Capitolo 6
Quando l'aereo atterra a Pisa mi mancano poche pagine per terminare Cuori distanti e sento di aver bisogno di una dose di insulina di emergenza. In due settimane che leggo i libri della Vane sono passata dalla curiosità di conoscere la mia collega al bisogno disperato di capire come sia possibile che vendano così tanto. Certo, il suo stile di scrittura è davvero molto elegante e i libri scorrono in maniera piacevole, ma c'è tanto di quel sentimento da far venire la nausea.
In almeno tre dei nove libri che ha pubblicato finora i protagonisti vivono una relazione struggente, con tanto di malattia e morte tragica alla Nicholas Sparks - che conosco solo per aver visto I passi dell'amore quando ero ancora un'adolescente piena d'acne e di sogni sul principe azzurro, dai suoi libri mi sono sempre tenuta lontana. In almeno quattro, gli amanti vengono divisi da ostacoli insormontabili come lavori dall'altra parte del pianeta, coniugi ai quali viene diagnosticata una malattia terminale - perché qualche tragedia deve comunque esserci - e amnesie dall'origine vaga e poco definita.
Molti dei romanzi erano presenti in biblioteca, per fortuna, e ho deciso di leggere da cima a fondo solo quelli che mi sembravano meno esasperanti, per gli altri mi sono rivolta alla santa Wikipedia che mi ha salvato tempo e benessere mentale.
Cuori distanti è l'ultimo che ha scritto e leggendolo con attenzione ho l'impressione che l'autrice stia cominciando a perdere mordente: nessuna malattia, nessuna tragedia familiare o amicale; solo due persone troppo diverse che non riescono a trovarsi e finiscono per perdersi totalmente. Eppure, secondo Wikipedia è il libro che ha raggiunto il maggior successo di vendite.
Mentre scendo le scalette e respiro l'aria della Toscana, la mia mente sta ancora rincorrendo la stessa domanda: possibile che sia io a non capirci proprio niente? Su Internet è pieno di articoli entusiasti sui libri della Vane ed esiste perfino una schiera di pagine Instagram di fan che pubblicano estratti dell'ultimo libro e si domandano che volto avrà la loro eroina. Non che mi stupisca più di tanto, il mercato editoriale è sempre stato una giungla incomprensibile, almeno per la sottoscritta, ma la passione che romanzi come Cuori distanti riescono a generare è comunque bizzarra.
La vista di Silvia, che mi aspetta all'uscita dal gate con un largo sorriso, riesce a dissipare tutti i crucci letterari che mi attanagliano. «Quanto tempo cugi, quanto tempo!» mi dice, affondando il naso tra i miei capelli. «Sei sempre la stessa» aggiunge, quando ci stacchiamo e ha modo di vedere meglio la mia mise.
Per viaggiare ho indossato un pantalone largo indiano e una maglietta con un grande sole, sperando di attirare tutte le vibrazioni positive possibili.
«Anche tu sei sempre uguale» le rispondo, e in effetti è la verità. A parte i capelli, che biondo cenere le donano divinamente, ha lo stesso volto tondeggiante e lo stesso naso all'insù di quando era adolescente, con una spruzzata di lentiggini che la rende simpatica a prima vista.
Anche il nuovo accento toscano le dona.
«Il viaggio è andato bene?» mi chiede, strascicando leggermente le g.
Storco il naso. «Insomma, non sono un'amante dei voli» dico, ed evito di scendere nei dettagli perché la giornata è troppo bella per rovinarla parlando di oscurità. «Però ora va decisamente meglio e non vedo l'ora di conoscere la tua città!»
Silvia sorride e mi prende a braccetto per guidarmi fuori dall'aeroporto. «Molto bene, iniziamo dal primo dei tanti aspetti comodi di Pisa: da qui a casa sono venti minuti, ti va una passeggiata?»
«Assolutamente» dico, e la sua proposta si rivela ottima. Pisa ha la grande fortuna di avere un aeroporto praticamente dentro la città, raggiungibile a piedi con valigie al seguito senza troppa fatica. Ci sono già stata una volta, quando sono atterrata qui per raggiungere Lucca e presentare la mia trilogia, ma l'ansia dell'andata e la fretta del ritorno non mi hanno permesso di esplorare la città. Per fortuna, ora ho tutto il tempo di rimediare.
Lungo la strada, che passa per un bel viale alberato e poi si infila nelle vitali strade del centro, Silvia mi aggiorna sugli ultimi anni della sua vita, trascorsi tra intensi studi di medicina, serate alcoliche sulle spallette dei Lungarni e turni sfibranti da specializzanda.
Il passaggio sul Ponte di Mezzo è mozzafiato come l'avevo immaginato guardando le sue foto: mi fermo al centro del ponte e osservo con stupore il sole che comincia ad annegare dietro i palazzi rinascimentali e la sensazione di essere stata catapultata all'epoca dei Medici è fortissima, mitigata solo dal passaggio delle macchine e delle numerose biciclette.
«Che ne dici di un aperitivo?» mi propone appena riesco a staccarmi dalla vista e riprendiamo a camminare. «Possiamo lasciare il tuo zaino a casa e andare direttamente al bar.»
«Mi sembra un'ottima idea» le rispondo. Nulla meglio di un bel cocktail colorato per dissipare i rimasugli del viaggio.
La casa di Silvia è una sorpresa, e non proprio in positivo. Quando ha parlato di bilocale mi sono immaginata un enorme open space con salotto e sala da pranzo, e una camera da letto ampia abbastanza da poterci ballare dentro. Mi sa che gli standard di Pisa sono decisamente diversi da quelli sardi, perché quello che ho davanti è uno spazio poco più grande di un forno e nella camera ci si può al più fare yoga con un tappetino molto stretto incastrato di sbieco tra finestra e letto.
«Sei sicura che ci si possa vivere in due?» chiedo, mentre mi fa fare il tour del minuscolo appartamento, e suono molto più scoraggiata di quanto vorrei.
Invece di offendersi, Silvia per fortuna ride. «Massì, è solo questione di abituarsi. Fa questo effetto a tutti, passare dall'Isola al continente è dura, ma ci si fa il callo anche agli spazi stretti.»
Pure a quelli umidi? mi verrebbe da chiedere, ma taccio guardando con desolazione una macchia di muffa nel soffitto del bagno, che per inciso ha una finestra talmente piccola che mi chiedo se serva davvero a cambiare l'aria o è solo un vezzo estetico.
«Già avere una finestra è un traguardo» precisa Silvia, che ha capito dal mio sguardo che non ho apprezzato molto l'oblò nel bagno. Mi riporta in salotto e io lascio cadere lo zaino sul divano, senza riuscire a trattenere un gemito.
«Ne sei davvero sicura?» ripeto, e di nuovo Silvia ride, beata lei.
«Dai su, tira fuori il tuo spirito avventuriero! Staremo benone e ci divertiremo.»
E di nuovo questo spirito avventuriero... è forse in combutta con Nino? In effetti vivono in appartamenti comparabili, stipati in meno di quaranta metri quadri probabilmente si comincia a pensare allo stesso modo.
«Ce la faremo...» dico, non del tutto convinta. Mi sforzo però di interiorizzare il suo ottimismo e mi faccio scortare fuori dal suo bucolocale.
E in effetti, tornata all'aperto il mio umore migliora notevolmente.
Pisa la sera è piena di vita e le strade dell'enorme zona pedonale sono gremite di studenti: incrociamo persone giovani che fanno aperitivo ai tavoli dei bar, chiacchierano sedute per terra con una birra in mano o passeggiano su e giù per i borghi, e la sensazione di essere catapultata indietro alla mia vita universitaria è fortissima.
Silvia ha scelto un locale sotto un portico, con un'aria molto americana. Non è proprio il mio ambiente, ma la diffidenza iniziale per la musica a tutto volume e per l'atmosfera moderna si dissipa quando apro la carta dei cocktail e mi trovo davanti una scelta immensa.
Alla mia espressione stupefatta, Silvia ride. «E non hai ancora sentito la parte migliore» mi dice, con un'aria da adorabile furbetta. «Con solo un euro in più, mangi quello che vuoi al buffet.» E mi indica un tavolo all'interno con enormi vassoi carichi di cibo. Da qui, riesco a individuare diversi vassoi di pasta, patate arrosto, verdure grigliate e perfino quello che ha tutto l'aspetto di uno squisito paté di fegato.
«Quanto mi conosci!» rido anche io.
Decidere per un solo cocktail non è per niente facile, ma di nuovo Silvia si dimostra un'esperta: «Scegline due che ti piacciono, e ce li dividiamo. E poi vediamo se ce ne sono altri interessanti.»
Dopo il secondo drink, annegato in una quantità indecente di cibo, tutta la distanza che ci ha tenute separate in questi anni si è dissolta, ed è come se fossimo tornate bambine - tranne per l'alcol, quello è decisamente più in linea con le nostre rispettive versioni universitarie. Recuperiamo gli anni trascorsi lontane raccontandoci aneddoti e ridendo delle rispettive fatiche, investigando le nostre vite sentimentali e brindando di continuo ai traguardi universitari, a quelli letterari e a quelli medici.
Fila tutto liscio, finché il discorso non vira inevitabilmente verso la vecchia combriccola del liceo e Silvia mi chiede: «E Marco? Come sta?»
Non fosse per i primi due bicchieri vuoti, e per il terzo che mi occhieggia semi vuoto con le sue sfumature azzurrate, probabilmente andrei nel pallone. Invece, la parlantina alcolica interviene e prende il controllo. «Mah, credo bene...» dico, convinta di apparire noncurante. «Sta fisso a Milano, ora, lavora per una società di marketing. Sembra piacergli parecchio, è da Capodanno che non scende.»
«Uhm sì, bello. Ma tutto bene tra voi?»
«Be' sì, come al solito...»
Dal volto di Silvia capisco che non mi crede. E infatti, lei insiste. «Dai cugi, sputa il rospo. Cos'è successo? Pensavo foste amici per la pelle, ma ora sembri voler evitare l'argomento.»
«Eh....» Mi si riempiono gli occhi di lacrime e annego la tristezza in una bella sorsata di Vodka, Blue Curaçao e altre cose colorate non meglio identificate. «Ho fatto una cazzata. Davanti a tutto il gruppo» dico finalmente. «A Capodanno. Non ci parliamo da allora.»
«Una cazzata del tipo?»
«Del tipo che l'ho baciato. Davanti a tutti.»
Silvia tace, scioccata. «Wow... audace.»
«Sì, e idiota.» Faccio un bel sospiro, prima di sganciare la vera bomba. «Peccato che si fosse portato dietro la fidanzata da Milano. E che io fossi l'unica a non aver capito che stavano insieme.»
***
La mattina dopo, il risveglio ha ancora il sapore delle lacrime che ho versato al tavolo del bar, condite da una fastidiosa e pulsante emicrania. Non ho più la stoffa della studente universitaria, ora anche solo tre cocktail mi mandano al tappeto.
Anche Silvia non sembra troppo lucida, quando mi alzo dal divano letto sta armeggiando con lentezza esasperante nel cucinotto, spostando di continuo la moka dal fornello al tavolo come se non ricordasse quale gesto viene dopo.
«Buon giorno» sbadiglio, e ciabatto verso di lei per darle una mano. Mi bastano due passi per arrivare al tavolo e un altro mezzo per raggiungere il piano cottura, ma per fortuna il dopo sbornia mi impedisce di pensarci troppo.
«Buon giorno» mi risponde Silvia, con gli occhi gonfi di sonno. «Come stai?»
«Uno schifo. Tu?»
«Idem. Caffè?»
Ci penso un attimo, e per fortuna l'esperienza arriva a ricordarmi che, con il dopo sbronza, il caffè è buono solo se vuoi vomitare anche l'anima.
«Passo, grazie» dico, ma mi siedo comunque al tavolo per tenerle compagnia.
Silvia annuisce e probabilmente fa il mio stesso ragionamento, perché la moka torna sul fornello e lei si siede portando con sé una grossa busta di biscotti al cioccolato, che mette al centro del tavolo. Guardandoci, mentre peschiamo con desolazione i biscotti dalla busta, mi tocca ammettere che non abbiamo davvero più l'età per fare certe cose. Lei meno di me, se proprio vogliamo essere sincere, e il pensiero mi fa ridere sotto i baffi.
«Perché ridacchi?» mi chiede e io le faccio un largo sorriso al cioccolato.
«Perché ho pensato che siamo vecchie e non reggiamo più l'alcol. Però almeno posso dire di essere meno vecchia di te.»
Silvia mi tira un pizzicotto ma ridacchia a sua volta. «Cretina, sono solo tre mesi.»
Rimaniamo a fissare il muro per qualche minuto, finché è lei a rompere di nuovo il silenzio. «Senti...» comincia, e ho il terrore che voglia riprendere a parlare di Marco. «Com'è che si chiama l'autrice che devi incontrare?» dice invece.
«Diane Vane» dico con sollievo.
Per poco non le va di traverso un biscotto. «Stai scherzando?» Ha riacquistato tutta la lucidità intaccata dall'alcol e ora mi guarda con occhi molto simili a quelli di una pazza. «Lavorerai con Diane Vane?»
«Sì...» rispondo, intimorita dalla sua reazione.
«Ma che figata! Me la presenterai? Promettimi che me la presenterai!»
Non mi molla finché non cedo e accetto di farle incontrare, prima o poi. A quanto pare Silvia è una sua grande fan e nella sua minuscola libreria sono presenti tutti i suoi libri, disposti ordinatamente accanto a quelli di Sophie Kinsella e Felicia Kingsley. Me ne presta uno per il viaggio, visto che di Cuori distanti mi mancano appena poche pagine e il Kobo è rimasto a casa.
Quando esco di casa posso dire di essere un poco più lucida, anche grazie all'antidolorifico che Silvia ha servito a tavola a entrambe insieme ai biscotti. Il ricordo della sera di Capodanno è tornato al suo posto dentro un cassetto molto nascosto della mia mente, dove è bene che se ne rimanga.
Sono uscita in anticipo, quindi posso camminare con tranquillità e godermi la città che sta cominciando a svegliarsi. Hanno appena lavato le strade, la gente in giro è poca e aleggia nell'aria un buon odore di caffè e di cornetti, che filtra dai numerosi bar del centro. La casa di Silvia è piccola ma la posizione è ottima e mi permette di arrivare in stazione in pochi minuti di passeggiata. Per arrivare a Vinci devo prendere prima un treno e poi un autobus che parte da Empoli, il che significa che mi aspetta almeno un'ora e mezza di viaggio, quindi mi godo questi minuti di sole tiepido e di aria frizzante.
Sul treno trovo posto con facilità e appena seduta mi immergo tra le pagine di Legami, così da distrarmi e non pensare troppo al fatto che sono dentro una scatola chiusa che viaggia a folle velocità sui binari. Ogni tanto occhieggio il finestrino, accanto a me scorrono campi e colline di un verde intenso, con paesi dalle alte torri medievali arroccati sulle cime.
Il passaggio da treno ad autobus è un po' brusco, e nell'ultima parte del viaggio comincio a soffrire l'essere chiusa per così tanto tempo. Legami si rivela provvidenziale: la storia di Aubrey e Paul è delicata e commovente e finisco per appassionarmi alle loro vicissitudini, dimenticando la mia solita insofferenza per le robe troppo sdolcinate. A essere onesta, non mi dispiacerebbe affatto vivere una relazione così, farmi coinvolgere anima e corpo da un altro essere umano, svegliarmi ogni mattina sapendo che quello è il momento più prezioso della giornata perché posso osservare la persona che amo svegliarsi a sua volta e sorridermi. Peccato che, finora, gli uomini che ho incrociato avevano tutti parecchia fretta di sparire prima che mi svegliassi.
Sto ancora pensando a Aubrey e Paul quando arriviamo a Vinci, e l'emozione per il libro si sostituisce a quella suscitata dalla vista della città, un raggruppamento di case antiche che sorge leggermente rialzato su una distesa di vigne e uliveti. Finalmente capisco perché Diane Vane ha scelto di vivere qui: l'atmosfera è pazzesca, sembra di essere rimasti fermi in un'altra epoca, lontani dal tumulto del traffico e delle telecomunicazioni.
Anziché fermare qualcuno e chiedere dove posso trovare l'indirizzo che mi ha fornito, vago per le salite e le discese, sbircio con curiosità e bramosia case e giardini e provo un'invidia immensa per chi, come la Vane, ha la fortuna di vivere qui. Chissà come dev'essere questo posto durante la Festa dell'Unicorno, con le rievocazioni medievali e fantastiche che ridanno vita alle piazze e alle case, con la gente che anima le strade. Devo fare il possibile per non perdere l'edizione di quest'anno, che ci fornirà di certo spunti per il nostro romanzo.
Arrivo a casa della Vane guidata da Maps, con qualche minuto di ritardo rispetto all'orario concordato ma con l'animo talmente pieno di meraviglia da non farci caso.
Suono il campanello e aspetto trepidante questo primo incontro, e quando la porta si apre e mi trovo davanti un bell'uomo in camicia bianca, con gli occhi azzurri e la barba sfatta di alcuni giorni, il primo pensiero coerente che riesco a fare è che la Vane è davvero una donna molto, molto fortunata.
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