Pugni contro il muro

Dire "mi dispiace" non funziona sempre. Forse perché lo usiamo in tanti modi diversi. Come arma, come giustificazione. Ma quando ci dispiace davvero, quando lo usiamo nel modo giusto, quando lo diciamo credendoci, quando le nostre azioni esprimono ciò che le parole non riusciranno mai ad esprimere, quando lo diciamo bene, "mi dispiace" è perfetto. Quando lo diciamo bene, "mi dispiace" è redenzione.

Lo spettacolo di danza, era stato bellissimo ed emozionante, mi trasmise forti emozioni e sentimenti, mi aveva coinvolto totalmente, ed era stato come se mi fossi catapultato all'interno di un altro mondo. Avrei voluto che ci fosse stata anche Stella, per condividere insieme a lei le stesse emozioni.

Dopo lo spettacolo, andammo tutti a festeggiare in un ristorante, che si trovava a pochi metri dal teatro.
Mi sentivo sempre più solo e triste senza la mia piccola donna, anche se ero in ottima compagnia insieme alla mia famiglia.

Durante la cena, ad un tavolo poco più distante da quello nostro, notai che c'era la dottoressa Martini, in compagnia di un uomo e di un ragazzetto biondo.
Appena mi notò, fece uno sguardo di stupore, con un gesto mi fece notare il ragazzo accanto a lei, e capì subito che era Daniele.

Si notava dai suoi tratti somatici, con occhi a mandorla dalla forma allungata, lingua sporgente e bocca piccola, naso e profilo del viso leggermente appiattiti, statura bassa e aspetto fisico ancora da ragazzino.

Maria ad un tratto si alzò dal tavolo, e mi fece cenno di seguirla, Daniele la seguì.
Uscito fuori dalla sala del ristorante, Maria era fuori ad aspettarmi, insieme al ragazzo.
Gli diedi una carezza in segno di affetto, guardai sua madre, era molto imbarazzata.
Cercai di sciogliere il ghiaccio, parlando con il mio presunto figlio.

"Ciao io sono un collega di tua madre, lei mi ha parlato molto di te" mi fece uno sguardo assente.

Ma poi mi parlò: "Piacere di conoscerti collega di mia madre, anche voi siete un dottore?" Mostrava alcune difficoltà nell'espressione verbale.

"Sì, mio caro Daniele, sono il dottor Angelo Cox. Piacere mio di conoscerti" gli dissi stringendogli la mano.

Il suo ritardo mentale era lieve, in genere tende ad aggravarsi con l'invecchiamento. Lui aveva quarantaquattro anni, e questo mi spaventava.

Mi raccontò che lavorava come commesso in un negozio di giocattoli, mi confidò che questo lavoro gli piaceva molto, perché poteva consigliare ai bambini i nuovi giochi e giocare con loro.
Mi fece molta tenerezza, notai che aveva gli occhi blu, come i miei.
Dopo un po' disse in modo cordiale che ritornava dentro il ristorante, Maria rimase con me fuori per qualche altro minuto.

Si trovava in quel ristorante per una cena con il suo compagno.
Mi chiese cosa ne pensavo di Daniele, e fu molto contenta che dopo molti anni lo avevo rivisto, lo vidi fino a l'età di cinque anni.
Le confessai che mi era molto simpatico, ed era un ragazzo fantastico.

Dopo qualche minuto, mi toccò i capelli, era come se fosse tentata a baciarmi di nuovo, si sentiva ancora attratta da me.

"Cosa sei venuta a fare qui, a festeggiare le corna del tuo compagno?" Le domandai nervosamente.

Lei mentre mi stava rispondendo arrivò fuori il suo lui, in fondo era anche un bell'uomo, su una cinquantina, aveva i capelli neri leggermente grigi, occhi castani, ed era molto alto.

La baciò sulla bocca, per poi dirle: "Tesoro sei qui, andiamo dentro, io e Daniele stiamo aspettando te per cominciare a mangiare" mi lanciò uno sguardo minaccioso.

"Sì tesoro, stavo parlando con un mio collega di lavoro. Il dottor Angelo Cox" gli rispose lei sempre più imbarazzata.

Si presentò stringendomi la mano: "Piacere, sono il dottor Giulio Grimaldi. Sono un cardiologo" mi lanciò sempre il solito sguardo, ed entrò con lei dentro il ristorante.

A fine serata ci fu una bellissima sorpresa, mia sorella aveva fatto fare una torta per Flavio, nessuno sapeva della sorpresa solo lei, rimase molto contento.
Sulla torta era raffigurato mio nipote a dieci anni, che danzava con la sua prima divisa da ballerino.

Il giorno seguente quando ritornai a lavoro, durante una pausa, andai di nuovo con la dottoressa Martini nei reparti sotterranei, perché voleva parlarmi in privato.
Mi spiegò che Giulio il suo compagno, era il medico che stava seguendo nostro figlio. Perché aveva dei problemi cardiaci, per Daniele era diventato più di un padre.
All'improvviso scoppiò a piangere, mi abbracciò stretto a se, mi confidò che suo fratello si trovava in Svizzera in una casa di cura, perché le sue condizioni fisiche si erano aggravate, loro due erano gemelli.
Con il suo lavoro stava facendo mille sacrifici per la sua famiglia, gli altri suoi figli quelli avuti da Guido, avevano una loro vita. Il maschio studiava a Bologna, e la femmina aprì un negozio di parrucchieri, e conviveva con una donna.

Mi confidò che si sentiva ancora attratta da me, perché io le ricordavo suo marito Guido. Quando mi guardava vedeva noi da giovani, quando eravamo felici e non ce ne rendevamo conto.
Sentivo come una forte tensione sessuale invadere il mio corpo, non capivo il perché mi sentivo ancora attratto da lei.
I nostri sguardi si facevano sempre più intensi, le nostre labbra si avvicinarono lentamente, mi baciò appoggiandomi sul muro.

"No! Fermiamoci ti prego, abbiamo la nostra vita ora. Io amo Stella e tu ami Giulio, loro non meritano tutto questo" le dissi mentre era tentata ad abbassarmi i pantaloni della divisa.

"Hai ragione, mi dispiace... scusami. Ma ho una confessione da farti" mi disse allontanandosi leggermente da me.

"Cosa devi dirmi? Che mi ami ancora?" Le chiesi nervosamente.

Ma lei cominciò a parlarmi abbassando lo sguardo, non mi diede fastidio, perché non era Stella.

"Angelo, perdonami, hai tutto il diritto di arrabbiarti con me. Quella sera quando siamo andati a cena insieme, mentre tu eri andato a telefonare, ho messo il farmaco GHB in polvere, nel tuo bicchiere di vino" alzò immediatamente lo sguardo per guardare la mia espressione, ero furibondo.

"Cosa cazzo mi stai dicendo? Che mi hai drogato con la droga dello stupro?! Ma ti rendi conto che alla mia età avresti potuto uccidermi?" Le risposi sconvolto.

"Ti ho detto che mi dispiace, in quel momento volevo solo fare l'amore con te, come i vecchi tempi. Ed era l'unica soluzione, perché tu non ci saresti più venuto a letto con me" mi confessò.

"Non c'era bisogno di drogarmi, scommetto che il farmaco lo hai preso di nascosto in sala operatoria, visto che si usa di solito come anestetico chirurgico! Non ti voglio mai più vedere, sparisci dalla mia vista per sempre. Anzi sparisci dalla mia vita, e ritieniti fortuna che non ti denuncio!"
Le urlai fino a perdere quasi la voce.

Lei scappò via impaurita, rimasi da solo sconvolto, anche perché stavo per cedere alla tentazione.
Diedi un pugno con forza contro il muro in cemento, la mano cominciò a sanguinare, sentii un forte dolore.
Corsi immediatamente in reparto, dovevo metterci immediatamente il ghiaccio.

Stella:

Angelo mi mancava terribilmente ogni giorno, ma non ero pentita di avergli detto quelle cose, anche se mi dispiaceva tantissimo.
La mia gravidanza stava andando bene, erano passati quasi due mesi e andai a fare la mia prima ecografia.
Ancora non si sapeva il sesso del bambino, ma fu una sensazione piacevole e dolorosa allo stesso tempo.

Mio fratello Elijah fu il primo a capire che ero incinta, non so come, perché ancora non si vedeva nulla, ma lui lo capì. All'inizio si arrabbiò, ma poi approvò, mi fece mille raccomandazioni e mi incitò a dirlo ad Angelo.
Quando ci fu quel falso allarme, mi confessò, che era contento ma dispiaciuto dell'accaduto.
Ma era felicissimo di diventare zio per la terza volta, si mise anche a piangere, e per la prima volta mi abbracciò.

In ortopedia, il dottor Ferra, essendo giovane, non riusciva a stare dietro a tutto il reparto, infatti chiedeva sempre aiuto al caposala, perché lui era molto più anziano e aveva molta esperienza. Ma in sala operatoria Ferra era imbattibile, ed io ero fiera di lui. In reparto, a parte Ada, nessuno sapeva della mia gravidanza. Non volevo che si sapesse ancora, perché poi, se l'avesse saputo il caposala, mi avrebbe mandato a casa, mettendomi in maternità, e io, invece, volevo lavorare, non volevo restare a casa.

Mark e Tony, invece, erano sempre più innamorati, andavano in giro per il reparto tenendosi per mano.
Mi facevano molta tenerezza, loro erano innamorati già da tempo, solo che avevano paura di esprimere i loro sentimenti, soprattutto Mark.
Mentre Ada, si stava frequentando con un medico specializzande in chirurgia, ed ero felice per lei.
Anche se senza i miei due migliori amici, mi sentivo sempre più sola.

Sentivo sempre la necessità di chiamare il mio piccolo Angelo, di dirgli che aspettavamo davvero un bambino, ma non avevo mai il coraggio.

Dopo un turno mattutino, mi recai a casa sua, per eseguire un po' di pulizie domestiche. Mentre spolveravo le sue collezioni nel suo ufficio, all'interno di un album di figurine dei calciatori degli anni settanta, mi cadde una foto.
Raffigurava lui da giovane, sulle sue spalle aveva un bambino, che aveva all'incirca quattro o cinque anni.
Si poteva notare che il bimbo era affetto da sindrome di down, così capii che era Daniele, il figlio che Angelo aveva avuto con la dottoressa Maria Martini.

Mi venne come un brivido lungo tutta la schiena, perché al solo pensiero che lui era stato a letto con lei per ben due volte, mi faceva star male.
Non sapevo se fidarmi ancora di lui, pensando a quante volte si fossero baciati in quei due mesi che era a Milano.

Ritornata a casa nel tardo pomeriggio, mio fratello cominciò un'altra volta a trattarmi male. Mi diede anche dell'egoista, avevo perso le staffe, non poteva continuare a trattarmi così, non lo meritavo. Stavo già male per conto mio, ci mancava solo lui a complicarmi ancora di più la vita.

Gli urlai contro, dicendogli che mi aveva stancata e che me ne sarei andata via per sempre.
Mia sorella Mary cominciò a tremare, era molto spaventata, mentre mio fratello Mike cercò di farci calmare.
Loro non meritavano di assistere a quelle scenate, soprattutto mia sorella. Riuscii a calmarmi e a tranquillizzare Mary, poi corsi nella mia stanza e scoppiai a piangere.
Sentivo ancora i miei fratelli discutere, diedi un pugno con forza contro il muro vicino alla porta.
Smisero di urlare, la mia mano era dolorante ma ero sicura che non fosse rotta.

Chiamai immediatamente Angelo, ma non mi rispose, sicuramente era in sala operatoria.

Quello stesso giorno, avevo anche la notte a lavoro, perché il caposala ci aveva messi tutti a fare il quarto turno, per mancanza di personale.
Così verso le venti di sera mi avviai, non avevo neanche cenato.
Davanti alla porta d'uscita, mi fermò mio fratello Elijah.

"Dove stai andando?" Mi domandò cupo.

"Vado a fare l'egoista!" Gli risposi ironicamente.

Era dispiaciuto per aver litigato per l'ennesima volta.

"Stella mi dispiace, non volevo trattati male. Scusami, rimani a casa con noi" mi replicò dispiaciuto.

"Non accetto scuse, poi non posso rimanere, devo andare fare anche il turno di notte. Ci vediamo domani mattina se Dio vuole... ciao" aprii la porta per uscire e me ne andai.

Appena arrivata in reparto di ortopedia, mi fermò Mark, era piuttosto agitato.

"Stella finalmente sei arrivata, vieni con me e Tony in pronto soccorso" mi incitò.

"Perché cosa è successo?" Gli domandai preoccupata.

"Non è successo nulla tranquilla, in pronto soccorso manca il personale, hanno chiesto a noi di andare. Stanno incasinati" mi rispose.

Una volta arrivati in pronto soccorso, mi sembrava un Lazzaretto. C'erano letti con pazienti ovunque, gli infermieri e i medici scappavano da tutte le parti senza mai fermarsi.
Il dottor Ferra era già lì, ci fece andare con lui da alcuni pazienti.
Non capivo cosa fosse successo, ma tutti avevano bisogno del nostro aiuto.

Subito dopo ci informarono, che era scoppiata una fabbrica di scarpe, ed era la stessa dove lavorava mio fratello.
Non sapevo come fosse accaduto, per fortuna lui non era di turno, ma chiamai lo stesso a casa.

Aveva già saputo della notizia, mi chiese di nuovo scusa, era sconvolto.
Lo rassicurai, dicendogli che per fortuna lui era casa sano e salvo e che mi sarei presa io cura dei suoi colleghi.

Dopo qualche ora, ci furono altri pazienti che dovevano essere soccorsi in quella fabbrica.
Servivano degli infermieri paramedici e un ortopedico, così il dottor Ferra andò con l'auto medica.
Mentre io e Mark andammo con l'ambulanza, ma mancava un autista,
così si offrì volontario Tony, perché lui prima lavorava nella croce rossa.

Prima di salire a bordo nell'ambulanza, Mark e Tony si baciarono sulla bocca, per portafortuna.
Non sapendo che quello sarebbe stato il loro ultimo bacio.

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