22.
I dolori per Ethan non passavano, e sembravano proprio non voler passare. Il suo coach era andato a trovarlo, per testare come stava il suo fisico. Insieme col secondo coach avevano previsto per lui un allenamento funzionale, giusto per non rimanere fuori forma, sperando che il suo corpo avesse reagito alle cure quanto prima.
Nonostante gli sforzi, il suo corpo si rifiutava di migliorare. Faceva abbastanza fatica a sollevare i pesi e la stanchezza si faceva sentire molto prima del previsto.
E nel periodo che restava a casa, ripensava sempre ad Alyssa, alle sue parole. Al fatto che non accettava quello che faceva, soprattutto perché lo faceva. Secondo lei era solo un atto di un egoista.
Lui credeva davvero in quello che aveva detto ai medici, voleva davvero smettere di lottare. Ma per forza di eventi, non poteva smettere. Lo faceva per ripagare gli sforzi dei suoi genitori per farlo rimettere in piedi, per permettergli tutte quelle cure.
Non si sentiva egoista, anzi metteva il suo volere in secondo piano. Non poteva permettere che i suoi genitori perdessero l'unica cosa che avevano.
E nonostante provava a chiamare Alyssa, lei non rispondeva. L'aveva riempita di chiamate e mandato numerosi messaggi, ma lei non dava alcun cenno di risposta.
Voleva andare a trovarla a lavoro ma ricordava lo sdegno che le aveva creato quando ci era andato l'unica volta. Però doveva vederla.
Aveva preso la macchina e sperato di trovarla col turno suo.
Si era parcheggiato e proprio in quel momento stava andando a lavoro Julia.
Le aveva chiesto se Alyssa si trovava a lavoro in quel momento, e per sua fortuna era il suo turno.
«Te la vado a chiamare.» aveva detto Julia, infine.
Dopo un paio di minuti, l'aveva vista affacciarsi alla finestra. Dalla sua espressione si evinceva la sua titubanza se scendere o meno, e poi lei era scomparsa dalla finestra.
Era passato un brevissimo tempo, prima che la porta dell'edificio si aprisse ed Alyssa si presentasse a lui.
«Che ci fai qui?» gli aveva chiesto, con tono freddo.
«Volevo vederti, e soprattutto scusarmi per non averti detto la verità.»
«Ok, ora l'hai fatto.» aveva detto Alyssa, per poi andarsene. Ma poi si era fermata. «Ho visto il tuo incontro, con Perez intendo.»
«Te l'avevo detto che era stata una brutta storia. . . »
«Tu la chiami solo una brutta storia?! Ethan, avevo capito che quello che praticavi era uno sport cruento e pericoloso, ma porca miseria quello là sembrava volesse ucciderti!» aveva risposto cercando di non piangere Alyssa.
Ethan, dal canto suo, non riusciva a guardarla. Anche se quel video l'aveva visto anche lui, dopo che era tornato a casa dopo essere stato in ospedale. Era anche per quel video che aveva detto basta con la lotta.
«Hai rischiato veramente di morire.» aveva continuato Alyssa. «Dovresti ritenerti fortunato. Non tutti hanno il privilegio di ottenere una seconda possibilità, e tu sei uno di quei pochi, e cosa ne decidi di fare? Ti metti a giocare con la morte?! E davvero, puoi dirmi quello che vuoi, ma non capisco davvero perché tu voglia rischiare così tanto. Fatico davvero a capire il perché tu voglia morire.»
«Ma io non voglio morire. . . »
«Sì, invece. Se non smetti di lottare, rischi di morire. Smetti di lottare e potrò finalmente tornare nella tua vita. Perché io non voglio vivere col pensiero di non vederti tornare a casa nostra. Tu sei libero di fare quello che vuoi con la tua vita, e non sei tenuto ad ascoltare nessuno ma non costringere me a seguirti. Io non ce la posso fare.»
«Vuoi davvero chiudere con me?» aveva chiesto Ethan, affranto e col cuore in gola.
Alyssa non se l'aspettava quella domanda così diretta. «Sai bene che ti amo, Ethan, ma io non posso vivere così. Non posso vivere con la paura per te, con la paura che dopo un tuo incontro io possa rimanere sola. E non mi riesco ad immaginare sola dopo che te ne sarai andato.»
«Quindi tra noi è finita?»
«Sì, Ethan.» aveva detto Alyssa, sospirando. «Se decidi di continuare a lottare, è finita.»
Erano ormai passate settimane ed Ethan si era rimesso in sesto, ed era tornato agli allenamenti. Anzi, li aveva intensificati sperando di non pensare ad Alyssa, ma lei non c'era più e questo aveva provocato in lui un grande vuoto.
Ogni giorno tornava a casa e sperava che lei si trovasse lì in casa sua, parlandosi delle loro giornate ma niente. Lei sembrava ormai essersi stabilita dall'amica Julia ed aveva provato a parlare anche con quest'ultima, ma lei gli aveva detto che non poteva parlare con Alyssa e che entrambi dovevano rispettare il suo volere.
Ormai si era rassegnato, e pian piano si era nuovamente avvicinato alla madre, ma non ancora col padre. Tuttavia, i rapporti con la madre erano sempre carichi di tensione, perché anche lei voleva che smettesse.
Alyssa stava bussando ad una porta blindata color petrolio. Ad aprirle la porta era arrivata una signora.
«Immaginavo che mi avresti trovata.» aveva detto la signora.
«Non so cosa fare con suo figlio.» aveva risposto Alyssa.
Infine era entrata in casa. Il marito era a lavoro, quindi in casa c'erano solo lei e la madre di Ethan.
La casa era piena zeppa di fotografie, tutte raffiguranti Ethan da piccolo. Era piccola, ma accogliente.
«Ti va un caffé?»
«Solo se lo prende anche lei.»
«Certo.» aveva risposto la madre.
«Immagino ti abbia raccontato la sua storia.» aveva poi continuato.
«Sì, mi ha raccontato di essere stato in terapia intensiva dopo quell'incontro.»
«Non puoi immaginare che dolore si possa provare nel vedere tuo figlio in coma. Era un miracolo che fosse sopravvissuto. Nessun dottore gli dava la minima speranza. Era irriconoscibile, con quella faccia tutta bendata, gonfia. Si vedevano solo i suoi occhi. E quel suo cervello frantumato. . . »
«Mi ha detto della placchetta inserita a supporto.»
«Già, ma non è sicura. O meglio, le ossa del suo cranio si mantengono per miracolo, perché alcune di queste si sono frantumate e non sono stati in grado di sistemarlo al meglio. Hanno già fatto un miracolo con quel che sono riusciti a fare. Pensavo davvero che il peggio fosse passato, ma non avevamo fatto i conti con le spese per le cure. . . »
«Ethan mi ha detto di quello che avete fatto per permettergli quelle cure.» aveva mormorato Alyssa, titubante se dirlo o meno.
«Immaginavo. Così come immagino che ti ha detto che continua a lottare appunto per questo.»
«Sì, ma non può essere una giustificazione per quello che ha deciso di fare della sua vita.»
«Hai ragione, non lo è.» aveva detto la madre offrendole il caffè. «Dio solo sa quanto l'agonia di trovarlo vivo alla fine di ogni suo incontro finisca.»
«Già.» aveva confermato Alyssa.
Dopo aver parlato ancora un po, se ne era andata, salutando la madre di Ethan. La sentiva triste, e la preoccupazione per il figlio sembrava farla invecchiare giorno dopo giorno, e le era sembrato davvero più invecchiata rispetto all'unica volta che l'aveva vista.
Ethan aveva non solo intensificato gli allenamenti, ma adesso si stava allenando per un nuovo incontro.
Si stava allenando con vigore, ed il suo corpo stava tornando in forma. Tutto stava andando liscio come l'olio, la sua situazione seria era ritornata stabile ma non poteva affermare lo stesso per la sua relazione con Alyssa.
Mancava tutto di lei, mancava lei a riempire tutto il suo mondo.
Voleva che le cose tornassero come prima, che lei tornasse con lui. Ma sapeva che con la sua scelta l'aveva allontanata e lei non era vincolata a restargli accanto. Vincolo che invece aveva la madre.
Aveva acceso la tv e proprio in quel momento c'era un incontro di Perez. Lui contro un certo Mitzov, un lottatore bulgaro.
L'incontro si era concluso già al primo round, con un knock-out secco da parte del campione in carica. L'imbattuto Perez, il lottatore mastino che aveva ridotto la sua vita un inferno. Un lottatore che l'aveva quasi ucciso.
Finita la premiazione, Perez stava rilasciando un'intervista.
«Allora Perez, un'ennesima vittoria per te. Cosa pensi di questo record mostruoso?» gli aveva domandato il giornalista.
«Per me l'importante è vincere. Mi alleno molto per far sì che io vinca sempre, ed ogni vittoria ripaga i miei sforzi, in questo senso.»
Poi il giornalista aveva rivolto qualche altra domanda su varie occasioni capitate nel primo round. Ma l'intervista non era ancora finita. . .
«Pensi che qualcuno possa strapparti la tua cintura?»
«Io non credo. La mia cintura è sempre in palio, per chiunque abbia il coraggio di affrontarmi.»
«Il lottatore newyorchese Lowry si è rimesso in forma dopo l'ultimo incontro contro di te, e da allora non ha ancora perso. Pensi che lui ci possa riuscire?»
«Mi fa piacere che è tornato sul ring, ma ripeto, nessuno può battermi. Ho già battuto una volta Lowry e lo posso fare ancora. Se vuole la mia cintura, deve venire a prenderla.»
E con questo aveva finito, perché tutto sorridente era tornato ad esultare con tutto il suo staff, lasciando il telecronista che chiedeva a tutti i telespettatori se Lowry voleva cogliere il fazzoletto della sfida.
Il giorno dopo il coach era andato a trovare Ethan a casa sua.
L'aveva trovato già sveglio, intento ad allenarsi.
«Ethan, non so se hai visto l'incontro di Perez ieri. . . »
«Sì, l'ho visto.»
«In tanti chiedono se intendi accettare. Ora come ora non puoi batterlo. . . »
«Io voglio lottare contro di lui. Voglio diventare campione!»
«Ethan, le tue parole sanno solo di vendetta. Non essere sciocco, te non hai ancora recuperato a pieno. Non fare stupidaggini.»
«No coach, mi sento pronto. Voglio strappargli quella cintura!»
«Ethan, capisco la tua voglia di batterlo, ma segui il mio consiglio. Aspettiamo ancora un po. Aspettiamo che ritorni in forma smagliante, e solo allora potrai pensare di batterlo.»
«No coach, io voglio scontrarmi ora. Ti prego, concedimi questa possibilità. Diffondi alla stampa che intendo sfidarlo ufficialmente.»
«Non posso fare niente per farti cambiare idea?»
«Temo di no, coach.»
Alla fine doveva capitare prima o poi di doversi scontrare con lui, e tutto si poteva sistemare con quell'ultima gara. Doveva diventare campione per dire addio ai sensi colpa, per estinguere tutti i debiti.
Tre settimane dopo.
Ethan si trovava isolato dentro al tunnel, intento ad ascoltare la voce del presentatore. Quello era di certo un main event. Il Madison Square Garden gremito di gente, accorsa un po da dovunque per assistere a quello spettacolo.
Sentiva il cuore battere forte, pompare sangue e adrenalina che scorreva nelle sue vene. In mente sua era intento ad auto-convincersi d'esser pronto, di essere all'altezza del suo avversario, ma sapeva che non era vero. Non lo era stato quando era al massimo delle sue capacità, come poteva mai esserlo ora che aveva un sacco di problemi da badare durante il suo incontro?
Per un attimo gli aveva sfiorato l'idea di non entrare nel ring. Non voleva sentire la voce del presentatore che ricordava a tutto il pubblico del loro incontro precedente, di come tutto era finito in malo modo per lui.
Tutto perché doveva in qualche modo quell'evento presentarsi come una sorta di vendetta da parte sua, come una resa dei conti. Ma lui non aveva alcuna intenzione di vendicarsi.
Forse doveva davvero ritirarsi e sperare in un incontro successivo. Ma tanto quel momento prima o poi doveva arrivare. Non poteva rimandare ogni volta, ed ormai si trovava lì e sicuramente numerosi soldi erano stati investiti per la pubblicità per l'evento, definito del secolo.
Poi l'urlo di tutto il pubblico al suono del nome Perez, omaggiandolo. Lui sì che aveva un seguito degno di nota, nonostante si trovava fuori casa. Quell'arena si trovava proprio nella città di Ethan, e sperava quanto meno che nel pubblico ci potesse essere qualche suo fan, o almeno qualche fan attaccato alla nazione.
Mancava ormai poco prima che il presentatore lo chiamasse a fare la sua entrata. Doveva prendere una decisione al più presto. Ritirarsi o combattere. Diventare campione ed estinguere tutti i debiti o lasciare che il bar venisse tolto ai suoi genitori.
Vivere e tornare con Alyssa, o morire. . .
Aveva fatto un profondo respiro, ed il presentatore lo aveva annunciato a tutto il pubblico, e lui era uscito dal tunnel per entrare dentro al ring, mentre si chiedeva come sarebbe andato a finire l'incontro.
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