Capitolo 3
«Vinci? Sei seria?»
Potrei trovare l'espressione di Nino quasi esilarante, se solo non fossi preda di un attacco di nervosismo acuto. «Certo che sono seria! Purtroppo, aggiungerei...»
Aggredisco il tubo di patatine senza rimorso, sperando che tutto il sale contenuto all'interno possa farmi passare l'isteria. Sono seduta al tavolo della sua cucina, in una stanzetta che sarà grande sì e no quanto il ripostiglio dei nostri genitori. Nino ha aperto l'unica finestra, ma anche così la luce è poca e sembra davvero di stare dentro il ripostiglio. Anche l'odore è lo stesso, e presumo che la colpevole sia la busta di immondizia abbandonata in un angolo della stanza.
Mio fratello non è mai stato un mago delle pulizie, neanche quando viveva ancora a casa.
Con le gambe distese su uno sgabello e i gomiti sul ripiano, mi caccio in bocca altre due patatine, una di fila all'altra. «L'ha messa come condizione. O scriviamo lì o non se ne fa nulla.»
Nino si limita ad alzare un sopracciglio, facendo luccicare il piercing che lo decora. «Non sembri proprio contenta della cosa» azzarda.
Sbuffo sonoramente. «Ma va? Infatti non lo sono.» Un'altra patatina finisce triturata senza ritegno. Credo di aver perso il conto almeno cinque minuti fa.
«Ma...» dice lui, e poi stranamente esita. Non sono abituata a vederlo esitare, lui di solito è quello sicuro e ottimista. Si vede che questa volta la cosa è troppo grossa persino per la sua indole positiva. «Non è poi così male» ritenta, grattandosi la nuca. «Vinci è un bel posto, e imbarcarti in questa nuova avventura potrebbe essere stimolante.»
«See, certo.» Faccio per prendere un'altra patatina, ma Nino mi sottrae il tubo e lo allontana. «È ingiusto» miagolo, un po' per la mia situazione, un po' per le patatine. «Capisco che sia più brava e più conosciuta di me, ma questo a casa mia si chiama fare i capricci!»
Lui si limita ad annuire. «Molto probabile. Ma questo non cambia la tua situazione. Cosa pensi di fare? Ci vai?»
Diretto e senza giri di parole. È per questo che gli voglio un bene dell'anima. Perché mi conosce e sa sempre come arrivare al dunque. È così da quando eravamo bambini e lui mi insegnava ad andare in bicicletta o sui pattini, superando il mio terrore folle e i miei pianti disperati se cadevo e decidevo di non riprovarci mai più. Ogni tanto fa bene respirare una boccata di amore fraterno. Da quando si è trasferito a Milano, questi momenti sono rari e preziosi.
«Non lo so» ammetto, abbassando lo sguardo. «Vorrebbe dire mollare tutto per mesi. Chi pensa a mamma e papà mentre sono via? E al nonno?»
Nino sbuffa. «Sono perfettamente in grado di badare a loro stessi.» Un sorrisetto appare sulle sue labbra. «Di' la verità, te la stai facendo addosso» ridacchia.
E io non posso che tacere. Perché a dirla tutta sì, un po' me la sto facendo addosso. Anche se questa è l'occasione che aspettavo da una vita. Anche se in me pulsa un cuore da avventuriera. L'idea di stare così tanti mesi lontana da casa, in una città che non conosco, mi fa letteralmente tremare le ginocchia. «E se si rivela una pessima collega?» dico, perché è l'unica scusa che mi viene in mente in questo momento per giustificare il mio timore.
«Se è così, sarai sempre in tempo a mandarla a quel paese. Sesi maba meda intru, Biancaneve, non dimenticartelo mai.»
Gli faccio una linguaccia. Ho sempre odiato che mi chiamasse Biancaneve, l'ha tirato fuori quando avevo quattro o cinque anni ed ero rotondetta e con le gote rosse, e mi ha tormentata con questo soprannome per anni. «Dui puru non schirzasa.»
«Lo so. Non per altro condividiamo il sangue.» Si siede davanti a me, tenendo le patatine ancora fuori portata. Provo a sporgermi per afferrarle ma allontana il tubo. «Nope, non te le do finché non ammetti che hai una voglia pazza di andarci. Ma sei troppo cagallona per prendere questa decisione.»
«Può essere.» Mi esce fuori una sorta di gemito strozzato, e mi accascio sul tavolo con la testa tra le braccia. «Ma Nino, parliamo di una cosa enorme, lo capisci? E se mando tutto a monte?» bofonchio dal mio rifugio.
Il tubo di patatine mi viene barbaricamente sbattuto sulla testa. «Ahi!» mi lamento, riemergendo dalla tana.
Nino ignora la mia protesta. «Smetti di frignare e tira fuori il coraggio. Accetta quel contratto e poi inizia a pensare a come trasferirti in Toscana. Che poi, Vinci non è il posto dove fanno quella grossa fiera del fumetto che ti piace tanto? Quella dove hai presentato la tua trilogia?»
«Quella è a Lucca. A Vinci fanno la Festa dell'Unicorno. Più piccola, altrettanto figa, dedicata ai cosplay e al fantasy.»
Nino alza gli occhi al cielo. «See va be', come dici tu, nerd. In ogni caso non male, no? Hai anche l'occasione di goderti un raduno di sfigati. Cosa puoi volere di più?»
«Non è un raduno di sfigati» ribatto, arricciando il naso.
Lui ridacchia e io approfitto del momento di distrazione per sottrargli il tubo di patatine, facendomi sfuggire un esaltato «ah-ah!»
Prima che possa riprenderlo, apro il tappo e caccio in bocca tre patatine di fila. «E comunque... » biascico a bocca piena. «Dubito che la Vane voglia ospitarmi a casa sua. Mi servirà un posto dove stare.»
Nino si gratta il pizzetto qualche secondo. «Hai pensato di chiedere a Silvia? Pisa non dovrebbe essere troppo lontana da Vinci.»
Mando giù il boccone. «Mmm, non la sento da mesi...» Forse anche qualcosa di più, a ben pensarci. Ma è sempre così con le cugine, no? Da piccole si gioca insieme tutti i giorni e poi a un certo punto si cresce e ci si perde di vista. «La cosa più recente che so di lei è che si è fatta bionda.»
Nino arriccia il naso. «Un pessimo biondo, oserei dire, ho visto la foto su faccialibro. Ma tentare non nuoce, no? Al massimo ti dice che non può aiutarti.»
«Nino, non lo so... Io...»
«Ora basta.» Nino si alza e, con un balzo degno dell'atleta che è, afferra il tubo e lo scaraventa dritto sul divano. «Nooo» protesto, ma lui ormai è partito e prima che me ne renda conto mi ha tirata su e rigirata come un sacco di patate. Il mondo si è invertito e io sento le patatine prendere una strada tutt'altro che naturale. «Ninooo, mettimi giù, ti prego!»
«Assolutamente no» dice lui, categorico. «Non finché non ti decidi a tirare fuori le palle.» Per enfatizzare il concetto, prende a scuotermi quasi fossi davvero un sacco.
Mi aggrappo come un gatto che sta per finire dentro l'acqua, lottando per tenere le patatine al loro posto. «È terribilmente sessista, lo sai? Dire a una donna che deve tirar fuori le palle.»
«Non me ne frega nulla. Tira fuori quello che vuoi, basta che la smetti di frignare.»
«Io non frigno» dico, frignando palesemente. Nino smette per un secondo di agitarmi, ma il mio stomaco non sembra comunque contento. «Ti prego, mettimi giù. Sto per vomitare.»
«Non finché non provi a scrivere a Silvia.»
Guardo il pavimento con disperazione. «Come faccio a scriverle da qui?»
«Non sei tu la scrittrice? Inventati un modo.»
Inarco le sopracciglia con sdegno ma, anche se potesse vedermi, dubito che sembrerei troppo minacciosa a testa in giù e con i capelli che mi coprono mezza faccia. Vorrei tenere il broncio, ma da questa posizione è praticamente impossibile. Desisto dopo pochi secondi. «Va bene, hai vinto. Fammi scendere e le scrivo.»
«Ottimo!» Mi scarica sul divano, con meno grazia di quanta ne meriterei.
«Sei un idiota» esclamo in tono offeso, ma in realtà sotto sotto sto ridendo. Troppo sotto perché possa accorgersene, per fortuna. Si siede sul bracciolo del divano, mentre io raddrizzo il vestito e mi inarco per tornare a una posizione un minimo dignitosa. Riprendo a fare il broncio, ma sa bene di aver vinto e non funziona.
«Avanti, scrivile subito così puoi rispondere all'editore» dice infatti, incrociando le braccia. «Non mi alzo finché non ti vedo farlo.»
Sospiro, ma ha ragione e lo sappiamo entrambi. Se non mi bracca, è molto improbabile che io le scriva davvero. Mi sporgo per prendere il telefono dal tavolo e inizio a digitare. Nino non mi stacca gli occhi di dosso, e pretende pure di vedere il messaggio prima che lo invii. Maledetto stronzo che sa meglio di me quello che voglio. L'animo del fratello maggiore, ecco cos'ha.
Mentre aspettiamo che Silvia risponda, Nino si mette a cucinare e blatera qualcosa sul dottorato e sulla sua squadra di basket che, a quanto pare, quest'anno potrebbe entrare in non so bene quale girone. Io apparecchio e lo ascolto con un orecchio, mentre scrollo le ultime foto che Silvia ha pubblicato su Instagram. In realtà è carina bionda, il colore le dona. C'è qualche scatto di lei sul Ponte centrale di Pisa, con un bel tramonto alle spalle. La città non sembra per niente male, in effetti. Potrei quasi trovarmi a mio agio in un posto così ricco di arte e bellezza.
Continuo a scorrere indietro il feed con curiosità, recuperando stralci degli ultimi anni che ha passato in Toscana. Finché non trovo uno scatto di un'era fa, fatto al mare in Sardegna. C'è tutta la vecchia compagnia, che purtroppo con l'università si è un po' persa di vista. Nello scatto ci siamo anche io e Marco, entrambi con una smorfia buffa e una birra da 33cl in mano.
Marco...
Torna a fare capolino nella mia mente, benché fossi riuscita con una certa abilità a sotterrarlo in profondità. Mi viene di nuovo la voglia di scrivergli, di dirgli che sono a Milano e di proporgli di vederci. Ma il ricordo di Capodanno e del modo in cui mi sono messa in imbarazzo è ancora troppo vivido. La sua espressione sorpresa brucia ancora come una ferita non del tutto cicatrizzata.
Chiudo Instagram stizzita e mi dedico ad apparecchiare. Non voglio che questa giornata grandiosa venga rovinata dalla mia stupidità, le ho già lasciato fin troppo campo libero, in passato. Il bip del cellulare mi raggiunge poco dopo, quando siamo quasi pronti a sederci a tavola.
È Silvia, e una piccola fitta di aspettativa mi chiude lo stomaco.
"Tesoro, quanto tempo, è così bello sentirti!
Sono felicissima per il tuo nuovo contratto. Certo che posso aiutarti, non c'è neanche da chiederlo. Ho un divano letto, non è la cosa più comoda del mondo ma se vuoi puoi stare da me. Almeno non devi cercarti un appartamento, di questi tempi i prezzi sono diventati impossibili. Possiamo smezzarci il prezzo del bilocale, è grande a sufficienza per entrambe.
Che ne dici?"
Guardo Nino, e mio malgrado ho già iniziato a sorridere.
«È lei?» chiede il mio adorabile fratellone rompiscatole, che ha già intuito la risposta.
Io annuisco, al settimo cielo. «Può ospitarmi. Nino, è fatta. Parto davvero.»
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