Capitolo 19

Di nuovo in aereo, osservo dal finestrino i fiocchi di cotone delle nuvole, sentendo gli ultimi brandelli della me adolescente che si staccano e fluttuano, finalmente liberi, in quella massa morbida e accogliente.

Mi sento stanca e felice al contempo, come dopo un'intensa corsa o una lunga nuotata al mare. E forse è stata proprio una nuotata quella serata trascorsa con Marco, la fine di un'ascesa lunga mezza vita che dal fondo del mare mi ha finalmente riportata a galla.

Rientrata a casa, ho trovato mia madre addormentata sul divano davanti alla televisione accesa e vederla così, abbandonata e serena, mi ha fatto talmente tenerezza che mi sono accoccolata accanto a lei. Abbiamo dormito abbracciate finché il caldo non ha costretto entrambe a svegliarsi. Non ci siamo dette nulla, ma la carezza che mi ha lasciato sul viso prima di spostarsi nella sua stanza ha lasciato un'impronta che mi porto appresso anche a due giorni di distanza.

Mi ha fatto bene, questa manciata di giorni in Sardegna, mi ha aiutata a rimettere in ordine la mia vita e a trovare la carica per andare avanti con la mia avventura. Sbarcata a Pisa, trovo Silvia ad aspettarmi all'aeroporto e anche se sono passati appena pochi giorni le corro incontro e la abbraccio forte come se non ci vedessimo da mesi.

«Com'era la nostra Terra? Sempre la stessa?» mi chiede mentre andiamo in cerca di un bar per la mia seconda colazione.

«Era la stessa e non lo era» rispondo. «E pure io mi sento la stessa e diversa al contempo.»

«Oh wow, quanta profondità alle otto del mattino» ride lei e io mi unisco, ed è ancora una volta una risata liberatoria, frammenti di me che si librano nell'aria. Prendiamo posto in un bar vicino all'aeroporto e la tazza di cappuccino che mi mettono davanti al naso è un invito ulteriore alla gioia.

«Pronta per la sessione di stasera?» borbotto mentre addento il mio croissant, e la felicità che vedo comparire sul viso di Silvia è un'altra iniezione di energia.

«Sì, non vedo l'ora!» risponde. «Sono stracuriosa di sapere cosa dirà quell'odioso chierico quando ci vedrà tornare al villaggio sani e salvi.»

In effetti anche io sono curiosa di vedere come affronteranno questa nuova parte della storia. Giochiamo ormai da un mese e le avventure di Anna, Giulia, Enrico e Silvia sono diventate un appuntamento fisso che attendo con gioia, anche nel caos che ha investito la mia vita di recente. Grazie a loro, il mondo di Rüssen ha davvero preso vita e si è manifestato in tutta la sua potenza davanti ai miei occhi. Anche questa mattina, mentre andavo avanti con il romanzo, sentivo l'influsso positivo delle sessioni che abbiamo giocato fin qui, i fili intrecciati dai miei giocatori che sostenevano e arricchivano la narrazione. Non vedo l'ora di sapere cosa ne pensa Diego dei nuovi capitoli.

L'idea di rivederlo domani non mi causa più agitazione, in questi giorni ho avuto modo di rimettere in ordine anche questo aspetto della mia vita e ho deciso di affrontare il rapporto con lui in maniera serena, raccogliendo quello che arriverà, che sia una prolifica e piacevole collaborazione tra colleghi o qualcosa di più. Parlare con Marco mi ha reso ben chiaro che quello che provo per Diego non può essere forzato, ma va coltivato con cura e con cautela, senza saltare subito alle conclusioni, né in un senso né nell'altro, com'è successo con il bacio.

«Tutto bene?» mi chiede Silvia, che ha già finito il suo cappuccino mentre il mio attende nella tazza che io riemerga dai miei pensieri. «Sembri un po' per aria.»

Ridacchio, felice. «Lo sono.» Prendo una lunga sorsata dalla tazza prima di continuare. «Ho rivisto Marco.»

Alla notizia, Silvia si fa attentissima. «Davvero? E com'è andata?»

«Bene. Ci siamo lasciati da amici.»

Lei esita, si capisce che non sa bene come valutare le mie parole. «E tu come ti senti?» chiede infatti poco dopo.

«Sono contenta, Silvi. Ci siamo finalmente chiariti e quella parte di me che si ostinava a provare qualcosa per lui se n'è finalmente andata.»

Posso leggere sul suo volto le emozioni che si alternano: stupore, perplessità e infine contentezza. Silvia si illumina tutta. «Mi sembra una cosa ottima» dice. «Così finalmente puoi pensare ad andare avanti e magari anche a Diego e...»

Il suo entusiasmo è tenerissimo. «Non correre troppo» le dico con dolcezza. «Neanche so bene dove siamo al momento, con Diego.»

«Be', mi sembra il momento giusto per capirlo, no?» ribatte lei, prontissima. «Domani vi vedete per lavorare, vero?»

«Sì. Ma non è detto che sia semplice riaprire l'argomento, e magari lui non ha voglia...»

Silvia tende una mano e stringe la mia con dolcezza. «Se non ha voglia di parlarne lo dirà. Però Ale, la vostra ultima conversazione è stata a dir poco ridicola. Direi che è necessario che vi chiariate.»

Ha ragione, non c'è niente da fare. Anche se sono atterrata a Pisa consapevole che l'unica cosa sensata da fare è riparlare con Diego di quello che è successo alla Festa dell'Unicorno, sento comunque lo stomaco attorcigliarsi all'idea. Per fortuna, stasera c'è la sessione a darmi la giusta carica. E domani, sperabilmente, il mio spirito avventuroso sarà tornato ai giusti livelli.

***

Arrivata davanti al portone di casa di Diego mi blocco, con il cuore che batte alla stessa intensità che aveva nei minuti prima di un esame. Prendo un respiro profondo e suono il campanello, sperando che dall'altra parte venga sentito subito perché il caldo di oggi è davvero soffocante. Passare dal fresco del mare sardo all'afa delle colline toscane è destabilizzante. Ho indossato lo stesso vestito della seconda volta che sono stata qui, ma questa volta è decisamente più adatto alle condizioni meteorologiche, anche se non mi evita comunque di sudare copiosamente.

Per fortuna, Diego apre la porta solo pochi secondi dopo, il suo viso è di nuovo illuminato da un sorriso e i segni del turbamento del nostro ultimo incontro sembrano evaporati al sole. «Bentornata» dice, spostandosi di lato per farmi passare. Aspetta che io entri e chiude la porta, il familiare buio del corridoio ci avvolge. La sensazione di intimità dura poco, perché Diego si muove subito. «Andiamo nel mio studio, qui si muore di caldo.»

In effetti è vero, sembra di essere entrati in un forno e quando passiamo davanti al salottino noto che ha chiuso le veneziane e precipitato l'ambiente in un'oscurità striata di luce. Mi guida verso una zona della casa in cui non sono mai stata, attraversiamo il corridoio e saliamo delle ripide scale a chiocciola fino al secondo piano. Scorgo un altro bagno, due porte socchiuse che probabilmente conducono ad altrettante camere da letto e infine la porta dello studio, tenuta sapientemente chiusa.

Dentro ci accolgono il fresco di un climatizzatore e una piacevole luce naturale che viene dalla grande finestra. Anche qui la stanza è percorsa da librerie strapiene ma stranamente non c'è una scrivania. Al centro, fa però bella mostra di sé un tavolino basso alla coreana con due cuscini.

«Spero non ti dispiaccia scrivere seduta a terra» si scusa subito, indicando con un gesto la stanza. «Io lavoro sempre così e portare su il divano era complicato.»

Ridacchia e sembra terribilmente in imbarazzo. È davvero carino, mi trovo a pensare per la millesima volta, e poi mi imbarazzo anche io per quel pensiero così poco opportuno.

«Adoro sedermi a terra» dico per rompere l'imbarazzo ed è vero, e se Silvia sapesse che questa è un'altra delle cose che accomunano me e Diego urlerebbe tanto che potremmo sentirla da qui.

Ci sediamo l'uno di fronte all'altra e tra noi cala il silenzio. La mia mente corre, cerco di capire come approcciare l'argomento, se è il caso di tirar fuori subito le mie scuse o è meglio cominciare a lavorare e vedere dove ci porta la giornata.

Diego è più rapido di me. «Io...» comincia, e si schiarisce la voce due volte prima di riuscire a continuare. «Volevo chiederti scusa di nuovo, perché l'altro giorno...»

«Sono io che dovrei chiederti scusa» ribatto subito. «Quel bacio è stato così inopportuno e so che ha complicato terribilmente le cose!»

Lui ridacchia. «Sì be', hai messo ben in chiaro che è stata una cavolata, quindi volevo scusarmi di aver frainteso...»

«È colpa mia, ho oltrepassato i confini» lo interrompo nuovamente e sul suo volto passa un'espressione così frustrata che mi mordo la lingua. «Scusami» dico subito, rendendomi conto che di nuovo gli sto impedendo di spiegarsi. «Lo faccio sempre... interrompere la gente dico, non certo dare baci, non sto sempre baciando persone a destra e a manca, non vorrei che ti facessi un'idea sbagliata di me.» Mi blocco di colpo, sto straparlando.

Diego mi guarda con un'espressione al contempo ilare e perplessa. Forse si sta chiedendo in cosa è andato a cacciarsi. Arrossisco, lo capisco chiaramente perché le guance cominciano a tirare. «So che è un'abitudine fastidiosa, ma non posso farci niente. Mia madre dice che è come una malattia, la mia, un bisogno incessante di essere sempre al centro dell'attenzione» aggiungo, sperando di riuscire a chiarire almeno un po' che non lo faccio per male.

Diego sorride. «Mi pare un po' esagerato definirla una malattia, ma capisco cosa intende tua madre.» Anche il suo sguardo è tornato limpido e la frustrazione sembra aver ceduto il posto al divertimento.

«Sono pessima, lo so» ammetto. «Facciamo così, ora taccio e ti lascio parlare, promesso.» Faccio persino il gesto di cucirmi le labbra e questa volta Diego ride proprio, un suono così cristallino da scaldarmi il cuore.

Lo invito a parlare con un cenno della mano, temendo che aprire bocca ridia il via alla mia logorroicità.

«Va bene, provo a spiegarmi» dice, ma poi tace e vedo che fa una fatica immensa a trovare le parole giuste. Il che è buffo, considerato che è uno scrittore, e anche molto capace. «Che c'è, perché ridacchi?» mi chiede, e io gli faccio di nuovo il segno che ho le labbra cucite, ma poi ci aggiungo un occhiolino.

Lui scuote la testa e ride. «Sai che sei proprio strana?»

«Me lo dicono in tanti» rispondo, e subito mi ricucio le labbra e Diego ride ancora. Potremmo andare avanti così tutta la mattina e a me non dispiacerebbe affatto. Meglio questo, che sentirlo dire chiaramente che dobbiamo lasciarci alle spalle la giornata in Fiera e il bacio.

«Dunque, intanto ripeto le mie scuse» dice Diego, riuscendo finalmente ad acchiappare i fili che sembravano sfuggirgli. «Non so bene cosa mi sia successo venerdì scorso, sarà stata l'atmosfera della Fiera, così bizzarra e sorprendente al contempo. Sai che erano anni che non partecipavo a una cosa del genere? A Elena piacevano molto le fiere, anche se di un tipo diverso, e...»

«Chi è Elena?» mi sfugge e mi mordo subito la lingua. «Scusami, scusami! Non lo faccio più, prometto!»

Diego sospira, sposta lo sguardo fuori dalla finestra, sembra non essere del tutto qui, forse i fili che stava inseguendo l'hanno trasportato altrove. «La mia ex moglie» dice infine e la mia bocca cucita si spalanca di botto. Per fortuna ho promesso di non parlare, perché questa non me l'aspettavo proprio e non saprei cosa rispondere. Torna a guardarmi e sul suo volto sono evidenti i segni di una profonda tristezza. «Ci siamo lasciati sei anni fa, è più o meno da allora che evito con forza tutte le occasioni sociali come le fiere. Forse perché mi ricordano troppo la persona che sono stato allora.»

Fa un'altra pausa e io mi impongo con estrema fatica di non dire niente. Ho paura che, se parlo, Diego tornerà a chiudersi in sé stesso e io perderò l'occasione di conoscerlo meglio grazie a questa confidenza inaspettata.

«Come avrai intuito...» riprende lui, senza però guardarmi. «Non sono particolarmente bravo con le persone, almeno non con quelle reali, che non sono fatte di carta e inchiostro.»

«Non mi sei sembrato tanto male...» azzardo e lui torna a guardarmi con un piccolo sorriso, che però non raggiunge gli occhi. «Hai perfino giocato a D&D con me, mangiato noodles e ciambelle...»

Mi mordo la lingua, perché le ciambelle sono un argomento fin troppo vicino al bacio e non so quanto siamo pronti ad affrontare quel discorso.

Lui non sembra turbarsi particolarmente, e scrollando le spalle dice solo: «Sì be', non so perché ma con te è facile rilassarsi.»

Pronuncia quella manciata di parole come fosse la cosa più banale del mondo, e lo fa guardandomi negli occhi, cosa che mi provoca una sensazione di calore all'altezza dello stomaco che potrebbe quasi essere preoccupante, visto che siamo chiusi in una stanza con il condizionatore a manetta.

Poi torna a guardare fuori dalla finestra, forse di nuovo in cerca delle parole, dandomi il tempo di chiedermi che peso dare alle sue frasi, perché abbia tirato fuori la sua ex moglie e dove voglia andare a parare con questo discorso. Forse vuole dirmi che si è scottato troppo con l'amore in passato e che non ha intenzione di ricaderci?

«Anche con te è facile rilassarsi» dico, ripensando alla giornata in Fiera e alla semplicità con cui ci siamo trovati a ridere e giocare insieme. «Mi sono divertita molto venerdì scorso.»

«Anche io» dice Diego, tornando a posare il suo sguardo su di me. Oggi i suoi occhi sono di un azzurro diverso dal solito, ricordano il colore del cielo sopra Vinci mentre arrivavo fin qui, la stessa tonalità priva di imperfezioni, e finisco per perdermici dentro, sovrappensiero, finché è lui a riportarmi alla realtà.

«Per questo sono ancora più spiacente di aver rovinato tutto con quel bacio» riprende. «Non so cosa mi sia preso, forse era l'atmosfera così diversa dal solito, forse il fatto che eri davvero carina in quel vestito arancione e viola, e ti ho baciata senza pensare che avrei potuto turbarti.»

Pronuncia quel discorso guardandomi dritta negli occhi e di nuovo sento lo stomaco contrarsi e le guance pizzicare per l'imbarazzo.

«Ti prego di scusarmi» continua, trovando spazio nel mutismo che per la sorpresa si è impossessato di me, «come dicevo sono anni che non esco e non mi comporto come una persona normale, ed è dai tempi di Elena che non... che non...» Di nuovo si blocca e torna a fissare la finestra e io lo guardo talmente stupita da non sapere bene cosa dire.

Sono sei anni che non esce con qualcuna? E soprattutto, ha considerato la nostra uscita di venerdì un appuntamento?

«Diego...» inizio, e poi mi blocco anche io perché non so bene cosa dire, e i pensieri mi si affollano nella mente talmente veloci che mi è impossibile fermarne uno per analizzarlo come si deve.

Lui si gira ancora una volta verso di me e sorride. «Sei carina quando arrossisci, lo sai?» dice, e io per la sorpresa sgrano gli occhi. «Scusami di nuovo, so che non era proprio la cosa più opportuna da dire in questa situazione, ma mi stava venendo difficile pensare ad altro.»

«Ma quindi...» soffio fuori, riuscendo non so bene come a riacchiappare uno dei tanti pensieri che vorticano nella mia mente anche in mezzo al turbamento che quelle parole mi provocano. «Quindi non sei arrabbiato con me perché ti ho baciato?»

Diego ride. «Certo che no! Anzi, pensavo fossi tu quella arrabbiata. E poi, credo di averti baciato io per primo, sai?»

«Non ne sarei così sicura...» dico, mentre un sorriso di gioia comincia ad apparire anche sulle mie labbra. «E no, non sono affatto arrabbiata. Quindi martedì scorso, quando hai aperto la porta con quello sguardo lugubre...»

«Ero davvero così terribile?»

«Parecchio» ammetto.

Lui scrolla la testa. «Ho passato il fine settimana a tormentarmi e a rimproverarmi perché temevo di aver corso troppo. Non sapevo cosa ne pensassi del bacio, e avevo paura di... di...» Sospira, abbassa il volto e sorride appena. «È sciocco, lo so, soprattutto per uno che ha fatto successo scrivendo romanzi d'amore. Ma in realtà sono davvero negato per queste cose.»

«Pure io» dico con un sorriso. «E comunque, giusto per la cronaca, il bacio mi è piaciuto parecchio.»

A queste parole lo sguardo di Diego saetta nuovamente su di me, si sofferma un attimo sulle mie labbra e poi risale per fermarsi ai miei occhi. «Dici sul serio?»

«Sì.»

Una pausa, e poi Diego sussurra. «Be', è piaciuto molto anche a me.»

Anche da seduta, mi sembra di essermi sollevata di qualche metro da terra.

«E ora?» chiedo.

«Non lo so» risponde lui. «Non mi aspettavo questo risvolto.»

«Sì, be'...» comincio, ripercorrendo quello che è successo tra noi l'ultima volta e sentendomi una sciocca per non avergli permesso di parlare. «Ti chiedo scusa, tra l'altro, temo sia colpa mia tutta questa confusione. Ero davvero convinta che ti fossi pentito di quel bacio e per il terrore non ti ho lasciato parlare.»

«Figurati, comincio ad abituarmici» ridacchia Diego. «E l'importante è che ci siamo chiariti.»

«Ok, bene... quindi ora che facciamo?»

Mentre pronuncio quella domanda, mi rendo conto di essere terrorizzata dalle possibili risposte. Non sono sicura di essere pronta a lanciarmi subito in una relazione con Diego, non dopo che fino a qualche giorno fa ero ancora convinta di dover soffrire a vita per Marco. Allo stesso tempo, però, mi dispiacerebbe molto perdere quello che si sta creando tra noi.

«Mmmm, io suggerirei un approccio rilassato» dice Diego, irrompendo tra i miei pensieri in conflitto e mettendoli a tacere come solo l'eroe di una buona storia potrebbe fare. «Abbiamo un romanzo da terminare, quindi intanto possiamo continuare a vederci per lavorare insieme, cosa che mi sembra ci riesca molto bene.»

«Sì, giusto. Così abbiamo l'occasione di chiacchierare nelle pause, e di conoscerci meglio.»

«Esatto. E, se te la senti, potremmo fare qualcosa insieme nei prossimi giorni, incontrarci fuori dal lavoro. Cosa ne dici?»

«L'idea mi piace molto» rispondo, sentendo un altro sorriso fiorire sulle mie labbra.

«Bene, direi che è l'occasione giusta per farti provare la cucina toscana, donna dei terribili noodles» dice ridendo.

Io mi sento invadere da un calore nuovo, timido e avvolgente, e me lo tengo stretto. «Non vedo l'ora.»

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