Capitolo 20

Rose
Dopo essermi liberata in malo modo di Nicolas, sono finalmente a casa. Sembra che si diverta a tormentarmi, mi chiedo perché non se ne trovi un'altra da torturare. Se penso al modo in cui mi ha vista, mi vengono i brividi, ero praticamente mezza nuda nel suo letto.

«Sei tornata.» sbotta mio fratello, alle mie spalle.

Porca miseria, perché arrivano sempre alle spalle? Mi fanno prendere un colpo.

«Mi hai spaventata a morte.»

«Dove sei stata?» chiede accigliato e a braccia incrociate.

«Te l'ho detto... ho incontrato un amico.»

«E sei rimasta con lui per tutta la notte.»

«Sì. Ma non per quello che pensi.»

«Ah no, eh?»

«No.»

«Stai mentendo.»

«E tu stai farneticando. Ora vado a farmi una doccia.» scappo via, prima che possa fare altre domande.

È diventato davvero troppo insistente, mi chiedo cosa gli passi per la testa. Non potrei mai interessarmi ad uno come Nicolas, nemmeno se non fosse il mio professore. È arrogante, stupido e presuntuoso. Preferisco stare alla larga da persone così.

Pochi minuti dopo, bussano alla porta del bagno ed alzo gli occhi al cielo, pensando che Michael non abbia ancora finito il suo interrogatorio.

«Rose, vado al lavoro.» dice.

«Di domenica?» chiedo stranita.

«Sì, il locale sta per essere ristrutturato e c'è tanto lavoro da fare.»

«Va bene. A stasera.»

«Ah, un'altra cosa; chiudi a chiave la camera se arriva quel tuo amico.» sghignazza.

«Idiota!» urlo imbarazzata.

Perché si divertono tutti a tormentarmi? Sono tutti fuori di testa, non c'è altra spiegazione.

Dopo aver fatto la doccia, indosso l'accappatoio e vado in camera, stremata. Mi sento talmente stanca che potrei addormentarmi e risvegliarmi tra due giorni. Mi sdraio sul letto e ripenso a ciò che è accaduto ieri notte, al modo in cui mi ha trattato Nicolas e anche come l'ho trattato io. Mi dispiace essere stata così brusca, ma è anche colpa sua, si diverte a tirarmi le parole da bocca. Chiudo gli occhi e cerco di fare un sonnellino.

Apro lentamente gli occhi ed è come se qualcuno fosse poggiato allo stipite della porta, ma non ci faccio caso, richiudendoli. È solo la mia immaginazione. Mi ripeto in dormiveglia. Ma poi apro gli occhi di scatto e il mio cuore balza in gola. Erik, a braccia incrociate e un ghigno sul viso, che mi fissa. Deglutisco e mi rendo conto che non si tratta di un sogno.

«È così bello vederti dormire.» dice tranquillo.

«C-come sei entrato?» chiedo impaurita.

«Dalla porta sul retro, era aperta.» ghigna. Perché Michael non l'ha chiusa? Mi guarda malizioso, mentre si avvicina al mio letto. Resto immobile a fissarlo e vorrei tanto essermi vestita prima. «Calmati, non voglio farti nulla.» Si siede sul mio letto e mi guarda dalla testa ai piedi, dopodiché allunga una mano sulla mia coscia. «Ti piace proprio farti trovare nuda.» si morde il labbro.

«Non toccarmi!» urlo, spostando via la mano.

Sembra non voler cedere, si avvicina sempre di più e rimette la sua mano sulla mia coscia.

«Ho visto uscire Michael, due ore fa.»

«Quindi, sei qui da tempo?»

«Non volevo disturbare il tuo sonno. Probabilmente stavi sognando quel professore del cazzo.»

«Cosa?»

«Ti ho vista, sai?»

«Vista?»

«Uscire dalla sua macchina.» Mi afferra per la gola e mi spinge sul letto, sbottonando il mio accappatoio. Afferra un seno, stringendolo forte. Cerco di liberarmi, ma mi tiene stretta. «Dove credi di scappare?» Mi sposta l'accappatoio, ormai slacciato e resta a contemplare il mio corpo. «Lo senti quanto ti voglio?»

«S-sì...» Devo cercare di addolcirlo, o saranno guai. «Ma lasciarmi... lo faremo in modo diverso...»

«Credi di fregarmi di nuovo, stronza?» ride in modo convulsivo.

«Non ti fregherei mai, credimi.» dico con un filo di voce.

Ignora le mie parole e mi bacia con foga sulle labbra. Stringo i pugni e cerco di trattenere le lacrime. Non sta succedendo sul serio, ora aprirò gli occhi e mi renderò conto che si è trattato soltanto un incubo. Mi allarga le gambe e si posiziona tra di esse, tenendo ferme le mie mani.

«No... ti prego.» singhiozzo.

«Shh.» mi copre la bocca con la mano. «Sarai mia per sempre.» ghigna. «Come chiameremo nostro figlio?» Sgrano gli occhi e le lacrime scendono a fiumi. «Decideremo in seguito.»

Cosa diavolo si è messo in testa? È in posizione, pronto ad agire, una mano sulla mia bocca e l'altra tra le mie gambe. Mi guardo intorno, alla ricerca di qualcosa da impugnare e i miei occhi si posano sulla mia destra. Allungo la mano verso il comodino, mentre lui è intento a baciarmi e a toccarmi, riesco ad afferrare la sveglia. Lo colpisco violentemente alla nuca, rendendolo inerme. Me lo tolgo di dosso e scappo via dalla stanza. Arrivo alla porta d'ingresso, la apro e vado a sbattere contro un petto duro. Alzo lo sguardo e vedo Nicolas.

«E così che mi accogli?» chiede sarcastico.

«Professore...» dico flebilmente.

«Che ti è successo?» Senza dire una parola, lo abbraccio e comincio a piangere contro il suo petto. Mi prende il viso tra le mani e mi guarda negli occhi. «Rose, cos'hai?»

«Non ce la faccio più.»

«Ascoltami, torna dentro, metti qualcosa addosso e poi vieni e mi racconti tutto, okay?»

«No... no... dentro no.» bofonchio spaventata.

«Vuoi restare così?»

«No...»

«Allora vai.» mi sorride teneramente.

«Vieni con me...» gli chiedo speranzosa.

«Cosa? Io... non posso...»

«Per favore... non lasciarmi sola, lui è lì...»

«Lui, chi?»

«Ti prego...»

Mi guarda con aria rassegnata, dopodiché si guarda intorno, per assicurarsi che nessuno ci stia osservando ed entra in casa. Mi attacco al suo braccio e insieme ci dirigiamo al piano di sopra, trovando del sangue sul pavimento.

Nicolas si china ed esamina la macchia.

«Ma... è sangue...»

Raggiungiamo la mia stanza e lui non c'è. È scappato. Credo di avergli rotto la testa... ma chi se ne frega. Mi rendo conto di stringere il braccio di Nicolas da troppo tempo e glielo lascio, imbarazzata.

«Cos'è successo?» chiede, ancora più confuso.

«Siediti... vado prima a vestirmi.»

«Sì.»

Dopo essermi ripresa un po', sono ritornata in camera e ho raccontato qualcosa a Nicolas, meravigliandomi della sua comprensione e delicatezza.

«Cazzo.» dice sottovoce, credendo che non l'abbia sentito. «Non pensavo ci fosse tutto questo dietro.»

«Già. Ma ovviamente mi hai trattata come una poco di buono.» dico irritata.

«Non è vero. Sei solo un'alunna maleducata, per questo ti ho trattata in quel modo.»

Lo guardo storto e cerco di non alimentare il litigio. Ho parlato troppo presto, non è affatto comprensivo.

«Voi uomini pensate solo al sesso.» sbotto.

«Ma cosa dici?» ridacchia.

«Vorresti negarlo?»

«Ti assicuro che non tutti sono uguali.» ride ancora.

Mi sta prendendo in giro?

«Vuoi smetterla di ridere?» Ma non la smette, sembra posseduto da qualche demone clown. «Basta!» La smette all'istante, ma non sembra essere tornato serio del tutto. «Posso chiederti perché eri fuori casa mia?»

«Ah, già, quasi dimenticavo...» infila una mano in tasca e mi porge il cellulare. «L'hai dimenticato da me, ieri notte. Sei così svampita.»

Lo guardo arrabbiata. Perché deve sempre prendermi in giro?

«Grazie.» borbotto e afferro il telefono.

Restiamo a fissarci per un po' e non riesco a fare a meno di perdermi nei suoi occhi verdi. È così strano guardarlo.

«Meglio se vado.» dice.

«No!» sbotto, dopodiché arrossisco. «Cioè, non puoi lasciarmi da sola. E se dovesse ritornare?»

«Non posso restare.»

«Scusami, hai ragione... Puoi darmi un passaggio?»

«Certo. Dove?»

«Dalla mia amica.»

«Va bene, andiamo.» mi fa un occhiolino e a quel gesto avvampo.

Erik
«Ti rendi conto che era con quel professore?» dico a James, mentre mi medica la ferita.

«Dovresti smetterla di tormentarla.»

«Che cazzo dici?»

«Mi hai sentito.» Mi alzo di scatto e lo afferro per il colletto della maglietta. Non so perché me la sto prendendo con lui, in fondo non ha niente a che fare con questa storia, ma non riesco a stare calmo, vorrei solo spaccare tutto. «Devi calmarti!» si libera dalla mia stretta e mi costringe a sedermi sulla sedia.

Non posso permettermi di perderla, anche se lui dice che devo lasciar perdere, non mi rassegnerò mai. Se non potrò averla, allora non dovrà averla nessun'altro!

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