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"La gelosia è una brutta bestia".
Nel formulare quel pensiero Gennaro provò un brivido di profonda insofferenza. Stava fermo, nei pressi del portoncino del palazzo in cui si trovava il loro appartamento, osservando Francesco mentre era intento a pagare la corsa all'autista del taxi che li aveva riaccompagnati a casa.
L'amico non aveva voluto saperne di fare rientro in autobus, anche se Gennaro si sentiva già insofferente a causa di tutte quelle sue premure. L'avevano dimesso dall'ospedale quella stessa mattina, dopo avere appurato che, effettivamente, il colpo che aveva subito alla testa non gli aveva procurato alcun tipo di danno cerebrale. Sarebbe dovuto tornare al Policlinico qualche giorno dopo, per rimuovere i punti alla ferita.
Si sentiva ancora confuso e pareva che gli avessero iniettato un super anestetico, tanto che faticava a tenere le palpebre sollevate a causa del sonno. Tuttavia, ciò non gli si era rivelato sufficiente per mettere a tacere la gelosia, che non aveva fatto altro che scavargli dentro ulteriori dubbi. Aveva portato avanti la sua messinscena con Francesco, continuando a sostenere di avere perso memoria di quello che era accaduto tra di loro ed era stato fortunato perché il giovane non aveva avuto modo di parlare con i medici. Dato che Gennaro non aveva riportato serie lesioni di qualsivoglia tipo, aveva potuto gestire da solo ogni cosa – e la privacy riservata ai pazienti lo aveva aiutato tantissimo a tenere l'amico fuori dalla situazione.
Forse a causa dello stress post-traumatico, si era trovato presto il petto colmo di una strana rabbia.
Che fosse soltanto un mezzo con cui il suo inconscio stava tentando di tirarlo fuori da quello che era accaduto negli ultimi giorni, aiutandolo a non subire ulteriori traumi?
Non aveva mai fatto nulla per nascondere i propri sentimenti a Francesco, anche perché era arrivato quasi a dichiarglisi: era stato battuto sul tempo dall'arrivo di Raffaele nelle loro vite.
Comprendere che l'amico non era così stupido come aveva voluto fargli credere per anni – magari con l'intenzione di preservare la loro amicizia – era stato un piccolo shock; si era sentito a disagio nello scoprire che, non solo Raffaele, ma anche Francesco era a conoscenza di ciò che provava davvero per lui.
"Poi la notte insieme... ha pensato a me per superare il trauma della sua prima volta e questo mi riempie di gioia. Ma ora che Raffaele è tornato?" si domandò in preda allo sconforto, "Chissà se hanno solo parlato..." e mentre stava lì a torturarsi con quei pensieri, che si rincorrevano nella sua mente accompagnandosi a scene agghiaccianti di Raffaele in atteggiamenti intimi con Francesco, l'amico lo raggiunse e Gennaro si sforzò di sorridergli.
Entrarono nel palazzo e l'altro gli passò un braccio intorno ai fianchi, apprestandosi a salire le scale insieme.
-Guarda che ce la faccio da solo- borbottò Gennaro.
-Ti aiuto io-
-Sto bene, France'. Un paio di gradini non mi uccideranno mica-
-Dobbiamo salire due piani a piedi!- ribatté l'altro, aggrottando la fronte.
-Ma va? Solo che ti vorrei ricordare che il colpo l'ho preso alla testa e a un braccio, non alle gambe-
-Io le cose le ricordo. Soprattutto se sono importanti- mormorò Francesco, risentito, cedendogli il passo, rinunciando a fargli da stampella.
Gennaro incassò la frecciatina e si mosse per le scale, ma arrivò a malapena al pianerottolo del primo piano e si trovò con il fiato corto e la testa che girava paurosamente. Strinse i denti e si sforzò di proseguire, per non darla vinta all'amico.
Una delle due porte che sbucavano sul pianerottolo venne aperta e ne venne fuori una donna che indossava un ampio grembiule verde, scolorito in più punti; i capelli raccolti in una severa croccia dai riflessi argentei; aveva uno sguardo ostile e un'espressione seria dipinta in volto.
-Mi sembrava ci fosse troppo silenzio, ieri- esordì e incrociò le braccia sotto il seno prosperoso.
-Signora Costanza...- la salutò Gennaro, rivolgendole un cenno con una mano, con fare impacciato.
-È stato vittima di un incidente, non abbiamo tempo per litigare- tagliò corto Francesco, mentre l'amico gli rivolgeva un'occhiata di rimprovero. Il giovane scrollò le spalle e mise le mani nelle tasche della giacca di pelle che indossava. -Che c'è?-
-Gentile come una spina nel fianco, ragazzino- lo rimproverò la donna e Francesco roteò gli occhi, infastidito.
-Il signor Raisi mi ha detto che non eravate in casa perché uno dei due si era fatto male e per quello ieri non è passato più-
-Tranquilla, prima o poi ci sfratterà e lei sarà soddisfatta: potrà averci sulla coscienza dopo averci fatti finire per strada...-
-France'!- lo riprese Gennaro, ma l'amico scosse la testa e ridusse le labbra a una linea sottile.
-Io non mi tengo sulla coscienza nessuno! Proprio come tu non ti poni il problema di disturbare a ogni ora del giorno e della notte!- ribatté Costanza.
-Perfetto: ci stiamo antipatici a vicenda- esclamò Francesco, con fare insolente, e prima che l'altro lo riprendesse ancora, lo esortò a muoversi, riprendendo a salire le scale.
-Ehi, ehi!- li richiamò la donna, puntando un dito in direzione di Francesco. -Tu sei un tantino più strafottente di quanto piaccia a me, signorino, ma...- poi scomparve in parte dietro la soglia e, quando tornò, la videro che reggeva tra le mani un fagotto. - ... mi sono avanzate queste. Dalle da mangiare all'amico tuo, così si tira un po' su- aggiunse, mettendogli il fagotto tra le mani e prima che il giovane potesse riprendersi dallo stupore per quel suo gesto gentile e dire qualcosa, lei era già tornata sui propri passi e si era chiusa la porta alle spalle, senza nemmeno salutarli.
Francesco sollevò un sopracciglio con scetticismo e poi si volse in direzione dell'amico.
-È impazzita- disse e l'altro sbuffò.
-Sì, da quando tu ti sei trasferito da me! Prima era tanto gentile...-
-Vuoi vedere che adesso la colpa è mia?-
-Ovvio che sì!- ribatté Gennaro, arrivando davanti la porta di casa evidentemente senza fiato. Francesco lo fissò per un paio di secondi, indeciso se continuare a punzecchiarsi con lui oppure no. Tuttavia l'amico si era fatto pallido e lui sempre più preoccupato, quindi rinunciò a continuare a battere su quel punto e recuperò le chiavi di casa.
"È orribile che abbia dimenticato quello ch'è successo l'altra sera" pensò mentre entrava in soggiorno e poggiava il fagotto sul tavolo e Gennaro si chiudeva nella sua stanza, dopo avergli detto che si sarebbe messo un po' a letto, per riposarsi.
"È per questo che sei tanto arrabbiato con lui" si disse con un sospiro e si guardò intorno, rabbrividendo nel constatare di essere solo, circondato da un silenzio pesante, "Forse non avrei dovuto mandare Raffaele a quel paese tanto velocemente..." si disse e percepì gli occhi riempirsi di lacrime a causa della solitudine, della tristezza, ma soprattutto della rabbia che gli suscitava quella sua debolezza.
"Gennaro non ti vuole più, ti ha dimenticato, e Raffaele ti ha lasciato...".
Aprì l'involucro di stoffa, scoprendo che si trattava di un contenitore di plastica avvolto in un strofinaccio. Rimosse il coperchio e subito venne sopraffatto dall'odore di zucchero a velo, trovandosi davanti gli occhi dei biscotti a mezzaluna, dall'aspetto invitante.
"Li ha preparati per Gennaro" si disse e rivolse uno sguardo in direzione della camera da letto dell'amico, di cui poteva vederne la porta, chiusa, dal punto in cui lui stava seduto. Aggrottò la fronte e prese un biscotto, portandoselo alle labbra, "E invece me li mangio io, ecco!"
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