Capitolo 23

Al tramonto, finalmente chiudiamo i computer.

In queste settimane la nostra storia è lievitata, da un abbozzo di progetto è diventata un intreccio vivo e reale, capace di respirare tra pagine fitte di caratteri oltre che nelle nostre menti. Anche le nostre scritture hanno trovato un punto di contatto, fondendosi in una voce sola che, a mio avviso, ha preso i lati migliori di entrambi.

«Penso che potremmo inviarle a Parisi» dice Diego, alzandosi per stiracchiarsi, e io annuisco. Sono pagine abbastanza solide da essere convincenti e da rassicurare il nostro editore e la mia agente che questo connubio improbabile funziona davvero.

«Domani mattina per prima cosa inviamo la mail» dico con uno sbadiglio, ma Diego mi guarda scandalizzato.

«Domani è sabato» borbotta, in modo così buffo da strapparmi una risata.

«Scusi tanto! Non eri uno stacanovista un tempo?»

Incrocia perfino le braccia davanti al petto, per rimarcare il suo disappunto. «Hai detto bene, un tempo. Non più.» Si avvicina e mi porge una mano per farmi alzare. In piedi, sono poco più bassa di lui e posso osservare il suo viso senza dover storcere troppo il collo. Da questa posizione, così vicina da sentire il suo respiro sulla pelle, riesco a vedere che ha una piccola scia di punti neri sul naso e che, quando sorride, sopra le labbra gli si formano due leggerissime rughe di espressione che gli danno un'aria tenera.

«Devi sapere che ora do grande valore al tempo libero, soprattutto di sabato» continua Diego, e quando il suo sorriso si allarga, le due rughette si tendono e mi viene spontaneo allungare una mano per accarezzarle.

«Ah sì? E cosa prevedi di fare, domani?» lo stuzzico, passando il dito sulle sue guance.

Diego mi guarda negli occhi, si mordicchia le labbra in maniera molto attraente. «Dipende...»

«Da cosa?»

Si sporge e sussurra, al mio orecchio: «Da come va la nostra cena stasera... e il dopo.» Di nuovo il mio stomaco si contorce e saltella. Ma è un saltellio piacevole, finalmente libero da quella paura opprimente che mi portavo dietro. Diego non andrà da nessuna parte, almeno non adesso, né dopo un eventuale notte trascorsa insieme, che ora si sta facendo sempre più probabile.

«Sai che stai avendo un impatto tremendo sul mio stomaco?» lo sgrido.

«In che senso?» mi chiede, scivolando sotto l'orecchio per passare il naso sul mio collo e lasciarmi una scia di brividi deliziosi.

«Mmm... nel senso che se continui a farlo sobbalzare così, dovrò acquistarne uno nuovo.»

«Sarebbe un peccato...» mormora Diego. «Il tuo è così carino.»

«Sì be', anche tu gli piaci parecchio» mugugno.

Rimarrei così ancora a lungo, con le sue mani intorno alla vita e il suo viso tanto vicino da poterlo raggiungere quando voglio, ma è proprio il mio stomaco a sollevare obiezioni. Brontola rumorosamente, scatenando in Diego una risata cristallina e bellissima.

«Così, a naso, mi sa che la tua pancia ha qualcosa da ridire» dice, e io rido con lui.

«Protesta perché è vuoto da troppo tempo» gli faccio notare. «Avevi parlato di un posticino carino qui a Vinci dove andare a cenare...»

«Oh sì, ti piacerà. Più dell'osteria a Pisa» dice Diego, tutto contento.

«Non sarà facile, visto che in quell'osteria abbiamo mangiato davvero davvero bene» ribatto.

«Vedrai.» Sembra così convinto della sua affermazione che non me la sento proprio di ribattere ancora. Apre la porta finestra per permettere a Celeste di lasciare la casa quando preferisce e poi mi accompagna fuori. Io abbandono le mie cose sul divano, telefono compreso, perché sento che stasera non ho bisogno di nient'altro se non delle nostre mani intrecciate.

Il ristorante in cui mi porta è piccolo e a conduzione familiare e il proprietario ci accoglie a braccia aperte. Sentendolo parlare scherzosamente con Diego capisco che dev'essere un suo cliente fedele, e infatti ci trova facilmente un tavolo anche di venerdì sera e con diversi turisti presenti, e ci guida sicuro in un angolo riservato e tranquillo del locale.

«Arriviamo subito con i menù» ci dice mentre io e Diego prendiamo posto l'una di fronte dietro una delle colonne. Mi guardo intorno e resto affascinata dalla parete affrescata, dal rumoreggiare quieto dei turisti, dall'aria serena sul volto dei camerieri.

«Mi piace, l'atmosfera qui» dico, e Diego si alza di qualche centimetro per la contentezza.

«Ne sono felice.»

Una giovane cameriera arriva in quel momento con i nostri menù, li posa sul tavolo, ci chiede se vogliamo del vino e poi sparisce rapida ed efficiente dentro la cucina. Torna poco dopo con la brocca di rosso della casa, riempie i nostri calici e di nuovo ci lascia soli.

Io guardo un po' il menù e un po' Diego, affascinata da entrambi: lui osserva tutto concentrato il suo menù e alcune ciocche di capelli, che in questi mesi gli sono cresciuti, dondolano gentilmente sulla sua fronte e mi viene una voglia incredibile di sporgermi per risistemarle dietro le orecchie, impedendo loro di nascondere i suoi occhi.

«Che c'è?» chiede Diego, alzando il viso e intercettando il mio sguardo.

Io arrossisco, ancora fatico a realizzare che mi è permesso fissarlo quando voglio. «Nulla, solo che sei molto bello» dico con sincerità, e le labbra di Diego si piegano in un sorriso timido.

«Tu sei bella» ribatte, e torna a guardare il menù con il sorriso che ancora aleggia sulle sue labbra. «Hai visto qualcosa che ti piace?»

Scuoto la testa, a dire la verità ho letto molto poco. «Non ancora...»

«Che ne dici della tartare? Qui è ottima.»

Cerco la voce sul menù e leggo la descrizione, in effetti la scelta dei condimenti mi ispira parecchio. «Mi fido, vada per la tartare» dico, risollevando il viso. «E come primo le linguine.»

«Ottima scelta.»

Diego intercetta lo sguardo della cameriera carina di poco fa, le fa un cenno e lei è subito da noi. «Pronti a ordinare?» ci chiede, e annuiamo entrambi. Diego prende le orecchiette e un secondo di terra, quando la cameriera si allontana si sporge per dirmi: «Così puoi assaggiare più cose» e la dolce semplicità di quel pensiero mi scioglie.

Per questo mi viene spontaneo rispondere: «Prima o poi devo portarti in Sardegna ad assaggiare la cucina della mia Terra», un pensiero così repentino da sorprendere me per prima.

Diego mi osserva stupito, è la prima volta che parliamo di un dopo, di un ancora sbiadito futuro nel quale siamo ancora un noi e facciamo cose insieme, come scendere in Sardegna.

«Mi piacerebbe moltissimo» risponde, e c'è un calore nuovo nel suo tono di voce, forse anche lui ha pensato a tutte le implicazioni della mia frase e le apprezza quanto le sto apprezzando io. «Com'è crescere su un'isola?»

Mi mordicchio le labbra, pensosa. «Bizzarro» dico, la prima parola che mi viene in mente quando cerco di paragonare la vita che conduco qui con quella che ho vissuto finora in Sardegna. «Hai sempre la consapevolezza di essere isolata, tagliata fuori dal resto del mondo, che è distante una notte in traghetto o almeno un'ora di volo. Eppure, al tempo stesso ti senti protetta, come se l'Isola fosse un grande rifugio nel quale il male del resto del mondo non può penetrare.» Rido, accorgendomi di quanto strane possano sembrare queste parole a una persona che non ha mai vissuto l'esperienza di essere isolana. «Non so se per te può avere un senso, quello che dico, ma non saprei come altro spiegare la sensazione...»

«Ha senso eccome» dice Diego. «E forse in piccolo è la sensazione che provo a vivere qui a Vinci, di essere escluso e al contempo protetto dal mondo.»

«In effetti è vero, qui si prova qualcosa di simile. Anche se, da quello che ho visto, la sensazione in Sardegna è condivisa e in un certo senso stratificata. Ti senti isolata e protetta sull'Isola, nella tua città e a volte persino nel tuo quartiere. Prendi Castello...»

«Il posto dove vivi?»

Annuisco. «Cagliari è ormai una città metropolitana, eppure lì dentro sembra di essere ancora fermi a un'altra epoca, con i vicini che si conoscono tutti e riescono a vivere ignorando che a qualche passo da lì il traffico ha ormai invaso la città e le strade rigurgitano turisti.»

«Mi piacerebbe vederla. Castello, dico. Casa tua.»

«Oddio, a casa mia ci sono i miei...» dico di getto, con una risatina nervosa e una sincerità inaspettata. «Cioè, sono sicura che ti adorerebbero, però poi mio padre inizierebbe a preoccuparsi per te perché la scrittura non è stabile quanto un lavoro statale, e mia madre attaccherebbe con la solita solfa che ho sbagliato completamente mestiere, si lamenterebbe con te del fatto che sono una figlia ingrata e borbotterebbe di continuo che il quartiere sta cambiando, e che il portoncino viola davanti a casa nostra non si può proprio vedere e...»

«Portoncino viola?» ride Diego, ma ha gli occhi velati di quello che mi pare un lieve dispiacere.

Mi mordo le labbra, timorosa che abbia frainteso la mia ritrosia a presentargli i miei, che dipende tutta da loro e per niente da lui.

«Sì, i dirimpettai hanno dipinto il loro portoncino di viola. A me piace, dà un'aria allegra al quartiere, ma lei non lo può vedere.» Mi zittisco e studio il volto di Diego, cercando di capire quanto il mio timore possa averlo ferito. Ho una paura folle che, conoscendo i miei, potrebbe decidere di scappare il più lontano possibile da me, ma non è una cosa facile da dire a una persona che frequenti da così poco.

Diego sembra liberarsi in fretta del dispiacere, tanto che mi chiedo se non me lo sono solo immaginata, e mi sorride con dolcezza. La cameriera torna in quel momento con i nostri piatti e il profumo della tartare e il sonoro borbottio del mio stomaco distolgono tutta la mia attenzione dalla faccenda. Mi resta però un velo di dubbio. Sto di nuovo andando troppo cauta?

***

Alla fine della cena, il mio umore è tornato così alto che sono abbastanza sicura che non ci sia mai stato il fraintendimento sul conoscere i miei. Anche Diego sembra contento, mi ha guardata divorare la cena con un sorriso soddisfatto. Usciti dal locale, mi passa una mano sulla spalla e mi avvicina a sé. «Sapevo che ti avrebbe conquistata» mormora, strusicando il naso sui miei capelli e io annuisco e gemo insieme. «Mmm sì, non so se sia stata la cena o sia stato tu.»

Diego abbassa la voce, la fa vibrare vicino al mio orecchio. «Se basta così poco per conquistarti, ti porto a cena fuori tutte le sere...»

«Ah be', per quanto mi riguarda si può fare...» sospiro con voce sognante.

Passeggiamo a braccetto per le vie di Vinci ora deserte, i turisti arrivati in paese per visitare il Museo di Leonardo hanno ormai lasciato il borgo e siamo circondati solo dal canto dei grilli e dalla brezza leggera che spira dai colli.

«Mi piace davvero tanto qui, soprattutto la notte» dico, lasciando vagare lo sguardo sull'oscurità calma e avvolgente che si estende oltre i pochi lampioni che rischiarano la sera.

«Fermati qualche giorno, allora. Fino alla sessione» propone Diego, e un'altra piccola fitta di aspettativa mi risale lo stomaco. «Sempre se ti va, ovviamente. Non voglio farti pressione.» Mi abbraccia più stretta e io poso la guancia sulla sua spalla, respiro l'odore familiare della sua acqua di colonia. «Mi piacerebbe molto» dico, e sono parole sincere e spontanee. «Però non ho vestiti con me.»

Il viso di Diego si piega su di me, le sue labbra scivolano con dolcezza dalla mia fronte all'orecchio, dove sussurrano, attraenti: «Se è solo questo il problema... puoi usare i miei. O non usarne affatto.»

L'idea di andare in giro per casa di Diego con solo la sua camicia addosso mi provoca un formicolio difficile da descrivere. Il resto mi causa un rossore generalizzato. «In effetti, la tuta era molto comoda» dico, per stemperare un po' l'atmosfera che altrimenti, da qui a casa sua, rischia di farsi davvero troppo calda.

«E ti stava divinamente, secondo me» ribatte lui, un un altro sussurro provocante. «Credo di aver pensato allora, per la prima volta, che ero curioso di scoprire cosa ci fosse sotto.»

Sgrano gli occhi per la sorpresa e per l'imbarazzo. «Sei serio?»

«Mmm mmm» mormora lui e mi mordicchia l'orecchio, rendendo vano qualunque tentativo di stemperare l'atmosfera. Arriviamo a casa sua molto più rapidamente di quanto accadrebbe altrimenti, e troviamo Celeste accoccolata sulla stessa poltrona dove l'abbiamo lasciata, che sonnecchia beata. «È praticamente la tua coinquilina» osservo, ma la cosa non mi disturba, anzi, mi piace dividere questo spazio e questo momento anche con quella piccola palla di pelo bianco. «Spero che la sua vera coinquilina non si dispiaccia troppo» osserva Diego, guardando da qualche parte oltre il vetro. «Dovrò portarle qualcosa in regalo per farmi perdonare.»

«Ah ma non hai nulla da farti perdonare» dico, sentendomi finalmente libera di esprimere un pensiero che mi tiene compagnia da parecchio. «Capisco perfettamente Celeste, è un piacere starti intorno.»

Diego si china verso il mio viso e lascia un piccolo bacio sul mio naso. «Davvero?»

«Mmm mmm» mormoro, socchiudendo gli occhi. «E già che stiamo parlando di piacere...»

«Sì?» chiede Diego con una risata. Le sue labbra intercettano al volo le mie, rubano un altro sospiro. «Qualche richiesta?» chiede Diego, mentre sposta la bocca sul mio collo per ritagliarsi la strada lungo la scollatura della mia canottiera.

«Mmm» mormoro di nuovo, incapace di formulare un pensiero coerente sotto la scia dei suoi baci caldi. Mi avvicino, lascio che il mio corpo aderisca al suo e quando percepisco che mi desidera quanto io desidero lui, la sensazione è così inebriante da provocarmi un gemito; Diego se ne accorge e mi stringe più forte, con le mani esplora la pelle sotto la canottiera, abbassa una spallina per mordicchiarmi la spalla, per baciare il seno che fa capolino dalla stoffa. Con le gambe che tremano, passo le mani sulle sue braccia, ne percorro il profilo fino alle spalle, mi fermo sul colletto della sua camicia.

Diego torna alla mia bocca, si porta via un altro sospiro decisamente inequivocabile. «Non sei troppo piena?» mi chiede con un sorriso e io scrollo la testa, lo stomaco per una volta è l'ultimo dei miei pensieri.

«Posso?» sussurro, muovendo le dita sui suoi bottoni e Diego annuisce. Slaccio il primo e sento un brivido risalirmi la schiena. I successivi lo seguono subito dopo e alla vista del suo petto nudo sento il cuore contrarsi per l'emozione. «Dio, quanto sei bello» mi sfugge dalle labbra e Diego ride, prima di catturarle nuovamente.

«Tu sei bella, magnificamente bella» soffia sul mio viso. Lascio scivolare la sua camicia per terra e la mia canottiera viene via poco dopo, le mani di Diego esplorano la mia pelle nuda, la sua bocca mordicchia i capezzoli, mi strappa piccoli ansimi di piacere.

«Sul divano stiamo più comodi» dice, e senza smettere di baciarmi mi trascina all'indietro, finendo per far precipitare entrambi sulla stoffa morbida. Lo guardo per un istante, seduta a cavalcioni su di lui, e lascio che l'azzurro dei suoi occhi colmi di desiderio mi riempia e mi faccia sentire bella come non mi sono mai sentita prima; poi mi avvento sul suo collo e lo bacio, fiera di sentirlo sospirare sotto di me.

Le sue mani scivolano sui miei fianchi, accarezzano il bordo dei pantaloncini con timidezza, quasi aspettassero un invito. Sento la sua erezione che preme sulla stoffa e la testa che gira per l'eccitazione. «Ti voglio» soffio fuori ed è l'invito che le sue mani aspettavano per insinuarsi oltre la stoffa, accarezzarmi la pelle delle cosce e poi avanzare piano verso il basso, fino a farsi largo dentro di me. Inarco la schiena e gemo, mentre scintille di piacere mi attraversano, e mi muovo piano sui suoi fianchi, seguendo l'ondata di piacere che mi attraversa. Anche Diego geme, un suono roco e terribilmente attraente. Poi affonda il naso sul mio collo, morde la pelle strappandomi una piccola ed eccitante esclamazione di dolore.

«Meno male che questo fine settimana resto qui...» esalo e Diego ride.

«Oh sì, meno male davvero» mormora, e con una leggera spinta mi ribalta sul divano e riprende a mordicchiarmi il collo, il seno, i capezzoli, per poi scendere lungo la pancia e fermarsi appena sopra l'elastico dei pantaloncini.

«Posso?» è il suo turno di chiedere e io sospiro il mio assenso. L'aiuto a sfilarmi i pantaloncini, ma quando cerco di sollevarmi per fare altrettanto con i suoi Diego mi fa sdraiare con una gentile spintarella sul petto. «C'è tempo» mormora al mio orecchio, mentre la sua mano torna ad esplorare i miei fianchi e si fa largo tra le gambe in cerca del mio clitoride. Lo accarezza con dolcezza, piccoli movimenti circolari che si fanno via via più rapidi e intensi assecondando l'andamento del mio respiro.

«Oh cielo» mugugno e Diego aumenta ancora il ritmo mentre torna a mordicchiarmi un capezzolo, rendendomi difficile pensare lucidamente a quello che sta succedendo tra le mie gambe. Quando gemo di nuovo, molto vicina a raggiungere l'orgasmo, Diego si abbassa e sostituisce la mano con la lingua, e la marea che monta dentro di me irrompe tra le sue labbra. Chiudo gli occhi e per un attimo ho l'impressione di annegare. Ma è un'apnea dolce, sostituita presto dal respiro che accelera di nuovo sotto la sua bocca esperta, sotto le spinte delle sue dita che si sono insinuate dentro di me.

«Diego...» mormoro, sull'orlo di un altro abbandono, dal quale non penso ci sia ritorno. Giro il viso su un lato e intercetto gli occhi azzurri di Celeste, che mi guarda dalla sua poltrona. Ridacchio per la sorpresa. «Abbiamo... abbiamo una spettatrice» sussurro e gemo insieme, realizzando che è stata qui tutto il tempo.

Diego si interrompe, alza il viso e io mi sento improvvisamente di nuovo in apnea. «Ti dà fastidio? Posso farla uscire.»

«No...» mormoro, e mi viene da ridere al pensiero che l'unica cosa che desidero ora è che Diego torni a fare quello che stava facendo così bene. «Per favore, riprendi... » biascico e lui ride, un suono così bello da far male al cuore.

«Agli ordini» dice, e quando affonda le labbra sul mio clitoride e mi guida con sapienza di nuovo sull'orlo dell'abisso, sento che non ha alcuna importanza se Celeste ci osserva, se domani continuerò ad avere paura di presentargli i miei o se a un certo punto Diego realizzerà che là fuori ci sono donne più sicure e interessanti di me da frequentare e mi pianterà in asso. In questo momento, mentre la sua lingua mi tortura con una devozione che non ho mai sperimentato in vita mia, mentre il battito del mio cuore accelera a ritmo con il suo e la gatta dagli occhi azzurri torna ad addormentarsi sulla poltrona, l'unica cosa che conta è che grazie a questo uomo in particolare sono, un giorno dopo l'altro, sempre più vicina a conoscere il mio paradiso personale.

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