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-Se n'è andata davvero- mormorò Gennaro e si strinse nel suo inseparabile parka verde militare, nascondendo il mento dentro la sciarpa, mentre fissava il treno portarsi via nonna Sara.

Anche quella domenica, sulla banchina della stazione c'erano diverse persone, ma lo spazio aperto e immenso pareva agevolare il vento gelido che si abbatteva su di loro. Francesco rabbrividì, incominciando ad accusare un po' di stanchezza: aveva passato la notte insonne dopo avere trascorso il giorno precedente a dipingere le pareti del soggiorno, di corsa, in pratica, con nonna Sara che fremeva di vedere completati i lavori prima che ripartisse.

Entrambi i ragazzi erano riusciti a esaudire quel suo desiderio, ma Francesco aveva deciso di strafare, di impegnarsi per fare una sorpresa a Gennaro e quindi aveva passato la notte in bianco, mentre gli altri due dormivano, tentando di fare il meno rumore possibile per non svegliarli e di portare a  compimento il suo nuovo "piano".

Era stato difficile tenere l'amico e la nonna lontani dal soggiorno, ma, con la scusa di una colazione al bar, la sua sorpresa era rimasta tale e, nonostante la tristezza per avere appena salutato la nonna, il giovane fremeva dal desiderio di tornare a casa, vedere come Gennaro avrebbe reagito a ciò che aveva in serbo per lui e poi, magari, buttarsi a peso morto sotto tonnellate di coperte e dormire al calduccio.

"Forse dovrei cedere a un vero cappotto" si disse, percependo gli occhi socchiudersi a causa della stanchezza e del freddo. Gennaro, tuttavia, parve accorgersene e gli passò un braccio intorno alle spalle. Il cuore di Francesco fece una piccola capriola mentre uscivano dalla stazione, ma, a differenza di quelle che erano le sue previsioni, si fermarono alla fermata degli autobus, anziché procedere verso casa.

-Che vuoi fare?- gli chiese e Gennaro sorrise senza rispondergli né ricambiando il suo sguardo.
-Aspettiamo il 33, che fa freddo-
-Dove vuoi andare?-
-In giro-
-E non potevi sceglierti un altro giorno per fare il turista in una città in cui viviamo da anni?-
-Voglio solo sgranchirmi le gambe- ribatté l'amico, ritirando il braccio che gli teneva intorno alle spalle, spingendo poi le mani con forza dentro le tasche del parka.

Francesco rabbrividì e si pentì di essere stato... com'era lui. Capiva benissimo che tutte le difficoltà che stava riscontrando nel tentativo di dare il via a quel mutamento della sua relazione con Gennaro erano in buona parte dovute al suo caratteraccio. Eppure, l'altro lo conosceva da sempre e sapeva com'era fatto. Francesco avrebbe voluto fargli presente che così come erano amici avrebbero potuto essere anche altro, ma pareva che impegnarsi e sperare non fosse sufficiente a trasformare un desiderio in realtà.

Adesso che erano soli, il giovane sperava che avrebbero potuto approfondire i loro momenti intimi, ma le anticipazioni non sembravano promettenti, soprattutto se a Gennaro bastava una delle sue solite battutacce per tornare a porre distacco tra di loro.

Francesco sbuffò avvilito, ma poi intravide arrivare il loro autobus e si rimangiò subito quello che aveva pensato di dire: doveva sforzarsi di essere accondiscendente, più pacato, magari anche un po' meno Francesco; assecondare l'amico e sperare di non sciupare tutti i tentativi che stava facendo per arrivare al suo cuore.

L'autobus era stracolmo di gente e l'autista si prodigò a rendere il viaggio ancora più snervante, pigiando sull'acceleratore, senza preoccuparsi di evitare buche e manovre da tachicardia. All'ennesima curva, Francesco, che ovviamente si trovava in piedi, si vide proiettare verso uno dei finestrini del mezzo e rimase a un palmo dal vetro soltanto perché Gennaro lo afferrò per la cintura dei jeans, sbattendoselo contro. Non c'era dove reggersi, tant'è che l'amico si aggrappava a un sostegno già occupato dalle mani di altre tre persone, e Francesco finì per aggrapparsi a lui, sentendosi un po' arrossire, mentre l'altro tornava a passargli un braccio intorno alle spalle.

-Ti tengo io, che non ho intenzione di raccogliere i tuoi pezzi per strada- disse Gennaro, rivolgendo un'occhiataccia a un anziano signore che li stava fissando un po' troppo insistentemente. Francesco sospirò e decise di focalizzare la propria attenzione sulla cerniera e i grossi bottoni del parka dell'amico, evitando di scambiare sguardi con altri, con il timore di trovarli ostili.

Nonostante un pizzico di disagio, era felice di essere tornato tra le braccia dell'altro e si sorprese a sorridere, rilassandosi e sentendosi riscaldare un po'.

Gennaro si guardò intorno, sull'attenti da quando aveva notato di avere attirato attenzioni poco cordiali da parte di un paio di passeggeri dell'autobus nel momento in cui aveva abbracciato Francesco. Non sembravano esserci avvisaglie di chissà quale pericolo imminente, più educate occhiatacce ostili e ripetute, ma la cosa lo infastidiva lo stesso, soprattutto perché non vedeva assolutamente nulla di male nell'abbraccio tra due amici, anche se entrambi dello stesso sesso.

Che poi lui e Francesco, negli ultimi tempi, stessero tastando territori sempre più intimi all'interno del loro rapporto... beh, non era affare di nessuno. E non pensava nemmeno di avercelo scritto in faccia, quindi, ancora una volta, non riusciva a capire cosa stesse facendo di così fuori dal comune da meritarsi una radiografia ossea da parte di estranei.

Si lasciò sfuggire uno sbuffo infastidito, decidendo di sostenere lo sguardo ostile dello stesso tizio che, evidentemente, non aveva di meglio da fare del proprio tempo che sprecarlo rivolgendo loro occhiatacce di rimprovero. Gennaro gli sorrise sornione e l'uomo si irrigidì visibilmente, sobbalzando sul sedile che occupava, come un uccello intento a scrollarsi il piumaggio, con tanto di movimento del capo a completare il tutto.

Il giovane iniziò a vedere tutto ciò sotto una luce ilare e scosse la testa, stringendo l'amico di più a sé, e gli baciò la fronte. Francesco si sorprese e percepì il rossore delle proprie guance farsi più vivo, più caldo e intenso.

Scesero dal mezzo pochi minuti dopo e il giovane si sentiva ancora abbastanza rincuorato dal calore dell'amico da non sentire quasi freddo, anche se, nel frattempo, aveva iniziato a nevicare. Soffici fiocchi di neve danzavano nell'aria, vorticavano tra le cose come microscopici batuffoli di cotone, sciogliendosi in gocce d'acqua non appena entravano in contatto con qualcosa. Francesco ne seguì uno con lo sguardo, deliziato, sentendosi un po' frastornato per il caldo, il freddo, la nonna che era andata via, Gennaro che gli baciava la fronte, la notte insonne; il fiocco di neve si adagiò sulla punta del suo naso, bagnandola. Scrollò la testa, tornando presente, anche se ancora un po' confuso, rendendosi conto di stare stringendo nella propria sinistra la mano destra di Gennaro.

Lo seguì docile dentro il parco, senza riuscire a distogliere gli occhi dalle loro dita intrecciate, facendosi condurre come un bambino, fino a quando comprese che si stavano avvicinando all'unica caffetteria presente nel parco, nei pressi del laghetto – in quel periodo ghiacciato, placidamente addormentato tra la vegetazione invernale, grigia e graffiante.

-Ti va una cioccolata calda?- gli chiese Gennaro, mentre le sue parole venivano accompagnate dal rumore dei loro stessi passi sulle assi di legno del ponte che stavano percorrendo, per raggiungere l'altra sponda del laghetto, fermandosi poi davanti la caffetteria.

-Tutto okay?- gli domandò ancora l'altro, un po' preoccupato dall'assenza di risposte da parte sua. Francesco gli si fece più vicino e poggiò la fronte sotto il suo mento e l'altro sentì vibrare dentro il proprio petto il suo bisogno, come se fosse proprio.

E lo abbracciò di nuovo.

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