1

Esattamente come ogni domenica mattina, la Stazione dei treni Bologna Centrale era satura di persone.

Il display a led, che si trovava affisso a una parete dell'edificio nei pressi dell'entrata, segnava due gradi, ma Gennaro, proprio a causa del caos che li circondava, delle persone che entravano e uscivano dalla struttura, di giovani intenti a urlarsi dietro incitando la comitiva di amici a segurili; di mendicanti; di anziani intenti a occupare una panchina nei pressi della tavola calda, del gruppetto di donne che si aggirava con fare losco, ... in realtà si sentiva mancare l'aria.

Era avvolto all'interno del suo immancabile parka verde militare, ormai logoro; una sciarpa spessa e colorata – dono natalizio di nonna Sara di qualche anno prima – gli copriva buona parte del viso. Sentiva le guance bollenti e temeva che, una volta tolto il cappotto, avrebbe scoperto la felpa, che indossava sotto, chiazzata di sudore.

Tuttavia, non si muoveva, restava piantato nel punto che aveva scelto: lontano da sguardi indiscreti, fuori dalla traiettoria dei viaggiatori e dei vari passanti, incollato a una parete, celato di mezzo lato da un imponente pilastro. Poco più avanti, sulla soglia dell'ingresso per la zona riservata ai binari, stava Francesco, intento a scambiarsi un ultimo bacio e un po' di saliva con Raffaele, il suo ragazzo, in procinto di prendere un treno e rientrare a Salerno.

Gennaro continuò a guardare nella loro direzione, nonostante il disagio profondo che gli procurava farlo. Non osava avvicinarsi e interrompere il loro momento, ma fremeva dall'impazienza, nella speranza che si concludesse il prima possibile.

Come ogni weekend, quando Raffaele ripartiva per scendere giù e tornare alla propria vita, era sempre un tormento. Francesco restava come inchiodato sulla banchina a fissare il treno che portava lontano da lui il suo ragazzo, con quello sguardo da cucciolo abbandonato che a Gennaro inacidiva la saliva e faceva contrarre la bocca dello stomaco in modo doloroso.

Neanche se si fosse strafogato di pizza fritta!

Il giovane sbuffò e abbassò gli occhi sul lucido pavimento, fissando le scarpe di Francesco e Raffaele. Vide i piedi di quest'ultimo voltarsi verso i binari, Francesco allungarsi sulle punte, per poi ricadere sui talloni, restando dove si trovava.

Quella tra i due era una relazione a distanza, iniziata durante il periodo in cui frequentavano la triennale a Fisciano e che poi era continuata anche quando Francesco aveva raggiunto Gennaro a Bologna, per completare gli studi con la magistrale che aveva conseguito qualche mese prima proprio lì, nella capitale emiliana.

Nonostante avesse terminato il suo percorso da studente, Francesco aveva deciso di non tornare a casa, ormai troppo abituato e affezionato alla vita indipendente che conduceva lì, ma quello non sembrava avere affatto scoraggiato Raffaele che contava di trasferirsi anche lui a Bologna, nel giro di qualche mese.

"Speriamo accada nell'era del mai" si disse Gennaro che di quella relazione era stato spettatore passivo fin dal suo nascere. L'idea di trovarsi con Raffele nelle sua stessa città gli faceva venire l'orticaria.

Si grattò dietro un orecchio, finendo per spostare il berretto che teneva in testa; lasciò il copricapo di lana così, penzolante da un lato, mentre aggrottava la fronte e spingeva le mani nelle tasche del parka, sempre più impaziente.

Scosse la testa e percepì la mano di qualcuno toccargli la testa e sussultò, sgranando gli occhi e scoprendo al proprio fianco Francesco, che cercava di aggiustargli il berretto. Non aveva notato che gli si era avvicinato e comprese di essersi distratto, tuttavia, tirò un sospiro di sollievo nell'apprendere che Raffaele era, finalmente, andato via.

-Sembri un bambino di due anni- disse il giovane, rivolgendogli uno sguardo saturo di rimprovero.
-Mi metti a posto tu- ribatté l'altro, con voce petulante. -Mammina-
Francesco gli diede uno schiaffetto a una spalla e assottigliò lo sguardo. Gennaro si accorse soltanto in quel momento del rossore e della lucidità dei suoi occhi e la sua espressione si fece più dolce e, per riflesso, quella dell'altro si indurì e lo vide stringere le labbra in una linea sottile, voltandogli le spalle e iniziando a camminare verso l'uscita.

Gennaro rimase un po' indietro, a fissarlo, ad accarezzare con lo sguardo la curva delle spalle, l'arroganza con cui si muoveva tra la folla, stretto nel miserabile giacchetto di pelle, senza sciarpa né cappello, sprezzante del freddo che, fuori di lì, li accolse come una lama tagliente in grado di trapassare ogni cosa, arrivando a lacerare e spezzare i respiri.

Eppure Francesco sembrava immune a tutto quello. Gennaro invidiava l'amore smodato dell'amico per il freddo, con cui sembrava convivere con tranquillità, mentre lui si malediva ogni giorno per non aver trovato nulla di meglio di quel lavoretto al laboratorio – dove svolgeva attività di ricercatore, pagato un giorno sì e dieci no – in una città tanto distante da casa, ma soprattutto con temperature invernali a cui, dopo tre anni, non era riuscito ancora ad abituarsi.

L'unica nota positiva era stata, appunto, il trasferimento di Francesco. Almeno non era più solo, aveva qualcuno su cui fare riferimento nei giorni in cui la lontananza da casa lo faceva sentire fin troppo suscettibile al freddo, rendendo il suo umore altrettanto "gelido".

Si erano conosciuti da bambini, in un villaggio turistico dove il caso aveva voluto che entrambe le loro famiglie avessero deciso di trascorrere qualche giorno di vacanza.

Avevano stretta amicizia subito, trovandosi a passare quei giorni sempre insieme, diventando presto inseparabili, tanto che, persino i loro genitori avevano finito per stringere rapporti tra di loro e, d'allora, tra le due famiglie era nata una bella amicizia ch'era durata nel tempo.

Le loro mamme erano diventate migliori amiche: uscivano insieme per andare al cinema, organizzavano i loro weekend Only Girls  – come li chiamavano – sparendo per un paio di giorni da qualche parte nel mondo.

I padri dei ragazzi passavano le domeniche insieme a urlare davanti alla TV, tifando le rispettive squadre del cuore e quando queste finivano per scontrarsi sul prato verde partiva persino qualche cazzotto, subito perdonato da un'altra birra e affettuose pacche sulle spalle.

E poi c'erano loro due: sempre insieme. I genitori li avevano iscritti nelle stesse scuole; al liceo le loro strade si erano separate – ognuno dei due aveva scelto un piano di studi diverso rispetto quello dell'altro – ma si erano ricongiunte all'Università, anche se pure in quel caso avevano scelto facoltà diverse.

Francesco poi aveva conosciuto Raffaele, aveva iniziato a uscire con lui e, contemporaneamente, ad arrancare negli studi.
Gennaro aveva terminato la triennale, la magistrale e si era trasferito a Bologna.

-Ma che c'hai oggi?-
Il giovane sollevò gli occhi davanti a sé, rendendosi conto soltanto in quel momento che si era fermato nel bel mezzo del marciapiede, lo sguardo basso, senza prestare attenzione ai passanti, a coloro che lo circondavano e che cercavano di scansarlo.

Così Gennaro si trovò a fissare di nuovo l'amico.

I suoi occhi azzurri erano spalancati per lo stupore, ma erano tornati limpidi e asciutti e per questo il giovane tirò un sospiro di sollievo. La punta del naso ed entrambi gli zigomi gli si erano arrossati per il freddo, donandogli un aspetto adorabile, che a Gennaro ricordava un po' le faccette degli elfi di Babbo Natale. I suoi capelli erano un disastro: da quando si era trasferito lì, l'umidità e il freddo non facevano altro che contribuire a sciogliere i suoi ricci castani, rendendoli un groviglio informe.

-Allora?- lo incalzò l'amico. -Perché mi guardi così? Mi stai facendo una radiografia? Ho una cosa incastrata tra i denti?- gli chiese, compiendo un passo verso di lui. Si chinò un po' in avanti, guardandolo dal basso, cercando di scorgere una porzione di pelle tra il suo imbacuccamento. -Sembri un pinguino- gli disse e scoppiò a ridere.

Gennaro percepì un guizzo solleticargli il petto, i suoi occhi ebbero un fremito, ma tentò di ricomporsi subito.

-Fa freddo- borbottò e l'amico scosse la testa, compiendo una piroetta su se stesso.
-Guarda come sto bene io!- esclamò.
-Poco fa sembravi pronto a buttarti sotto a un treno- ribatté Gennaro, riprendendo a camminare. 
-Ma certo che sei stronzo- disse Francesco, affiancandolo. -Guarda che ci sto male per questa situazione...-
-Anch'io-
-Che c'entri tu?-

Si fermarono di nuovo in mezzo al marciapiede. Gennaro si guardò intorno e, senza rispondergli, attraversò la strada. Francesco imprecò, ma lo seguì, stando attento a non farsi mettere sotto da qualche auto.

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top