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L'aria nella stanza era diventata insopportabile. Gennaro aveva persino tentato di aprire la portafinestra che dava sul balcone, le porte e le finestre delle altre stanze, nel tentativo di permettere un ricambio d'aria, ma Nicola si era subito lamentato, accusandolo di stare attentando alla sua salute. Così il giovane si era trovato costretto a chiudere di nuovo tutto e convivere con il profumo nauseabondo di Nicola che, ormai, gli si era attaccato in testa, trasformandosi in un'emicrania tale da rendergli ballerini agli occhi i caratteri dello schermo del PC, da mutare le sue percezioni, che si erano fatte lente e poco lucide.

Non vedeva l'ora di concludere quella relazione e sbarazzarsi di Nicola, ma desiderava anche che il progetto a cui stavano lavorando venisse accettato dall'Istituto per la diagnostica nucleare di Napoli: era il suo obiettivo già da diversi mesi, da quando aveva ricevuto quella proposta e non aveva alcuna intenzione di perdere un'opportunità tanto grande.

Soprattutto non per colpa di un mal di testa causato dal profumo di Nicola; gli sembrava una motivazione così stupida e insoddisfacente per giustificare un eventuale fallimento.

I suoi pensieri vennero interrotti di colpo da una porta che batteva e Gennaro sussultò e aggrottò la fronte.

-Hai lasciato la via per l'Alaska aperta?- gli chiese Nicola con fare canzonatorio, rabbrividendo ancora per il freddo entrato in casa poco prima.
Il giovane aprì bocca per ribattere, ma poi vide Francesco palesarsi sulla soglia del soggiorno e la richiuse subito, sgranando gli occhi per lo stupore.
-Ciao...- disse, sorprendendosi a guardare l'amico come un assettato fa nello scorgere un'oasi nel deserto.

Gli era mancato. Era stato via soltanto pochi giorni, eppure gli era mancato. Si era trovato costretto a convivere con quel silenzio innaturale, con il solo rumore delle posate a sfregare contro la superficie del proprio piatto. Niente frecciatine, niente scintille. Niente tentativi maldestri di innescare litigi. Il bagno libero ogni mattina. Niente caos sul tavolo da pranzo al rientro dal lavoro. Gli era mancato persino cucinare e percepire la parete e gli utensili tremare a causa del riverbero causato dal volume allucinante del suo stereo – anche se erano settimane che Francesco non lo accendeva più.

Gli era mancato vedere la sua figura muoversi in giro per casa, il suono della sua voce, il profumo della sua pelle. Scontrarsi con i suoi occhi e farsi deviare i pensieri dalla linea sensuale delle sue labbra. E tutto quello lo travolse come una frana proprio in quell'istante, lasciandolo senza fiato.

-Credevo che saresti tornato dopo il weekend- mormorò, con la salivazione azzerata e le parole che gli si attorcigliavano in bocca. Francesco aggrottò la fronte e i suoi occhi azzurri si colmarono di una rabbia bruciante. Gennaro scattò subito in piedi, ma l'altro gli aveva già dato le spalle e si dirigeva verso la sua camera da letto con passo marziale.
-Scusate il disturbo!- tuonò e chiuse la porta con violenza dietro di sé e in seguito si udì persino il rumore della chiave che girava nella serratura.

-Te ne devi andare- disse Gennaro rivolgendosi a Nicola.
-Cosa?!- domandò quello allibito. -Dobbiamo finire 'sto lavoro di merda!-
-La finisco io, la relazione. Ci metto pure il tuo nome, ovvio, non devi dubitarne, e la chiudiamo qui. Ma te ne devi andare, adesso, per favore-
Nicola, sconvolto, lo fissò come se al collega fosse spuntata all'improvviso una seconda testa. Non lo riconosceva, Gennaro si stava comportando in un modo che non gli apparteneva, ma se gli assicurava di apporre anche il suo nome a quel progetto, dopo i mesi sprecati a lavorare alla parte pratica gomito a gomito, era ben disposto a lasciare che se la sbrigasse da solo nel completare la stesura della relazione. 
-Okay- disse il giovane e, in fretta e furia, sentendosi quasi un ladro, recuperò le proprie cose e uscì da quella casa.

La primissima cosa che Gennaro fece, appena il collega andò via, fu aprire di nuovo porte e finestre e permettere così al suo profumo di abbandonare l'appartamento.

Poi corse in direzione della camera di Francesco e iniziò a picchiare contro la porta, urlando il suo nome con tutto il fiato che aveva nei polmoni.

Francesco sobbalzò spaventato mentre la voce dell'amico gli arrivava attraverso le cuffie e la musica a tutto volume che stava ascoltando in solitaria, seduto al centro del suo letto, di nuovo in lacrime, con l'orribile presentimento di avere sorpreso Gennaro con la sua ennesima conquista.

-Apri questa dannata porta!- urlò l'amico e Francesco scosse la testa.
-La signora Costanza chiamerà la polizia, stavolta! Smettila, cretino!- gli rispose con altrettanto ardore.
-Non me ne frega un cazzo di nessun altro! Apri questa porta o giuro che la butto giù!-

Francesco si liberò delle cuffie, districandosi dal filo, e saltò giù dal letto, avvicinandosi alla porta con titubanza.

-Non oserai- disse con voce più pacata e l'altro batté un altro pugno contro la porta.
-Non sono così melodrammatico- ribatté Gennaro a mezza voce e Francesco poggiò un orecchio contro la porta per sentirlo meglio, dato che aveva smesso di urlare.
-Stai facendo spettacolo- lo rimproverò.

Gennaro, dall'altro lato, nel corridoio, sapeva che l'amico aveva ragione. Non era nel suo stile reagire a quel modo, ma l'idea che Francesco lo avesse frainteso di nuovo, trovando un "rivale" persino in Nicola, lo aveva mandato fuori di testa.

"Come è possibile che mi creda capace di farmi andare bene chiunque? In pratica dovrei trasferirmi sulla luna per evitare di ingelosirlo" si disse infastidito, ma poi scosse la testa, "Di che lo biasimo? C'ho giocato troppo con questa cosa. L'ho portato io a reagire così per ogni persona che ho accanto" ammise e tentò di calmarsi.

-Mi dispiace, hai ragione, scusami- disse e Francesco spalancò la porta di colpo. Gennaro dovette farsi violenza, piantandosi le unghie nei palmi di entrambe le mani per evitare di saltargli addosso.

-Lo so che ho ragione. Ho ragione su tutto! Nell'ultimo periodo hai dato il peggio di te! Anzi! Sono anni che dai il peggio di te e io mi faccio andare tutto bene solo per stare con te!- tuonò Francesco e l'altro fece un passo indietro, colpito dall'ira che trasudava dalle sue parole.
-Non esageriamo, adesso...-
-Sul serio? E non hai esagerato tu che hai cercato di rendermi a tua immagine e somiglianza della perfezione in questi anni?! Di chi cazzo ti sei innamorato se poi tutto quello che sono ti fa incazzare?-
-Io non ho cercato di cambiarti...- protestò Gennaro, ma l'altro non lo fece neanche finire di parlare.

-Hai cercato di farmi crescere, giusto!- urlò Francesco, mettendolo a tacere. -Perché sono un casinista del cazzo, perché sono infantile, perché sono questo e quello... e allora che differenza c'è tra te e Raffaele, me lo spieghi?!-
-Sei tornato con lui e stai cercando di mandare a puttane pure la nostra amicizia perché abbiamo fatto sesso?- gli chiese Gennaro, mentre la rabbia riempiva anche il suo petto all'idea che quella sua ipotesi potesse corrispondere alla realtà dei fatti.

-Sei tu quello che ha fatto finta di dimenticarsi della nostra prima volta!- disse Francesco e la sua espressione si incrinò, la rabbia venne meno e rimase solo una tristezza infinita, i suoi occhi si riempirono di lacrime e il cuore di Gennaro si strinse, diventando piccolo e dolorante.
-Mi dispiace, hai ragione...- mormorò.
-Non sono tornato con Raffa. E non sono tornato qui per te-
-Che significa?-
-Significa che ti amo, ma sono qui solo per sistemare le mie cose. Arrivati a questo punto... preferisco tornare a Salerno- gli rispose Francesco con voce tremula e fece un passo indietro. -E smettila di sognare, perché io e te non siamo più amici da chissà quanto tempo-

-Ma che stai...-
-Ci siamo impegnati così tanto a sopprimere i nostri sentimenti e a mantenere le distanze dall'amore...- Francesco scosse la testa e tirò su col naso. -Che abbiamo finito per allontanarci anche come amici e neanche ce ne siamo resi conto- aggiunse in un sussurro e tornò a chiudersi nella sua stanza, ponendo fine alla loro discussione.

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