Capitolo 8
«Ancora non ci credo che Diane Vane sia un uomo» dice Silvia la mattina dopo e, se non fossi ancora così giù di morale, mi unirei volentieri alla sua costernazione. Invece mi limito a sollevare le spalle e a ripetere, per la centesima volta da ieri: «Sì, uno particolarmente stronzo.»
Sono ancora seduta al tavolo della cucina, anche se a quest'ora dovrei già aver fatto colazione. La verità è che non ho nessuna voglia di rivedere Diego "qualunque sia il suo vero cognome", né di combattere con lui per riuscire a portare a termine il progetto. L'incontro di ieri è stato davvero umiliante e non mi sono bastate una sera e una notte intere per riprendermi dalla tristezza che mi ha provocato. Sono una persona semplice, che trova la carica nelle buone relazioni e si scarica terribilmente in quelle cattive. E quella con Diego al momento si prefigura come davvero molto cattiva.
«Perché dev'essere così difficile?» mi lamento a voce alta, e Silvia mi mostra tutta la sua solidarietà mettendomi davanti al naso una tazza strapiena di caffellatte e due cornetti confezionati. Credo di amarla già, questa donna.
«A stomaco pieno è tutto più facile» sentenzia, sedendosi accanto a me. «Avanti, mangia che se no fai ancora più tardi. E prendi un monopattino, ci metti la metà del tempo.»
In effetti il monopattino è un'ottima idea, e mi permette di godermi caffellatte e paste senza dover correre troppo, sperando nel loro effetto benefico sul mio umore fosco. «Mi passi il nome dell'app?» chiedo, addentando un cornetto grondante di caffelatte.
«Te la installo» si offre Silvia, e mentre divoro la colazione la osservo smanettare con il mio cellulare. Ieri siamo rimaste in piedi fino all'una di notte, accoccolate sul divano a guardare un film dal suo computer e a spettegolare ancora di Diego-Diane. Per lei la rivelazione è stato uno shock, e sono sicura che ancora fatica a sostituire la descrizione che le ho fatto all'immagine dell'autrice che si era creata leggendo e amando i suoi libri. Però ha fatto il possibile per aiutarmi a digerire questa rivelazione, e soprattutto per alleviare la rabbia causata dalla maleducazione di Diego.
Prima di uscire l'abbraccio forte. «Vedrai che non andrà così male» mi dice come incoraggiamento. «È un uomo, no? A quello che mi hai detto anche carino. Tira fuori il tuo charme e seducilo.»
Io ho ancora la faccia affondata nei suoi capelli e ridacchio dalla mia tana. «See, certo» dico. «Famosa io per sedurre la gente a piacimento.» Quando esco però il pensiero continua ad accarezzarmi la mente. In effetti potrebbe essere una strada percorribile, no? Non sono poi così malaccio, riconosco, mentre le vetrine mi restituiscono l'immagine di una donna sicura di sé e ben vestita. Oggi ho perfino scelto uno dei miei outfit migliori per incanalare più ottimismo possibile, un bel vestito primaverile bianco a fiori azzurri che devo ammettere mi dona molto.
D'altronde, se Diego ha scelto di usare la scortesia per mandare a monte il progetto, io ho tutti i diritti di usare il mio fascino per cercare di farlo andare in porto.
Con il monopattino arrivo in stazione giusto qualche minuto prima che il treno parta e quando mi accomodo decido che l'ora e passa di viaggio che mi aspetta è un'ottima occasione per studiare ancora il mio nemico. Riapro Legami e mi immergo di nuovo nella storia di Aubrey e Paul, tornando mio malgrado a sospirare per la dolcezza del loro rapporto. Come una storia così romantica sia uscita da un uomo tanto odioso è un mistero. Ma magari sotto sotto Diego-Diane non è poi così male e ieri ha semplicemente tirato fuori il peggio di sé. Se è vero quello che suppone Cristina, ed è tutta una tattica per non doversi imbarcare nella scrittura condivisa, forse c'è qualche possibilità di convincerlo a mostrare il suo lato più collaborativo.
Quando il treno si ferma a Empoli sono riuscita a racimolare un po' di ottimismo. Un'occhiata al cielo però incrina il mio buonumore: a Pisa sembrava una splendida giornata di primavera, calda perfino, mentre qui il cielo è coperto da uno spesso strato di nuvole grigie e soffia un vento gelido. Benedico il maglioncino che tengo sempre in borsa per sicurezza e, una volta indossato, spero con tutta me stessa che non si metta davvero a piovere perché, tra la fretta e l'irritazione, stamattina mi sono dimenticata di guardare il meteo e ovviamente non ho con me un ombrello.
Lungo la strada per Vinci le mie speranze scemano del tutto. Un acquazzone tremendo si abbatte sull'autobus e quando infine mi scarica alla fermata sono costretta a rintanarmi sotto la tettoia per decidere il da farsi.
Maledizione a me e maledizione al clima avverso.
Guardo il cellulare e l'orologio mi conferma che più aspetto qui sotto, più aumentano le possibilità che io arrivi in ritardo. Osservo sconsolata la strada che mi separa da casa di Diego, troppa per sperare di arrivare asciutta fin lì. Mio malgrado, mi tocca a fare un rapido calcolo costi-benefici: ieri il mio ritardo ci ha fatti cominciare decisamente con il piede sbagliato e, se oggi voglio convincere il mio recalcitrante collega a scrivere con me, non posso permettermi di iniziare male.
Sospiro, perché so già che mi pentirò di questa scelta, tolgo il maglione e lo sollevo sopra la testa... e poi mi butto in strada gridando come una valchiria che scende in battaglia. Se solo i miei avventurieri potessero vedermi: ci manca solo la Cavalcata a scandire l'epicità della corsa della loro master.
***
In realtà, di epico nella mia corsa sfrenata c'è davvero poco. Ho rischiato diverse volte di farmi investire, di scivolare per colpa dei sandali fradici e di finire dentro pozzanghere giganti quanto lo stagno di Santa Gilla. Arrivo sotto la tettoia di casa Vane con il fiatone, grondante e con vestito e capelli tutti appiccicati. Il maglione è diventato uno straccio fradicio e inutilizzabile. Oltretutto sono comunque in ritardo, perché mi sono dovuta fermare sotto i ripari quando diluviava troppo e non riuscivo neanche a vedere la strada.
Prima di suonare starnutisco due volte, davvero un pessimo segno.
Sento che in casa riecheggia il campanello, ma nessuno si materializza alla porta. Irritata e infreddolita suono una seconda volta e l'occhio mi cade sulla targhetta, dove a caratteri eleganti è scritto il cognome Vanni. Diego Vanni - Diane Vane, se non fossi così di cattivo umore lo troverei molto divertente.
Sto per suonare una terza volta, quando la porta si apre e Diego Vanni fa la sua comparsa. «Sei in ri...» comincia, ma sembra accorgersi delle mie terribili condizioni e per fortuna tace.
«Lo so, e sono bagnata e ho freddo» rispondo, senza lasciargli il tempo di dire altro. «Mi fai entrare?»
Per fortuna il mio ospite non protesta. Si scosta di lato e mi fa passare, poi chiude la porta e nel corridoio piomba il buio. Chiunque abbia progettato questa casa poteva anche pensare di mettere una finestra sopra la porta.
«Il bagno è la seconda porta a destra» mi dice Diego, e prima che possa protestare che non vedo assolutamente nulla accende la luce. «Ti porto un asciugamano e dei vestiti asciutti.»
Vorrei protestare che non ho bisogno del suo aiuto, perché oltre ad essere di cattivo umore sono ancora parecchio offesa per il trattamento di ieri, ma non ha senso comportarsi da stupida, né rischiare di prendersi un raffreddore per orgoglio. Seguo rassegnata le indicazioni per il bagno, lasciando dietro di me una fastidiosa scia d'acqua. I sandali che ho indossato con piacere stamattina ora fanno un suono umidiccio e i piedi ci scivolano dentro. Una volta chiusa in bagno mi guardo allo specchio e questo mi restituisce l'immagine di un pulcino bagnato e infreddolito, con indosso un abito che da fradicio è diventato davvero troppo trasparente. Dire che sono un disastro è dire poco.
Invece che rattristarmi, però, la scena mi fa ridere. A quanto pare non era proprio destino che oggi seducessi il mio brusco e scostante ospite. In compenso, però, devo aver dato abbastanza spettacolo in giro per la città.
Il mio ospite arriva in mio soccorso abbastanza in fretta. «Ti lascio le cose qui fuori» dice da dietro la porta, con una delicatezza quasi sorprendente vista la ruvidezza mostrata sin qui. «Usa pure la doccia, e appendi il vestito sul termosifone.»
«Grazie» rispondo, e aspetto che i suoi passi si allontanino per aprire la porta e prendere le cose che mi ha portato, perché va bene che stamattina ipotizzavo di sedurlo, ma tutta questa trasparenza mi sembra davvero troppo eccessiva.
La doccia si rivela un'ottima idea e dopo essermi asciugata e aver indossato degli abiti caldi mi sento decisamente meglio. Per fortuna la pelle della mia borsa ha protetto abbastanza l'interno, quindi libro, taccuino e astuccio sono rimasti intonsi. Sono costretta però a lasciare i sandali in bagno insieme al vestito e al maglione, perché altrimenti rischierei di creare nuovamente la scia.
Esco a piedi scalzi dal bagno con il taccuino e una penna in mano e mi viene subito da ridacchiare al pensiero di quello che direbbe mia madre sulle impronte sparse per casa. Chissà se anche Diego Vanni è ossessionato dalla pulizia. Sicuramente è uno abbastanza attento, perché i segni del mio passaggio sono già stati asciugati.
Trovo il mio cicerone in salotto, seduto sulla vecchia poltrona in pelle, lo sguardo perso oltre le vetrate. Anche di profilo è davvero affascinante, con quel volto affilato e percorso anche oggi dalla barba incolta, e quegli occhi azzurri che osservano con intensità la pioggia che cade. Chissà cosa sta pensando, adesso.
Piove ancora a dirotto e in questo piccolo salotto si è creata un'atmosfera molto intima.
Mi schiarisco la gola, per dissolverla e attirare la sua attenzione. La tuta che mi ha dato mi va un po' larga, ma sono riuscita ad aggiustarla rigirando l'elastico dei pantaloni e facendo un nodo alla maglietta. Non è proprio la mise più elegante che potrei sfoggiare, ma di certo non mi merito lo sguardo ilare che mi rivolge.
«Un'entrata in scena degna del miglior romanzo rosa» sghignazza e, anche se so bene che essere irritante è parte del suo piano per liquidarmi, non posso fare a meno di mettere il broncio.
«Grazie tante» rispondo, più acida di quanto vorrei. «Ma non è stata certo una cosa pianificata, prendermi tutta quell'acqua.»
«No, certo» ride ancora Diego. «D'altronde chi non se ne va in giro con un vestito del genere e senza ombrello quando fuori piove a dirotto?»
«A Pisa non pioveva» dico a denti stretti.
«E non hanno neanche il meteo, suppongo.»
Vorrei ribattere con qualcosa di intelligente, ma lui ha già smesso di ridere e di prestarmi attenzione ed è tornato a guardare fuori dalla finestra.
Molto bene, se è deciso a sabotare anche questo incontro direi che si merita il trattamento Alessandra-logorroica. Avanzo a testa alta nel salotto e mi siedo sul bordo del divano, in modo che dalla sua posizione non possa non vedermi. «Cominciamo?» dico, aprendo il taccuino.
«Cosa?» Lo sguardo finto-perplesso che gli compare sul viso è quasi credibile. Tra l'altro non mi guarda, i suoi occhi puntano verso qualcosa alle mie spalle come se io fossi del tutto ininfluente. Cosa che mi genera non poca irritazione ma anche una gran voglia di diventare ancora più molesta.
«A lavorare» rispondo, fingendomi per nulla turbata. Alzo anche il tono, prima di continuare. «Dovremmo iniziare definendo uno scheletro del progetto e un piano d'azione. E, mi pare ovvio, un'ambientazione. Cosa preferisci, high o dark fantasy? Io sarei per l'high fantasy, ma sono aperta a discussioni a riguardo.»
Gli lascio appena il tempo di pensare se darmi una risposta - cosa che comunque non sembra intenzionato a fare - e subito riattacco. «Inoltre, dovremmo decidere quanto fantasy e quanto romance inserire. Io sarei per molto del primo e poco del secondo, ma immagino che avrai un'opinione diversa a riguardo. In ogni caso, credo che il mercato al momento sia dalla mia parte, perché i dati dicono che il fantasy vende, e anche molto bene, e questo è sicuramente un parametro che dobbiamo tenere a mente. Senza esagerare, però, perché non vogliamo scrivere solo per vendere, dico bene?»
Con soddisfazione constato che ora i suoi occhi aleggiano sul mio viso, e gli è comparsa un'espressione a metà tra il perplesso e il divertito. Di nuovo riprendo a parlare subito. «Per quanto riguarda i personaggi pensavo alle driadi, creature a metà tra fantastico e mitologico. Secondo me darebbero un tocco originale a tutta la faccenda. E ci permetterebbero di dosare il romance al punto giusto, dato che sai, sono creature guerriere e...»
Diego scoppia a ridere e, accidenti a lui, è davvero carino quando lo fa. «Cavolo, Parisi non aveva detto che fossi così...»
«Logorroica? Sì be', una non scrive mica una trilogia fantasy di successo senza essere almeno un po' loquace» ribatto, pronta.
Lui ride ancora, ogni traccia di malumore svanita dal suo viso. «Ad essere onesto, la cosa che mi sorprende è che tu sia di nuovo qui, dopo...»
«Dopo il modo orrendo in cui mi hai trattata ieri? A proposito, ho notato che lo stavi facendo di nuovo poco fa, bel tentativo ma con me non attacca.»
«In che senso?» chiede candidamente.
«Nel senso che so benissimo che è tutta una tattica per farmi ritirare. E bè, puoi anche abbassare le armi, tanto non vado da nessuna parte. E tu nemmeno, a quanto mi risulta.»
«Ah sì? E perché ne sei così sicura?» chiede sornione.
«Perché devi un romanzo alla casa editrice. E quelli non te la faranno certo passare liscia se fai scappare la tua collega.»
Il suo sorriso si spegne di colpo
Ah, beccati questa, Diego Vanni.
Sembra davvero turbato dalle mie parole, però, e mi sento in colpa un secondo dopo averle pronunciate. Mannaggia a me e alla mia bontà. Provo a rimediare facendogli io un piccolo sorriso. «Allora, pronto a pianificare?» chiedo, sventolandogli davanti il mio taccuino.
«Sei sempre così insistente?» mi risponde, e ora è lui ad aver messo il broncio.
Temo che torni a fissare la finestra, o peggio, che decida di cacciarmi fuori. Non sono sicura di avere il coraggio di tornare una terza volta. «Solo quando ne vale la pena» ammetto, mettendoci molta più sincerità di quanta dovrei.
Lui inarca le sopracciglia. «E in questo caso ne vale la pena perché...? Per i soldi?»
Questa volta sono io a ridere. «Macché! Per l'avventura!»
«Oddio, non dirmi che sei una di quelle fanatiche di trekking estremi e cose del genere.» Mi scruta con attenzione, prima di scrollare la testa e aggiungere: «Non ti ci vedo, a dirla tutta.»
Evito di prenderlo come un insulto, che è meglio. «Ma no» dico, con più esaltazione di quanto dovrei. «Di D&D.»
«Di cosa?» chiede, e questa volta sembra davvero sinceramente confuso.
«Dungeons and Dragons?»
Di nuovo espressione perplessa. Ahi, come iniziamo male.
***
Qualche ora dopo l'incontro con Diego, sto osservando con soddisfazione la bacheca, dove ora fa bella mostra di sé il mio annuncio:
"Cercasi, per nuova campagna di D&D 5e, avventurier* che non si tirano indietro davanti a sfide difficili, se non addirittura impossibili. Per maggiori informazioni, chiedere al taverniere il contatto di Alessandra."
Semplice, diretto, con la giusta dose di mistero. Per scriverlo mi sono fatta aiutare da Igor, il fantastico proprietario del mio nuovo posto preferito di Pisa. Ho scovato il Goblin Cafè spulciando forum sui giochi di ruolo in cerca di persone con cui creare una nuova campagna. E la scoperta non poteva essere più esaltante. Il locale è piccolo e rimane in una zona periferica di Pisa, ed è e quasi invisibile se non si sa dove cercare; ma una volta dentro ti sorprende con un'atmosfera fantasy e nerd di tutto rispetto: scaffali ricolmi di giochi da tavolo, un lungo bancone dietro il quale il Goblin in persona prepara bibite e cibo degni di ogni avventuriera. E poi librerie piene di manuali di giochi di ruolo che Igor, la moglie Viola e le persone che lavorano con loro sono lieti di spiegarti e di farti provare in one-shot organizzate proprio a questo scopo.
È stata la discussione di stamattina con Diego a spingermi a cercare un posto così.
Alla fine non abbiamo lavorato molto, perché ho passato buona parte del tempo a nostra disposizione a raccontargli le potenzialità e la bellezza di un gioco come Dungeons and Dragons, e a fargli intuire quanto potrà esserci utile per costruire la nostra nuova storia. A dirla tutta non mi è sembrato particolarmente entusiasta del gioco, ma almeno mi ha ascoltata e abbiamo interagito e, soprattutto, mi sono evitata un'altra dose del suo trattamento scorbutico, quindi lo ritengo comunque un successo.
E poi, sono rientrata a casa con la sua parola che il romanzo si farà, e custodendo nel taccuino un primo schema di pianificazione dei nostri futuri incontri. L'unica cosa di cui sono poco contenta è che Diego ha messo la condizione di non spostarsi da Vinci, e quindi mi toccherà fare avanti e indietro da Pisa tutti i giorni. L'idea di acquistare una macchina usata ha cominciato a prendere consistenza nella mia mente, ma ho deciso di darmi del tempo per valutare bene tutti i lati positivi e negativi.
Intanto, ho fatto il primo passo per sentire Pisa davvero la mia futura casa, ovvero affiggere il mio annuncio. Prima di lasciare il Goblin mi assicuro che Igor abbia salvato il mio numero, nel caso in cui, mentre organizzo il mio trasloco a Pisa, si presenti qualche persona interessata alla mia campagna.
Non ho ancora deciso quale sarà la trama, ma avrà di sicuro a che fare con il romantasy che scriverò con Diego. Il termine è un'altra concessione che ho dovuto fare: io preferivo di gran lunga fantamance, ma Diego mi ha fatto notare che suona molto peggio ed era difficile dargli torto.
Rientrata a casa di Silvia posso dedicarmi ai miei scarni ed efficienti bagagli. La mia futura coinquilina ha il turno serale e io ho l'occasione di godermi questo piccolo spazio da sola. In effetti, per una sola persona il bucolocale è quasi vivibile, ma non posso non chiedermi come faremo a non darci gomitate e infastidirci di continuo in questi mesi che passerò qui.
Ho provato a proporre a Silvia di cercarmi presto una stanza tutta mia - d'altronde l'anticipo è più che sufficiente per pagarmi una stanza, forse addirittura un monolocale - ma Silvia è così emozionata all'idea di avere di nuovo una coinquilina che non ha voluto sentire ragioni. "Io non ci sono praticamente mai" mi ha detto ieri. "Avrai tutto il posto per te. E quando ci sono, possiamo farci compagnia."
Non resta che sperare che non finiremo per odiarci, chiuse in questi troppo pochi metri quadri.
Con Silvia siamo d'accordo di vederci a breve in centro per un apericena di saluto. Prima di uscire, scrivo un messaggio entusiasta a Cristina, che ancora non ho aggiornato dell'incontro di stamattina:
"Con Diego è andata bene, siamo d'accordo di iniziare a scrivere tra due settimane, così ho il tempo di organizzare bene il trasloco. Intanto puoi confermare il contratto."
Non so perché, ma scriverle rende la cosa ancora più concreta: sto davvero per trasferirmi a Pisa e rivoluzionare la mia vita. A spaventarmi non è solo il cambio di città, ma anche quello di abitudini: finora ho sempre e solo scritto al sicuro tra le quattro pareti della mia cameretta, e la mia routine letteraria ormai consolidata sta per subire un cambiamento drastico.
Una fitta di terrore mi invade lo stomaco, ma ormai ho capito che questa avventura è troppo attraente per permettere alla mia paura di bloccarmi.
Cristina mi risponde pochi minuti dopo, e le sue parole sono una nuova iniezione di energia:
"Grande, sono fiera di te (e non avevo dubbi sul tuo successo)! Fai buon viaggio, ci aggiorniamo per telefono domani mattina".
Prendo un bel respiro, carico i bagagli in spalla ed esco di casa. Ci rivediamo presto, bucolocale. E a prestissimo, nuova avventura.
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