Capitolo 15

«Voi cosa?!» esclama Silvia il mattino dopo, a un volume troppo forte per le dieci del mattino.

«Ci siamo baciati» ripeto, con voce ancora assonnata. Ieri sono rientrata a casa parecchio tardi e Silvia già dormiva, quindi mi sono dovuta tenere questa grossa bomba tutta per me per quasi dieci ore di fila. Per fortuna sono crollata dal sonno praticamente subito, altrimenti sarebbe stata una tortura bella e buona.

«Ma non era uno stronzo arrogante?» chiede la mia coinquilina dalla memoria di ferro. Si è bloccata a metà della preparazione della Moka, che ora giace sventrata sul banco, piena solo per metà di benefico caffè.

«Appunto, era. L'uso dell'imperfetto ora mi sembra molto adeguato» preciso.

«Non fare la scrittrice con me» mi rimbrotta Silvia, minacciandomi con il cucchiaino e spargendo polvere sacra e costosa per la cucina.

A quella vista, la mia sonnolenza si ribella. «Puoi riprendere a fare il caffè, per favore? Oppure ci penso io, ho bisogno di caffeina!»

«Non avrai il tuo caffè finché non mi spieghi, per filo e per segno, com'è successo che hai baciato Diane Vane.»

«Ho baciato Diego Vanni» dico per amor di precisione, e poi mi stufo di aspettare che prepari lei la bevanda degli dei e mi alzo con l'intenzione di sottrarle il cucchiaino. Silvia però è più svelta - e più alta di me, mannaggia a lei - e sposta il cucchiaino sopra le nostre teste, fuori dalla mia portata.

«Prima parli, poi bevi» sentenzia.

«Quello non è mica l'unico cucchiaino che c'è in casa, sai?» le faccio notare. Ci guardiamo negli occhi per un istante e poi scattiamo all'unisono verso il cassetto.

Arrivo per prima, lo spalanco ed estraendo la posata urlo: «Ah, vittoria!»

Silvia mi piomba addosso un secondo dopo e finiamo ad attorcigliarci in un viluppo urlante di: «Ahi!» e «Sputa il rospo» e «Smettila, mi fai il solletico!» che dissolve tutta la sonnolenza rimasta.

«Va bene, va bene» cede alla fine Silvia, allontanandosi di un passo e riacquistando qualche briciola di dignità, che però dura poco. «Tanto ho vinto io» sghignazza, mostrandomi con una smorfia giocosa che ora, anche se non si sa bene come, entrambi i cucchiaini sono in suo possesso.

«Il cassetto è pieno di cucchiai» le faccio notare, ma lei scuote la testa con decisione e mi punta le sue armi arrotondate addosso.

«Smetti di tergiversare e parla. Come è possibile che hai baciato Diego?»

«Boh? È successo» dico con sincerità. In effetti, neanche io sono ben sicura di come sia potuto accadere, ed è tutta la notte che me lo chiedo. Almeno, la piccola parte che ho passato sveglia. E forse anche qualche sogno dopo.

«I baci non succedono e basta!» protesta Silvia. «Una se li va a cercare.»

«Non è detto» rispondo, ma a ben pensarci forse me lo sono davvero andata a cercare. Gli ho perfino tolto quella briciola di zucchero...

«Che c'è, ora? Perché arrossisci?» chiede Silvia, e poi si risponde da sola e lancia un urletto. «Stai ripensando al bacio, vero? Ѐ stato bello? Deve essere stato bello, altrimenti non faresti quella faccia!»

«Sì...» ammetto, perché tanto negarlo a lei o a me stessa sarebbe inutile. «Ѐ stato davvero bello.»

«Aaaah!» Silvia si catapulta di nuovo su di me e mi stringe forte, saltella e i cucchiaini mi sbatacchiano sui fianchi.

«Ahi, occhio!» protesto, ma lei è troppo presa per farci caso.

«Raccontami tutto!» urla, e finisce che le racconto per filo e per sogno tutto quello che è successo ieri mentre finalmente riempio la Moka e la metto sul fuoco. Alla fine, Silvia fa uno di quei sospiri da commedia romantica, e le mancano solo gli occhi a cuoricino per completare il quadro.

«La smetti di guardarmi così? Non significa niente.»

«Lo dici tu» mormora lei in tono sognante. «Secondo me significa tutto.»

«Tutto cosa?» chiedo, guardinga. Non sono decisamente pronta a quel tutto, non ho nemmeno idea di come debba funzionare quel tutto. Come ho già detto, non sono brava a scrivere storie d'amore, e soprattutto non sono brava a viverle.

«Tutto quello che serve a una storia d'amore stupenda. Ci pensi? Due scrittori che si amano e scrivono anche insieme. Praticamente un sogno rosa...»

Silvia sta davvero sognando, un altro po' e si solleva in volo con tanto di musichetta angelica in sottofondo. Ha davvero letto troppi romanzi rosa, questa ragazza.

«La finisci? Può non voler dire nulla» dico, ma sotto sotto è perché ho il terrore folle che possa davvero non significare nulla. Almeno per Diego, perché per me significa eccome, anche se non mi è ancora ben chiaro cosa.

Silvia mi guarda e scuote la testa. «No, non è proprio possibile» dice con sicurezza. «Con un inizio così, nessuna storia può andare male. Fidati.»

«Mah...» tento, ma Silvia mi interrompe subito. «Quando vi rivedete? Dovete parlare di questo bacio, sai? Non tirarti indietro come il tuo solito, è il momento di essere coraggiose.»

«Ma se nemmeno so cosa provo davvero!» mi lamento. «E comunque fino a martedì non ci rivediamo, c'è troppo casino a Vinci per lavorare.»

«Bene, hai tempo per riflettere e per prepararti al momento fatidico.»

Sembra facile, detta così, ma l'idea di rivedere Diego in questo momento mi causa solo un forte scossone allo stomaco. Se continuo così, avrò presto bisogno di uno stomaco nuovo. «Non sono così sicura di volerlo rivedere...» miagolo, anche se sono perfettamente consapevole che è la mia paura a parlare. E se ho frainteso tutto? Se per lui non è stato altro che un gioco, un incontro fortuito di labbra senza nessun significato dietro?

Dopo quel bacio, Diego mi ha riaccompagnata a prendere il pullman praticamente senza fiatare. Anche io facevo fatica a dire alcunché e ci siamo salutati cercando entrambi di sembrare normali, anche se di normale non c'era proprio niente. O forse solo io ho avvertito quella stranezza e lui era semplicemente stanco e non vedeva l'ora di andare a dormire?

Mi accartoccio sul tavolo e faccio sparire la testa tra le braccia, lamentandomi: «E se lui non prova nulla?»

Silvia è prontissima e preparatissima per il suo ruolo di consolatrice. Mi abbraccia forte e mi accarezza i capelli, mormorando: «Vedrai, non potrà che ricambiarti. Siete praticamente fatti per stare insieme.»

«Ah sì? E su che base lo dici?» borbotto dal mio rifugio.

Silvia ammutolisce per qualche secondo, ma poi l'appassionata di romance che è in lei riprende subito il controllo. «Be', siete entrambi scrittori, tanto per cominciare...»

«Sì, io però scrivo fantasy e lui romance» le faccio notare.

«Che c'entra? Sempre scrittura è» ribatte Silvia, spiccia. «Poooi, vediamo. Ad entrambi piacciono i gatti, no?»

Come faccia a ricordarsi così bene quello che le racconto è un mistero. Dalla mia tana annuisco, un pochino ammirata.

«Bene, ottimo, sono già due cose, gatti e scrittura. Gli piace mangiare?»

«Penso di sì» dico, ripensando al suo sguardo soddisfatto davanti alla ciambella. Pensarci fa venire a galla anche il bacio, ma lo ributto subito indietro, perché adesso non è proprio il momento di pensarci.

«Grandioso, tre cose!» esulta Silvia. Credo non si renda conto di quanto vaghe e comuni siano queste cose, ma non ho le energie per farglielo notare. E poi, ad essere sincera non mi dispiace che vagheggi di una possibile relazione tra me e Diego. Forse pure io sto iniziando a vagheggiare, e non so se essere esaltata o terrorizzata all'idea.

«Peccato solo che non gli piaccia D&D...» sta dicendo ora Silvia, e io tiro fuori la testa dalla tana: «In realtà credo gli piaccia, ieri ci ha giocato e si è divertito» dico, e poi la rinfilo tra le braccia perché non sono sicura di come vada considerata questa cosa.

Silvia, invece, lo sa benissimo e lancia un urletto. «Aaah, fantastico! È fatta! Quando gli confessi i tuoi sentimenti?!»

Eh, questa è davvero un'ottima domanda. Con tutta probabilità, prima di farlo dovrei riuscire a capire quali sono, i miei sentimenti. E al momento, mi sembra la cosa più difficile del mondo.

***

Martedì arriva presto, troppo presto, e io ancora non ho idea di cosa provo esattamente per Diego. Silvia ha passato il fine settimana riempiendomi alternativamente di attenzioni e di minacce, di incoraggiamenti e di promesse di vendetta in caso mi mancasse il coraggio di fare la mia confessione. Che poi, perché mai si chiama confessione? Io non penso di avere nulla da confessare, anche perché non credo di aver fatto qualcosa di male. Al più, mi sono presa una cotta spaventosa per il mio collega di scrittura. Questo, almeno, è difficile da negare, farfalle allo stomaco e vagheggiamenti di occhi azzurri ne sono abbastanza una prova.

Guardo il campanello sentendo il terrore che sale. E se lui non ricambia? Parte della tattica incoraggiante di Silvia è stata riempire il mio fine settimana di film sdolcinati, per mostrarmi che queste storie hanno sempre un lieto fine. Molti li ho trovati detestabili, ma poi mi ha fatto vedere C'è posta per te e lì qualcosa ha risuonato. Non che io somigli particolarmente a Meg Ryan, purtroppo, però le dinamiche tra lei e Tom Hanks sono abbastanza simili a quelle tra me e Diego, altalenanti e incomprensibili al punto giusto.

Faccio un bel respiro, conto fino a dieci e poi mi decido a suonare. Coraggio, Alessandra, mi dico, sentendo il cuore che martella nel petto a una velocità spaventosa. Se è andata bene per Jo e Kathleen, perché non può andare bene anche per me e Diego? E poi, mal che vada, torniamo ad essere semplici compagni di scrittura, che problema c'è?

Quando Diego apre la porta, tutta la carica di ottimismo accumulata fino a qui va in mille pezzi. Niente sorriso per me, Diego ha un'espressione che sa di funerale a un miglio di distanza. Ha gli occhi cerchiati da pesanti occhiaie, come se non dormisse da giorni, e le labbra tirate ed esangui.

«Stai bene?» chiedo con stupore.

Lui scrolla le spalle. «Insomma. Accomodati.»

Sparisce nel corridoio e io resto impalata davanti alla porta aperta, sentendo il battito del cuore che rimbomba nello stomaco e nelle orecchie. Uno dovrebbe essere felice quando è innamorato, no? E se non lo è... be', perfino io ne capisco abbastanza da sapere cosa significa.

Avanzo per il corridoio sentendomi una carcerata che avanza verso il patibolo.

Niente tavolino in giardino per noi, oggi, Diego ha riportato tutte le cose in salotto. Non si è seduto, ma è in piedi davanti alla porta finestra come la prima volta che l'ho conosciuto, e di nuovo fatico a distinguere i contorni del suo viso.

«Accomodati» dice, con una voce così sofferta che mi chiedo se per caso ho fatto qualcosa per ferirlo senza accorgermene. Ripercorro rapidamente tutto quello che è successo venerdì scorso, ma non riesco a trovare nulla che giustifichi il suo stato. A meno che non si tratti del bacio, ovviamente. Mi siedo, incapace di dire alcunché. La confessione, in questo momento, è l'ultimo dei miei pensieri.

«Ho bisogno di parlarti» dice Diego, e poi si blocca e io sento i battiti del cuore interrompersi di colpo. Anche questo è un cliché che perfino io conosco molto bene. So già dove questa conversazione andrà a parare: Diego dirà che il bacio è stato un errore, che abbiamo fatto una sciocchezza che comprometterà drasticamente il nostro lavoro e che è meglio chiuderla qui, subito, piuttosto che trascinare questa cosa per le lunghe ed illuderci entrambi che possa funzionare.

Vedo tutta la scena nella mente, a una nitidezza così alta che comincio a stare male prima ancora che avvenga. Tanto male da sapere di non volerla vivere davvero, immaginarla mi basta.

«Non dire niente, lo so» dico, prevenendo qualunque cosa stia cercando di dire lui. Se questa storia deve finire prima ancora di cominciare, voglio essere io a farla finire. «Il bacio è stato uno sbaglio, e me ne scuso» continuo, e anche in controluce vedo che la sua espressione si fa ancora più sofferta. Ho colto nel segno, dunque, ma non c'è soddisfazione nel constatarlo. Faccio un bel respiro e continuo, prima che le parole diventino troppo dolorose per pronunciarle. «Capisco anche se non vorrai più lavorare con me, anche se io preferirei continuare.»

«Aspetta, io...» prova Diego, ma io scrollo la testa, sentendo le lacrime che già premono agli angoli degli occhi. «Abbiamo fatto una cavolata, ma non per questo dovremmo rinunciare a settimane di ottima programmazione. Fammi sapere con un messaggio cosa decidi. Ora preferisco andare.»

Prima ancora che Diego possa ribattere mi alzo e imbocco il corridoio. Con la coda dell'occhio vedo che lui è ancora lì in piedi davanti alla porta finestra, non si muove e questo mi sembra un segno ben più forte di qualunque fantasticheria di Silvia.

Raggiungo la porta e la spalanco, la vista ha già cominciato ad appannarsi a causa delle lacrime. Stupida, stupida Alessandra che non sa niente dell'amore e ha passato il fine settimana a fantasticare su qualcosa che non esiste.

Almeno, questa non è la prima volta che lascio casa di Diego pochi minuti dopo esserci arrivata, e so che dovrò aspettare più di un'ora prima che il prossimo pullman arrivi a riportarmi a casa. Un'ora in cui potrò analizzare ad uno ad uno tutti gli errori che ho commesso nelle ultime settimane.

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