Capitolo 13
Rose
Nicolas mi ha appena accompagnata a scuola, arrivando prima di tutti gli altri, per evitare che ci vedessero, ecco il motivo per cui mi ha svegliato molto presto. Ora siamo sul retro, mi guardo intorno, non c'è anima viva, allora mi avvicino alle sue labbra rosee e le bacio delicatamente.
«Ci vediamo dopo.» lo saluto sorridente.
«A dopo, piccola.» mi fa un occhiolino e va via.
È così bello che a volte penso di non meritarlo. Faccio il giro dell'edificio e raggiungo l'entrata, imbattendomi in chi non avrei mai voluto.
«Sfigata.» sbotta Jenna.
«Stronza.» sbotto a mia volta.
Improvvisamente mi sorride in modo beffardo e mi regala un ghigno malefico. Non capirò mai che problemi la affliggono e mi chiedo come si possa essere così tanta cattiveria in un corpo così piccolo. La ignoro e continuo a camminare, fino a raggiungere la mia classe, completamente deserta. La solitudine dura pochi minuti, perché Mary varca la soglia, sedendosi al mio fianco. La osservo, in attesa di un suo saluto, ma così non è.
«Va tutto bene?» le chiedo accigliata.
«Sì...» risponde poco convinta.
«Sembri stanca.»
«Ho dormito poco.»
«Come mai?»
«Cosa ne pensi se oggi pomeriggio vengo al ristorante? Voglio vederlo.» Ha cambiato discorso e quindi deduco che sia a causa di mio fratello. «Magari ritorno con Nicolas, che ne dici?»
«Certo, perché no.»
Sorride e non dice nessun'altra parola. Meglio non forzare le cose, mi parlerà quando si sentirà pronta, per il momento va bene così.
***
Nicolas sembrava così distaccato, capisco che debba fingere di non provare nulla per me, però non mi ha rivolto nemmeno uno sguardo, né mi ha dato modo di dirgli che oggi pomeriggio passiamo a prendere Mary. Ora sono insieme a lei, percorrendo un po' di strada insieme, al ritorno da scuola. Non ha ancora detto una parola, riguardo ai motivi per cui non ha dormito. Ne approfitto del silenzio e telefono Nicolas.
«Rose, dimmi.» risponde quasi subito.
«Ehi! Ti ho chiamato per dirti che oggi pomeriggio passiamo a prendere Mary e...»
«No, mi dispiace» mi interrompe. «oggi non posso accompagnarti al lavoro.»
Mi acciglio e Mary nota immediatamente la mia espressione.
«Perché?»
«Devo portare la macchina a revisionare.»
«E non puoi farlo dopo avermi accompagnata?»
«No!» risponde secco. «Scusami, ma proprio non posso.»
«Va bene...»
«Scusami, davvero.»
«Fa niente... ciao.» riattacco, senza dargli tempo per salutarmi.
Se non l'avessi telefonato mi avrebbe dato buca? Perché non dirmelo subito?
«Che succede, ha detto di no?» chiede Mary.
«Ha detto che non può, ha da fare.»
«Uhm...»
«Perché quel verso?»
«Quale verso? Comunque sono arrivata.» Perché è così strana? «Se non dovessi lavorare, ti avrei chiesto di restare da me.»
«Lo so. Ci vediamo domani.» le do un abbraccio e proseguo da sola verso casa.
Durante il tragitto non faccio altro che pensare a Nicolas e al modo in cui si è comportato. Mi ha un po' delusa e mi dispiace tantissimo. Ma ora è inutile pensarci, devo sentire Michael e chiedergli se può darmi un passaggio, altrimenti dovrò farmela a piedi e non so quanto mi convenga.
Nicolas
Mi sono comportato in modo pessimo, potevo risponderle in modo più educato, invece ho di nuovo ripercosso la mia tensione su di lei. Perché sono così stronzo? Le ho mentito di nuovo e proprio non se lo merita. Dal tono di voce ho capito che ci è rimasta male, ma come potevo dirle che devo vedermi con un'altra donna? Non so più in che altro modo scagionarmi, mi sento un vero verme.
Sono appena arrivato al parco e vado a sedermi sulla panchina di fronte alla fontana. Oggi fa freddo, anche se non è ancora arrivato l'autunno. Le giornate si stanno accorciando e gli alberi cominciano a perdere qualche foglia. Afferro il cellulare, deciso a scrivere un messaggio per Rose, ma proprio mentre sto per farlo, il mio sguardo viene attirato da Marika. I miei occhi si illuminano e non posso fare a meno di sorridere. Marika viene verso di me e mi alzo prontamente. Mi accovaccio e allargo le braccia, sorridendo ancor di più.
«Papà!» urla il bambino felice al suo fianco, correndo tra le mie braccia.
«Piccolo mio.» dico, stringendolo più forte del solito. Sono emozionatissimo, non lo vedevo da settimane e ciò lascia cadere una lacrima dai miei occhi. Marika resta in silenzio e sorride a sua volta. Mi tiro su con mio figlio tra le braccia e la saluto, con due baci sulle guance. «Grazie per averlo portato.»
«Dovevo, è tuo figlio.»
«Papà, giochiamo a rincorrerci?» chiede il piccolo.
«Certo!» sorrido e lo metto giù, cominciando a correre.
Quando avevo vent'anni ho conosciuto Marika, ancora diciassettenne, convinto che fosse la donna della mia vita. Frequentavo il secondo anno al college ed era la figlia del rettore, la scuola apparteneva a lui. Eravamo davvero innamorati, ma i suoi genitori ci hanno sempre ostacolato, dato che erano ricchi ed io un semplice ragazzo che viveva in una piccola casa con i propri nonni. Speravano in un uomo migliore per la loro unica figlia. Ricordo ancora tutti gli inganni architettati da loro per farci lasciare, ma noi continuavamo a vederci di nascosto, fino a che, due anni dopo, rimase incinta. I suoi genitori erano davvero furiosi appena lo seppero e volevano che lei abortisse ad ogni costo, ma si rifiutò. Così ne pensarono un'altra per dividermi da lei; la costrinsero a frequentare un altro ragazzo del suo rango e prima che nascesse il piccolo, lo sposò. Ricordo le mie suppliche verso di lei, per convincerla a scappare con me, ma si rifiutò, scegliendo una vita dignitosa e ricca. I soldi ebbero la meglio e a lei andava più che bene. Da allora non ci siamo più rivisti e ho potuto vedere Thomas solo due anni dopo la sua nascita, quando seppi che lei e quel tipo avevano divorziato. Ma ciò cambiò le cose tra di noi, la odiavo per quello che mi aveva fatto, mi aveva proibito di vedere mio figlio ed essendo di umili origini, non potevo permettermi un avvocato. Ci vedevamo una volta al mese e per me era davvero poco, volevo più tempo con Thomas. Ora è diverso, certo, non ci vediamo tutti i giorni, ma una settimana al mese. Oggi è il suo compleanno, ha compiuto otto anni e non potevo lasciarmi sfuggire l'occasione di vederlo.
«Sei lento, papà.» mi prende in giro.
«Sono vecchio.» ironizzo e continuo a rincorrerlo.
Michael
Rose mi ha appena inviato un messaggio per chiedermi se posso accompagnarla al lavoro, quel coglione del suo ragazzo deve averle dato buca e ciò mi fa incazzare tantissimo. Mi chiedo perché continua a restare con quel vecchio e a farsi trattare così. Mi dispiace non averle risposto, ma in questo momento non mi va proprio di tornare a casa e non saprei che scusa inventarmi. È più di un'ora che giro in macchina, senza sapere dove andare, ho solo tanta voglia di piangere. Mi manca così tanto, ma talmente tanto che ho una voragine nel petto. Sono stato davvero un cretino a lasciarla andare così e vorrei tanto rimediare ai miei errori. Qualcosa mi dice che l'ho persa per sempre e non so più cosa fare. L'ho trattata male, lasciandomi sopraffare dalla stupida gelosia e non lo meritava affatto. Ora vivo di rimpianti e dolore, non c'è nulla che possa fare. Ha rifiutato tutte le mie chiamate e non risponde più ai messaggi. Ormai mi odia ed è più che comprensibile. I miei pensieri vengono interrotti, non appena vedo un bar sulla mia destra. Decido di parcheggiare la macchina e raggiungerlo. Varco la soglia e mi siedo sullo sgabello di fronte al bancone. Ordino una doppia vodka e appena arriva la scolo tutta d'un fiato. Ne ordino ancora altre due, bevendo come un vero ubriacone, fino a che non sento la testa girare. Era l'unico modo per smettere di pensare. Non so per quanto sono rimasto seduto qui, ma sarà meglio tornare a casa, sperando di arrivarci. Esco dal bar, barcollando, mi è persino venuto in mente l'idea di gettarmi sotto ad una macchina. Comincio a ridere come un idiota, attirando l'attenzione di qualche passante, ma non me ne frega nulla. Riesco a raggiungere la mia macchina, ma non riesco ad infilare le chiavi per aprire la portiera. So già che se mi metto al volante in questo stato, andrò contro morte certa. Rido di nuovo, fino ad inciampare e finendo col culo per terra. Rido ancora e ancora, e ancora.
«Michael? Che ci fai lì per terra?» una voce a me familiare mi fa sussultare. Cerco di alzarmi ma non ci riesco, allora la ragazza si accovaccia accanto a me, porgendomi la sua mano. La vedo chiaramente, è Jenna. Quanto avrei voluto che fosse la mia piccola Mary, ma purtroppo non è così. Afferro la sua mano e mi aggrappo a lei. «Cosa ti è successo?»
«Ho solo bevuto troppo.» rispondo con voce roca e comincio a ridere di nuovo.
Lei scuote la testa e alza gli occhi al cielo, dopodiché mi sfila le chiavi dalle mani, aprendo lo sportello della mia macchina.
«Ti sei ridotto proprio male.» dice con un mezzo sorriso.
«Ti preoccupi per me, bambolina?» le chiedo, talmente vicino che i nostri nasi si sfiorano.
«Che puzza d'alcol.» si lamenta, disgustata. Con fatica, riesce a spingermi in macchina, mentre lei sale al lato del guidatore. Mi accarezza una guancia, un gesto che non rifiuto e poi mi guarda comprensiva. «Cosa ti è successo?»
Non so se è per via dell'alcol, ma mi sembra molto carina e gentile, come non lo è mai stata.
«Niente.» rispondo prontamente, dopodiché mi appare il volto di Mary.
Con fare veloce, mi avvicino a lei e poggio le mie labbra sulle sue. Per un attimo si lascia baciare, poi d'un tratto mi spinge via, irritata.
«Ma cosa fai?» quasi urla, dopodiché afferra il mio viso tra le mani e mi bacia a sua volta.
Jenna
Continuo a baciarlo, anche se è ubriaco e so che è questo il motivo che l'ha spinto a farlo per primo, ma non mi importa, aspettavo da anni questo momento e voglio viverlo più che posso. Siamo in mezzo alla strada e decido che è meglio fermarlo, dobbiamo trovare un posto più appartato e approfittare di questa occasione. Mi allontano da lui, sentendolo lamentarsi e metto in moto.
Ho raggiungo un parcheggio deserto di una vecchia piscina e mi fermo, in attesa di un suo gesto. Ma lui resta immobile e con lo sguardo spento, così passo all'azione. Gli sbottono i jeans, sperando di non essere rifiutata. Ciò non accade, allora vado oltre, tirando fuori il suo pene e meravigliandomi del fatto che sia duro. Vuol dire che non gli sono indifferente. Non posso credere di stare per fare qualcosa con lui, dopo tutto questo tempo, dopo gli anni che ci hanno separato. Lo prendo in una mano e comincio a farlo scivolare tra di essa. Lo sento gemere appena e farfugliare parole senza senso. Non mi importa, voglio spingermi ancora più oltre, ora che posso. Mi chino e lo faccio entrare nella mia bocca, succhiando forte. Michael geme e mi tiene la testa, incitandomi ad andare più veloce e più a fondo.
«Oh, sì, così, piccola Mary.» dice, spiazzandomi. Mi fermo per un attimo, delusa. «Continua, ti prego.»
«Ti piace?» chiedo col cuore che va a mille e con la delusione nella voce.
«Sì.» risponde ad occhi chiusi.
Perché non riesce a dimenticare quella troia?
«Mary si è mai spinta così oltre con te?» gli chiedo, prima di ricominciare.
«Ti amo tanto.» bofonchia.
E so benissimo che quelle parole non sono riferite a me, ma trattengo la rabbia, evitando di parlargli, poi continuo ciò che stavo facendo. Geme sempre di più e allora decido di fermarmi, non voglio che venga in questo modo. Allungo la mano verso il suo sedile e lo faccio reclinare. Senza pensarci oltre, mi metto a cavalcioni su di lui e attendo una sua reazione, che non tarda ad arrivare. Le sue mani si posizionano sulle mie natiche, spingendomi contro la sua erezione. Cerco di sfilarmi i collant, ma improvvisamente afferra le mie mani e mi scaraventa sull'altro sedile, guardandomi malissimo. Poi le lacrime gli rigano il viso e non posso fare a meno che rattristarmi a mia volta. Gli poso una mano sulla spalla, ma si ritrae immediatamente.
«Michael...»
Non mi degna di una parola e continua a piangere, senza fermarsi. Deve stare davvero male e mi rendo conto di non poter continuare. Come avrei voluto che quelle lacrime fossero state per me. Poggia la testa contro il vetro, scivolando in un sonno profondo.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top