complicata oltre che delicata. Qualsiasi parola, benevola o meno, poteva avere significati diversi a seconda dell'interpretazione che Cesare decideva di dargli. Poteva essere tutto travisato e di conseguenza non era semplice per Francesco trovare le parole giuste, se mai potevano esistere.

«Perché dovrei scusa? Sappiamo tutti, benissimo, cosa fai. Sappiamo tutti quanti la tua situazione e tu sai che noi lo sappiamo. Quindi perché dovrei sorprendermi? Non sono mica qui per farti la ramanzina o queste cazzate qui» A tono, anche se con il cuore per qualche motivo non tranquillo e con un battito non regolare, replicò sincero all'amico.

Un risolino di scherno sfuggì dalle labbra di Cesare, convinto di aver
appena ascoltato soltanto balle.

«Perché sei qui allora?» Secco, atono, si pronunciò frenando il riso di beffa.

«Volevo soltanto vederti e stare con te!» Ancora una volta Francesco rispose sinceramente.

Incontrollata un'emozione venne a galla da quel burrone in cui Cesare le aveva mandate a morire una dopo l'altra. Lo stupore in modo positivo, contento di qualcosa.

Entrambi i loro occhi verdi, incrociati su quelli dell'altro, fluttuavano ora in una stasi temporanea. Come due tempere si stavano mescolando assumendo la medesima sfumatura di colore e intensità. Attimi di preziosi smeraldi riflessi gli uni negli altri.

«Idiota!» Riuscì soltanto a dire Cesare riposizionandosi come prima, sdraiato sul suo divano, trattenendo un sorrisetto divertito.

«Era da un po' di giorni che non ti facevi sentire e», titubò per un'istante lasciando trasparire involontariamente la sua preoccupazione, «nulla ho pensato di farti visita ecco» Concluse in breve per evitare di stringere ulteriormente il nodo intricato in cui si era appena ritrovato.

«Ho avuto problemi con il cellulare», lo mostrò togliendoselo dalla tasca facendogli notare lo schermo in pessime condizioni, «adesso più o meno funziona» Per tutto il tempo aveva deciso di non guardarlo.

Istintivamente Francesco sorrise dissipando così ogni tipo di dubbio, o tormento, dei giorni passati.

All'improvviso si alzò diretto verso il frigo di casa sua controllandosi l'altra tasca.

«Hey, vuoi una birra per caso?» Cesare alzò lievemente il tono della voce aprendo il frigo.

Pensando a voler allungare il brodo, restando così più tempo che poteva lì, a Francesco sembrò un'ottima idea quella di una birra così accettò volentieri.

Tornando dal frigo con due birre in una mano, già aperte, con l'altra mano libera si portò rapido qualcosa alla bocca inarcando leggermente la testa. Gli porse una delle due birre per poi invitarlo a farle incontrare facendo così risuonare in quella stanza il tintinnio del vetro.

Con il primo sorso qualcos'altro stava scendendo nella gola di Cesare oltre al chiaro liquido dorato e frizzantino...

«Ma da quanto è che non giochi alla play?» Ridendo, Francesco sbuffò via della polvere sopra di essa afferrando poi il joypad.

Voleva smorzare l'atmosfera che si stava creando dopo che entrambi sapevano cosa fosse appena accaduto. Ci teneva a cambiare argomento in un certo senso.

«Dai, facciamo una partita insieme» Gli pungolò con il gomito il braccio ed entusiasta cercava di contagiarlo.

«No, non mi va» Rispose l'altro dopo un bel sorso pieno, ricco, di birra.

«Perché sai che sei scarso e che perderesti» Tentò di animarlo Francesco.

I videogiochi erano sempre stati un collante non solo tra i due ma tra tutto il gruppo di amici, nonché collaboratori di lavoro. Erano tutti dei nerd appassionati di videogiochi fin da sempre. Una passione che coltivavano sin da piccoli con l'uscita delle primissime console, o game boy. Uno svago che li aveva sempre uniti oltre l'amicizia che li legava, di fatti dopo qualche partita persa di Francesco a "Call of Duty" -un videogioco sparatutto di base- Cesare iniziò effettivamente ad animarsi.

«Ma come hai fatto a morirci così dai. E poi sarei io quello scarso?»

«Ma se con il fumogeno non vedevo nulla scusa. Ma cosa vuoi da me» Francesco rideva di sé stesso.

«Dai, dammi qui, ti faccio vedere io come si gioca!» Dopo l'ennesima e scontata morte, un po' programmata dal biondo, Cesare gli rubò letteralmente il joypad dalle mani e Francesco non riuscì a trattenere il sorriso nel vedere il suo migliore amico finalmente partecipe in qualcosa. Sorseggiando la propria birra lo ammirava intento a premere velocemente i tasti del joypad.

«Ora facciamo io e te contro, voglio proprio vedere cosa fai» Lo invitò a giocare insieme il consueto perdente.

«Se vuoi palesemente perdere...» Aprendo le braccia si mostrava
d'accordo alla proposta.

Dopo un tempo indefinito, un classico dei videogiochi, una trappola temporale in cui il tempo sembra non scorrere e non esistere, decisero di spegnere la console. C'erano state risate, scherzi, battute, il coinvolgimento di una volta, il contatto di una volta. Sembrava tutto quanto tornato alla normalità d'un tempo e Francesco quasi si stava emozionando a tale pensiero ma Cesare si alzò nuovamente dal divano controllandosi la tasca.

«Vuoi un'altra birra per caso?» Una semplice, innocua, frase che in realtà nascondeva in sé una grande insidia.

Ancora una volta Cesare arrivò al divano con due birre aperte in una mano mentre l'altra era intenta a portare alla bocca qualcos'altro.

Uno spiacevole déjà-vu che Francesco non poteva fermare, non sapeva neanche come, ma avrebbe voluto. Avrebbe tanto voluto farlo...

«Ha smesso di piovere e che strano silenzio c'è fuori» Esordì, guardando il lucernario della mansarda dove si trovavano, dopo la visione del groppo che dalla gola di Cesare scendeva giù e che gli avrebbe fatto effetto da lì a breve.

Chissà che tipo d'effetto dà, si ritrovò a pensare fissando l'amico inconsapevolmente.

«Che c'è? Ne vuoi una per caso?» Ridendo, di gusto stavolta, Cesare si era appena buttato sul divano poggiando e incrociando i piedi sul piccolo tavolino che avevano di fronte.

«Sì!» Scherzò, forse, per vedere la reazione che avrebbe avuto che inizialmente fu di sgomento ma che poi mutò in una fragorosa risata.

«Che c'è, tu puoi ed io no scusa?» Lo incalzava Francesco testando la situazione per divertimento.

«Ti ho già detto che sei un'idiota?» Rise prendendo poi un sorso di birra.

*

«Credo di aver visto una stella cadente sai?» Ruppe Cesare il silenzio in camera da letto dove si erano spostati per comodità.

«La voglio vedere anch'io» Come un bambino prevalse l'eterna competizione che sempre avevano avuto. Era una peculiarità del rapporto che li legava.

«Vieni qui» Lo invitò Cesare ad avvicinarsi per avere meglio in visuale il secondo lucernario situato esattamente in modo perpendicolare al letto dove erano stesi.

Allungando il braccio destro, avvolgendogli le spalle, lo esortò ad avvicinarsi maggiormente. Alzò poi l'indice sinistro verso la finestra da cui poteva ammirarsi uno splendido e terso cielo ricolmo stranamente di stelle luccicanti.

«L'ho vista lì» Si ritrovò a sussurrare.

Per qualche istante, Cesare, si riscoprì inconsapevole a fissare il proprio migliore amico e non lo splendido cielo che li stava omaggiando di un singolare spettacolo. Lo guardava in modo... diverso. Forse per la distanza che li aveva separati fino a quel momento, distanza fisica accompagnata da un notevole e brusco distacco. Forse per il tempo che inesorabile era trascorso, dividendoli fino a questo istante. Forse ancora per il misto di queste medesime cose unite all'assunzione di sostanze.

Mentre rifletteva a mente sgombra dopo le diverse pillole ingerite, si accorse all'improvviso di star accarezzando i capelli di Francesco. Un gesto automatico, un riflesso incondizionato per una quotidiana abitudine ormai persa. La sua mente ne prese atto e fulminea lanciò l'impulso, il comando, di smetterla. Come se avesse avvicinato troppo le dita ad una fonte di calore scottandosi, tolse repentino la mano tra i capelli folti color rame di Francesco che non si era scomposto o allontanato da lui.

Una notte ambigua quella. Il firmamento non voleva proprio
smettere di versare lacrime di cristallo. Colavan giù una dopo l'altra illuminando il cielo ad intermittenza.

Ascoltando la consueta voce interiore, ascoltando il solito bisogno, Cesare si stava apprestando a prendere qualcosa dal comodino di fianco al suo letto.

La birra grande, da 66cl, torreggiava con uno sputo di linfa vitale abbandonata a sé stessa. Attigua a essa la trasparente bustina della discordia, con sempre meno pillole, lo stava chiamando! Lo stava tentando a gettarsi nel precipizio dell'ignoto smettendo di provare sensazioni. Lo incoraggiava a farlo perché, proprio come una fedele amica che ti conosce bene, sapeva perfettamente che lui stesso voleva farlo. Voleva staccarsi da quel mondo in quel momento e non avvertire quello che stava sentendo dentro che era nuovo per lui.

«Che fai?» Retorico chiese Francesco poggiandosi la mano alla testa facendo peso sul gomito e mettendosi di profilo.

«P-prendo un'altra birra. La vuoi anche tu?» Avendo la mano sulla bustina esitò per un secondo.

Francesco comunque non era abituato a bere molto. Quella sera, poi, non aveva neanche cenato come si deve e lo stomaco stava iniziando a non reggere quel volume alcolico non avendo nulla da bruciare. Le birre grandi cominciavano a pompare il loro effetto in circolo nel suo corpo portandolo ad esser brillo.

Cesare, al contrario, in questo tempo in cui non si erano visti era decisamente cambiato tanto. Non solo sul piano personale, caratteriale, interiore -per le varie situazioni che aveva vissuto e che stava ancora vivendo lottando giornalmente contro i propri demoni- ma anche sul piano fisico. Neanche Cesare stesso era un bevitore esperto prima, nonostante l'interesse per le birre particolari o per dei liquori particolari, ma in questa serata si era fatto fuori ben due birre grandi con annesse pillole aggiuntive e aveva tutta l'aria di essere a posto, tutto questo poi soltanto dopo l'arrivo di Francesco e prima invece?

«No Cesi, io credo di essere a posto così» Ridendo lievemente, si stava tirando su verso la spalliera del letto mettendosi a sedere.

«Facciamo una cosa allora», Cesare si voltò verso di lui per poterlo guardare, «se non erro ho soltanto altre due birre in frigo. Se così dovesse essere ne prendiamo una testa. Se invece ne dovessi avere una in più, o in meno, sei libero di non bere con me» Propose il patto dell'alcol.

«Ma io sono libero di fare cosa voglio» Ridendo rispose a tono scavalcando quelle regole imposte.

Non avrebbe mai accettato di stare alle sue di regole. Era la solita competizione che avevano e che veniva fuori anche nelle piccole cose.

«Sì, sì, tanto lo so che ti va» Alzandosi dal letto, Cesare si stava dirigendo al frigo pronto a barare per far bere l'amico con lui.

«Aspetta, aspetta...» Rendendosi conto del fatale errore si alzò scattando dal letto verso il frigo anch'esso.

«Voglio vedere con i miei occhi, tu vuoi giocare sporco» Esordì Francesco una volta arrivato al forziere del tesoro.

«Guarda tu stesso. Eccole lì, proprio due, una per me ed una per te» Lo punzecchiò Cesare ridendo sotto i baffi incauto.

«Cesare...» Brillo, senza un senso apparente, si mise a ridere capendo già che c'era qualcosa che non andava, che l'amico avesse fatto qualcosa.

Perse qualche minuto ad esaminare il frigo scrupolosamente pur di avere ragione ma della terza birra, o di altre in più, non vi era traccia.

«Lo so che hai fatto qualcosa scemo, stai ridendo» Parlava ridendo anche Francesco di riflesso con la testa infilata ancora nel frigo.

«Dai, dimmelo, cos'hai fato? Dove l'hai messa, dove l'hai nascosta l'altra?» Ora lo stava fissando per notare qualche dettaglio che poteva essergli sfuggito.

«Ne ho soltanto altre due, hai visto, non ho fatto nulla», rideva Cesare con un grande e aperto sorriso, «non posso far sparire le cose. Hai perso la scommessa ora bevi con me!»

«Io non ti ho detto di sì, ma poi... aspetta... cos'è quella cosa appoggiata sulla cucina» Notò una cosa dietro Cesare poggiata sul ripiano della cucina.

«Nulla, hai perso mi dispia-»

Francesco voleva andare a controllare di persona, convinto di quello che aveva appena visto, ma l'altro glielo stava impedendo.

Indietreggiando, arrivando a toccare il ripiano della cucina con il fondoschiena, Cesare gli stava coprendo di proposito la visuale e continuava a non voler farlo passare oltre. Francesco ci provava a spostarlo ma era irremovibile, un macigno. Poggiando le mani sul bordo del ripiano della cucina, Francesco si avvicinò di molto a lui senza pensarci.

«Sai che ho ragione e per questo non mi fai controllare eh? Vuoi non darmi la ragione come sempre» Lo stava fissando negli occhi per la stretta vicinanza.

Le mani di entrambi erano poggiate sul medesimo ripiano, erano attaccate per la distanza inesistente in cui si erano ritrovate. Le gambe si sfioravano all'altezza delle ginocchia mentre quell'ipnotizzante tempera di vivo smeraldo traboccò dai loro occhi inondando la stanza. Ancora occhi negli occhi. L'uno riflesso nella verde iride dell'altro. Una sorta di specchio di colori.

«Comunque avevo ragione io, hai un'altra birra lì. Ho vinto io e quindi non bevo» Mise fine a quel magico e incantato momento di giada dissipando i colori esplosi poco prima in quello sguardo.

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