Capitolo 9
Jade's Pov
"Non mangi?"
"Cosa?"
"Ti ho chiesto se non mangi."
"Si, si ora mangio, prima però vado in bagno."
Il mio stomaco è sottosopra.
Sto per rigettare il mondo intero e voglio evitare di dare spettacolo davanti a Justin, oggi ne ha già visto di teatrini.
Quando ero in Australia i conati di vomito con il tempo erano spariti e ora sembrano rinati, convivono con me da quando sono ritornata a Seattle.Convivono e aumentano senza dar tregua al mio stomaco.
Non ho mai fame, non mangio e nonostante ciò rigetto ogni cosa. Il panico mi sta divorando viva, non riuscirò a controllarmi per molto tempo.
Non posso farcela se continuerò a vedere Greg ovunque.
"Jade sei viva?"
Justin non può vedermi in questo stato, non può vedermi crollare.
Non credo di essere pronta a dargli una risposta ma se non lo faccio rischio di farmi vedere in questo stato.
"Jade."
"Arrivo, dammi solo un minuto."
Spero non si sia accorto di niente.
"Va bene. Ti aspettiamo al tavolo così poi andiamo."
Mi alzo, mi sciacquo il volto e mi lascio alle spalle quelle quattro mura che ora conoscono il mio lato fragile.
"Non mangi?"
Non faccio in tempo ha sedermi che Justin incomincia a far domande.
È stranito da ciò che sta succedendo e lo capisco, chiunque avrebbe capito che c'ho qualcosa che non va, nonostante io cerchi di nasconderlo.
"Non ho molta fame."
Non è da me.
Non è da me aver del cibo davanti e non mangiare, è strano. Non sono affatto il tipo che ci pensa due volte se deve mangiare, di solito mangio in ogni momento, ma ora, tutto è diverso.
Sembrerei quasi la tipica ragazza che ci tiene alla sua linea, che si fa mille paranoie nonostante sia magra come uno stecchino, io non sono così.
Io non voglio diventare così.
Non voglio cambiare per piacere alla gente, io non voglio piacere, voglio semplicemente rimanere quella che ero quando ero in Australia.
Non sono pronta a combattere nuovamente.
"Tutto apposto Henderson?"
"Ti ho detto di non chiamarmi per cognome.
Non farmi domande. Le odio e odio chi le fa."
I miei occhi azzurri pieni di paura non si scollano dai suoi, così verdi e pieni di odio.
Un sentimento che convive anche in me ormai da anni.
Un sentimento che non ha fatto altro che cambiarmi, fino ad arrivare a diventare ciò che sono ora. Una ragazza che brucia tra le sue fiamme, le stesse che hanno causato un incendio che nessuno è riuscito mai a spegnere.
"Non mi dirai tu come chiamarti. Ti chiamo come voglio mia cara Henderson."
Il suo odio un'altra volta viene allo scoperto, un'altra volta non riesce a controllarsi, un'altra volta mi mostra un lato di se che fa quasi paura.
Un lato quasi oscuro.
"Pago tutto ciò che ha ordinato il tavolo numero sei."
"Sono.."
"Si tenga il resto."
"Ora vuoi fare pure la riccona montata? Ricordati di chi sei figlia, tuo padre..."
Esco con in braccio la creatura, senza continuare ad ascoltare o a replicare ciò che stava dicendo Justin.
Non ho pagato per passare per la riccona buona della situazione. Non mi è mai interessato nulla dei soldi e sicuramente le cose non cambieranno ora.
Faccio parte di una delle famiglie più benestanti della città, ho soldi a volontà ma non ho mia madre al mio fianco, cosa me ne faccio dei soldi se non ho lei con me?
Justin non sa niente di ciò che sono io.
Justin ha fatto ciò che ha fatto il resto della gente, si è limitato a studiarmi esternamente e a crearsi un'idea identica al resto di Seattle.
Le sue prole mi seguono senza darmi tregua.
Non ha intenzione di lasciarmi andare.
"Jade Henderson la riccona, figlia di un carcerato e di una psicopatica rinchiusa in chissà che manicomio."
Può parlare di Martin quando vuole, può insultarlo, può cercarlo e ucciderlo, non mi cambierebbe nulla, ma di mia madre non può dire nulla.
Non gli è permesso.
"Sei un perfetto idiota."
Gli sussurro avvicinandomi al suo volto.
Mi allontano lentamente tenendo per una mano Christian.
Ogni volta finisce così tra me e Justin.
Ogni volta nomina mia madre e io cerco di controllarmi, cerco di gestire la situazione con tranquillità per poi morire di rabbia da sola.
La rabbia scorre tra le mie vene al posto del sangue.
Sono arrabbiata perché io sono che razza di donna è mia madre, non è come tutti se la immaginano, lei non è complice.
Lei non è come se la immagina Justin.
Lo stesso ragazzo che da quando sono qui non fa altro che farmi impazzire la mente, lo stesso che non ha capito nulla e lo stesso ragazzo che mi tratta come la stessa psicopatica, finta bionda che era con lui la prima che l'ho visto.
Io non sono lei.
Io sono Jade e non gli permetto di trattarmi
Tutta la mia rabbia ricade sul bambino.
Senza accorgermene accelero il passo, agendo in questo modo il bambino cade sbucciandosi il ginocchio.
"Io non.."
Le sue lacrime mi lasciano senza parole, sto andando nel panico.
Kate ha ragione, non faccio altro che fare del male alla gente che mi circonda e questo bambino ne è la prova. Non faccio altro che rovinare tutto.
Il ginocchio del bambino continua a sanguinare, i suoi occhi sembrano una botte che perde, le sue manine si tengono strette la ferita. È così impaurito ed è tutta colpa mia.
"Se non reagisco io chi reagirà? Io ce la posso fare, io ce la posso fare."
Afferro il bambino prendendolo tra le mie braccia e mi metto a cercare una farmacia che dopo ben cinque minuti trovo.
"Ho bisogno di cerotti e disinfettante."
"Ecco a lei, ha bisogno di aiuto?"
"No no grazie, si tenga il resto."
Sto per impazzire, ho pura che gli possa succedere qualcosa.
Sembro una pazza sclerotica.
Esco quasi correndo diretta verso il parco davanti alla farmacia.
Ci sediamo in una delle panchine li presenti e quasi istericamente incomincio a medicare la ferita del bambino. Sembra essersi tranquillizzato.
"Brucerà un pochino, poi però passerà tutto."
Sussurro mentre disinfetto il ginocchio.
Ho paura, le mie mani tremano alla sola idea di provocargli altro dolore, vorrei non farlo io.
Vorrei non fosse mai successo.
"Io ce la posso fare, io ce la posso fare."
Ormai è il mio motto.
Per ogni suo sussulto di dolore io chiedo scusa, sentendomi sempre più in colpa. Sarei dovuta cadere io, dovrei sussultare io al suo posto. Questo dolore lo dovrei sentire io, non lui.
Con qualche difficoltà e qualche lacrima la ferita di Christian è medicata è bendata.
Non so quanto tempo sia passato e nemmeno che ora è, ho il telefono scarico ormai da ore. Ecco che succede quando non lo si mette sotto carica e lo si utilizza per un tempo indeterminato.
Non so nemmeno dove ci troviamo, il parco mi è leggermente famigliare ma non riesco a comprendere in corriera quale luogo di questa città ci troviamo.
Non possiamo prendere un taxi perché a quanto pare di qua non passa nemmeno un anziano in bicicletta, non possiamo muoverci per ciò mi arrendo al mio destino. Siamo persi nel nulla.
Spero tanto che quell'idiota abbia un minimo di cervello e che lo utilizzi. È tutta colpa sua se ora sono in questa situazione.
Christian nel frattempo gioca spensierato come se il dolore che sentiva qualche minuto fa non ci fosse mai stato.
È così innocuo, piccolo e indifeso. Mi chiedo come abbia fatto la famiglia ad abbandonare tale creatura, un angelo che della vita ancora non sa nulla.
Ora lui dovrebbe essere con i suoi genitori e non con me, ha bisogno di una figura materna e un'altra paterna al suo fianco.
Davvero la gente è cambiata così tanto da abbandonare un figlio?
Io in questo caso sono la meno adatta per dare risposte. Mio padre è un criminale e mia madre mi ha abbandonata.
Non posso permettere a questa creatura di passare ciò che ho passato io. Non può sentire il vuoto che ti divora, come quello che ho sentito io.
"Papà, Papá."
La creatura incomincia a correre verso un corpo che di punto in bianco si è presentato davanti a noi.
Sono proprio curiosa di vedere chi è questa persona.
Il battito cardiaco accelera e il mio cuore sembra voler esplodere nel petto. Gli occhi non riescono più a scollarsi dallo sguardo dell'uomo che per anni è stato il mio tormento.
Non l'avrei mai immaginato nei panni da padre, il fatto che abbia abbandonato Christian invece non mi stupisce affatto.
Nonostante il mio stato traumatizzato cerco di reagire. Non riesco a guardarlo di piú, non riesco a fissare quegli occhi color nocciola più di tanto.
Non reggo tutto ciò.
"Jade piccola mia, come stai?"
La sua pelle sulla mia sembra volermi bruciare. Mi libero dalla sua presa ma la sua voce mi tormenta, mi fa venire il voltastomaco.
"Non posso crollare, non ora."
"Stammi alla larga tu e tuo figlio."
"Non avrai mica paura di me, vero mia piccola Jade?"
"Verme."
Ha utilizzato quel bambino per fare tutto ciò, è un verme, è una persona senza cuore, lo odio e odio anche suo figlio.
So bene che quella piccola creatura non c'entra nulla, sono consapevole del fatto che lui non mi ha fato niente, ma suo padre mi ha rovinata, è stata la causa di tutto ciò che è avvenuto.
Non riesco a sopportare tutta questa pressione, il voltastomaco si trasforma in una forte fitta allo stomaco, simile a quella avuta quando l'ho visto sta mattina.
Mi accascio nuovamente a terra. Non ce la sto facendo, ho bisogno di mia madre.
"Jade."
È un sollievo sentire la voce di Justin, non l'avrei mai detto ma è arrivato al momento giusto. È la colonna sulla quale mi posso appoggiare senza aver pura di cadere, è la persona che ora mi fa percepire sicurezza.
"Justin."
Il mio tono di voce è veramente basso, un sussurro. Cerco di alzarmi ma il dolore è ancora forte, non ce la faccio da sola.
"Henderson ora giochi con lui? Non più con gli amici di famiglia?"
Justin non sa nulla di tutto ciò che è successo in passato, sa solo ciò che sanno tutto e la maggior parte delle cose non sono affatto vere.
"Justin aiutami ad alzarmi e portami via da qui."
Il ragazzo obbedisce senza far domande nonostante il suo sguardo perplesso.
Afferro la sua mano e la stringo.
Ma che sto facendo?
Ci allontaniamo dall'uomo e da quel bambino senza miao lasciarci le mani. È strano per me, il contatto fisico non fa per Jade.
Justin non parla, non fa domande ma sono sicura che prima o poi incomincerà con le domande, vorrà sapere. Io però non so che fare, preferirei evitare l'argomento, non voglio parlarne ma quando incomincerà a parlare io che farò? Che gli risponderò?
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