𝐶𝑎𝑝𝑖𝑡𝑜𝑙𝑜 𝟶 ⋆ 𝐴𝑙𝑝𝘩𝑎&𝑂𝑚𝑒𝑔𝑎 ⭒ 𝐿'𝐼𝑛𝑖𝑧𝑖𝑜 𝑒 𝐿𝑎 𝐹𝑖𝑛𝑒

Quando alcuni eventi arrivano all'improvviso nella tua vita, inaspettati, senza preavviso, è difficile essere freddi e razionali a pieno delle proprie facoltà. Spesso si viene trascinati dallo scorrere degli eventi e dal loro manifestarsi. Passa il tempo e non te ne accorgi, la cosa non ti interessa e non ti scalfisce minimamente. Chiuso in te stesso. Chiuso in quella piccola bolla impenetrabile che tu stesso hai creato inconsciamente. Così dura e forte da diventare confortevole. Un posto sicuro dove niente e nessuno può arrivare a disturbarti, a metterti pressione, a farti sentire non adatto al mondo in cui vivi. È proprio questo che mi sono trovato a vivere!

Avevo una vita serena, spensierata. Un ottimo lavoro che condividevo con i miei amici. Degli amici, appunto, stretti con cui mi conoscevo addirittura dai tempi del lontano liceo o anche prima con alcuni, dall'infanzia visto il grado di "parentela" che ci univa. Una famiglia vicina e unita. Una casa tutta mia, la casa dei miei sogni, arredata e costruita con sacrificio e dedizione. Sul piano economico non mi potevo assolutamente lamentare. Una vita regolare, felice e piena eppure... qualcosa inaspettatamente cambiò da un momento all'altro.

A ripensarci ancora adesso non so in che modo sono arrivato a come mi sento adesso, al disagio che sto vivendo attualmente, se si può chiamare vita quella che sto vivendo ora. Come una stella cadente che improvvisa sfreccia nel firmamento buio, inaspettato fu il cambiamento in me. Non so bene perché, cosa avesse innescato questa reazione, o come, ma da un giorno all'altro iniziai a sentirmi sempre meno tollerante riguardo cose, persone o situazioni che vivevo
quotidianamente. Mi infastidivo spesso per nulla, per il semplice fatto di esser saturo di alcune cose che inesorabilmente si ripetevano nella mia vita privata e lavorativa. Mi sentivo pieno, seccato per lo più, di ripetere incessantemente come un disco rotto gli stessi discorsi.

Era diventato tutto un ripetersi di azioni, di argomenti discussi, che mi portò a un livello che mai avevo raggiunto in vita mia. Ero così stufo di questa quotidiana ripetizione tale da arrivare a desiderare soltanto il silenzio assoluto. Non volevo ascoltare più niente, più nessuno, neanche me stesso! Non ce la facevo a sopportarlo oltre. Ero arrivato al culmine di... non so neanch'io di cosa nello specifico ma ero arrivato a un punto in cui dovevo fare qualcosa o rischiavo di impazzire sul serio.

Un'anime, da parte dei miei amici nonché collaboratori lavorativi, arrivò la decisione: dovevo fermarmi, dovevo prendermi del tempo per me, dovevo avere uno "stop". Ma purtroppo questo non aiutò i miei stati d'animo. Non aiutò l'affievolirsi dei pensieri, dei sentimenti, che provavo. Non aiutò a migliorare la situazione ma bensì, per assurdo, non fece altro che peggiorare tutto quanto.

In questo mio periodo di fermo ero rimasto comunque in contatto con i miei amici, sia virtualmente sia di persona, ma fu questione di settimane che svanì anche quello. Si innescò un meccanismo di chiusura e apatia totale verso il mondo e le persone che mi circondavano. Non ne volevo sapere niente, davvero, di tutti quanti. Ne avevo abbastanza. Volevo soltanto sparire nella mia solitudine e non pensare a niente. Volevo soltanto stare da solo senza sentire nessuno, senza stare in contatto con nessuno. Già i miei stessi pensieri che mi tormentavano erano abbastanza per la mia psiche decisamente debole in quel momento.

E così man mano si faceva spazio, cresceva in modo esponenziale, il mio totale distacco con il mondo esterno. Non uscivo di casa. Non vedevo nessuno. C'ero soltanto io e le mie cose da fare in modo da tenere la mente occupata e non pensare di conseguenza a qualsiasi cosa mi
passasse per la mente. I miei amici hanno provato a spronarmi, a starmi vicino, a parlarmi, ma da parte mia c'era soltanto un muro insormontabile che io stesso avevo costruito dalle solide fondamenta.

I mesi passavano e io ero bloccato in questo strano e infernale limbo. Senza sapere cosa fare. Senza dare un senso, uno scopo, alle mie giornate. Il tempo passava così veloce e io non me ne rendevo conto. Ogni giorno che trascorrevo diventava il mio nuovo e vivido incubo. Non più un onirico ricordo poi assopito dal mio
subconscio ma una crudele realtà da cui non potevo distaccarmi, che non potevo purtroppo dimenticare. Era il mio inferno terreno!

Non mi sentivo nemmeno più a casa in nessun luogo, nemmeno tra le mura familiari che vedevo in continuazione. Stava diventando tutto quanto straniero per me. Avevo perso completamente non solo la concezione del tempo ma anche degli spazi che avevo attorno. Era tutto distorto e infinito. Avevo completamente perso l'equilibrio. Non riuscivo a trovare più una via di mezzo, in nulla.

Avevo ormai smesso da tempo di rispondere a messaggi, chiamate, da parte dei miei amici. Da tempo ormai non li vedevo di persona. Ma nel vedere un messaggio da parte di una persona in particolare che stava continuando a insistere nel volermi aiutare, iniziai a considerare l'opzione che fino a quel momento mi ero negato. Negato per vergogna. Negato per l'ansia. Negato per mancanza di forza nel farlo. Negato per paura. Mi era stato proposto di aprirmi con un professionista, di fare una chiacchierata da uno psicologo per raccontarmi e chiedere aiuto ma... chiedere aiuto non è così semplice, è un grande gesto di coraggio andare da un perfetto sconosciuto e aprire il proprio animo lasciando fuoriuscire i sentimenti più oscuri di esso. Come un dominatore che mi soggiogava, con una frusta mi minacciava, ero completamente inerme e schiavo delle mie insicurezze, delle mie ansie. Vivevano con me, come schifose zecche che succhiavano la mia linfa vitale togliendomi il sorriso, la vivacità, la luce che avevo dentro al cuore, sostituendole con limpide paranoie e mostri deformi. Crescevano sempre di più. Si nutrivano delle mie debolezze fortificandosi fino a raggiungere una mole spropositata.

Diventai così il peggior nemico di me stesso. Era ormai ingestibile la situazione per me. Ancora una volta mi negai questa possibilità e andai avanti per la mia solitaria e tortuosa strada che da solo avevo deciso di percorrere. Fino a quando, sempre dalla medesima persona che tanto si ostinava a volermi aiutare, da quella e unica persona che ormai era rimasta in contatto con me nonostante il mio evidente distacco, i miei "no" e la mia brutta presenza che traspariva attraverso lo schermo di un telefono, accettai di fare una prova quasi esasperato per l'insistenza.

Anche se poi iniziai a credere che fosse la cosa giusta da fare, non potevo continuare così. Non potevo andare avanti così, dovevo fare qualcosa e forse aveva ragione, lo psicologo era la via giusta da cominciare a seguire. Che sciocco che sono stato...

Dopo la ricerca del giusto professionista, la prima seduta fu la più dura e brutta per minimizzare la cosa. È stato orribile! Mi sentivo così debole ad aver accettato quella proposta. Mi sentivo così inadatto.

Dopo quella prima seduta non volevo assolutamente continuare, anzi, iniziare un percorso psicologico come lui mi aveva consigliato da professionista del settore mi spaventava.

Non mi feci sentire più per un secondo appuntamento ma inaspettatamente fu lui a contattarmi. Trovavo decisamente strana questa cosa, stentavo a crederci, ma ne rimasi colpito. Mi disse di non potermi
obbligare a tornare alle sedute ma mi esortò vivamente a riprenderle, magari anche non con lui se io non avessi voluto, mi chiedeva soltanto di pensarci bene perché era la cosa più giusta da fare.

In un certo senso spinto da una certa pressione, fissai questo secondo appuntamento sempre con lui. Da lì in poi le sedute furono molteplici e intrapresi il mio percorso psicologico.

Passarono delle settimane e la situazione aveva degli accenni di miglioramento ma i veri risultati non potevano arrivare nell'immediato, ovviamente, ci voleva tempo e tanto lavoro su me stesso da fare.

Non so sinceramente cosa lui abbia visto, sentito, avvertito in me tanto da consigliarmi poi un nuovo percorso di psicoterapia da affrontare affiancando degli psicofarmaci, alle sedute, che mi avrebbero aiutato a riprendere in mano la mia vita. Fui colpito in modo non positivo da ciò, ero molto impaurito di assumere dei farmaci. Non avrei mai immaginato, neanche lontanamente, di poter arrivare a quel punto nella mia vita. Evidentemente la situazione era più grave di quanto potevo immaginare.

Intrapresi questo nuovo percorso con gli psicofarmaci inconsapevole della discesa che mi avrebbe portato diritto al centro dell'inferno!

La terapia sembrava funzionare, stavo migliorando, lo dicevano entrambi i professionisti che mi seguivano ormai da un mese in questo mio nuovo percorso di vita ma poi... arrivò il momento in cui mi resi conto di una terribile cosa, oscena, brutta e tanto oscura: non mi sentivo bene perché stavo migliorando ma perché ero costantemente sotto l'effetto degli psicofarmaci. Per un attimo mi ero illuso che davvero stessi cambiando io, che davvero la mia vita stesse tornando alla normalità, ma più proseguivo con le sedute e con i farmaci più capivo che in realtà erano quest'ultimi che desideravo e che affievolivano il mio malessere interiore. Ormai vivevo con l'unico scopo di dimenticare tutto quanto. Volevo soltanto e per un attimo non pensare più a nulla, poi... quei piccoli attimi sono diventati sempre più lunghi e infiniti fino quasi a non resistere senza un piccolo aiuto.

Ero cosciente che fosse tutto quanto un mero errore eppure non riuscivo a smettere, forse perché non volevo smettere davvero.
"Smetto domani, soltanto un'altra pillola", ero così fragile.

Un susseguirsi inevitabile di errori su errori. Sbagli mischiati a sbagli. Eppure era l'unico modo per non odiare me stesso, per sopportare il fallimento e il peso che incombeva su di me. Il peso che sentivo di esser diventato per il mondo.

Un giorno, sarà per una crisi per i farmaci, sarà per una mia crisi in generale, non riesco ancora a capirlo, mi ritrovai a minacciare il mio dottore per avere più farmaci da assumere. Feci una grande scenata degna di un folle e me ne andai pentendomene subito dopo, ma ormai il danno era stato fatto. E mentre riflettevo su quello che avevo fatto andando verso la mia auto, pensando che non sarei mai più tornato da lui dopo quello che era successo, lo incontrai: un angelo dalle oscure ali cremisi che mi tentò.

«Se vuoi posso aiutarti» Mi disse prendendomi per un gomito obbligandomi a voltarmi verso di lui.

In mano mi aveva lasciato una piccola bustina trasparente con due pillole, non sapevo minimamente cosa potessero essere, e un pezzetto di carta con un numero telefonico scritto sopra. La mia disfatta, la fine di una vita normale, iniziò da quell'esatto momento!

Tornato a casa dopo ore passate a riflettere, rimuginare, su tutto
quello che era accaduto in quella giornata -la lite, la discussione, la scenata, l'incontro con quel tizio- decisi di provarne una soltanto per vedere se in qualche modo potessi tornare a calmarmi, a non pensare più a nulla dopo le intense emozioni
provate fino a quel momento in quelle poche ore. L'effetto che mi diede era esattamente quello dei miei psicofarmaci. Ero così leggero, avevo la mente vuota e senza pensieri proprio come desideravo io per stare bene e tranquillo con me stesso. Mi sentivo così in pace in un nuovo mondo in cui niente e nessuno poteva farmi del male. Mi sentivo finalmente libero da tutto.

La vita che stavo vivendo, se si può definire tale, prendeva sempre di più le sembianze di una sopravvivenza contro la vita stessa e io da solo non riuscivo a essere così forte. Venivo costantemente divorato, assalito, sbranato, da belve feroci in questa giungla di sopravvivenza che era diventata la mia vita. L'unico mio rifugio erano le pillole. L'unico modo che avevo per proteggermi da tutto quello che si trasformava sotto i miei occhi per la mia labile psiche.

Ed è così che cominciai a perdermi in quel particolare mondo. Volevo essere perso. Volevo sentirmi in quel modo perché soltanto così non sentivo più nulla. Non provavo più nulla. Non sentivo più nulla.
"Non so dove finirò" mi dicevo, eppure solo in quei momenti stavo bene.

L'insonnia divenne un'altra mia compagna abitudinaria. Così presente, così attaccata a me, così affezionata, da lasciarmi il suo marchio. Con un suo bacio, sotto i miei occhi spenti d'ogni scintilla di vivo che potesse esserci, scure occhiaie prendevano il sopravvento.

Cominciò così il mio valzer all'inferno tra fiamme scarlatte che mi consumavano, che mi sciupavano, logoravano, l'animo man mano che una pillola in più scendeva dalla mia gola.

In un mondo che stava andando verso la rovina, in un mondo che stava morendo lentamente, lo stavo seguendo a ruota collassando io stesso nella disperazione di una vita in rovina, di una vita morente.

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