21

Rientrati a casa, il mal di testa di Francesco era cresciuto tanto da riempirgli la mente di confusione, infatti teneva gli occhi socchiusi, la luce gli dava fastidio e ogni rumore più forte del suono dei suoi stessi respiri affaticati gli faceva ribollire il sangue del collo, scaldandogli le orecchie. Sentiva freddo, ma aveva la bocca impastata, bollente, probabilmente a causa della cioccolata che gli aveva lasciato sulle papille gustative un retrogusto amaro.

"O forse è stata la conversazione con Gennaro a lasciarmi l'amaro in bocca" pensò mentre si toglieva la giacca. Le spalle gli si erano fatte pesanti e doloranti e persino sfilarsi il giubbino di pelle gli parve una mezza impresa titanica.

Gennaro l'aveva preceduto in cucina, con l'intenzione di preparare qualcosa per il pranzo, e Francesco aveva smesso di udire i suoi passi, i suoi movimenti già da qualche secondo quando si ricordò della sorpresa che lui stesso aveva preparato per l'amico.

Si precipitò in soggiorno, trovando Gennaro immobile, intento a dargli le spalle, mentre fissava basito la parete sopra al termosifone, nell'angolino della stanza in cui tanto amava collocarsi per leggere.

-Ma...- lo sentì biascicare e gli si fece vicino con fare titubante.
-Ti piace?- gli chiese con un pizzico di ansia.

Gennaro aprì e richiuse la bocca più volte, letteralmente senza parole. Davanti ai suoi occhi, la vecchia parete colma di crepe e umidità gli appariva splendida e vibrante di luce e colori. Il giorno prima l'aveva lasciata finalmente linda e bianca, a conclusione dei lavoretti di ristrutturazione che avevano operato, ma aveva appena scoperto che era diventata ancora molto più di quello.

Al posto dell'anonima vernice adesso poteva ammirare la raffigurazione di un paesaggio dal sapore estivo; il mare riempiva mezza parete, mentre la parte sottostante era di colore sabbia, pure il termosifone era sabbia, e vi erano stati disegnati anche un paio di ciottolini e una stella marina color corallo. La parte superiore era dipinta di azzurro, a emulare un cielo privo di nuvole. Diversi cuscini di grandezze differenti erano stati ammucchiati sul pavimento, attorno a un plaid di un vibrante blu, accuratamente ripiegato al fianco dei libri preferiti di Gennaro.

-Come diavolo...- balbettò il giovane, ancora sotto shock, e Francesco si strinse nelle spalle, compiendo un passo in avanti, ponendosi al suo fianco.
-Mi piace impiastricciare con i colori- disse con voce atona.
-L'hai fatto tu?- gli chiese Gennaro, voltandosi a guardarlo.
-Beh, sì. Stanotte. È stato tipo un casino, per evitare che tu o la nonna mi sentisse-
-Sei stato sveglio tutta la notte-
-Volevo che fosse una sorpresa. Ti butti sempre lì con il rischio di prenderti un accidenti. E poi so che di casa ti manca più di tutto il mare...-

-Ma sei bravissimo! Io non immaginavo che tu fossi in grado di fare una cosa del genere!-
-È pieno di errori. Non ho studiato per disegnare. Quando mi è venuta l'idea, ho guardato dei tutorial su YouTube e ho seguito quelli-
-France'... è perfetto così. È uno spettacolo-
-Sono contento che ti piaccia-
-Ma protesti farlo pure per lavoro!-
Francesco ridacchiò.

-A mio padre verrebbe un colpo, ma comunque non sono così bravo. Era solo per farti una sorpresa e cercare di rendere il tuo angolino più... tuo-
-E ci sei riuscito- disse Gennaro con voce morbida, allungando una mano a sfiorargli un braccio.
-Uhm- fece Francesco. Si sentiva felice della reazione entusiasta dell'amico, ma iniziava ad accusare un po' di stanchezza a causa della notte insonne – probabilmente.

Come se non bastasse, sentire Gennaro parlare a quel modo gli aveva smosso nel petto una strana tristezza: non aveva mai nascosto a nessuno quanto lo rendesse insofferente l'idea di continuare l'attività di famiglia ed essere un avvocato. Eppure, nonostante gli anni in cui aveva arrancato nello studio, nel tentativo di omologarsi alle volontà altrui, si era specializzato proprio in quel ruolo. Non professava, non aveva ancora un lavoro, ma era quella la strada che gli si apriva dinanzi e lo terrorizzava la prospettiva di concretizzarla, anche perché avrebbe significato smetterla con la vita da studente, sempre parte di un limbo colmo di paure e incertezze, e di tornare a Salerno e prendere il suo posto all'interno dello studio avvocatorile di suo padre proprio non gli andava: avrebbe dovuto lasciare Bologna, ma, soprattutto, Gennaro.

L'idea di riprendere a vivere a chilometri di distanza dal suo migliore amico non gli piaceva per niente. Magari avrebbe continuato a deluderlo e Gennaro avrebbe insistito nel trovare scuse – più o meno valide – per rifiutarlo, ma gli appariva di gran lunga preferibile continuare a quel modo e stargli fisicamente vicino che tornare a Salerno e vederlo a scadenza di mesi, oppure soltanto durante le vacanze estive.

-Stai bene?- gli chiese Gennaro, vedendo l'amico triste e mogio.
-Uhm- ripeté Francesco, fissando il pavimento: più che altro perché il mal di testa era diventato tanto martellante da rendergli il cranio troppo pesante, non riusciva a sollevarlo.

Gennaro aggrottò la fronte, insospettito da quel suo comportamento, e gli si fece più vicino, cercando i suoi occhi. Quelli di Francesco, azzurri come il cielo che aveva dipinto per lui sulla parete, erano lucidi di stanchezza, ma vuoti, privi di espressione. Il giovane lo scrutò con maggiore attenzione, notando come la sua pelle pallida continuasse ad essere arrossata sulle guance, sul naso; le orecchie erano tanto rosse da apparire incandescenti, nonostante dentro casa facesse un po' freddo, dato che non avevano acceso il riscaldamento.

D'istinto, Gennaro allungò una mano a tastargli la fronte.

-Ma tu scotti! Sei impazzito, France'! Come devo fare con te?- tuonò, ritirando la mano di scatto.
-Volevo finire prima che ti svegliassi... volevo farti una sorpresa- borbottò Francesco con voce impastata e l'altro lo scrollò per una spalla.
-Sei scemo, avresti potuto...-
-No!- lo interruppe l'amico, urlando, reagendo come se si fosse appena svegliato da un incubo. -Volevo finire! Adesso puoi leggere i tuoi libri qui, circondato dal mare. A te piace il mare, vero, Genna'? Ecco, tipo come se tu fossi a mare, in mezzo all'acqua. Però non annegare, per favore, non voglio che anneghi- borbottò ancora, iniziando a pronunciare parole sconnesse e prive di logica.
-Stai delirando- mormorò Gennaro preoccupato e l'altro annuì.

-Ho sonno. Sto bene- disse Francesco e chiuse gli occhi, cedendo alle insistenze del mal di testa. Gennaro si accorse appena in tempo delle sue intenzioni e prima che si lasciasse cadere sul pavimento, come un frutto troppo maturo, lo afferrò e se lo caricò tra le braccia, con un po' di fatica.

Lo portò fino alla sua camera da letto, districandosi tra le sue gambe, la maniglia della porta, le sue stesse dita, e la stoffa dei jeans che l'amico indossava e che finì per ostacolarlo ulteriormente  mentre cercava di entrare in stanza senza farsi scivolare Francesco dalle braccia. Alla fine, ci riuscì, e adagiò il giovane sul letto, prodigandosi in seguito a mettergli il pigiama; gli rimboccò le coperte, mentre Francesco pareva lasciarsi andare a un sonno disturbato: borbottava con gli occhi chiusi, ogni tanto li socchiudeva, poi li chiudeva di nuovo, aggrottava la fronte e si girava da una parte e dall'altra, come se ogni posizione che assumeva non gli risultasse più comoda nel giro di una manciata di secondi.

Gennaro recuperò il termometro e sedette sul bordo del letto, aiutando l'altro a misurarsi la temperatura.

-Trentanove e nove! Hai davvero la febbre! Dannazione, France'! Lo sapevo che sarebbe finita così. Tu e la tua stupenda giacca di pelle! Devo chiamare il dottore- tuonò il giovane, ma l'altro assunse un'espressione infastidita e si stese su un fianco, dandogli le spalle.
-No. Sto bene- biascicò mentre dentro di sé si augurava che l'altro la smettesse di parlare e che lo lasciasse in pace.
-No, che non stai bene!- ribatté Gennaro.
-Invece sì-
-Hai gli occhi lucidi-
-Perché tu ti sei dimenticato di me- sbottò Francesco, senza riflettere, solo con l'intenzione di metterlo a tacere e, per un po', parve persino essere riuscito nel suo intento, infatti l'amico rimase in silenzio abbastanza a lungo.

-Che c'entra questo...- mormorò Gennaro dopo un po' e Francesco sbuffò.
-È questo. Perché ti sei dimenticato di me, solo di me- piagnucolò, nascondendo la testa sotto le coperte.
-Non mi sono dimenticato di te- sussurrò Gennaro e l'altro si girò verso di lui, battendo le palpebre, combattendo visibilmente contro la stanchezza che lo istigava a chiudere gli occhi.

Gennaro gli accarezzò la fronte con gentilezza, scostandogli i capelli della frangia, sfiorandogli alcune ciocche in punta di dita.

-L'hai detto tu. Ti sei dimenticato la mia prima volta- sussurrò Francesco con voce impastata e l'altro si allontanò un attimo da lui, con l'intenzione di chiamare un dottore, mettergli un panno bagnato sulla fronte e interrompere quella conversazione delirante.

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