ᴠɪɪɪ. ᴘᴇʀᴅᴇʀᴇ ᴄʜɪ ᴀᴍɪ

prima pubblicazione:
[22/11/2018]

ripubblicato:
[25/06/2020]

Dɪ ɴᴜᴏᴠᴏ. Stesso posto. Stessa grotta buia e fredda.
Abbassò lo sguardo e i piedi erano di nuovo pietrificati nonostante lui stesse cercando di muoverli con tutte le sue forze. Improvvisamente venne distratto da una voce molto debole alle sue spalle. Sembrava avesse sussurrato il nome del ragazzo, ma neanche lui aveva capito bene cosa avesse detto. Però sapeva a chi appartenesse. Con il cuore che batteva a mille, lui riuscì a muovere finalmente i piedi e a girarsi di scatto ed ecco che li rivide: quegli occhi rossi e anormali, tanto incantevoli quanto letali. Lo osservavano da almeno qualche metro di distanza, eppure la sua presenza sembrava essere incredibilmente vicina.
«Chi sei tu??» osò chiedere volendo indietreggiare, ma ecco che i suoi piedi erano di nuovo pietrificati. "Andiamo..." si disse nel mentre cercò di divincolarsi da chissà quale entità invisibile stesse cercando di trattenerlo.

«Thomas...» sussurrò nuovamente Occhi Rossi. Non fu facile capire se quella voce appartenesse a un uomo o a una donna: era una voce dolce e delicata ma al contempo sembrava essere roca e possente. Tuttavia quello fu l'ultimo dei suoi pensieri non appena gli occhi brillanti color sangue si chiusero oscurando totalmente quel luogo tenebroso.

Il battito del cuore di Thomas che stava aumentando fu l'unico rumore a spezzare quel silenzio inquietante mentre la fronte divenne sempre più sudata ma anche gelida. Aveva paura. Pensava di averne quando aveva Occhi Rossi di fronte a lui, ma come poteva non esserne terrorizzato quando non sapeva dove fosse o quanto vicina la sua presenza potesse essere?

Per sua fortuna si svegliò prima che il sogno potesse diventare ancora più cupo e spaventoso di quanto non lo fosse già.

Rimase seduto sul letto per qualche minuto massaggiandosi la fronte piena di sudore. Era tanto sudata e fredda quanto lo era nell'incubo. Era come se quell'incubo in realtà fosse una specie di coma, parte della realtà ma al contempo un'illusione.

Era tutto così strano e confuso... Perché continuava a fare lo stesso sogno? A chi appartenevano quegli spaventosi ma meravigliosi occhi di un rosso intenso e molto abbagliante? Si stava ponendo così tante domande, alle quali però non aveva delle risposte.

Per cacciare via quei pensieri, diede un'occhiata all'orologio ed erano già le undici del mattino. Di solito anche durante il fine settimana, lui si svegliava presto, massimo alle otto. Si strofinò il viso dirigendosi verso l'armadio dal quale avrebbe scelto dei vestiti per quella tranquilla giornata di domenica. Però non appena lo aprì, trasalì: lì dentro non vedeva né vestiti né scaffali. Era buio, estremamente buio, come se si ritrovasse nella grotta di quell'incubo. L'unica cosa abbagliante erano quegli occhi che ormai lo tormentavano non solo nei suoi incubi, ma anche nella realtà.

Terrorizzato, Thomas chiuse di fretta l'armadio indietreggiando. Si sedette nuovamente sul letto cercando di ragionare.

È tutta un'illusione, Thomas, cercò di convincere sé stesso. Niente di ciò è reale.

Deglutì prendendo poi coraggio; si rialzò avvicinandosi lentamente all'armadio. Le mani tremanti toccarono le maniglie e di scatto spalancò il mobile. Come al solito c'erano i suoi vestiti ripiegati perfettamente.

Una lacrima di paura e confusione rigò la guancia del giovane. Lui l'asciugò subito mentre si mise a camminare avanti e indietro per la stanza scompigliandosi i capelli.

Che mi sta succedendo?, si chiese per poi lasciarsi andare: si sedette lentamente per terra nell'angolo della camera. Poi poggiò il suo mento sulle sue ginocchia chiudendo lentamente le palpebre, con il solo desiderio di dimenticare tutti i suoi problemi e i suoi tormenti.

A distrarlo fu il bussare della porta. «Thomas, dormi ancora?» disse Natalie con dolcezza.

«No, entra pure» borbottò lui alzandosi di scatto, fingendo di sistemare il letto non appena la madre entrò.

«Ciao, tesoro. Oggi stai bene?» Sua madre lo aveva visto molto giù di morale da quando aveva saputo della tragedia avvenuta quella settimana.

Thomas infatti si limitò a scrollare le spalle e ad annuire. «Cosa volevi dirmi?»

«Beh... Volevo chiederti se potessi andare tu a fare la spesa oggi. Ci andrei io ma-»

«Nessun problema. Credo che ormai abbiano già chiuso, ma ci vado subito dopo pranzo quando riaprono.»

«Grazie. Così ti prendi anche una boccata d'aria... Magari potresti anche chiedere alla tua nuova amica di uscire a fare una passeggiata?»
Thomas inarcò il sopracciglio fingendo di non sapere di cosa stesse parlando.
«Ti ho visto parlare con la nuova ragazza dopo il funerale. È proprio bella, davvero.»

Su questo Thomas non aveva dubbi, ma non voleva ammetterlo davanti a sua madre. Per nascondere che stava arrossendo, si raddrizzò gli occhiali e spostò lo sguardo in basso. «Lena non è... Cioè, noi non... Non siamo amici. Non ancora. Ci conosciamo a malapena.»

«Forse per questo potresti chiederle di uscire, così che possa conoscere anche meglio Bertram Bourgh, perché no?» gli arruffò i capelli come se fosse un bambino, cosa che lo infastidì molto nonostante non trattenne un sorriso. Natalie fece per uscire dalla stanza, ma non prima di aggiungere: «Ti ho lasciato la lista della spesa con i soldi sul tavolo della cucina. Come bonus una piccola mancia, così offri il caffè a Lena... Divertiti» concluse chiudendo lentamente la porta.

Thomas sbuffò. Forse sua madre aveva ragione? Per conoscere meglio Lena invitarla a fare una passeggiata era sicuramente un buon inizio. Sarebbero potuti diventare buoni amici... O di più.

Thomas scosse la testa. Stava correndo decisamente troppo. Lena era una ragazza bellissima e a primo impatto sembrava una tipa apposto, ma doveva ricordarsi che la conosceva a malapena.

Prese il cellulare appoggiato sul comodino e dopo averlo acceso, fece per iniziare una chiamata prima di rendersi conto però, che non aveva nemmeno il numero di cellulare di Lena.

Verso tardo pomeriggio, Thomas aveva finito di fare le compere per sua madre. Nel mentre raggiunse la motocicletta parcheggiata davanti al bar vicino, prese il cellulare dalla tasca per avvertire sua madre che aveva finito la spesa e dunque di prepararsi ad aprirgli la porta dato che si era dimenticato la chiave. Però prestando attenzione solamente al telefono, andò accidentalmente a sbattere contro qualcuno. Cadde così il sacchetto facendo uscire da esso tutta la spesa.

«Oh, no, perdonami!!» esclamò la persona che aveva fatto cadere tutto. Thomas si girò verso di lei spalancando gli occhi.

«Ciao, Lena!» disse senza esitazione sorridendo.

La ragazza ricambiò il sorriso per poi inginocchiarsi e raccogliere la spesa di Thomas.

«No, lascia perdere, ci penso io!» si inginocchiò pure lui aiutandola.

Lena rise. «Dobbiamo smetterla di incontrarci sempre così, che pensi?»

Thomas ridacchiò infilando il pacchetto di cereali in borsa e disse: «Beh, la cosa positiva è che ci incontriamo.»

Dopo aver detto questo si morse subito il labbro. Lena lo scrutò inarcando il sopracciglio e fece una dolce risata che non sembrava affatto imbarazzante o ciò lo sollevò.

«Senti... In realtà volevo giusto parlare con te, solo che non ho il tuo numero di cellulare dunque non potevo chiamarti.»

Lena lo scrutò curiosa. «Ah sì? Il numero te lo do adesso se vuoi» Thomas in quell'istante avrebbe voluto fare segno di vittoria con il pugno ma si limitò ad annuire. «Ma comunque che volevi dirmi?»

«Beh, sai volevo chiederti se magari volevi andare a fare un giro in città per conoscerla meglio o andare semplicemente a bere un caffè... Solo se ti va, certamente.»

Lena sorrise. «Sei fortunato, oggi volevo giusto sgranchirmi le gambe e camminare. Quindi mi farebbe un gran piacere» rispose senza esitazione.

Thomas l'aveva portata a fare un giro in centro città mostrandole vari negozi o edifici. Avevano chiacchierato molto per essere in fin dei conti ancora degli sconosciuti e le loro conversazioni non erano così imbarazzanti come se le aspettava il ragazzo. Thomas le aveva raccontato molto di Bertram Bourgh e della scuola che frequentavano e Lena era sempre pronta a fare eventuali domande. Per fortuna del ragazzo, la gioavne inglese era piuttosto estroversa e capace di fare conversazione senza renderla imbarazzante.

Un'ora dopo, i due andarono nel bar al fianco del supermercato. Dopo avere ottenuto i loro caffè, Lena cominciò a parlare.
«Allora, Thomas. Tutte queste storie sulla città e sulla scuola, ma... Che mi dici di te?» disse aggiungendo un po' di latte nel caffè.

Il ragazzo inarcò il sopracciglio finendo di bere un sorso di caffè. Poi parlò: «Che vuoi sapere?»

«Non lo so. Che ti piace fare, per esempio... Di te in generale.»

Thomas sorrise strofinandosi le mani. «Ok, facciamo così: prima ti dico io qualcosa su di me e poi anche tu dovrai parlare un po' di te e così via. Ci stai?»

Lena fece un sorrisetto beffardo. Prese la tazza e prima di bere un sorso disse: «Allora comincia tu, Whalen... Vivi qui da sempre?»

«No, ho vissuto a Boston fino ai miei sedici anni, poi mi sono trasferito da mio nonno.»

«Boston, interessante... E perché sei venuto qui?»

Thomas si morse la lingua. Forse se le avesse parlato del divorzio dei suoi avrebbe corso troppo. Poi scosse la testa.

«Eh no, basta, Lena. Ora è il tuo turno: parlami un po' di te. Tu in realtà sei inglese, vero?» domandò.

Lena annuì. «Esattamente. Sono nata a Londra e poi mi sono trasferita qui negli Stati Uniti quando avevo... Sette anni,» disse, ma non aveva finito, «poco dopo la morte di mia madre» abbassò lo sguardo.

Thomas che prima stava per finire il caffè posò subito la tazza sul tavolo. Spalancò leggermente gli occhi con fare dispiaciuto. «Mi... Mi dispiace, Lena.»

Nonostante la ragazza avesse già detto il primo giorno di scuola di avere perso i suoi, Thomas era comunque rimasto scioccato.

Lei fece un debole sorriso. «Lei era decisamente la donna più meravigliosa che io abbia mai conosciuto e non ne conoscerò di migliore... Se ne è andata troppo presto. Cancro. Dopodiché sono rimasta con mio padre Alexander... Ma dopo la morte di mamma lui è diventato più freddo e distaccato e da allora ho sempre avuto l'impressione che lui non mi volesse più bene» Thomas dopo quella dichiarazione fece per dire qualcosa, ma ebbe un nodo in gola non appena Lena concluse la frase. «Si è ucciso anni dopo. Ho vissuto con mia zia a New Orleans fino a poco tempo fa e... Ora eccomi qui...» si schiarì la gola con lo sguardo fisso sulla sua tazza di caffè che ormai era freddo. Lo finì tutto. «Non mi piace questo gioco, sono stufa.»

Thomas annuì. «Già anch'io» Era scioccato da ciò che le aveva appena eaccontato. Sapeva cosa volesse dire perdere un membro della famiglia, ma doverne perdere due... Non immaginava il dolore. Per distrarsi guardò fuori dalla finestra che ormai era già buio. Guardò la ragazza.

«Lena, tu come ci torni a casa?» le chiese tanto per alleggerire la tensione.

«A piedi.»

«Davvero? Ma è tardi, tua zia potrebbe preoccuparsi.»

«Thomas, non ho sei anni, me la cavo» sghignazzò lei inarcando il sopracciglio.

«Non mi importa. Ti do un passaggio.»

«No, non serve, grazie» disse lei sorridendo.

«La mia non era un'offerta, ma un obbligo. Esigo che tu accetta un passaggio» scherzò lui mentre lasciò il conto sul tavolo dove avevano bevuto il caffè. Prese il sacchetto e la incitò ad alzarsi.

Lei ridacchiò. «Se insisti. Grazie, Thomas.»

Uscirono dal bar e il cielo era ormai scuro. Thomas si avvicinò alla sua motocicletta impressionando Lena.
«Wow! Che bella la tua moto!»

«Ti ringrazio» disse lui con un sorriso beffardo e le diede il suo casco di riserva.

«Dove l'hai comprata?» chiese mentre entrambi ci salirono sopra.

«Non saprei dire, prima era di mio fratello...»

«E lui te l'ha regalata?»

«No, l'ho ereditata» tagliò corto lui sperando che Lena non volesse entrare nei dettagli. Per sua sfortuna però, la ragazza sembrava essere molto curiosa.
«Ereditata?»

«Ehm sì... Vedi, lui è... Venuto a mancare» senza un buon motivo, lui si girò verso la ragazza. Lei mise la mano sulla bocca abbassando il capo.
«Dio, scusa se ho-»

«Fa niente... Non lo sapevi, non è colpa tua.»

«Mi dispiace, Thomas. Mi dispiace davvero tanto.»

Il ragazzo si rigirò e fece per far partire la moto, ma prima aggiunse. «È passato tanto tempo... Io ora sto bene.»

Lena annuì. «Comunque sappi che... Se ne vorrai mai parlare... Conta su di me. Come già sai, so bene come ci si sente a perde-» senza finire la frase, abbassò leggermente gli occhi con tristezza, «beh, lo sai

Thomas annuì facendo partire la moto.
Durante il viaggio rimasero entrambi in silenzio pensando solamente a quei ricordi con protagoniste le loro tragiche perdite.

ʟᴏɴᴅʀᴀ, ɪɴɢʜɪʟᴛᴇʀʀᴀ
25 ғᴇʙʙʀᴀɪᴏ 1701

Quella notte, nella città di Londra, diluviava molto. Era certamente una delle notti più fredde di tutto l'anno.

Intanto le due figlie del conte Alexander Beau Carver stavano dormendo nella loro camera, imbottite di tante coperte. Jeanette, la sorella maggiore, che aveva compiuto dieci anni da poco, stava dormendo beatamente.

Stava sognando sua madre Ingrid che le cantava una ninna nanna, come aveva sempre fatto ogni notte. Ingrid stava seduta sulla poltrona al fianco del letto della figlia e nel mentre cantava, accarezzava i capelli biondi della piccola. È così che lei e sua sorella si erano sempre addormentate ogni notte.

Nel mentre la biondina stava dormendo come un angelo, Leanna, la più piccola che aveva compiuto da poco i sette anni, non riusciva a dormire. Per sua sfortuna, ogni volta che chiudeva gli occhi vedeva solo sua madre sdraiata sul grande letto matrimoniale, priva di vita.

Si mise seduta sul letto e notò che sul comodino di mogano c'era ancora la collana di Ingrid. Il ciondolo era una bellissima perla argentata che a Leanna ricordava gli occhi chiari della madre. Leanna ad un certo punto decise di sfogarsi: si rimise sdraiata sul letto e versò tutte le lacrime possibili. Per evitare di fare troppo rumore, appoggiò il suo viso sul cuscino continuando a singhiozzare.

Sua madre se ne era andata ingiustamente venti giorni prima a causa di una terribile malattia. Ingrid era morta difatti molto giovane ovvero a soli trentaquattro anni. Tutti si erano quasi ripresi da quando lei era morta. Ovviamente quello era l'inizio di un brutto e lungo periodo per tutti che conoscevano quella giovane e bellissima donna dal cuoro d'oro, ma dopo quasi tre settimane stavano decisamente meglio, persino Alexander Beau e Jeanette. Tutti a parte Leanna. Quella sera era la prima volta (dopo il funerale) che la bambina aveva nuovamente pianto così tanto.

Jeanette intanto si era svegliata a causa dei singhiozzi di Leanna. Spostò lo sguardo dal soffitto al letto della sorellina notando che lei non stava affatto bene. Così senza esitazione si alzò dal letto e si avvicinò a quello dell'altra sdraiandosi sopra esso.

«Lena...» sussurrò lei abbracciandola. Lei girata di spalle continuò a singhiozzare.

«Fa male, Jane» mormorò Leanna girandosi poi e mostrando il volto pieno di lacrime alla sorella. «Mi manca la mamma.»

«Anche a me, Lena...» cominciò lei tirando su con il naso. «Ma devi pensare che... Anche se non la vediamo più... Lei è qui con noi. E lo sarà sempre. Ora fa silenzio e dimmi se senti la sua voce.»

Puntò il dito verso il soffitto incitandola a fare silenzio. Leanna provò a concentrarsi e stranamente la sentì una voce... Ed era la voce melodica della madre che continuava a cantare quella dolce ninna nanna nella sua testa.

«Mamma» mormorò lei esprimendo finalmente tanta gioia. Gli occhi intanto cominciarono a diventare sempre più stanchi e involontariamente, Leanna li chiuse del tutto cadendo in un sonno profondo.

Jeanette sorrise dandole un piccolo bacio sulla fronte. «Andrà tutto bene, Lena... Finchè saremo unite, andrà tutto bene.»

Leanna sorrise sentendosi più che grata di avere almeno sua sorella accanto.

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