Parte 14 ~ La salvezza


Quando il portale si aprì, Psiche fu investito da un tale senso di meraviglia che la sua testa si svuotò di ogni pensiero. Il castello solleticava tutti i suoi sensi. La vista era appagata dalle pareti di cristallo e dalle guglie, ornate in maniera tanto dettagliata da sembrare ricami di ghiaccio, dai colori e dalle forme dei fiori; l'olfatto dagli effluvi di rose, mirto, gigli, iris, e tanti altri esemplari che Psiche non conosceva. Poi c'era l'udito, soddisfatto dal dolce cinguettio degli uccelli, ma anche da una musica dolce forse di arpa che proveniva da una delle stanze. All'ingresso del corridoio si apriva una lunga scalinata di marmo ai piedi della quale tavoli d'argento esibivano brocche colme di latte e di miele. Il tatto era rapito dai materiali che Psiche incontrava lungo il tragitto. Le sue dita curiose e irriverenti, come sotto l'influsso di una magia alla quale era impossibile resistere, correvano sugli arredi, sul vasellame prezioso, sui petali morbidi delle rose con cui le stanze erano ornate. Eros lo lasciava fare, e Psiche si domandò se non facesse tutto parte di un piano per blandirlo, abbattere le sue difese e poi colpirlo. Ma adesso sapeva perché il castello di Eros su cui tanti si favoleggiava era detto ilo castello delle delizie.

«Mai nessun umano ha varcato la soglia di questo luogo per poi serbarne memoria», Eros gli sussurrò, dietro di lui, all'orecchio.

Il suo fiato caldo lo fece sobbalzare, ma allo stesso tempo, proprio come quando dormivano nella grotta, accelerò i battiti del suo cuore, arrossò le sue gote. Eros lo condusse al primo piano. Tutte le pareti erano di cristallo e da ogni punto era possibile ammirare i giardini. Da quell'altezza Psiche si accorse che la disposizione dei fiori non era affatto casuale, ma che dall'ingresso del palazzo fino ad arrivare al portone di accesso alle stanze si susseguivano aiuole ben delimitate, ognuna con fiori differenti, da quelli più semplici fino ad arrivare al bellissimo roseto di rose bianche e rosse. La passione unita alla purezza del sentimento. Psiche aveva letto qualcosa su come ogni fiore simboleggiasse un tipo di amore. Sua madre aveva cercato di insegnarglielo quando durante le feste dedicate alla dea Afrodite preparava mazzi di fiori per sacrificarli sul suo altare e adorarla. Psiche in quei momenti si distraeva volutamente: non voleva ascoltare qualcosa che non lo avrebbe mai riguardato. A lui il destino aveva riservato u volto tanto bello da no poter essere amato, se non di un amore timoroso e pieno di lussurioso. Sempre amante, mai sposo.

«Cosa c'è?», Eros lo riscosse. «Vieni», fece un cenno a un divanetto di marmo su cui ci si poteva sedere per ammirare il panorama.

«Perché tua madre mi odia? Possibile che sia solo per il mio aspetto? Possibile che ne sia tanto offesa?»

Eros posò l'indice sulle sue labbra. Gli occhi verdi si adombrarono. «Temo che il giovane in cui tu hai suscitato sentimenti amorosi e che ha osato paragonarti a lei abbia decretato la tua condanna. Non escludo che forse si era incapricciata con lui».

Psiche reclinò il capo all'indietro in una risata amara. Non osò chiedere quale punizione avesse riservato Afrodite a quel giovane. Un ragazzo gentile ma che non gli aveva fatto battere il cuore quando si era avvicinato e aveva premuto le sue labbra contro le sue. Invece, il solo tocco delle dita di eros gli incendiava la pelle. Che destino crudele le Moire gli avevano riservato.

Eros spostò le dita e le passò sulla sua guancia. La luce che inondava il palazzo giocava con i suoi capelli dorati e persino con il colore de suo occhi. Psiche non aveva mai visto niente di più bello. Era in errore chiunque credesse che il suo volto fosse speciale o, evidentemente, non si era mai trovato di fronte il dio dell'amore. Afrodite, certo, lo perdonava perché era divino, e poi era sua figlio. Psiche indugiò in quel contatto, sentì le dita calde di Eros contro la sua pelle. Desiderò, per un attimo dimentico della sua famiglia e dei suoi guai, che il momento fosse eterno. Ma a un umano non era destinata l'eternità.

«Vorrei che rimanessi qui per un po'. Fino a quando non convinco mia madre che averti risparmiato è stata la cosa giusta da fare», Eros disse.

«Qui? Non sono degno». Psiche abbassò lo sguardo, ma un lampo accese gli occhi smeraldo che lo fissavano.

«Sei degno di questo e altro. Ti ho osservato per un po' prima di trascinarti via, ho visto come aiuti i tuoi fratelli, nonostante loro ti trattino con sufficienza, come ascolti tua madre, come ti piace immergerti nella natura, bagnare il tuo corpo on l'acqua fresca del lago. E poi... il modo in cui accarezzi i tasti del piano».

Psiche si sentì andare a fuoco. Aveva visto anche questo dunque? Sapeva che non si poteva sfuggire agli occhi degli dei, ma non si sarebbe mai immaginato che qualcuno ascoltasse la sua musica. «Non avresti dovuto». Strinse le labbra. Il giudizio di Eros gli importava più di quanto volesse.

«Sei molto bravo, pochi sanno suonare come te, con tanta dedizione, tecnica e sentimento».

«Menti. Stai cercando di abbassare le mie difese», Psiche disse. Vide il sorrise scomparire dalle labbra del dio e si odiò.

«Sbagli. Prima di incontrare te il mio cuore era arido. Adesso tutto è cambiato». Eros avvicinò le sue labbra, il suo profumo inebriò Psiche. Sentì il cuore martellare nel petto, nelle tempie, e fu incapace di muoversi. Le sue labbra si schiusero guidate dall'istinto, come se non avesse aspettato altro tutta la vita. Eros ne approfittò per affondare la lingua, per esplorare la sua bocca. Poi lo attrasse a sé con le braccia, infilò una mano tra i suoi capelli. Un gemito scappò dalle labbra di Psiche. L'amore di un dio poteva essere fatale per un umano, gli avevano sempre detto, e allora perché si sentiva così bene? Perché desiderava che Eros non lo lasciasse più?

Si ritrovò affannato quando le labbra del dio si allontanarono, come se gli avessero portato via qualcosa che non sapeva gli appartenesse.

«Mi dispiace», Eros cominciò, «non avrei dovuto. Non voglio che tu ti senta obbligato».

«No, io...» Non sapeva neanche lui cosa dire. Era confuso e mille pensieri si affollavano nella sua mente. Per quanto tempo sarebbe rimasto lì? Eros era davvero chi diceva di essere? Se fosse rimasto lì con lui sarebbe stato costretto ad acconsentire a ogni suo desiderio?

Eros si alzò con una mossa repentina. «Andiamo, ti mostro una cosa».

Psiche lo seguì senza dire nulla. Il mantello prezioso di Eros frusciava a ogni suo passo conferendogli la regalità che solo un dio possiede. Si fermarono al secondo piano dopo aver imboccato un lungo corridoio che portava all'ala occidentale della casa. Psiche si accorse subito che la luce che inondava il resto del castello lì era assente. Eros spalancò una porta. Psiche poté distinguere quando i suoi occhi si abituarono all'oscurità soltanto i profili di un letto baldacchino, di un divanetto , di un tavolo su cui sembravano esserci dei soprammobili, senza dubbio preziosi come quelli che aveva visto nelle altre sale del palazzo.

«Qui neanche Selene e le sue ancelle osano affacciarsi», Eros spiegò.

Nella stanza aleggiava il solito profumo di mirto e di rose. Psiche strinse la stoffa della sua camicia. «È la mia prigione?», domandò in un sussurro, «è il luogo dove permetterai a Kakia di venire a prendermi?»

Si sentì afferrare per le spalle. Nell'oscurità a distinguersi perfettamente erano gli occhi smeraldo del dio, e adesso erano accesi di indignazioni. «Ti ho portato qui perché lui non potesse toccarti. Non dirlo mai più».

«A cosa serve questa stanza?»

«Non potrò mai stare in tua presenza con il volto scoperto. Tutto ciò che faremo insieme lo faremo senza che tu possa guardare il mio viso. L'unica eccezione sarà in questa stanza buia, solo qui potrò liberare il mio volto dalla maschera, tu potrai toccarlo, ma mai vederlo».

Psiche si domandò quante altre regole ci fossero da seguire in un castello divino, e una punta di diffidenza offuscava il dolce sapore che il bacio di Eros gli aveva lasciato sulle labbra.

«So quello che stai pensando», Eros disse.

«Il dio dell'amore legge anche nella mente degli uomini?»

La risata di Eros riecheggiò per la stanza. «No, ma non è difficile con te, e poi chiunque nella tua situazione sarebbe in difficoltà. Devi fidarti del figlio di chi voleva la tua rovina».

«Già...» Psiche avanzò nella stanza. Le dita sfiorarono il divano dal tessuto morbido, le tende delicate. Il buio poteva essere anche un alleato, non solo fonte di paura e incertezze. Se il suo volto fosse stato avvolto dall'oscurità, nessuno lo avrebbe paragonato ad Afrodite, e lui non avrebbe dovuto incontrare tante difficoltà.

«Ti attenderò qui tra due notti. Se non verrai capirò che hai lasciato il castello».

«E dove potrei andare?», Psiche pensò ad alta voce.

Eros non disse nulla e al buio della stanza si aggiunse il silenzio.

Psiche capì che qualunque fosse stata la sua scelta ad attenderlo c'erano nemici, un dio che lo attraeva pericolosamente e un destino incerto.

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