Capitolo 26

Pranziamo nel salotto, dividendoci tra la bontà dei piatti preparati da Anna e qualche chiacchiere leggera. L'imbarazzo di poco fa sembra essersi dissolto, eppure mi trovo più volte a guardare Diego e i genitori e a chiedermi quante cose irrisolte ci siano ancora tra loro. Dall'atteggiamento di Anna, dal modo in cui si sporge di continuo per toccare il figlio, distogliendo raramente lo sguardo da lui, capisco che la distanza tra Torino e Vinci le pesa, e che non capisce la scelta del figlio di lasciare tutto per rifugiarsi in mezzo alle colline. Giovanni invece sembra più sereno, alterna lo sguardo dal figlio a me, assapora il cibo a piccoli bocconi posati e tiene viva la conversazione raccontandoci aneddoti sui suoi ex-studenti. Nessuno apre più l'argomento di Elena e del divorzio, né vengono più menzionati gli anni in cui Diego lavorava per l'Università di Torino o la sua collaborazione con l'Università di Pisa, come se facesse tutto parte di un grande buco nero dal quale tenersi molto alla larga.

Del pranzo, mi colpisce la mescolanza di tradizione toscana e piemontese, quasi Anna e Giovanni vivessero ancora a metà tra le due regioni, fieri delle proprie origini ma felici di abbracciare le bontà della città che li ha accolti. Il ragù è saporito, il brasato un'esplosione di gusti esaltata dalla scelta del vino rosso, che Giovanni serve generosamente nei calici quando li trova vuoti.

Svuotati i piatti, e presi i bis che Anna ci offre con orgoglio, sono così piena che potrei rotolare. Giovanni deve accorgersi delle mie difficoltà, perché ridacchia prima di chiedermi: «Hai uno spazietto per il dolce?»

«Certo che ce l'ha!» dice subito Anna, provocando un enorme sospiro in Diego.

«Dai, ma', se è piena lasciala in pace.»

«Ma non può non assaggiare il Bicerin!» protesta lei. «E poi ha il caffè, aiuta a digerire!»

Non ho idea di cosa sia il Bicerin, ma il caffè in questo momento mi pare un'ottima idea, quindi annuisco. «Vada per il caffè» dico, e Diego mi guarda con un'espressione dolce.

«Non starla a sentire, non è semplice caffè. Ha dentro cioccolata e panna.»

«È una vera bontà» dice Giovanni. «Però se sei piena non preoccuparti, possiamo mangiarlo più tardi.»

L'idea di assaporare un caffè pieno di cioccolato e di panna dissolve tutta la sensazione di disagio. «Credo proprio di riuscire a fare uno spazietto» dico, attirandomi un sorriso felice da Anna e una risatina da Giovanni.

«Vado a prendere i bicchieri, allora» dice quest'ultimo. «Diego, mi dai una mano con i piatti?»

«Ma no, faccio io!» protesta la madre con fin troppa enfasi, e Giovanni scuote la testa. «Voi donne rilassatevi, arriviamo subito.»

Diego si alza ma esita, guarda me e la madre, sembra temere quello che può succedere a lasciarmi sola al tavolo con lei. Provo a rassicurarlo con un piccolo sorriso, d'altronde non mi sembra così spaventosa. Resta fermo qualche altro secondo, poi si convince e raccoglie i piatti per riportarli in cucina.

Passa appena un istante da quando Diego e il padre lasciano la cucina, poi Anna scivola sulla sedia vuota del figlio per sedersi proprio davanti a me. Ha il volto illuminato e reso rosso dal vino e dal buon cibo, si sporge per prendere le mie mani tra le sue. «Allora, mia cara, approfittiamo di questo momento in cui mio figlio è di là e non può brontolare. Dimmi, cosa ne pensi di lui?»

La domanda mi mette terribilmente in difficoltà. Cosa si dice in questi casi? Non posso certo dire alla madre di Diego che lo trovo attraente, dolce e incredibilmente generoso a letto, anche se sono le cose che in questo ultimo periodo sto scoprendo con piacere. Arrossisco un po', e mi viene da ridere all'idea che probabilmente non si nota neanche perché devo avere il viso arrossato dal vino quanto quello di Anna.

«Penso sia davvero un'ottima persona» dico, tra le cose più vaghe e inconsistenti che puoi dire a una madre su suo figlio.

E infatti, Anna continua a guardarmi con intensità. «Sì sì, ma che altro? Cosa ti ha colpito di lui?»

«Ehmm...» Temo che Diego avesse ragione a preoccuparsi per me. Lancio un'occhiata alla cucina, pregando che lui e il padre tornino il prima possibile, ma sento che parlottano e ho quasi il sospetto che Giovanni e la moglie si siano messi d'accordo per separarci e prenderci ai fianchi. «Il suo talento...» butto lì, e poi mi mordo la lingua.

È senz'altro vero, ma si avvicina troppo alla verità sul lavoro di Diego, e non penso stia a me dire ai suoi genitori come si guadagna da vivere. Il problema è che è davvero difficile ragionare lucidamente con tanto cibo e alcol in corpo. Anche questo dev'essere parte della tattica, ne sono sicura. «Mi ha colpita il fatto che è brillante e molto intelligente» aggiungo, cercando di rimediare.

La risposta sembra soddisfarla di più. «Sì, è sempre stato un bambino molto sveglio» dice, e poi si lancia in un racconto dei successi scolastici e universitari di Diego, dandomi il tempo per raccogliere i pensieri e prepararmi per l'attacco successivo.

«Posso farti una domanda indiscreta?» butta lì, dopo aver terminato di descrivermi il toccante momento della proclamazione di Diego all'Università.

"Come se quelle precedenti non lo fossero state", penso, ma mi limito a sorridere e a dire: «Certo.»

«Voi due state insieme?»

Me lo sentivo che la domanda sarebbe arrivata, e penso sia proprio il motivo per cui la gente normale evita di fare cose del genere prima di aver messo in chiaro un po' di punti sulla propria relazione. «Ehmm sì, credo di sì» borbotto, sperando che Diego non si offenda se ho deciso questa cosa da sola, senza consultarlo prima.

Anna sorvola sul "credo" e si illumina tutta. «Lo sapevo! Ne sono così felice! Ho sempre pensato che fosse troppo solo, tra quelle colline sperdute.»

Evito di indignarmi per essere appena stata considerata un "tampona-solitudine" e mi limito a sorridere e a mostrarmi felice quanto lei. «Eh già, è una bella cosa.»

«Pensate di andare a vivere insieme?»

Per mia fortuna, Diego e il padre compaiono in salotto con i bicchieri, salvandomi dal disagio di dover rispondere a una domanda sulla quale non ho ancora cominciato a riflettere. Mettono sul tavolo quattro bicchieri strabordanti di panna e cioccolato, Diego mi guarda con un po' di preoccupazione ma gli faccio un cenno per comunicargli che va tutto bene, che sono sopravvissuta alle domande indiscrete della madre.

Lei scivola al suo posto e gli sorride, così felice da farmi pensare che tutto sommato va bene anche essersi sorbita le sue domande.

Eppure, mentre tuffo il cucchiaino nella panna e assaporo la bontà del Bicerin, non posso evitare di rigirarmi la sua ultima domanda nella mente: quando è il momento giusto per chiedersi cose del genere, senza affrettare i tempi e rischiare di rovinare tutto?

Esiste un momento giusto? O è solo questione di accontonare la paura e lanciarsi?

Provo a immaginare una vita condivisa con Diego, passata a scrivere e baciarci, parlare di storie e fare l'amore, ridere e mangiare. L'immagine è così dolce, e intensa, da strapparmi un sospiro di contentezza.

«Tutto bene?» mormora Diego, approfittando di un momento in cui Anna e Giovanni sono occupati in una delle loro lievi schermaglie.

Io annuisco, e sento che le labbra si piegano da sole in un sorriso. «Sì, va tutto molto bene» dico, ed è la prima volta che mi sento così sicura della direzione nella quale sto andando. Anche se non so ancora bene dove arriveremo, mentre lo guardo capisco di voler scoprire com'è camminare al suo fianco per un pezzo più o meno lungo delle nostre vite.

***

Di nuovo in treno, seduti l'uno accanto all'altra in una cabina pressoché vuota, ci prendiamo del tempo per stare semplicemente in silenzio, apprezzando la quiete dopo l'intensità della conversazione in casa Vanni. Prima di salire sul treno, ho fatto attenzione a spostare il pensiero sulla stesura del romanzo e ora le scene dei nuovi capitoli che scriveremo si affollano nella mia mente, rubando tutto lo spazio alla claustrofobia. Senza staccare il viso dal finestrino, dietro il quale scorre di nuovo la Pianura Padana, mi accoccolo meglio sulla spalla di Diego e lui sposta il braccio per farmi spazio. Ha ancora addosso il profumo del pranzo della madre, che ci ha preparato due contenitori carichi di avanzi. Li sento sbatacchiare sui nostri polpacci dentro una busta di tela e il peso è famigliare e piacevole.

Quando mi sento tranquilla, sollevo lo sguardo sul suo e Diego mi sorride. «Spero non sia stato troppo traumatico» mormora, lasciandomi un piccolo bacio sui capelli.

«No, affatto» dico, anche se poi mi tornano in mente le domande di Anna e faccio una piccola smorfia. «Cioè, forse tua madre è stata un po'... invasiva» soffio fuori, e Diego per fortuna ridacchia.

«Cosa ti ha chiesto?»

«Mi ha fatto domande su di noi... su dove siamo, cosa pensiamo l'una dell'altro...»

Diego solleva un sopracciglio, interessato. «Ah sì? E dove siamo, a tuo dire?»

Passo il naso sulla sua maglia, come farebbe Celeste prima di fare le fusa. «Credo in un bel posto» mormoro, e Diego ridacchia ancora.

«Sì, lo credo anche io.» Mi abbraccia più stretta e per qualche altro minuto restiamo così, con solo il suono del treno a farci da colonna sonora.

Sono io a spezzare di nuovo il silenzio, acchiappando uno dei fili che mi ha tenuta compagnia mentre salivo sul treno. «Pensi che dovremmo cambiare qualcosa nel capitolo ventitre?» chiedo.

La prima stesura del nostro romanzo, che per semplicità abbiamo battezzato "ibrido uno", procede spedita eppure ancora ci capita di arenarci su una scena particolarmente ostica, o di fare fatica a trovare la giusta armonia tra le nostre voci. Il capitolo ventitre, in particolare, mi ha tenuta sveglia quasi una notte intera e, nonostante la revisione di Diego, ancora non mi convince.

Lui però scrolla la testa e sorride. «Continuo a pensare che sia un'ottima scena» dice, e io piego le labbra in una smorfia.

«Sì, ma...»

«Ma nulla» mi rimbrotta in tono bonario. «Per essere la prima volta che scrivi una scena di sesso, non è affatto male.»

Faccio un'altra smorfia, questa volta abbastanza vistosa da strappargli una vera risata. Il suono è tremendamente piacevole, ma allieva solo in parte la preoccupazione che comincia a rimontare. La verità è che non sono per nulla convinta che una scena di sesso sia necessaria, ma Diego ha insistito perché la mettessimo; a detta sua, era "adeguata all'atmosfera generale" e, soprattutto "perfettamente in linea con quello che le nostre lettrici si aspetterebbero". So che ha ragione, e che di questi tempi lo "spicy" è ciò che attira e conquista, ma scriverla mi ha messa notevolmente alla prova e ancora ho il dubbio di non essere riuscita del tutto a darle una forma sensata.

«Avresti dovuto scriverla tu» borbotto, convinta che sarebbe venuta davvero meglio se fosse uscita dalla sua fantasia e non dalla mia.

Diego mi dà un pizzicotto affettuoso sul braccio. «Assolutamente no. Sei tu che hai dato vita ad Ainwen, dentro e fuori dalle pagine, e sei quella che la conosce meglio. È una scena cardine, per il suo sviluppo futuro.»

«Proprio per quello...» faccio per protestare, ma Diego mi zittisce con un bacio morbido, al lieve sentore di cioccolato. Quando si allontana, mi è rimasta poca voglia di ribattere, almeno per il momento.

Il mio telefono vibra, ma sono troppo occupata per prestargli attenzione. Ricambio il bacio di Diego con un altro bacio, che spero abbia lo stesso buon sapere di tradizioni torinesi. A giudicare dal piccolo sospiro che gli sfugge dalle labbra, non dev'essere tanto male.

«Non rispondi?» sussurra, facendo un cenno verso la mia borsa che vibra ancora.

«No...» mormoro di rimando, così vicina alle sue labbra da sentire il calore del suo respiro. «Richiameranno.»

«Non mi sembra tanto carino» mi fa notare Diego, e io sospiro, perché il suo buon senso è decisamente inopportuno. «Guarda giusto chi è, io non scappo» aggiunge.

Si allontana per farmi spazio e io mi rassegno ad estrarre il telefono, appena in tempo per sentirlo vibrare tra le mani un'ultima volta. Qualche secondo dopo arriva un messaggio di mia madre:

Richiamami quando puoi.

«Mia madre, nulla di importante» dico, ributtando il telefono nella borsa. «La richiamo come arriviamo.»

Diego sorride, malizioso. «Ah be', quand'è così.» Le sue labbra sono di nuovo sulle mie, e finiamo per passare il resto del viaggio così, alternando baci a carezze e approfittando della cabina semi-vuota e del bel paesaggio che scorre accanto a noi, e il pensiero del messaggio di mia madre sfuma insieme alle preoccupazioni sul capitolo ventitre.

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