Capitolo 18

Sotto la doccia continuo ad analizzare le parole di Marco e a chiedermi di cosa mi voglia parlare, ma quando finisco sono costretta ad accantonare i miei crucci per sedermi a tavola con i miei, e mi impegno a mostrarmi allegra. Perfino mia madre, però, si rende conto che qualcosa deve turbarmi, perché prima di uscire per tornare a lavoro entra in camera in punta di piedi e mi schiocca un bacio al volo sulla testa, dicendo soltanto: «Riposa un po', ti vedo stanca.»

E in effetti mi sento stanca, vuoi per il mare, vuoi per le mille domande suscitate dal messaggio, e crollo addormentata per due ore di fila, per poi svegliarmi con quella leggera sensazione di nausea e spaesamento tipica dei pisolini estivi.

Dormire però mi fa bene, mi aiuta a rimettere le cose in prospettiva: di qualunque cosa voglia parlare Marco, è giunto il momento di smettere di scappare e affrontarlo come una persona adulta. Per cavalcare questa sensazione autoindotta di avere controllo sulla mia vita e sulla mia ansia mi siedo direttamente al pc per dedicarmi al romanzo.

Diego è andato avanti, si è agganciato alle poche frasi che ho buttato giù stamattina per il terzo capitolo e l'ha concluso, lasciandomi qualche riga come stimolo per scrivere il quarto. Leggo quello che ha scritto e di nuovo non posso che riconoscere che ha talento, perché è riuscito a rendere vivo quello che avevamo immaginato insieme nel nostro brainstorming e a trovare al contempo una sua voce anche in un genere che, immagino, non aveva mai sperimentato prima. O per essere precisi, una nostra voce, perché è nato tutto dall'incipit che abbiamo scritto insieme, che lui ha arricchito e reso vivo.

Riprendo da dove lui si è interrotto e la storia sembra dispiegarsi naturalmente tra le mie dita, i tasselli concordati insieme vanno ognuno al proprio posto con una semplicità che raramente mi è capitata nella scrittura della mia trilogia.

Riprendere in mano un capitolo già cominciato è sempre più facile, l'ho scoperto arrivata al mio secondo romanzo: aiuta a vincere il panico della pagina bianca, l'incertezza di non riuscire a ritrovare la voce lasciata al punto fermo precedente. Ma in questo caso c'è qualcosa in più, qualcosa legata al fatto di scrivere in due e non in solitaria. È come se ci fosse dall'altra parte qualcuno che, silenziosamente ma con costanza, conferma il valore di quello che stai facendo, rassicurandoti che sei sulla buona strada, che non stai perdendo tempo della tua vita a fare qualcosa che solo tu apprezzerai. Scrivere è un mestiere terribilmente solitario e farlo in due allevia molte delle ansie e dei timori che si porta normalmente dietro.

Sorrido all'idea di quanto fossi restia a imbarcarmi in questa scrittura condivisa a metà tra fantasy e romance, e al pensiero di quanto si stia invece rivelando piacevole. Baci a parte, s'intende. Che poi non era per nulla male, quel bacio, anzi. Probabilmente uno dei migliori che mi siano capitati, complice anche l'atmosfera della serata. Non posso certo incolparmi troppo se poi dopo mi sono fatta più viaggi di quanto sarebbe stato opportuno.

A questo pensiero mi sento più leggera e pronta ad affrontare la cena con Marco: come una brava eroina dei romanzi di Diane Vane, mi preparo ad accogliere quello che il destino ha in serbo per me, qualunque cosa esso sia. Prima di staccare scrivo due frasi del nuovo capitolo, sperando di lasciare a Diego la stessa piacevole sensazione di complicità che lui ha lasciato a me.

Poi torno in cucina e mi dedico al nonno, che guarda pigramente la televisione ed è in vena di chiacchierare. Gli racconto qualcosa del processo di scrittura con Diego, ma mi soffermo soprattutto sulla nostra storia, su quel mondo nuovo che sta prendendo vita tra le nostre dita, animato dai personaggi che stiamo intessendo insieme.

«Brava la mia avventuriera, ti vedo contenta» dice il nonno, e in effetti sì, mi sento contenta, la tristezza che mi ha spinta a rifugiarmi in Sardegna sembra essere sfumata, almeno per ora.

«Lo sono» gli confermo, e lui mi stringe forte la mano e non dice altro, perché sa bene che quel gesto è abbastanza. Guardiamo insieme una puntata di una serie tv gialla, un genere che lo ha sempre appassionato, e quando si avvicina l'ora dell'appuntamento con Marco sento di nuovo una piccola fitta di paura che mi attanaglia lo stomaco.

«Nonno, sai che stasera esco con Marco?» dico, sperando che dirlo a voce alta mi aiuti ad attenuare l'ansia. Funziona poco, purtroppo.

Il nonno si gira verso di me e sorride. «Bene, mi è sempre piaciuto.»

Torna subito a guardare la serie tv, sullo schermo il detective sta per rivelare chi è l'assassino e lui non si perderebbe questa parte per nulla al mondo. Però, poco dopo mi lancia un'altra occhiata rapida e complice, indica la cesta di fichi posata al centro del tavolo. «Portagli un po' di frutta del giardino, insieme ai miei saluti.»

«Va bene, nonno» rispondo, e mi trovo a sorridere guardando il suo volto di profilo, solcato da un reticolo di rughe che conosco quasi come fossero le mie. Gli stringo la mano e mi alzo, lo lascio alla sua rivelazione e vado a cambiarmi, anche se manca ancora un po' all'ora dell'appuntamento. Scegliere un vestito è difficile, tutto mi sembra o troppo elegante e troppo casual, non c'è nulla di adatto alla serata in cui il ragazzo del quale sei innamorata da oltre un decennio ti dice che per voi non esiste un lieto fine, ma che potete sempre rimanere amici, d'altronde è quello che siete sempre stati.

Sospiro e mi accascio sul letto, guardo il soffitto e mi chiedo se forse non sia davvero meglio scappare, annullare tutto all'ultimo con una scusa qualunque, un colpo di sole in spiaggia, un mal di pancia improvviso dovuto a un'incauta indigestione di fichi.

"Stupida, stupida Alessandra" mi rimprovero, consapevole di essere nel pieno di una montagna russa di emozioni, salite e discese d'umore continue che mi lasciano senza fiato e senza energie.

Istintivamente riapro il file del libro dal cellulare, spero che Diego abbia aggiunto un altro capitolo con il quale distrarmi ma non c'è segno del suo passaggio e spengo lo schermo del cellulare con stizza.

"Basta comportarsi da pazza" sentenzio, scatto in piedi e torno all'armadio, decisa a mettere la prima cosa che mi capita tra le mani: pesco un crop-top rosso e una gonna a balze nera, semplice ed elegante. Pettino i capelli guardandomi distrattamente allo specchio, poi afferro una borsa a caso e ci butto dentro portafoglio e chiavi, lo stretto indispensabile.

Marco suona alla porta proprio in quel momento, riconosco lo scampanellio doppio che è il suo segno distintivo dai tempi delle superiori, quando passava a prendermi per fare la strada insieme in bicicletta. Rimpiango quei tempi così semplici e delicati, in cui ci vedevamo tutti i giorni, ridevamo e giocavamo insieme, ed eravamo felici anche se non stavamo insieme.

Un respiro profondo ed esco dalla mia stanza: il passato non può tornare, ma è il momento di scoprire dove mi porterà questo futuro.

***

«Wow, non ricordavo che la mia migliore amica fosse così bella.»

Marco mi abbraccia forte appena metto piede fuori dalla porta e spero non senta che quelle parole hanno provocato un altro balzerello allo stomaco, più piccolo però di quanto mi sarei aspettata e di quanto - mi trovo inaspettatamente a pensare - avrebbe scatenato Diego con molto meno.

«Grazie, anche tu non sei male» dico sopra la sua spalla, e ridacchio cercando di alleggerire un'atmosfera che temo diventerà presto imbarazzante.

Lui scioglie l'abbraccio e mi guarda negli occhi, facendomi sentire terribilmente a disagio. Ha scelto una camicia rosa e un paio di pantaloni scuri, i capelli corti pettinati all'indietro gli danno un'aria adulta, da uomo realizzato.

«Be', dove andiamo a mangiare?» chiedo per smorzare la tensione, e lui si illumina tutto. «Ho prenotato nella tua pizzeria preferita.»

Esito qualche istante, cercando di mettere a fuoco quale possa essere la mia pizzeria preferita. Adoro la pizza, soprattutto quella sarda, ma non ricordo di aver mai detto di preferire un posto in particolare, almeno non negli ultimi anni. Annuisco comunque e mi lascio condurre, mormorando un timido: «Grazie.» D'altronde, quando mi ricapiterà di andare a cena da sola con lui? Dopo che avremo chiarito le cose, probabilmente mai più.

Camminiamo affiancati e per qualche secondo tra noi si estende un silenzio teso che fatico a sopportare, e che mi trovo costretta a rompere per prima. «Come va la vita?» chiedo, concedendogli un'occhiata rapida mentre faccio attenzione a non inciampare sul marciapiede dissestato. «Il lavoro, tutto bene? E Sara?»

Il nome della sua ultima ragazza scappa fuori prima che possa fermarlo, e l'espressione di Marco cambia per un attimo, in un guizzo di quello che potrei tranquillamente interpretare come dispiacere. È rapido però a mascherarlo e torna a sorridermi con entusiasmo. «Il lavoro va alla grande, continuo a guadagnare clienti! Quando sono arrivato in azienda pensavano tutti che fossi uno dei tanti novellini neo-laureati, ma ora si stanno ricredendo. Tu lo avresti mai detto che potevo essere un buon venditore?»

Lo guardo e penso che sì, l'avrei detto eccome, è sempre stato bravo a convincere le persone a fidarsi di lui. Anche adesso, sento che mentre parla la tensione tra noi si scioglie a poco a poco e i miei pensieri riprendono a vagare, liberi dall'ansia che li attanagliava.

«E la città com'è?» chiedo, mentre svoltiamo in Piazza Manno e ci immergiamo nella movida cagliaritana. Intorno a noi, la città pullula di persone uscite in cerca di fresco e di un po' di svago estivo: i bar sono pieni e le chiacchiere arrivano fino a noi, dando una tonalità familiare alla nostra passeggiata.

«Milano non è male, caotica ma piena di vita» dice Marco con il suo tono entusiasta. «Ho un appartamentino in periferia, l'ufficio è proprio in centro e ci pagano i pranzi nei locali migliori, una pacchia proprio.»

Non ha perso l'accento sardo, né l'abitudine di chiudere le frasi con un avverbio così tipica della nostra città. Chissà se il mio modo di parlare è cambiato, o se è rimasto lo stesso di quando andavamo entrambi alle superiori. Io mi sento diversa, ben lontana dalla ragazzina piena di sogni irrealizzati che si stava per iscrivere all'università.

«Ti vedo distratta, tutto bene?» mi chiede e io mi costringo a riportare i miei pensieri su di lui.

«Sì sì, tutto bene» rispondo svelta, domandandomi come mai starlo a sentire sia più difficile di quanto fosse un tempo.

Marco sorride, sembra soddisfatto della mia risposta e per fortuna inconsapevole dei pensieri che mi rimbalzano nella mente. «E tu cosa mi racconti? Come sta andando il tuo nuovo libro?» chiede, dandomi la possibilità di ridirigere la mente insubordinata verso la nostra conversazione.

«Sta andando bene, io e Diego abbiamo trovato una buona alchimia e...»

«Diego?» mi interrompe Marco e io mi mordo la lingua. Un conto è raccontare il segreto di Diane Vane a Silvia, con la quale sto vivendo e condividendo questa parte di vita, ma non è proprio il caso di raccontarlo a Marco.

«Chi è Diego?» continua lui, e noto che il suo tono si è fatto tagliante. Si è persino fermato al centro della piazza e ora mi guarda negli occhi con intensità, come se scavasse in cerca di qualcosa.

«Il mio... editor» abbozzo, e l'idea mi sembra abbastanza buona da poterci ricamare sopra una storia plausibile. «Io e lui stiamo facendo un lavoro di raffinamento prima della scrittura vera e propria. Sai, avendo a che fare con un'autrice del calibro di Diane Vane...»

Il volto di Marco non si distende e ho paura che non mi abbia creduta. Lui infatti continua, con lo stesso tono. «E lavorate insieme a Pisa? Vi vedete tutti i giorni?»

Un'intuizione mi raggiunge all'improvviso: ma per caso è geloso?

L'idea mi sembra talmente assurda che mi viene da ridere.

«Cosa c'è di tanto buffo?» chiede Marco e la sua espressione è talmente ridicola, a metà tra l'offeso e il geloso, che mi viene da ridere ancora di più.

«Niente, niente...» provo a dire tra uno sghignazzo e l'altro. «Per un momento ho pensato che potessi essere geloso di Diego, ci credi?»

Invece che unirsi alle risate, Marco mi guarda con espressione ferita. «Cosa ci sarebbe di male?» dice, talmente piano che le parole quasi svaniscono in mezzo al caos della piazza.

«Be', sarebbe abbastanza assurdo» dico, ancora preda della ridarella. «Passo mezza vita a morirti dietro e ora che non provo più...»

«Che non provi più?» Ora l'espressione di Marco è quasi dolorosa, sembra che abbia appena ricevuto uno schiaffo.

Mi blocco e non so più cosa dire, i pensieri si affollano disordinati e capirci qualcosa diventa estremamente difficile. Marco ha una cotta per me? E da quando? E soprattutto, da dove mi è uscito fuori quel "ora che non provo più?" Non lo so nemmeno io, quel che è certo è che il modo in cui ora Marco mi guarda non è affatto quello solito del mio miglior amico.

«Cos'è successo con Sara?» chiedo, e so che potrebbe sembrare una domanda indelicata, ma ho bisogno di ripartire dal principio e mettere le cose in chiaro una alla volta.

Riappare la scintilla di dispiacere di poco fa, ma questa volta Marco non la soffoca, la lascia baluginare sul viso, prendere il controllo della sua voce. «È finita...» mormora, abbassando il capo. «Si è accorta che il mio cuore andava da un'altra parte.» Poi sospira, scuote la testa e torna a guardarmi. «Possiamo parlarne in un posto più comodo? Magari direttamente in pizzeria?»

«Sì, certo...» dico, e lo affianco per riprendere a camminare. Ci muoviamo in silenzio, ognuno immerso nei suoi pensieri. I miei corrono veloci, ripercorrendo tutta la nostra conversazione. Per quanto io sia una campionessa nel fraintendere le persone - e il bacio con Diego ne è la prova lampante - sono abbastanza sicura che le parole di Marco rivelino un interesse nei miei confronti, un'apertura che anni fa avrebbe comportato notti insonni a rigirarmi nel letto immaginando il nostro futuro insieme.

Eppure, ora che questa cena sta prendendo sempre più l'aspetto di un appuntamento, mi rendo conto di essere molto meno eccitata di quanto dovrei. Persino la rivelazione che Sara non è più un ostacolo porta poca gioia e molto dispiacere: è chiaro che Marco ancora soffre per la rottura.

L'aver realizzato il sogno della me adolescente ha un sapore strano, meno dolce del previsto. Guardo Marco di sottecchi senza che lui se ne accorga, ripercorro il profilo di quel viso tanto familiare e tanto amato e mi rendo conto che quel groviglio di desiderio e amore non corrisposto a un certo punto deve essersi sciolto, senza che me ne rendessi conto. Per lui provo ancora un grande affetto, ma le parole che prima mi sono venute fuori così istintivamente celano tutta la verità: non provo più per lui quello che provavo prima, e la rivelazione è così liberatoria da scatenarmi un'altra risata, che però trattengo per paura di offenderlo.

Mi sento leggera, finalmente ho smesso di tormentarmi giorno e notte per un ragazzo, di sminuirmi e svalutarmi solo perché lui non mi ricambia come vorrei. Anche l'imbarazzo per la scena di Capodanno si è ridimensionato, se ci ripenso provo solo vergogna per essermi ubriacata tanto da non riuscire a mettere un freno alle mie azioni.

Quando arriviamo alla pizzeria, riconosco l'insegna di uno dei posti in cui io e Marco eravamo soliti andare in terza superiore. Quell'anno ci eravamo fissati con la pizza e avevamo girato tutta Cagliari in cerca del posto migliore, e questo aveva vinto il titolo anche perché era l'unico a fare la pizza a forma di cuore. Sono passati tredici anni da allora, eppure Marco è ancora convinto che questa sia la mia pizzeria preferita. Il pensiero mi fa al contempo tenerezza e tristezza: è questo che siamo sempre stati, un ricordo di tempi migliori, in cui eravamo più giovani e ancora pieni di sogni e di speranze.

Evito di fargli notare che sono cresciuta, che entrambi lo siamo e dovremmo imparare ad andare avanti. Invece, lo ringrazio con un sorriso per essersene ricordato ed entro al suo fianco per prendere posto.

Una volta che è arrivata la pizza e che l'atmosfera tra noi è tornata quella di sempre, ho intenzione di dirgli che non sono più la ragazzina che lo aspettava con ansia alla finestra la mattina, e lo vedeva rientrare a casa la sera sospirando per non essere riuscita a rivelargli i propri sentimenti. Ho intenzione di dirgli anche che forse anche quello che lui prova per me è un'eco, il bagliore di un ricordo che entrambi fatichiamo a lasciar andare.

Ne ho intenzione, ma non faccio nulla di tutto questo. Invece lo ascolto mentre mi racconta della rottura con Sara, provocata sì dal mio bacio, ma soprattutto dai suoi sentimenti per me ignorati per anni, e percepisco tutta la sofferenza che traspare dal suo viso e dalle sue parole. Scelgo la via più facile e gli dico che sto con un altro e sono felice, e che anche lui dovrebbe provare ad andare avanti, risistemare le cose con Sara come chiaramente desidera.

All'inizio si mostra ferito dalle mie parole, ma poi pian piano sembra riconoscerne la verità.

Alla fine della serata, mi riaccompagna a casa e mi stringe forte con la promessa di rivederci presto, e poi mi lascia rientrare. Salgo in camera e lo guardo dalla finestra come ero solita fare da adolescente, lo osservo finché non sparisce dietro l'angolo, stringo forte quella parte di me che è rimasta in attesa per tutto questo tempo e poi, finalmente, la lascio andare.

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top