Capitolo 7
«Sei in ritardo.»
Mi accoglie così, il bell'uomo dagli occhi azzurri. Niente "buongiorno", "come va?", "benvenuta", come suggerirebbero le regole della civiltà. Poi rimane piantato sull'uscio, e mi squadra manco fossi un'aliena appena atterrata sul suo portone di casa, e non la persona che nei prossimi mesi lavorerà con la sua... compagna? moglie? sorella, magari?
«Ciao» dico, sorridendo e cercando di non mostrarmi troppo turbata dalla sua maleducazione. «Sono Alessandra Murgia, ho un appuntamento con Diane.»
Lui non sorride. «Lo so. E sei in ritardo.»
«Be', sì... mi sono distratta guardando il paese, è davvero...»
La frase mi muore tra le labbra perché lui si gira e mi pianta in asso, rientrando dentro casa. Lascia la porta aperta, però, e io lo prendo come un invito a seguirlo. Mi chiudo il portone alle spalle e nel corridoio cala il buio, che mi costringe a camminare tentoni fino alla prima fonte di luce che riesco a intravedere.
Arrivo in un piccolo salotto, arredato con vecchi mobili in legno, un divano in pelle un po' logoro e una poltrona dello stesso color caffelatte altrettanto usurata. Su un mobile, però, fanno bella mostra di sé uno schermo e un impianto audio entrambi di grandezza indecente, ulteriore segno che il cachet della mia collega di scrittura dev'essere davvero molto più alto del mio. Due grandi vetrate permettono al sole di illuminare l'ambiente e il mio ospite bello e scortese ci si piazza proprio davanti, costringendomi a guardarlo in controluce.
Non parla, e il mio disagio aumenta vertiginosamente.
«Be', se puoi dire a Diane che sono qui...»
«Lo sa già» è la sua risposta lapidaria. Ha un tono di voce freddo e implacabile. Possibile che io sia in grado di generare tutta questa antipatia in qualcuno che nemmeno mi conosce? Va bene il ritardo, ma qui si sta proprio esagerando.
«Senti...»
«Diego» mi interrompe lui, omaggiandomi del suo nome anche se io non gliel'ho chiesto.
«Ok, Diego... Se potessi chiamare Diane...»
Lui si schiarisce la gola e poi esita. Anche in controluce, riesco a capire che adesso è in difficoltà, anche se non capisco quale possa essere il problema. Che la sua dolce metà non sia in casa? Magari si è dimenticata l'appuntamento e ha lui spetta l'ingrato compito di chiedere scusa al posto suo. Visto l'incontro mancato in casa editrice, non mi stupirebbe.
«Diane Vane sono io.»
Sputa fuori le parole tutto d'un fiato, e mi ci vuole qualche secondo per capirle del tutto. Quando ci riesco raggelo. Ma che fa, prende in giro?
«Molto divertente» dico, ma lui non sembra affatto ridere, anzi. Anche con il volto in penombra, riesco a vedere che gli occhi saettano da un lato all'altro del salotto, come in cerca di un rifugio.
«Dico sul serio.»
«See certo» ribatto, ma più insisto a negare l'evidenza più questa mi sbatte in faccia con tutta la sua forza. Porca vacca. Diane Vane è un uomo? Luke Skywalker deve essersi sentito nello stesso modo quando Darth Vader gli ha rivelato di essere suo padre.
Per la prima volta da anni sono senza parole. Possibile che roba come Cuori distanti e Legami sia uscita da un uomo? Mi rimprovero per i miei pregiudizi un secondo dopo aver fatto questo pensiero. Certo che è possibile, non vedo perché gli uomini non dovrebbero essere in grado...
«Immagino che sia un problema» dice Diane-Diego. «Se vuoi tirarti indietro lo capisco.»
«Come scusa?»
Chi ha parlato di tirarsi indietro?
Lui continua, come se non avessi parlato. «Mi sembra evidente che ci sia poca compatibilità. Il tuo ritardo e la tua reazione ne sono una prova evidente e...»
«Aspetta, aspetta, aspetta» dico, passando anche io alla modalità "interrompi il discorso dell'altro fregandotene altamente della buona educazione". «Ho provato a giustificare il mio ritardo, ma non mi hai dato modo di terminare la frase.»
Finalmente si sposta dalla finestra, dandomi modo di distinguere i tratti del suo viso. Maledizione a lui, è davvero carino, pure con quell'espressione cruciata. Deve avere al massimo quarant'anni e la mise da scrittore misantropo gli dona parecchio: capelli spettinati, barba sfatta, camicia sgualcita infilata alla meno peggio dentro i jeans. E quegli occhi...
«Ho già spiegato a Parisi che i nostri stili non sono compatibili» riprende, approfittando del mio momento di distrazione. «Non ha voluto darmi retta, ma concorderai con me che la cosa migliore è rinunciare dal principio a questa bizzarra idea.»
Io lo guardo come guarderei un bambino che senza motivo si è appena ficcato in bocca una manciata di sabbia. «No che non concordo» dico, cercando di evitare che il tono della mia voce assuma una nota stridula. «Non ho fatto tutta questa strada per non provare nemmeno a...»
«Giusto, c'è anche il problema della distanza che ci divide, impraticabile senza dubbio. Dovresti dirgli anche questo, quando lo chiami per disdire il tutto.»
Quando lo chiamo per cosa?
«Fermati un attimo, stai correndo troppo. Non ho mai detto...»
«No certo, ma senz'altro l'hai pensato, si vede chiaramente. E non penso di poter lavorare con una persona che non riesce a passare sopra la distanza, il sesso e le altre piccole difficoltà.»
Ma mi prende ancora in giro?
«Senti...» ritento, ma lui di nuovo mi parla sopra, scatenandomi un'irratazione che non provavo dall'epoca delle liti adolescenziali con mia madre.
«Mi sembra evidente che non ci siano i presupposti per iniziare questa collaborazione» dice, e si sposta dal salotto verso l'ingresso, chiaramente intenzionato a farsi seguire.
Mio malgrado sono costretta ad assecondarlo, o finirei per parlare da sola o con il divano e la scrivania. E poi, sono stata educata che gli ospiti si comportano bene, almeno io. «Puoi fermarti un attimo?» protesto, ma vengo bellamente ignorata.
Ha già aperto la porta e mi guarda con un'espressione soddisfatta. «Vedrai che Parisi capirà, d'altronde una scrittrice con la tua scarsa esperienza...» dice, e io resto senza parole per la sua cafonaggine.
Prima che me ne renda conto, mi ha messo una mano sulla spalla con fare paternalistico. «Grazie di tutto, aspetto la comunicazione di Parisi» dice, prima di scortarmi di peso fuori dalla porta.
Sono talmente basita da non opporre resistenza e quando mi chiude la porta in faccia resto qualche secondo impalata. Cosa diamine è successo?
Il primo istinto è quello di mettermi ad urlare, il secondo di tempestare di pugni la porta finché non riapre e mi dà una spiegazione. Nessuna delle due mi pare praticabile, non in un clima di beatitudine silenziosa come quello che si respira in questo paese.
Decido di chiamare Cristina, perché sfogarsi al telefono è molto meglio che farlo dando spettacolo in mezzo alla strada. Mi sposto di qualche passo dal giardino di casa Vane - ammesso che il cognome vero sia quello, cosa che dubito - e ignorando i numerosi messaggi compongo il numero della mia agente, cercando di domare le lacrime di irritazione che già premono per uscire.
Per fortuna, Cristina risponde al secondo squillo. «Ale, ciao» mi dice, e la sua voce amica è un balsamo sul mio orgoglio ferito. «Già terminato l'incontro con Diane? Com'è stato?»
Eh, e da dove comincio?
La butto sul drammatico. «Terribile, Crì» rispondo, spostandomi di qualche altro passo per non farmi sentire dal mio sgradevole recente incontro. Non che si meriti tutta questa attenzione, ma purtroppo la gentilezza è una caratteristica che non riesco a scrollarmi di dosso. «Diane Vane è un uomo.»
Dall'altra parte arriva un silenzio di tomba, seguito da una risata. «Non ci credo» sghignazza la mia agente. «Ecco perché Parisi era così in difficoltà.»
«Sì be', grazie tante Parisi» borbotto. «Poteva anche darmi un indizio, è stato come ricevere una secchiata d'acqua gelida.»
«Va be' dai, non è certo il primo uomo che scrive romanzi rosa sotto pseudonimo.»
«No, ma dev'essere senz'altro il più stronzo» dico, acida.
«Addirittura?»
Mi siedo su un muretto e mi passo una mano sui capelli. «Cri, è stato davvero tremendo. Mi ha accolta accusandomi di essere in ritardo...»
«Sei arrivata molto in ritardo?»
«Di nemmeno cinque minuti» preciso. «E poi ha cominciato a dire che dalla mia reazione all'evidenza che fosse un uomo è chiaro che tra noi non può esserci compatibilità, e che è meglio se chiamo Parisi per disdire il tutto.»
«Ti ha chiesto di disdire tu?»
«Già.»
Qualche altro secondo di pausa, e io mi immagino Cristina seduta nel suo studio che giocherella con la penna, un gesto che a quanto mi ha confidato l'aiuta a raccogliere i pensieri. «Secondo me è una tattica» dice infine.
«In che senso?»
«Hai presente il contratto pendente?» mi chiede, e io annuisco anche se non può vedermi. Quando me ne accorgo aggiungo: «Sì, ne parlavi con Parisi.»
«Ecco, secondo me non ha nessuna intenzione di lavorare con te...»
«E questo mi pare chiaro» la interrompo, strappandole un sospiro infastidito. Cinque minuti con Diego devono avermi fatto davvero male.
«Sì, ma fammi finire» dice infatti. «Anche se non ne ha intenzione, non può tirarsi indietro, il progetto è la sua ultima possibilità per non risultare manchevole con la casa editrice. Ha bisogno che sia tu a farlo. Se tu ti tiri indietro, lei... cioè, lui può sempre dire che è stata una tua scelta, e che ha fatto il possibile perché la cosa funzionasse. La tua parola contro la sua, e lui ha ancora molto peso.»
«Ah...» dico, e in effetti mi sembra un ragionamento sensato. Perché non ci sono arrivata da sola? Diego-Diane ha fatto di tutto per mostrarsi scortese, mi ha persino insultata, sperando che fossi io a darmela a gambe e comunicare che il libro non s'ha da fare. «Mi ha pure detto che ho una scarsa esperienza e quindi Parisi capirà.»
«Molto simpatico. Però Ale, pensaci un attimo. Se tu non ti tiri indietro, riporti la partita dalla tua. Se il progetto funziona e scrivete un buon romanzo vinci, se non funziona e lui si ritira torni esattamente dov'eri prima che questa storia iniziasse. Hai solo da guadagnarci e Diane solo da perderci.»
«Diego» dico, e Cristina esita un istante.
«Come?»
«Diego. A quanto pare si chiama così.»
«Ah, molto carino. Va bene, Diego ha solo da perderci. Quindi tanto vale tornare all'attacco e fargli capire che tu non vai da nessuna parte.»
«Sì ma come faccio?» mormoro, lanciando uno sguardo alla casa dall'altra parte della strada. «Mi ha sbattuta fuori.»
«Che stronzo. Ok, facciamo così.» Sento che Cristina rovista sulla scrivania e me la immagino mentre prende penna e agenda per appuntarsi il piano di battaglia. «Ora sento Parisi, gli dico che il primo incontro tra voi è andato alla grande.»
«Be', ma non è vero.»
«Sì, ma questo lo sappiamo solo io, tu e Diane. Anzi, Diego. A Parisi diciamo che tutto fila liscio, ma che vorremmo fissare un altro incontro domani per delineare alcuni dettagli prima del tuo rientro. Il tuo aereo è di notte, giusto?»
Mugugno il mio assenso. L'idea di farmi trattare male anche domani un po' mi deprime.
«E se domani non mi apre?»
«Se proprio non dovesse farlo lo minacci che riveleremo il suo piano a Parisi. Ma ti aprirà, vedrai, il suo piano funziona solo se sei tu a farti indietro. Lui non andrà da nessuna parte.»
«Va bene» dico, e anche alle mie orecchie suono tutt'altro che convinta.
«Ah e Ale?»
«Sì?»
«Forza e coraggio. Hai davanti un osso duro, ma tu sei tosta e ce la puoi fare. Ok?»
«Ok...»
Quando chiudiamo la chiamata, avrei solo voglia di fuggire da Vinci e non tornarci più. Che gusto c'è a cominciare un nuovo progetto così? Mi aspettavo qualche ostacolo, ma così è decisamente troppo anche per la migliore avventuriera. Rimango seduta sul muretto a fissare la porta chiusa di casa Vane per un tempo indecente, finché non mi rendo conto che probabilmente da una delle finestre può vedermi e magari ora se la ride della mia disperazione.
Mi alzo con stizza e mi avvio verso la fermata dell'autobus, anche se non ho idea di quando passerà il prossimo perché avevo pianificato che avremmo lavorato almeno tutta la mattina. Se penso a tutti i vaneggi che mi ero fatta su questo primo incontro!
Riprendo il telefono in mano per cercare gli orari e l'occhio mi cade sui messaggi, c'è anche un SMS del nonno, che con la tecnologia ha un pessimo rapporto ma ci tiene sempre a farmi sapere che è presente:
Come sta la mia scrittrice preferita? Hai conosciuto la tua compagna di avventura? Non vedo l'ora di leggere il nuovo romanzo, la nonna sarebbe fiera di te!
Gli occhi mi si riempiono di lacrime. Maledizione, come faccio a tirarmi indietro dopo un messaggio simile?
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