Capitolo 13

La Festa dell'Unicorno arriva prima di quanto mi aspettassi e per la prima volta salgo sull'autobus per raggiungere Vinci per un motivo diverso dal lavoro. Il viaggio mi causa molto meno disagio dei precedenti, anche perché stare su un pullman pieno di gente in cosplay che chiacchiera di giochi e di avventure è molto più stimolante del leggere o guardare fuori dal finestrino in solitudine.

Nelle scorse settimane, mentre andavamo avanti con la scrittura, ho continuato a ricordare a Diego del nostro patto, e lui ha cercato in tutti i modi di svincolarsi. Per fortuna ho capito come giocare e a ogni scusa - impegni fuori città, immaginarie sessioni di scrittura in solitaria - ho ribattuto con garbo e decisione che un patto è un patto, e nessun rapporto lavorativo può filare bene se non si rispetta.

Sembra aver funzionato, forse ho scoperto un lato onorevole di Diego che posso sfruttare a mio vantaggio. Prendo il telefono e per sicurezza gli scrivo un altro messaggio, rammentandogli che sarò a Vinci alle nove e mezza e di farsi trovare alla fermata. Non si sa mai.

Poi mi rilasso sul sedile e mi godo le chiacchiere dei due ragazzi dietro di me, che stanno parlando della loro ultima sessione di D&D.

«Certo che potevi evitarti la palla di fuoco...» sta dicendo uno all'altro, e io ridacchio sotto i baffi. Annosa questione, quella della palla di fuoco, capace di dividere qualunque party.

E infatti l'altro ragazzo ribatte subito: «Ma se vi ho salvato il culo!»

«Sì, ma hai mandato Alistair a zero.»

«Sono stati gli orchi. Dovrebbe essermi grato, l'ho tirato fuori dai casini» dice quello che dev'essere l'indomabile incantatore del gruppo.

L'altro sbuffa. «Mandandolo a zero!»

«Dettagli...»

Per fortuna sono di spalle e non mi possono vedere, perché in questo momento rido apertamente, anche se il più silenziosamente possibile. Adoro le discussioni che vengono fuori dopo una sessione, soprattutto quando sono accese come questa. È parte dell'esperienza di D&D appassionarsi tanto alla storia da parlarne come se fosse reale, davvero questione di vita e di morte.

Ricordo intere serate trascorse a litigare su chi aveva ragione e chi torto in una determinata scena giocata giorni prima al tavolo, quale applicazione di una regola fosse quella corretta e quale un palese tentativo di approfittare dei numerosi "punti ciechi" del manuale. Ogni litigio finiva sempre in una pizzata con birra annessa, tante risate e la promessa che alla prossima discussione si avrebbe avuto la meglio, sapendo però tutti che il gusto era discutere e non averla vinta.

Lascio i due alla loro contesa e sposto l'attenzione sul resto del pullman, carpendo dialoghi qua e là: c'è una Harley Quinn che racconta all'amica Poison Ivy l'ultimo manga letto, un Ezio e un Altaïr che si aiutano a sistemare le rispettive armi e nel frattempo chiacchierano della prossima partita che faranno a Tekken; più avanti intravedo la chioma bionda di una Sailor Moon e capto le risate di una coppia di ragazzi che impersonano alla perfezione Undi e Mike.

È talmente bello essere immersa tra i miei "simili" che non soffro di claustrofobia nemmeno un minuto, e quando il pullman si ferma alla solita fermata e la fiumana di personaggi in costume scende, io metto piede a terra e mi sento totalmente e incommensurabilmente felice.

L'unica pecca è che non ho avuto il tempo di prepararmi un costume, perché sarebbe stato davvero il massimo vedere la reazione di Diego alla mia mise da personaggia di qualche videogame. Come evocato da quel pensiero, il mio compagno di scritture e oggi di immersione nel fantasy spunta in mezzo ai gruppi in cosplay, con un'espressione sofferta e infastidita che vale comunque tantissimo.

«Buon giorno!» gli dico, schivando le persone per raggiungerlo con una risata tra le labbra che questa volta non trattengo. Quando gli sono davanti mi esibisco perfino una piroetta, facendo turbinare il mio vestito di seta viola e arancio in un'esplosione di colori. «Che ne pensi?»

Lui guarda prima me e poi si guarda intorno, mugugna. «Una gabbia di matti» dice, ma gli spunta un leggero sorriso sulle labbra, che prendo come un ottimo segnale.

«Matti felici però» ribatto, e sarà perché mi sento particolarmente di buon umore, sarà perché la giornata è bella e pure io mi sento bella in questo abito orientale nuovo di zecca, ma lo prendo a braccetto e comincio a scortarlo tra la folla.

Diego si irrigidisce per un attimo, sembra voler protestare, ma poi si arrende e si lascia trasportare e io apprezzo indicibilmente la sua fiducia. Lo guido verso l'ingresso della Fiera, raccontandogli tutti i dettagli importanti della giornata che ci aspetta. Quando arriviamo davanti alla hostess, Diego aggrotta la fronte e borbotta: «Ma ti sembra normale che chiudano il paese per una fiera?»

Io guardo lei e sorrido imbarazzata, sperando che non abbia sentito. «Be' dai, non è che lo chiudono propriamente» dico tra i denti, in difesa sua e dell'organizzazione. «Si assicurano solo che tutti paghino il biglietto.» Almeno i non residenti, visto che Diego ha pure la fortuna di entrare gratis.

Per prendere il mio biglietto dalla borsa sono costretta a lasciare il suo braccio, cosa che mi dispiace più di quanto dovrebbe. Lo porgo alla ragazza cercando di non pensare al leggero senso di vuoto che avverto. «Buon giorno! È un problema se entriamo un po' prima?» chiedo, con la mia migliore faccia angelica. «Lui vive qui.»

Indico Diego che porge il suo certificato di residenza, annuisce e sorride, come l'ho istruito a fare.

La ragazza ci guarda perplessa un attimo, poi però i sorrisi sembrano funzionare. «Va bene, certo» dice, scostandosi di lato per farci passare. «Buona fiera.»

Io la saluto e spingo Diego in avanti prima che possa borbottare di nuovo e rovinarci l'ingresso. Sono sicura che per arrivare alla fermata ha fatto il giro lungo ed evitato appositamente il vivo della Festa, ed è anche per questo che gli ho proposto di presentarci in anticipo e di entrare subito, così da capire con che cosa ha a che fare prima che il grosso della folla entri in paese e diventi difficile muoversi o vedere alcunché. Non sono mai stata alla Festa dell'Unicorno, ma l'esperienza al Lucca Comics mi ha insegnato che se vuoi goderti davvero un evento come questo devi essere scaltra e anticipare gli altri. E infatti arriviamo nella strada principale che ancora gli espositori stanno finendo di sistemare la merce, e intorno a noi c'è pochissima gente.

In occasione della Fiera, tutta la strada principale di Vinci viene popolata da bancarelle di espositori cariche di giochi, costumi, gadget, manuali e così via. Qua e là nelle piazze incrociamo intere aree riservate alle arene di combattimento simulato, ai tavoli da gioco e alle zone per i cosplay. Un grande palco completa il tutto, sul quale durante i tre giorni di Fiera si alternano i cosplayer in concorso per i migliori costumi e le migliori interpretazioni, e i concerti di musica tratta dagli anime più famosi.

«Allora, che ne pensi?» chiedo, allargando le braccia come per abbracciare tutta la Fiera.

Diego mi guarda con estrema perplessità, ma quando mi esibisco in un'altra piroetta finalmente ride, e più lo fa più sono sicura sia uno dei suoni più belli che abbia mai sentito.

«Ti piace proprio, eh» dice, e io turbino un'altra volta, facendo aprire la gonna a campana e mettendo in mostra l'arancione del lembo interno della gonna. È stato un acquisto impulsivo, che mi è costato molto di più di quanto io sia solita spendere per un vestito, ma nulla mi rende più felice di indossare l'abito giusto in ogni occasione e per ogni umore.

«Adoro le fiere!» ammetto, finendo di ruotare proprio accanto a Diego. «Da cosa vuoi cominciare?»

Lui si guarda intorno, confuso, si vede che non ha proprio idea di cosa si faccia a una Fiera.

«Ho capito, lascia fare a me» dico e, senza darmi troppo tempo di pensare se sia o no una buona idea, rimetto il braccio sotto il suo ed esclamo: «Andiamo all'avventura!»

Questa volta, Diego non sembra affatto sorpreso dalla cosa.

***

Cerco di mostrargli tutto, ogni dettaglio che spero possa aiutarlo a capire perché è così bello essere parte di questo mondo. Lo trascino da una bancarella all'altra, raccontandogli a quale film, o serie tv, o videogioco o libro appartiene un certo gadget, una spada, un costume; gli racconto quanto può essere ricco ed esaltante il fandom che si crea dietro un prodotto immaginario, quanti legami può aiutare a formare, quanta gioia può creare nelle persone che lo vivono appieno.

Nel frattempo la Fiera si popola e veniamo circondati da cosplayer di tutti i tipi, che sfoggiano a volte costumi elaborati, studiati nei minimi particolari, a volte maschere semplici eppure bellissime per il senso di appartenenza che riescono a creare in chi le indossa.

Convinco Diego a provare un giro di tiro con l'arco e uno di simulazione con le spade laser, lui centra il bersaglio al primo colpo ma poi soccombe malamente sotto i miei attacchi esaltati con la spada. Però la prende bene e ride, e di nuovo mi trovo a fissare imbambolata i suoi occhi che si illuminano. Quando ride, diventano di un azzurro talmente profondo da generarmi una sequela di irresistibili crampi allo stomaco.

«Prendiamo da mangiare!» propongo per distrarmi dal fissarlo troppo, e finiamo per ordinare dei waffle con panna e fragole, da mangiare seduti a un tavolino in piazza circondati da cosplayer festanti. I piatti sono stracolmi e bellissimi e sento lo stomaco brontolare di piacere.

Io assalto subito il mio, e solo dopo diversi bocconi e gemiti di soddisfazione mi accorgo che Diego mi sta fissando con uno sguardo molto strano.

«Che c'è?» biascico a bocca piena e lui riprende a ridere, e di nuovo lo stomaco fa su e giù, una sensazione alla quale mi sa che mi tocca abituarmi presto.

«Ma respiri tra una cucchiaiata e l'altra?» mi chiede, e il tono è talmente sorpreso e buffo che non riesco proprio ad offendermi. Anzi, mi viene voglia di tirare ancora più fuori questo lato scherzoso di Diego, quindi ficco in bocca un'altra cucchiaiata e dico, con soddisfazione: «Certo che sì. È un'arte, sai? Quella del saper apprezzare il buon cibo.»

Diego scuote la testa, ride ancora. «Non lo metto in dubbio» dice, e sarà la bella giornata che stiamo trascorrendo, sarà che immerso in questa atmosfera fantasy sta davvero bene, ma non l'ho mai trovato così attraente.

In queste ultime settimane abbiamo finito di delineare la nostra scaletta di massima e buttato giù le prime righe dell'incipit, trovando sempre più facile incastrare le rispettive idee in qualcosa non solo di funzionante, ma anche di molto promettente. E più ho occasione di frequentarlo, più mi sembra che ci siano due lati di Diego: quello serio, a volte un po' ruvido, riservato, che mi ha accolto le prime volte e che riemerge quando sembra a disagio per qualcosa; e poi questo che ora siede davanti a me, che ride e scherza come se ci conoscessimo da sempre. Il contrasto è talmente forte da stordirmi, eppure sento di cominciare ad apprezzarli entrambi.

Nel tavolo accanto a noi, un Drizzt Do'Urden sta chiacchierando con una ranger che non riesco bene a collocare in un franchise, e la mia attenzione scivola inevitabilmente nella loro direzione.

«Quanto manca?» gli sta chiedendo lei, e Drizzt tira fuori un telefono decisamente fuori personaggio e controlla l'orario. «C'è ancora tempo, mangia tranquilla.»

Lei annuisce e torna ai suoi pancakes, poi sembra ricordare qualcosa e la testa le riscatta in direzione del compagno. «Sei sicuro che non sia un problema se non conosco le regole?»

«Sì, stai tranquilla.» Drizzt si sporge e le sistema una ciocca di capelli dietro le orecchie, un gesto che trovo estremamente dolce. «È una one-shot di presentazione, non serve conoscere il gioco.»

Mentre un pensiero comincia a germogliare nella mia mente, colgo con la coda dell'occhio dei movimenti strani da parte di Deigo. «Cosa?» chiedo, riportando lo sguardo su di lui e cogliendolo mentre agita il braccio davanti al mio viso. La sua espressione è a metà tra il divertito e l'offeso.

«Ho chiesto se hai finito e possiamo andare» ripete, ma io lo sto ascoltando solo in parte. La mia mente corre, vagliando tutti gli scenari in cui Diego boccia in tronco la mia idea. D'altronde, però, vale la pena almeno provare.

«Ti va una partita?» gli chiedo.

Lui mi guarda aggrottando le sopracciglia. «A cosa?»

«D&D!»

Sguardo confuso, grattata alla barba. «Qui?»

«Certo! Ci sono i tavoli, ricordi?» Gli indico un punto non proprio preciso in mezzo alla folla, dove dovrebbe sorgere la zona giochi di ruolo. «Fanno provare diverse avventure, è un'ottima occasione anche per chi non ha mai giocato.»

«Mmm, non sono così sicuro che...»

«Ci divertiremo» dico, interrompendolo con malagrazia. L'idea è troppo buona per permettergli di metterla da parte senza neanche valutarla con attenzione.

Lui per fortuna non se la prende, ma sorride. «Ah sì? Ne sei così sicura?»

«Assolutamente.» Divoro l'ultima cucchiaiata di waffle con un mugugno di piacere e torno subito all'attacco. «Come mi sembra di aver già detto, non si può scrivere un buon fantasy senza aver respirato l'aria giusta.»

«Be', è per questo che siamo qui, no?» chiede Diego.

«Sì, ma non basta. Devi provare a sederti a un tavolo e toccare con mano l'immaginazione che prende vita.» Mi sporgo verso di lui, incrocio lo sguardo al suo per essere sicura che non perda neanche una frase. Lui non lo distoglie, cosa che apprezzo immensamente. «Devi sentire l'ebbrezza di creare una storia collettiva, di darle respiro e consistenza unendo i tuoi sogni a quelli delle persone al tavolo. Devi provare la bellezza di una storia che si anima davanti ai tuoi occhi.»

«Non è quello che succede quando scrivi?»

Scuoto la testa, mostrandomi molto indignata. «Assolutamente no, sono esperienze molto diverse. Scrivere si fa in solitaria.»

«Be', noi in realtà lo stiamo facendo insieme.»

Touché. E quel noi vibra nell'aria in un modo estremamente piacevole. «Va bene, lo facciamo insieme, ma non è la stessa cosa, e non puoi saperlo finché non provi. Fidati.»

Taccio, perché ho terminato le argomentazioni per protrarre la mia arringa, ma lo guardo con tutta l'intensità di cui sono capace. Ora che ci penso, avrei dovuto prepararmi meglio a questa eventualità, immaginare che saremmo finiti in questo tavolino e mettere insieme in anticipo tutti gli elementi necessari a...

«Va bene, mi fido» dice Diego, e io ci metto qualche secondo ad elaborare la risposta.

Quando lo faccio spalanco la bocca. Davvero è così semplice? «Dici sul serio?»

«Sì. Andiamo.» Diego mi guarda e qualcosa nel modo in cui lo fa sembra diversa dal solito, anche se non sono ben sicura del perché.

Ha finalmente avuto conferma di avere davanti una pazza?

«Che succede? Hai già cambiato idea?» chiede con un sorriso.

«No...» Esito qualche secondo, poi decido che è meglio tirarle fuori subito queste cose, invece che lasciarle a macerare. «Pensi che io sia matta, vero? È per quello che mi assecondi?»

Diego ride, e questa volta è lui a sporgersi verso di me, così vicino che posso notare che l'azzurro dei suoi occhi è macchiato qua e là di piccole pagliuzze verdi. «No. Quello che penso è che tu sia davvero molto carina quando ti esalti per qualcosa.»

Soffia le parole a pochi centimetri dal mio viso e per poco non cado giù dalla sedia.

«Andiamo, signora master esaltata?»

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