Capitolo 14
Quando ci sediamo al tavolo da gioco, ho ancora il cuore che rimbalza nel petto per le parole di Diego. Non sono riuscita a dire nulla nel tragitto fin qui e anche lui è rimasto in silenzio, forse pentendosi di averle pronunciate.
Il Master ci saluta con un festante: «Benvenuti!» ma io ho ancora la mente troppo turbata per rendermene conto. Per fortuna, è Diego a prendere parola per entrambi.
«Salve» dice, con quel suo tono morbido e accogliente. «Io sono Diego e lei Alessandra.» Esita un attimo prima di continuare, forse aspettandosi che sia io ad aggiungere qualcosa. «Ehm, lei è l'esperta di questa roba... io la schiappa.»
Sorride e attira qualche risatina dalle altre ragazze al tavolo, una vestita da diavoletta di qualche anime e l'altra da Sakura di Naruto. «Io sono Sara, lei Angela» dice Sakura, con una bella voce allegra.
«E io...» dice il Master con voce profonda e teatrale. «Oggi sono il Capitano Nicholas Bertyl, la vostra guida in questa avventura tra i mari.» È un bell'uomo sulla quarantina, con il sorriso pronto e un pizzetto che gli dà l'aria da pirata, enfatizzata dalla camicia bianca che porta dentro i pantaloni in pelle e dal largo cappello da comandante. «Per voi è la prima volta?» chiede alle due ragazze e loro annuiscono. «Molto bene, allora per prima cosa date un'occhiata alle schede e soprattutto alle storie dei vostri personaggi.» Distribuisce una scheda a ciascuno, poi si volta verso il tavolo accanto a noi e chiede al collega. «Hai dei dadi da prestarmi? Mi manca un set.»
Il ragazzo, vestito a sua volta da pirata ma con molto meno stile, gli dice di chiedere al banco, quindi il nostro Bertyl si scusa e ci lascia qualche minuto, dicendoci con fare teatrale: «Torno subito da voi, milady e milord.»
Io approfitto di questa piccola pausa per cercare di scrollarmi di dosso la confusione; mi concentro sulla mia scheda, ma non è facile. L'attenzione si sposta di continuo su Diego e mi trovo a sbirciarlo di sottecchi tra una frase e l'altra, in cerca di un segno che mi riveli se davvero pensa quello che ha detto o se era giusto una frase buttata lì per caso, per essere gentile.
Diego è tutto concentrato sulla sua scheda e non sembra accorgersi delle mie occhiate; aggrotta diverse volte le sopracciglia con disapprovazione, cosa che trovo estremamente buffa.
«Che c'è, il tuo personaggio non ti piace?» gli sussurro.
Lui scuote la testa. «Chi ha scritto questa roba?» borbotta. «Ѐ piena di errori di ortografia!»
Lo dice con un tono talmente offeso che non posso non mettermi a ridere. «Quanto siamo pignoli...» lo prendo in giro, e con mia sorpresa Diego si volta verso di me e mi fa una rapidissima linguaccia, così rapida che potrei dubitare di averla vista davvero. Ѐ così poco nel personaggio, questa reazione, che quasi mi sorprende più delle parole di poco fa.
«Dovrebbero reclutare degli scrittori veri per questo mestiere» mormora piccato, ma in realtà sembra trovare la cosa divertente.
Osservo Diego con stupore, e se non fosse per il Master che torna al tavolo con una sacca colma di dadi, che riversa sul tavolo con grande gioia, rimarrei a fissarlo ancora parecchio a lungo. Non l'ho mai visto tanto di buonumore. Che l'aria della Festa dell'Unicorno stia riuscendo a scalfire la consueta pacatezza del mio compagno di scrittura?
«Allora, vi torna tutto nelle vostre storie?» chiede il nostro Capitano e Diego è subito lì pronto con le sue rimostranze.
«Insomma...» dice, avvicinando la scheda al Master. «Dice che sono un devoto di una qualche divinità dal nome strano e impronunciabile, e fin qui ci siamo. Ma la passione per il gioco d'azzardo? Mi sembra un tantino cliché, insomma....»
Il povero Master resta un istante senza parole, ma per sua fortuna la ragazza in cosplay da diavoletta interviene chiedendo: «Cosa vogliono dire tutti questi numeri?» e lui ha una scusa per sottrarsi al giudizio del nostro giocatore in erba.
«Sono le vostre statistiche, rappresentano quello che sapete fare» dice, guardando le due ragazze con simpatia. «Le vostre schede sono il vostro passato e il vostro presente. I dadi...» Prende un D20, un dado a venti facce percorso da venature azzurre e argentate, lo tiene in pugno qualche secondo e poi la lancia sul tavolo. «I dadi sono il vostro futuro.» Il D20 si ferma sul 5, il Master piega le labbra in una smorfia di dispiacere. «Tiro mediocre, speriamo di fare meglio in gioco.» Riprende il dado e lo porge a Sakura, insieme al resto del suo set, poi distribuisce a tutti gli altri i loro sette dadi. A me capita un set rosso, molto semplice ma elegante.
«Il dado a venti facce è quello più importante, e che userete più spesso» dice, mostrando il D20 che tiene in mano. «Lo tireremo ogni volta che dovremo stabilire se un'azione che compite ha successo oppure no. Il vostro tiro si scontra con una Classe Difficoltà, un punteggio che rappresenta quando è complicato avere successo in quell'azione.»
Guarda Diego e poi me e le due ragazze, coglie diverse espressioni perplesse. «Non preoccupatevi se per il momento sembra tutto un po' oscuro, le cose si chiariranno in gioco. Ora, siamo pronti a cominciare o volete chiedermi qualcos'altro?»
Diego fa per parlare di nuovo, probabilmente per sollevare un'altra delle sue rimostranze sul gioco. Questa volta, è il mio turno di salvare il Capitano Nicholas Bertyl da questo nuovo arrembaggio. «Non vedo l'ora di cominciare!» dico con tutto l'entusiasmo di cui sono capace, e il Master annuisce con soddisfazione. «Spirito giusto, ottimo. Allora direi di dimenticare questo tavolo, e questa Fiera, e tutto il brusio che ci circonda...»
Pausa ad effetto, voce che si fa più scura e profonda.
«E di calarci nel cuore della tempesta che sta per investire la vostra nave.»
Tutti ci protendiamo verso il Master, persino Diego, noto dandogli una piccola sbirciata. «Sono giorni che solcate i Mari del Destino a bordo dell'Adelaide, giorni in cui la calura del mattino è stata alleviata solo dalle timide brezze notturne. Procedete piano, troppo piano. Intorno a voi, acqua a perdita d'occhio, una distesa così vasta da mettere i brividi. "Quanto manca all'isola?" continuate a chiedervi, giorno dopo giorno, mentre la nave avanza un nodo alla volta, troppo lentamente. Finché, all'improvviso, il vento si ferma e voi vi fermate con esso.»
Ѐ bravo, mi trovo a pensare, studiando ogni dettaglio del suo tono di voce, basso e cantilenante, l'espressione turbata che ha assunto il suo viso, la posa leggermente protesa in avanti, verso di noi. Ѐ teatrale al punto giusto, scenico al punto giusto. Mi piace.
Guardo di nuovo Diego, che lo sta osservando a sua volta e sul suo volto le tracce di perplessità sono scomparse. Sembra coinvolto dalle parole del Master, persino disposto a farsi trasportare dentro la storia. Sorrido, perché è sempre bello sapere di aver avuto ragione.
Poi faccio spaziare lo sguardo sulle altre due compagne di gioco, che pendono dalle labbra della nostra guida pirata. Adoro tutto questo, penso, prima di tornare a concentrarmi sulle parole di Nicholas Bertyl.
«Sulla vostra nave si abbatte il caldo, un caldo dal quale non esiste rifugio. Ogni angolo della nave scotta sotto l'implacabile sole che sembra diventato tutto il vostro universo. La notte, siete talmente stanchi e spossati dal caldo da non riuscire a dormire. Di giorno, guardate con crescente disperazione il mare divenuto piatto e trasparente come una lastra di vetro. Le scorte d'acqua e di cibo cominciano ad evaporare, la tensione della ciurma cresce e i primi litigi esplodono nel cuore della notte, disturbando il silenzio che vi circonda. Arrivate al punto di chiedervi se è qui che morirete tutti, se è questo il destino che i Mari del Destino hanno in serbo per voi. D'altronde, è per questo che si sono conquistati questo nome, lo sapevate quando avete deciso di imbarcarvi in questo disperato viaggio in cerca del leggendario tesoro del Capitano Flinn. E quando ormai siete certi che non uscirete vivi da questa nave...»
Un'altra pausa ad effetto, questa volta più lunga, tanto che tutti noi restiamo con il fiato sospeso, sentendo il caldo di quelle giornate di secca pizzicare sulla nostra pelle, l'arsura bruciare la gola e il timore di morire denso come fosse reale.
«...ecco che si alza all'improvviso un vento che non ha nulla di naturale, così forte che l'Adelaide geme e si piega, il legno scricchiola e le vele si gonfiano, come temevate non avrebbero più fatto. Avete appena il tempo di gioire, prima di accorgervi che da Ovest corre verso di voi una tempesta così oscura e minacciosa da levarvi ogni speranza di salvezza. "Moriremo tutti!" urla uno dei marinai alla vostra destra, ma il Capitano Nicholas Beryl è lesto a riprendere il comando della sua ciurma e a urlare, con foga: "Prepararsi alla tempesta!" Tutti corrono come disperati sulla nave, l'inerzia dei giorni di caldo è già un ricordo lontano. E mentre la tempesta si avvicina, sempre più veloce, sempre più forte, e l'Adelaide crepita e comincia ad andare a pezzi, le acque davanti a voi turbinano e dalla schiuma emerge, un terrificante pezzo alla volta, quello che ha tutta l'aria di essere un antico mostro marino. Le menti dei marinai si sgretolano, il terrore invade la nave quando il primo tentacolo frusta l'aria e la ciurma realizza di avere davanti niente meno che il leggendario e terribile Kraken.»
A questo punto il nostro Nicholas Beryl si ferma, sorride con un sorriso misterioso e coinvolgente che gli fa brillare gli occhi. «Ma per fortuna, voi non siete marinai sprovveduti, per fortuna quando vi siete imbarcati sull'Adelaide sapevate a cosa andavate incontro, e siete venuti preparati. Correte a prendere le vostre armi, affilate le vostre lame e le vostre menti, preparate le vostre componenti magiche...» Una pausa ad effetto, e poi le parole che ogni giocatrice di ruolo attende con ansia di sentir pronunciare: «Ora, miei prodi eroi, sta a voi. Cosa fate?»
***
«Non pensavo ma... è stato davvero divertente.»
Sono le prime parole che Diego pronuncia quando lasciamo il tavolo e, anche se non serviva dirlo ad alta voce, mi riempiono comunque di una gioia immensa. Ho visto chiaramente quanto sia stato coinvolto dal gioco, quanto gli sia piaciuto avere un personaggio da interpretare dentro un mondo vivo e plasmabile. Ha perfino dato al suo chierico un tono di voce bizzarro e delle sfumature caratteriali molto simpatiche, che sono piaciute al Master e che gli hanno fatto guadagnare ben due punti ispirazione.
Io, dal canto mio, mi sono goduta la bellezza di una storia ben narrata, ben orchestrata e molto coinvolgente, calzando con familiarità i panni di una ladra tiefling dalla parlantina facile. «Fossi un po' stronza, ora potrei dire che l'avevo detto» rispondo con un sorriso.
Lui ride. «Be, meno male che non sei stronza allora.»
Intorno a noi, la Fiera è ancora popolata e rumorosa, ma a Diego non sembra più dare tanto fastidio. Anzi, è lui a proporre di fare un altro giro tra i banchi, e dopo un po' finiamo per fermarci davanti al palco a guardare le esibizioni dei cosplayer in gara.
«Cosa ti spinge a fare tutta questa fatica per travestirti, quando puoi giocare a D&D e fare tutto con l'immaginazione?» mi chiede a un certo punto, e io esito perché non so bene cosa rispondere.
«Credo siano modi diversi di raggiungere la stessa emozione» dico, e ripenso a quando in Sardegna io e il mio gruppo partecipammo un Gioco di ruolo dal vivo organizzato in montagna, vestiti da elfi e da maghi, e mescolammo l'ebbrezza dell'avventura tangibile alla delusione nel realizzare che le palle di fuoco non erano altro che palline di gomma piuma. «Alla fine, l'importante è trovare quello che fa più per noi, la cosa che ci fa battere forte il cuore e ci fa sentire di essere finalmente e totalmente noi stessi.»
Diego non risponde, il suo sguardo è perso sul palco, accarezza la figura di una ragazza con uno straordinario costume da Ahri di League of Legends. Posso capirlo, è decisamente bella con quei lunghi capelli neri che sono sicura siano suoi e non una parrucca, e che deve aver curato per mesi per arrivare a questo momento.
«Credo sia la scrittura» dice Diego, e io non capisco a cosa si stia riferendo, se c'entri qualcosa con la ragazza che ora sta sfilando per mostrare il costume da ogni angolazione.
«In che senso?» chiedo, e Diego sposta lo sguardo dal palco a me, e i suoi occhi in questo momento e sotto questo denso sole estivo sono così azzurri da fare male.
«Credo che per me sia la scrittura, la cosa che mi fa sentire me stesso e mi fa battere il cuore» dice. Poi esita, sembra indeciso se continuare o no. «Almeno, finora» aggiunge, e non so bene cosa intenda con queste ultime parole, ma hanno comunque un sapore così dolce da farmi sperare di averne ancora.
«Ti va di cenare qui?» chiedo, spinta da un desiderio improvviso di protrarre il tempo che ci resta da trascorrere insieme. Anche se so bene che da qui a due giorni ci rivedremo e riprenderemo la nostra routine di scrittura, non riesco a non pensare che questo preciso momento, con Diego accanto e i colori della Fiera intorno a noi, sia troppo perfetto per lasciarlo andare.
Resto con il fiato sospeso finché Diego non risponde «Va bene», con uno di quei suoi sorrisi per i quali continuo a sciogliermi. «Cosa proponi?»
Io ci penso diversi minuti, perché trovo difficile capire cosa potrebbe piacergli. Il che, a ben pensarci, è buffo. Abbiamo raggiunto quella che molte persone definirebbero la forma massima di comunione: stiamo creando qualcosa insieme, dando la vita a una storia nostra, condivisa. Eppure, di lui so ancora così poco che mi viene da ridere.
E infatti rido apertamente e Diego mi guarda di nuovo come se fossi matta. «Che c'è, cos'ho detto di tanto buffo?» chiede sulla difensiva, ed è davvero carino mentre lo fa.
«Niente, è che pensavo che non ho idea di cosa ti piace mangiare.»
Lui mi guarda ancora perplesso. «Be', puoi sempre chiedermelo, no?»
«Sì, ma che gusto ci sarebbe?» ribatto, decisa. Per una volta, voglio procedere in maniera spavalda, senza pianificare nulla, come se questa fosse davvero un'avventura. «Ok, ho scelto cosa vorrei mangiare.»
«Oh bene. E di cosa si tratta?»
«Lo scoprirai...» dico con la mia migliore espressione misteriosa. Non sono brava quanto il Capitano Nicholas Beryl, ma ce lo faremo andare bene.
***
Di nuovo, l'espressione di Diego davanti al banco dei Noodles istantanei vale tutto: l'incertezza, le farfalle nello stomaco, la speranza.
«Vuoi davvero mangiare questa roba?» chiede, ed è talmente stupito che mi viene ancora da ridere. «Siamo nella regione della Schiacciate, delle Fiorentine, dell'Olio d'oliva di qualità... e tu vuoi mangiare della roba cinese? In brodo, tra l'altro, e a luglio!»
«Giapponese, per l'esattezza» dico con saccenteria. «E non puoi dare un giudizio finché non provi.»
«Bah» dice Diego, però si mette in fila, continuando ad allungare il collo per osservare il processo di preparazione dei Noodles. «Quindi te li devi pure cucinare da solo?» si lamenta, e io scrollo la testa e gli faccio cenno di tacere.
Quando è il nostro turno, ordino un Noodle al manzo e uno al pollo, così che abbia modo, se vuole, di provare entrambi. Poi lo guido verso i dispenser di acqua calda, apro i contenitori e verso le polverine al loro interno.
«Versa l'acqua fino al bordo e poi chiudi il coperchio» lo istruisco e lui esegue senza fiatare.
Prendiamo posto a uno dei tavoli, intorno a noi la folla della Fiera sta cominciando a scemare, molti si spostano verso il Palco dove a breve si esibirà Cristina D'Avena, la star di tutte le fiere Fantasy.
«Fatto, sono pronti» dico, e apro il mio contenitore invitando Diego a fare altrettanto.
Vederlo armeggiare con le bacchette è un'immagine meravigliosa, che credo terrò con me molto a lungo. «Buon appetito» dico, e prendo il primo boccone.
Credo non ci sia nulla di meglio dei Noodles istantanei dopo una giornata di Fiera. Certo, sono più adatti al clima del Lucca Comics, solitamente piovoso e freddo, ma fanno comunque parte dell'esperienza, e non si possono proprio saltare.
Attendo con ansia che anche Diego provi il primo boccone, e quando finalmente lo fa la sua faccia è talmente buffa che scoppio in una risata enorme.
«Ma davvero ti piace questa roba?!» chiede, e io rido ancora, tanto che rischio di rotolare giù dalla sedia.
«Non lo mangi perché è buono, ma per l'atmosfera!» riesco a dire, e lui scuote la testa in modo davvero adorabile. «Vuoi provare quelli al pollo?» gli propongo, avvicinandogli il mio contenitore con dentro le bacchette.
Lui guarda prima i Noodles poi me, poi torna ai Noodles. «Sicura?» chiede, e ci metto qualche secondo a capire che lo imbarazza l'intimità di quel gesto. Probabilmente avrebbe imbarazzato anche me, se mi fossi data del tempo per pensarci.
«Sì, sicura. Assaggia.»
Diego si arrende e prende una manciata dei miei Noodles, fa la stessa faccia contratta e contrariata di poco fa. «Sono terribili» ammette, e questa volta ride anche lui.
Poi le nostre risate si spengono quasi all'unisono e ci troviamo a guardarci negli occhi e percepisco che l'atmosfera intorno a noi è cambiata, e che sta rapidamente virando verso un'intimità che non sono sicura siamo ancora in grado di gestire.
«Quindi D&D ti è piaciuto?» chiedo, per spezzare un silenzio che si sta protraendo troppo.
«Sì, parecchio» dice Diego, prendendo un'altra manciata dei suoi Noodles. Io riavvicino i miei e riprendo a mangiare. «Sarei curioso di vederti fare da master» dice poco dopo, e per poco non mi vanno i Noodles di traverso.
«Ah sì?» tossicchio. «E perché?»
«Perché ne parli sempre con incredibile entusiasmo e sono curioso di vedere se quell'entusiasmo si percepisce nelle sessioni.»
Cerco di non arrossire troppo, ma è molto difficile e di nuovo la butto sul ridere per smorzare la tensione. «Oh wow, ti sei ricordato il termine giusto!»
«Hai visto? Imparo in fretta» dice Diego. «Dammi qualche giorno e diventerò un esperto.»
«Esagerato.»
Ci guardiamo, ridiamo e di nuovo cala il silenzio tra noi, ma questa volta ha un sapore dolce, e possiede l'odore delle ciambelle allo zucchero che stanno cuocendo qualche banco più in là.
«Ti va una ciambella?» mi chiede Diego, e l'idea che abbiamo pensato la stessa cosa mi provoca un piacevole brivido lungo la schiena. «Dovrebbero essere meglio dei Noodle» continua, come a volersi giustificare per quell'invito. Ѐ in imbarazzo ed è così carino che mi viene una voglia folla di abbracciarlo.
«Sì, mi vanno eccome» dico, e quando mi alzo Diego mi sta porgendo il braccio, per camminare come abbiamo fatto stamattina. Lo prendo e sento le gambe molli, e il sorriso che non riesce ad andarsene dal mio viso. Se continuo così, stanotte avrò male alla mascella.
Lo zucchero della ciambella serve solo a innalzare ulteriormente il livello glicemico della serata, che già sfiora picchi molto pericolosi e fa invidia a un romanzo di Diane Vane. Forse è per questo che non ragiono abbastanza sulla pericolosità della mia azione, quando tendo una mano verso il volto di Diego e gli accarezzo la guancia, molto vicino all'attaccatura delle labbra.
«Ti era rimasto dello zucchero» dico, rendendomi conto di quello che ho appena fatto. Diego mi guarda con un'espressione che potrebbe essere sia di stupore che di terrore, a questa poca distanza è difficile dirlo. Non so bene quando la distanza di sicurezza tra noi si sia ridotta così tanto, ma ora è così vicino che riesco di nuovo a vedere le pagliuzze verdi nei suoi occhi, e ho una voglia matta di allungare di nuovo la mano per spostare quel ciuffo che ha l'ardire di coprirne la bellezza.
Non so come ma mi trattengo, ma non riesco a evitare di intrecciare ancora il suo sguardo al mio. E non so dire se alla fine sono io a infrangere tutti i dettami che mi sono autoimposta o se è Diego a coprire la distanza che ci separa, ma quando le nostre labbra si sfiorano posso dire con sicurezza e con una certa gioia che non avevo ancora tolto tutto lo zucchero rimasto.
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