25

Raggiunto l'amico nel soggiorno, che, nella loro piccola abitazione, fungeva anche da sala da pranzo, Francesco non poté fare a meno di sentirsi ancora a disagio, tanto che evitò con ogni mezzo a propria disposizione di incappare nel suo sguardo.

L'aria che tirava non era delle migliori e Gennaro lo comprese subito, infatti preferì mettere da parte il proprio entusiasmo e cercare di studiarlo, di modo da capire cosa aveva provocato in lui la lettura della lettera di Raffaele.

In quel momento si pentì di non averla letta a sua volta, anche solo per avere indizi riguardo una possibile reazione negativa o positiva di Francesco alle parole del suo ex: Raffaele si era scavato definitivamente la fossa? Oppure aveva messo insieme un poema in grado di fare breccia nel cuore del suo innamorato? Lo amava ancora? Gennaro non sapeva quali erano i sentimenti di Raffaele - non lo aveva mai saputo, non erano mai stati amici - e quindi non era nemmeno in grado di immaginarsi il contenuto della lettera.

Sapeva soltanto una cosa: Francesco era una creatura preziosa, una per la quale lui sarebbe stato in grado di fare qualsiasi cosa pur di riconquistare il suo cuore, se si fosse trovato al posto di Raffaele.

-È andata bene oggi? Hai dato un'occhiata a degli annunci di lavoro?- chiese Gennaro di punto in bianco, quando il rumore delle posate che sfregavano contro la superficie dei piatti era diventato un suono di sottofondo insopportabile.
Francesco si strinse nelle spalle, portandosi alle labbra una carotina lessa, addentandola con una smorfia.
-Credi che ci trasformeremo in conigli, prima o poi?- gli domandò di rimando con voce atona, indicando il contenuto del proprio piatto con un dito.

Gennaro incassò la provocazione e rimase in silenzio, bevendo un po' d'acqua per ricacciare indietro le parole acide che gli erano salite fino alla bocca. Non aveva voglia di litigare con lui, anche se Francesco pareva, invece, intenzionato a smuovere le cose tra di loro proprio a quel modo.

-Buttaci un po' di maionese. Con la maionese diventa tutto più buono- sibilò alla fine, ma se ne pentì subito e socchiuse gli occhi, notando l'altro irrigidirsi.
-Vent'anni che siamo amici e non ricordi che mi fanno schifo tutte le salsine che tu ami tanto?- ribatté, difatti, Francesco e Gennaro bevve un altro sorso d'acqua.

Tornarono a udire soltanto il rumore delle posate contro i piatti e la tensione tra di loro si fece palpabile.

Francesco, tuttavia, si sentiva insofferente a quella situazione e la pazienza non era mai stata il suo forte; aveva provato a essere paziente con Gennaro, in attesa che cedesse ai propri timori e che finalmente gli rispondesse: -"Anch'io"-, ma non lo aveva fatto.

"A che pro continuare su questa linea se poi non ci sono risultati?" si domandò in preda allo sconforto, "Vent'anni" si ripeté mentalmente, "Tra cinque anni avremmo potuto festeggiare le Nozze d'argento e invece stiamo ancora alla linea di partenza".

-Mi sento in colpa- sbottò all'improvviso e Gennaro gli rivolse uno sguardo di sottecchi, scoprendo che l'altro continuava a non guardarlo, troppo concentrato a punzecchiare una patata con una forchetta.
-Per cosa?- gli chiese quest'ultimo, con cautela, e Francesco finalmente alzò la testa, fissando un punto imprecisato sulla parete alle spalle dell'amico, quella dove aveva dipinto il paesaggio marino per lui.

"Sei proprio stupido" si disse Gennaro, "Ha fatto di tutto per dimostrartelo, te l'ha pure detto e tu...".

-Per Raffaele- disse Francesco e i pensieri dell'altro si spensero. -Credo che sia giusto spiegargli perché non l'ho perdonato quando mi ha lasciato. Non era la prima volta che capitava. In tre anni ci siano mollati e ripresi un sacco di volte. Eravamo arrivati a un punto in cui "ti lascio" erano diventate le parole che chiudevano ogni nostro litigio. E ci lasciavamo davvero. Stavamo tre, cinque giorni senza sentirci e poi uno dei due andava dall'altro a chiedere scusa e facevamo pace. Di solito lui. Perché di solito sbagliava lui... ma anche quando sbagliavo io-
-Non gli chiedevi scusa, tu?- gli domandò l'amico, anche se non aveva granché voglia di acquisire ulteriori dettagli riguardo la relazione tra Francesco e Raffaele.

-Ogni tanto. In proporzione... due a dieci, credo. E non perché io non sbagliassi con lui-
-Allora perché?- lo interruppe Gennaro e Francesco girò il viso verso di lui, molto lentamente, finendo per ricambiare il suo sguardo.
-Forse non volevo fare pace- sussurrò e l'altro reclinò il capo da un lato, studiandolo con intensità.
-Perché?-
-Perché... forse non era abbastanza. Quello che avevo con Raffaele non era abbastanza. Averlo mi faceva sentire ancora più incompleto, ma non averlo mi... spaventava. Avrei voluto più coraggio. Per lasciarlo, intendo. Magari prima, magari farlo io. Per questo non chiedevo quasi mai scusa: speravo che si rassegnasse e decidesse per tutti e due-
-Un comportamento da vigliacco- disse Gennaro e Francesco percepì gli occhi riempirsi di lacrime.

-Tu sei stato coraggioso con me?- gli chiese con voce tremula e l'amico abbassò gli occhi, fissandosi le mani, accarezzandosi distrattamente il dorso di una con il pollice dell'altra. Gennaro si limitò a scuotere la testa e Francesco tirò su col naso. -Già- disse e quell'unica parola stupì l'altro, che la percepì totalmente priva di rabbia, colma di rassegnazione. -Il passato è passato- continuò il giovane. -Ma... visto quali sono state le dinamiche della nostra relazione, posso capire che Raffaele sia rimasto insoddisfatto, che si senta sospeso. Magari sta persino sperando che io ritorni da lui...-
-E tu?- lo interruppe Gennaro. -È quello che vuoi?-

Francesco accarezzò con lo sguardo la forma dei suoi occhi, le ciglia spesse e scure, il contorno perfetto dell'iride castana, salendo poi con lo sguardo sulla sua fronte ampia, le sopracciglia folte e ben disegnate; i capelli cortissimi che riuscivano a stento a rendere meno drammatica la porzione del cranio che era rimasta senza capelli dopo l'incidente: ancora non gli erano ricresciuti abbastanza da camuffare del tutto l'accaduto. Le spalle ampie, i muscoli che gli tendevano la pelle del collo, attribuendogli quell'aura di sensualità in grado di accendere in lui una passione mozzafiato, come se fosse un mucchetto di paglia secca e Gennaro la scintilla capace di incendiarlo.

Rischiava di tramutarsi in cenere.

"Quello che voglio sei tu. Voglio te, solo te, per sempre te. Perché ti amo troppo e accetto che sia troppo anche per te. Ma anche se dovesse consumarmi completamente, non posso più immaginarmi di avere niente di meno di questo" pensò, ma Gennaro non gli aveva risposto: -"Anch'io- la volta precedente e Francesco non aveva intenzione di rischiare, di scoprirsi ancora e incassare l'ennesima delusione, "Sono un vigliacco, sì" e tacque, preferendo non rispondere alla domanda dell'amico.

Gennaro, tuttavia, proprio a causa del reiterarsi del silenzio tra di loro, aveva già intuito che Francesco non avrebbe saziato i suoi dubbi.

-Hai intenzione di vederlo? Di confrontarti con lui?- gli chiese e l'altro annuì.
-Penso che scenderò giù. Tanto... un lavoro ancora non ce l'ho, non c'è motivo di aspettare il weekend. Anzi, penso di aver perso fin troppo tempo-
-Questo è un comportamento coraggioso- si sforzò di dire Gennaro e Francesco si irrigidì nel notare il sorriso tirato che gli rivolse.

"Non andare" pensò Gennaro, ma l'altro si limitò ad annuire. Si alzò da tavola e iniziò a sparecchiare, dandogli le spalle e sparendo poco dopo in cucina per lavare le stoviglie.

Il giovane si alzò e tolse la tovaglia dal tavolo, recandosi nel balconcino per scotolarla. Aprì la portafinestra e venne investito dall'aria gelida della sera, ma ciò non gli procurò nessun fastidio, anzi. Gennaro inspirò a pieno polmoni il profumo di quella sera, carico della fragranza pungente del cibo cucinato dai suoi vicini, di un po' di smog e tanta umidità.

"Forse nevicherà" pensò e strinse la tovaglia in una mano, poggiando i gomiti contro la balaustra del balconcino, fissando il passaggio urbano che si apriva davanti ai suoi occhi, "E forse faranno di nuovo pace".

Quell'eventualità lo spaventava, gli riempiva gli occhi di lacrime, ma Francesco non poteva vederlo piangere, impegnato com'era in cucina, ed era pure giusto che non lo facesse: non voleva farlo sentire in colpa, non voleva che pensasse che la sua fosse soltanto gelosia. Gennaro aveva tirato la corda, eppure non aveva fatto nulla per dare all'altro le stesse sicurezze che aveva preteso per sé. E quello non era il momento giusto, Francesco avrebbe potuto fraintenderlo.

Si asciugò il viso con un polsino del proprio maglione e rabbrividì, cedendo al freddo che gli aveva inumidito gli indumenti, iniziando a penetrare tra i tessuti. Rincasò e scoprì che Francesco era già andato a letto e a lui non restò che riporre la tovaglia e fare altrettanto.

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