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Quella lettera tormentò Gennaro per tutto il giorno: a stento fu in grado di evitare di far saltare in aria il laboratorio in cui lavorava e solo perché l'istinto aveva avuto la meglio sulla ragione. Ragione che pareva essere fuggita, lasciando il giovane in balia di una tempesta di emozioni.

Gli era bastato leggere il nome Raffaele sulla parte anteriore di quella lettera, senza neanche terminare la lettura del mittente, per percepire il sangue salirgli al cervello.

Sapeva di non avere alcun diritto di ficcanasare nelle cose di Francesco, per lo stesso motivo per cui l'amico non aveva diritto di essere geloso di lui, ma la presenza – seppur cartacea – di Raffaele, che tornava alla carica, proprio quando le cose tra lui e il suo migliore amico parevano avere preso una piega interessante, lo faceva tremare di paura.

"E se anche stavolta Francesco finisse per preferire qualcosa di più semplice e meno tormentato?" si domandò in preda al panico e per fortuna si trovava in pausa pranzo, perciò, ciò che strizzò tra le mani con rabbia fu solo il suo pasto: un panino farcito che gli restituì un po' di maionese sulle dita, in risposta al suo gesto rabbioso.

Gennaro la leccò via con sguardo assente, mentre alcuni suoi colleghi chiacchieravano amabilmente intorno a lui, seduti al suo stesso tavolo. Non aveva sentito una sola parola della loro conversazione e la percezione della presenza dei quattro individui che lo circondavano era data perlopiù dalle risatina di Delia che rispondeva alle avances di Tommaso, mentre alle narici gli arriva il profumo di Nicola – il quale era in grado di avvisare dell'arrivo del suo collega prima ancora che lo si vedesse palesarsi, dato che l'uomo pareva farsi il bagno, ogni giorno, in litri e litri di eau de toilettes. Sapeva che con loro si trovava anche Martina, ma, conoscendola, poteva immaginare che stesse partecipando in silenzio, come sempre, studiando gli altri da dietro le lenti rotonde dei suoi occhiali da vista, con un sorriso accondiscendente stampato sulle labbra – magari, quel giorno, stava studiando proprio lui che, tra tutti, era quello che si stava di certo comportando in modo strano rispetto al solito.

Tuttavia, Gennaro era troppo preso dai propri pensieri per farsi coinvolgere dai loro discorsi frivoli. Nel tempo aveva instaurato con ognuno di loro un buon rapporto, ma nessuno dei quattro era mai riuscito a ispirargli piena fiducia tanto da farlo decidere di renderli partecipi dei suoi fatti personali. Non riusciva a vederli come amici nel senso stretto del termine. Avevano legato subito, grazie anche al fatto che erano tutti giovani, sottopagati e immigrati a Bologna da altre città, ma la loro "complicità" si era presto assestata a un'armonia in grado di farli lavorare con tranquillità, senza spingersi oltre.

"Io ho finto di dimenticarlo, sto cercando di spronarlo, di tirare fuori da lui fino all'ultima goccia di volontà per avere la certezza che sia vero amore, per non rovinare un'amicizia che dura da sempre. Un gran casino. E dopo il casino con Raffaele... Raffaele attacca con una lettera. Semplice. Parole sulla carta, niente di fraintendibile. E se risultasse anche efficace?" si domandò con tristezza, riprendendo con il film dei propri pensieri, mentre si portava tra le labbra un pezzetto di pane che aveva precedentemente spezzato con le dita. In bocca non percepì alcun sapore e lo stomaco gli si era già chiuso prima ancora che addentasse quella briciola.

Era vero che il suo rapporto con Francesco non era mai stato tranquillo e lineare, neanche quando entrambi avevano provato per l'altro qualcosa che potesse definirsi sospetto. Si poteva affermare che quello fosse il loro modo di interagire: punzecchiarsi, provocarsi, mettersi alla prova, esagerare e chiedere scusa di rado; andare avanti come se nulla fosse perché niente poteva mettersi tra di loro per davvero.

Gennaro sgranò gli occhi e ripose il panino sul vassoio, pulendosi la mani con un tovagliolo di carta. Si guardò intorno, notando che la sala mensa si stava già svuotando e che i suoi colleghi avevano finito di pranzare.

Martina gli rivolse uno sguardo interrogativo al quale lui rispose con un'alzata di spalle e Nicola gli diede una gomitata, cercando di attirare la sua attenzione.

-Allora, la settimana prossima come ci mettiamo?- gli chiese il collega, riferendosi a un progetto su cui stavano lavorando e di cui avrebbero dovuto stilare insieme una relazione da presentare alla commissione dell'Istituto di diagnostica nucleare di Napoli.
-Distesi o a novanta?- esclamò Tommaso e Gennaro sbuffò e gli lanciò contro il tovagliolo di carta, dopo averlo appallatolato, mentre la risata di Delia arrivava immancabile ad accompagnare la battuta agghiacciante del suo spasimante.

-In verticale, giustificato e con un massimo di tre mila colpi- ribatté Gennaro, sollevando un sopracciglio con scetticismo, e Tommaso scosse la testa, messo a tacere al suo stesso gioco. Martina si lasciò sfuggire un sorriso un po' più ampio del solito e si sistemò gli occhiali sulla radice del naso, distogliendo gli occhi da loro.
-Come diavolo ce li mettiamo tutti gli approfondimenti sui vari punti in tre mila parole striminzite?- domandò Nicola, infastidito.
-Con il dono della sintesi che, per fortuna, io ho- ribatté Gennaro, continuando quella conversazione per inerzia, dato che la sua mente era del tutto altrove.

"È questo" si disse, sentendosi agitare da una strana euforia, spegnendo di nuovo la percezione delle voci che lo circondavano, e sorrise di riflesso ai propri pensieri. Recuperò la lettera di Raffaele, fissandola da sotto il bordo del tavolo, senza portarla allo scoperto, perché temeva di correre il rischio che anche gli altri potessero vederla, e ne sfiorò la busta con un dito, passandolo sulla parte lacerata nell'apertura – non aveva avuto il coraggio di leggerne il contenuto, ma il solo portarsela dietro era stato un po' come avere una palla al piede.

"È come se fossimo legati dal Destino" pensò Gennaro e ciò lo commosse profondamente: l'idea che, anche quando fosse crollato il mondo, lui e Francesco avrebbero trovato comunque il modo per restare insieme gli dava come l'impressione di essere riuscito a trovare – finalmente – la risposta che cercava da anni.

A differenza dell'amico, Francesco trascorse quel giorno con istinti suicidi e il desiderio spasmodico di acquisire conoscenze magiche sufficienti a permettergli di riavvolgere il tempo e tornare a quella mattina, e magari evitare di commettere l'ennesimo errore.

Quando Gennaro rincasò per l'ora di cena, il giovane si fece trovare chiuso in camera propria: non voleva confrontarsi con lui, non voleva sapere se aveva letto o meno il contenuto della lettera di Raffaele, né che cosa ne pensava a riguardo. Francesco aveva subito immaginato che l'amico non avrebbe appreso con felicità dell'arrivo di quella missiva e quello era stato l'unico motivo per cui aveva cercato di tenergliela nascosta.

In fin dei conti, nella sua lettera, Raffaele non aveva fatto altro che accusare Francesco di essere una persona immatura, sempre pronta a nascondersi dietro lo scudo di altri. Gli aveva rinfacciato di essere subito corso a consolarsi tra le braccia di Gennaro, lo stesso uomo di cui, durante la loro relazione, Francesco gli aveva sempre assicurato di non dover essere geloso perché, in modo molto semplicistico, "era soltanto il suo migliore amico e basta".

Raffaele, in parole povere, pretendeva di sapere dal suo ex se era stato preso in giro per anni da lui, oppure se Francesco lo avesse mai amato davvero e, in quel caso, allora avrebbe fatto bene anche a specificargli, una volta e per tutte, perché la loro relazione si era interrotta in modo definitivo.

"Perché tu mi hai lasciato" era un pensiero che aveva tormentato Francesco a lungo, nelle ore precedenti, ma aveva capito quanto fosse insoddisfacente, come risposta, pure per se stesso. Quella non era la prima volta che lui e Raffaele affrontavano una crisi, che Raffaele lo lasciava, ma poi, in passato, erano sempre riusciti a trovare un punto di pace e a tornare insieme.

Non era giustificabile che corresse a nascondersi dietro al "mi hai mollato", perché in passato non era stata una scusa buona e non lo era neanche in quell'occasione.

"Perché non è il motivo per cui gli ho chiuso la porta in faccia quando è stato qui per tentare di chiedermi scusa" si disse in un sospiro, ma i suoi pensieri vennero interrotti da Gennaro che gli annunciava che la cena era pronta.

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