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-Ho un dolore al culo che nemmeno...-

Gennaro sussultò nell'udire quelle parole e gli sfuggì di mano la bretella del suo zaino, e quello cadde sul pavimento con un tonfo. Guardò prima Francesco, poi lo zaino, rivolgendo al primo un'occhiataccia e al secondo uno sguardo colmo di panico.

-Il PC...- mormorò, sedendo sui talloni, muovendosi a ispezionare il suo portatile, per assicurarsi che la caduta non avesse causato danni.

-E il mio sedere?- piagnucolò Francesco e l'altro lo fissò in tralice, mentre lo schermo del PC si accendeva, proiettando sul suo volto glaciali fasci di luce azzurrognola.
-Poi ti passa- borbottò Gennaro, riponendo il portatile nello zaino e alzandosi dal pavimento, pronto per uscire e recarsi a lavoro.

Quanto accaduto la notte prima gli sembrava frutto di un sogno, il tiro mancino della propria mente che stava lì a creare illusioni soltanto con l'intenzione di prendersi gioco dei suoi sentimenti.

"Ma è successo davvero" si disse con un sospiro, fissando l'altro in tralice.

-Forse...- disse Francesco, facendoglisi vicino, accarezzandogli il centro della schiena con una mano e poggiando il mento su una sua spalla, trovandosi così a un palmo dalle sue labbra. -Forse... con la pratica- soffiò con malizia, concludendo quella sua frase con un morbido bacio.

Gennaro chiuse gli occhi, gustando le sensazioni incredibili che quella situazione gli stava suscitando: "Ti stai illudendo ancora. Non state insieme!" si disse.

-Buona giornata- gli augurò Francesco, compiendo un passo indietro e Gennaro rimase a fissarlo per un paio di secondi, in silenzio. Poi si leccò le labbra e gli sorrise.
-Uhm. Vedi te se riuscirai a passare una buona giornata, credo che la signora Costanza sia in assetto da guerra...-
-Cosa?!- lo interruppe l'amico, sgranando gli occhi, e l'altro rise.

-La sentivo urlare stamattina contro il marito che avrebbero dovuto chiamare il signor Raisi...-
-Il nostro proprietario di casa?-
-Proprio lui!-
-Perché?-
-Quante case ha in affitto, Raisi, qui?- gli chiese di rimando Gennaro e Francesco aggrottò la fronte.
-Una. Questa-
-Ecco, appunto-

Francesco si lasciò sfuggire un gemito di dolore.

-Se ci sfratta è colpa tua!-
-No, tua, e del tuo dannato stereo!- ribatté Gennaro con un sorrisino e l'altro lo fulminò con lo sguardo.
-Se decide di venire oggi per parlare e...-
-In bocca al lupo!-
-Genna'! Non puoi lasciarmi da solo in questo casino!-
-Oh, sì che posso, tesorino mio bello, vado a lavoro!-

Francesco arrossì furiosamente, confuso ed entusiasta, allo stesso tempo, a causa del vezzeggiativo con cui l'altro gli si era rivolto.

-Da bravo avvocato civile senza lavoro... difenderò i nostri diritti!- disse con espressione risoluta, poi diede un altro bacetto a Gennaro e, contemporaneamente, una pacca al suo sedere. -Buon lavoro- aggiunse, mentre l'altro lo fissava basito. -E chiudi la bocca altrimenti ci finiscono dentro le mosche- concluse, arrossendo sotto lo sguardo incantato con cui lo stava fissando il suo amante, così lo spinse fuori di casa, ponendo fine a quel momento tanto imbarazzante.

Una volta chiusa la porta, si poggiò contro di essa, lasciandosi scivolare sul pavimento e nascose il viso dietro le palme delle mani. Si trovò a ridere, a rabbrividire e batté le piante dei piedi nudi contro il pavimento, sentendosi colmo di una gioia scoppiettante.

Si alzò da terra con l'intenzione di sistemare un po' casa e poi rassegnarsi a trascorrere il resto della mattina davanti al proprio portatile, passando il tempo a cercare un lavoro e inviare curricula.

Non erano trascorsi nemmeno cinque minuti da quando Gennaro era andato via, era riuscito solo a indossare le pantofole e sistemare il portatile sul tavolo in soggiorno, che qualcuno suonò al campanello di casa e Francesco incominciò a imprecare, pregando che non si trattasse proprio del padrone di casa, pronto a mettere nero su bianco lo sfratto con cui li minacciava già da un po'.

Era una questione di principio: se il signor Raisi avesse deciso di sbarazzarsi di loro, Gennaro glielo avrebbe rinfacciato a vita. Il giovane viveva in quell'appartamento da quasi tre anni e non aveva mai avuto problemi, finché Francesco non si era trasferito da lui.

Sapeva di essere un casinista per natura, ma aveva ottimi gusti musicali: "Dovrebbero ringraziarmi per i concerti gratis!" si disse, mentre si apprestava ad aprire la porta, borbottando come una pentola a pressione.

-Ciao- disse Raffaele e Francesco richiuse subito la porta. Il cuore gli balzò in gola e fece ciò che avrebbe dovuto fare prima di aprire, ma che non aveva fatto, e cioè guardare attraverso lo spioncino e sì, non c'erano dubbi sull'identità del suo ospite: era proprio Raffaele.

Si umettò le labbra, mentre l'altro si attaccava al campanello con un dito.

Francesco tornò ad aprire la porta, fissando il suo ex con astio, poi rivolse uno sguardo in tralice verso la sua mano, finché l'altro allontanò il dito dal pulsante e smise di suonare.

-Ricominciamo da capo- disse Raffaele e l'altro incrociò le braccia sul petto, assumendo un'espressione ostile. -Ciao- ripeté il giovane e Francesco sbuffò.
-Che vuoi?- gli chiese senza alcuna cordialità.
-Dai, Franci, fammi entrare. Ho bisogno di parlare con te-
-Io no-
-Non vuoi sapere perché sono qui?-
-Non mi interessa particolarmente. Posso anche morire senza problemi portandomi questo dubbio nella tomba-
-Sul serio?- gli chiese Raffaele, sollevando un sopracciglio con fare scettico.

"No" si rispose Francesco e sospirò mestamente, ma poi poggiò una spalla contro lo stipite della porta, ostinandosi a non fare entrare il suo ex in casa, "Se non è iella questa! Torna giusto ora che ho fatto l'amore con Gennaro" si disse e si sentì arrossire, mentre il suo cuore batteva un po' più forte, "Ora capisco cosa intendeva dire quando mi ha detto che per lui non sarebbe stato solo sesso".

-Franci?- lo richiamò Raffaele, notando l'altro distratto. Francesco scrollò le spalle e tornò a guardare il suo ex. Era passato troppo poco tempo perché non provasse più nulla nel trovarselo davanti, era ancora innamorato, probabilmente, anche se si sentiva arrabbiato, offeso e distante da lui.

Si prese qualche altro secondo per scrutare il suo volto e, conoscendolo, comprese subito che Raffaele era lì per fare ammenda e chiedergli scusa. Francesco si morse un labbro scorgendo nei suoi occhi scuri la sua tipica espressione penitente. Raffaele si passò una mano tra i capelli, distogliendo lo sguardo da lui; era così in imbarazzo che sembrava non sapere cosa fare, infatti continuava a muoversi con fare impacciato, dondolandosi sui talloni, stringendosi le braccia intorno al busto, rivolgendogli occhiate furtive.

-Hai già messo una pietra sopra a noi due?- gli chiese e Francesco si sentì come schiacciare dal peso di una frana.
-Abbiamo passato l'ultimo anno a litigare- disse, non riuscendo più a ricambiare il suo sguardo.
-Vero. Perché tu non facevi altro che rifiutarmi-
-Non ti rifiutavo, Raffa, mi facevi male, è diverso- ribatté Francesco, con rabbia, tornado a guardarlo negli occhi, tanto furioso da avere come l'impressione di essere appena risorto dalle macerie che lo avevano fatto sentire seppellito dai sensi di colpa, pochi istanti prima.

-A me dispiace, ho sbagliato e lo so, ma come avresti reagito tu al posto mio?-
-Mi fai una domanda stupida, perché io ricordo il dolore, quindi ti posso dire benissimo che avrei aspettato. Per amore, mi sarei armato di tutta la pazienza del mondo...-
-Parli così solo perché non eri tu al mio posto- lo interruppe Raffaele, incominciando ad alterarsi a sua volta.
-Parlo così perché c'è chi ha saputo dimostrarmi quanto tu sbagliassi con me- ribatté Francesco, compiendo un passo indietro, pronto a chiudere la porta in faccia all'altro.

-Fammi indovinare: Gennaro ha vinto- disse Raffaele con fare sprezzante e Francesco spalancò gli occhi, furioso, trattenersi a stento dal picchiare il suo ex.
-Io non sono il peluche premio di un tiro a segno! Vai a farti fottere da qualcun altro, Raffa. Non voglio vederti mai più- sibilò e chiuse la porta, senza dargli tempo di rispondere.

Si sentiva ferito e arrabbiato, gli occhi gli si colmarono di lacrime; avrebbe voluto urlare, ma si limitò a dare con calcio contro la porta e per fortuna che, quella volta, indossava le pantofole.

-Stupido! Stupido e stronzo!- disse al nulla e si interruppe nello sproloquiare offese nei confronti del suo ex soltanto quando si accorse che il cellulare aveva iniziato a squillare. -Pronto?- disse, asciugandosi gli occhi con il dorso di una mano, fregandosene della propria voce tremula. Non aveva visto chi fosse il chiamante, ma, in quel momento, non gliene importava granché.

-Salve, la chiamo dal Policlinico Sant'Orsola. Questo era il numero corrispondente al primo tasto di chiamata veloce. Con chi parlo?-

Francesco si sentì raggelare e scostò il cellulare dall'orecchio per visualizzare lo schermo, ma lesse soltanto la scritta "privato".

-Per conto di chi mi sta chiamando?- domandò con un filo di voce, tornado a parlare con la donna dall'altro capo del telefono, anche se temeva di conoscere già la risposta.

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