Capitolo 11
«Ti ha davvero detto di no?»
«Non direttamente...» sospiro e prendo un grosso morso di pizza, cercando di incanalare tutta la felicità che il formaggio fuso riesce a regalare. «Ma mi ha fatto capire che preferirebbe evitare.»
«Che stronzo» borbotta Silvia, che nell'ultima settimana ha sviluppato un sentimento molto altalenante per la sua ex autrice preferita. Siamo di nuovo accoccolate sul divano letto, entrambe in pigiama, un'idea di Silvia che si è consolidata presto in abitudine e che ci permette di dedicare un po' di tempo al conoscerci e raccontarci meglio, in mezzo al caos delle nostre vite precarie e sempre di corsa. Ormai è qualche settimana che conviviamo e non posso che apprezzare la dolcezza e la cura che Silvia infonde nella nostra relazione. Anche in questo momento ha lasciato la pizza da parte e mi guarda con occhi comprensivi. «Quindi continuerai a fare su e giù tutti i giorni?»
«Non proprio tutti i giorni ma sì, mi toccherà andare spesso a Vinci.»
Azzanno il bordo della pizza in cerca di conforto ma ne rimango delusa: è gonfio e gommoso, non croccante come mi sarebbe piaciuto. I pizzaioli di qui sembrano conoscere solo due varianti: la napoletana sottile come una foglia e con i bordi molli o la pizza fritta che trasuda olio da ogni poro. Abbiamo provato entrambe, ma nessuna delle due compete con la pizza cagliaritana, sottile e croccante al contempo.
In realtà mi manca un po' tutto della Sardegna, forse perché la vita giù a casa con i miei era più semplice, forse perché lì avevo il mare e gli amici di sempre e non dovevo combattere quotidianamente con treni e autobus. E con coautori reticenti, soprattutto.
«E se gli spieghi il tuo problema con i luoghi stretti e chiusi? Magari capirà.»
«Mah, sembra uno parecchio centrato su se stesso» borbotto con la bocca piena.
Non è proprio la verità, in questi ultimi giorni ho visto un lato di Diego molto più umano e comprensivo, però in questo momento sono in modalità lamentela ed è difficile uscirne. Avrei voluto che accettasse anche senza sapere della mia claustrofobia, perché sarebbe stato equo e corretto a prescindere. E invece il suo mi sembra l'ennesimo capriccio della viziata Diane Vane, l'autrice di successo che tutti cercano di non scontentare perché vende e ha un solido pubblico di affezionate.
Prendo un'altra fetta di pizza e adocchio Silvia, che ha lasciato la sua fetta intonsa ed è persa tra i suoi pensieri. Quando è rientrata a casa stasera aveva un'espressione tesa ed è qualche giorno che delle brutte occhiaie le circondano gli occhi. È il mio turno di essere gentile e accogliente, altrimenti finiamo per sviluppare una relazione a senso unico molto scorretta.
«A te come sta andando?» le chiedo, una domanda fin troppo generica ma è il meglio che riesco a fare in queste condizioni.
Lei scrolla le spalle. «Sempre uguale. Turni, pazienti, lecchinaggio gratuito ai professori e di nuovo da capo. Le cene con te sono l'unica cosa decente di questi giorni.»
Riprende in mano la pizza, le dà un piccolo morso e la rimette giù. Sto iniziando a capire che le differenze tra noi sono tante e reagiamo in maniere opposte a situazioni di stress. Lei tende a chiudersi e isolarsi dal mondo, perde interesse per il cibo e per le chiacchierate. Io divento lamentosa con tutti e spazzolo ogni briciola che mi trovo davanti.
Mi avvicino un po' con la schiena per accoccolarmi a lei. «Mi spiace per il resto della giornata, ma sono contenta di queste cene.»
«Anche io» dice Silvia, ma c'è un velo di tristezza nelle sue parole. Da quello che ho visto, non ha una vita sociale molto attiva. Forse è causa del lavoro, che le rende difficile organizzare la sua vita privata, o forse crescendo ha perso la spinta a uscire e divertirsi. È un peccato, perché è stata una bambina attiva e vitale, sempre circondata di amicizie. Maledetta vita adulta.
La osservo mentre finisce il suo trancio e mi viene un'idea. «Perché non vieni a giocare nella mia campagna?»
Silvia mi guarda confusa. «Alla tua cosa?»
«Alla mia campagna di D&D. Sono riuscita a mettere su un party, abbiamo la prima sessione tra due giorni.»
Dalla sua espressione capisco che quello che ho appena detto per lei non ha alcun senso. In effetti, anche all'epoca delle superiori lei non si è mai unita alle nostre serate di giochi, che ha sempre ritenuto troppo nerd per fare per lei. «Vedrai che è divertente. Si tratta di mettersi in gioco e di calarsi nei panni del proprio personaggio.»
«Tipo a teatro?»
«Qualcosa di simile. Però senza pubblico e senza copione.»
Ancora esita, intuisco che cerca un modo carino per sottrarsi e per dire che quelle cose non fanno per lei. Io invece sono convinta che D&D possa fare per tutti, si tratta solo di capire quale storia può coinvolgere le persone al tavolo, quale può aiutarle a superare momenti difficili della loro vita reale. «Potresti venire giovedì e vedere come ti trovi. Se poi non fa per te sei sempre in tempo per lasciare.»
«Mmm...»
Non dice di no, il che per quanto mi riguarda è già un successo. «Fidati, è un'esperienza da provare almeno una volta nella vita» dico, perché se c'è una cosa che ho imparato in quasi quindici anni di masteraggio è che la fiducia in chi racconta la storia è la base per vivere qualcosa di davvero coinvolgente. «Ed è un ottimo modo per staccare la testa dai problemi del lavoro e concentrarsi su qualcosa di rilassante.»
«Va bene, ci provo» dice Silvia dopo qualche secondo, e io lancio un gridolino di soddisfazione e la stringo forte.
«La mia cugina preferita diventa una nerd!» esclamo, strappandole un risolino.
«Ora non esageriamo» ridacchia lei, imbarazzata. «Tentiamo e vediamo come va.»
«Vedrai, ti piacerà» dico con sicurezza, perché nessuno resiste al fascino di una storia ben raccontata.
***
Quando varchiamo le porte del Goblin, le persone che costituiranno il nostro party sono già arrivate. Igor mi indica un tavolo, attorno al quale siedono due ragazze e un ragazzo: le due amiche che mi hanno scritto qualche giorno fa e un'aggiunta dell'ultimo minuto che Igor è riuscito a reclutare intuendo il suo desiderio di provare a giocare di ruolo.
Nessuno dei tre ha mai giocato a D&D, così come Silvia, il che è buono perché ci permette di partire tutti allo stesso livello. Saluto Igor con un grande sorriso e scorto Silvia verso il tavolo.
«Ciao a tutti!» esclamo con entusiasmo, e i tre ricambiano con ampi sorrisi e cenni delle mani.
«Facciamo un giro di presentazioni?» propongo, prendendo posto. «Io sono Alessandra, sono sarda e sono qui a Pisa per lavoro.» Faccio una piccola pausa perché ancora mi fa strano dirlo a voce alta. «Sono una scrittrice, una master e una nerd fino al midollo.»
Dal tavolo si alzano delle esclamazioni di sorpresa.
«Una scrittrice? Che figata» dice il ragazzo.
«Dev'essere un lavoro bellissimo» aggiunge una delle due amiche. «Io sono Anna, sono fiorentina e sono qui a Pisa per studio.» È piccola e carina, capelli ricci e sorriso dolce. Anche il suo accento è dolce, solo lievemente strascicato. «Desidero provare D&D da secoli, ma non c'era mai stata l'occasione.»
«Ottimo, questa allora è l'occasione perfetta» dico, ricambiando il suo sorriso.
Sposto lo sguardo sulla sua amica, che porta un attraente caschetto di capelli lisci e neri, e ha gli occhi disegnati con un filo di eyeliner che le sta da dio.
Lei esita qualche secondo prima di presentarsi. «Io sono Giulia, sono pisana e anche io gioco per la prima volta.» Il suo accento è decisamente più forte, ma le dona. Fa un risolino imbarazzato, prima di continuare. «Sono qui perché Anna ha insistito parecchio.»
Anche l'amica ride, tra loro passa uno scambio di sguardi di una tenerezza infinita, che mi fa intuire che siano molto più che solo amiche. «Benvenute» dico, felice di averle al tavolo. Mi volto verso il ragazzo e gli faccio un cenno di incoraggiamento.
«Io sono Enrico...» dice lui. Si schiarisce la gola, arrotola un ciuffo di capelli sfuggito alla lunga coda e si mordicchia perfino il labbro. Potrei quasi pensare di essere io a suscitare tutto questo imbarazzo, ma lui continua: «Ero curioso di provare a giocare di ruolo e ho chiesto a Igor di farmi sapere se c'erano campagne in partenza, ma non mi aspettavo di essere...» Ci guarda, tentenna. «Be', l'unico ragazzo...»
Mi scappa una risata, sembra davvero intimorito dalla cosa. «In effetti è molto raro» ammetto. «Ho giocato per anni in un party con otto ragazzi, è posso capire la sensazione. Ma vai sereno, ci divertiremo.»
Lui ridacchia a sua volta, sembra ancora in dubbio se restare o andarsene.
«Facciamo così...» Mi sporgo verso di lui, sfoggio il mio miglior sorriso da master seducente. «Dammi tre sessioni di tempo e ti mostro quanto poco conti il genere nella mia campagna. Se poi vedi che non fa comunque per te, chiediamo a Igor se ci sono altre campagne in partenza. Che ne dici?»
Enrico aggrotta le sopracciglia, sembra valutare molto attentamente le mie parole. «Va bene» cede dopo qualche secondo e io allargo il sorriso. Che sia disposto a darmi fiducia e provare e tutto quello di cui ho bisogno. Al resto penserà la storia.
«Bene, non ci resta che una presentazione...»
Guardo Silvia, lei fa un bel respiro e si lancia. «Io sono Silvia, sono una specializzanda in medicina e vivo con la nostra master, cosa che spero mi procurerà molti vantaggi durante il gioco.» Tira fuori uno dei suoi migliori sorrisi arroganti, per qualche secondo tutti la guardiamo con perplessità. Poi lei scoppia a ridere e la tensione che aleggiava sul tavolo sembra sciogliersi all'improvviso al suono della sua dolcissima risata. «Sto scherzando!» dice, facendomi un piccolo occhiolino. «Alessandra è davvero troppo rigorosa per fare favoritismi, ma è una narratrice eccellente e ci divertiremo, vedrete. Ho letto la sua trilogia tutta d'un fiato ed è una bomba. Spero solo che non ci lanci addosso i mega cattivoni della sua storia, però, perché se no siamo finiti.»
Gli altre tre si accodano alle risate, ancora non sanno bene come inquadrare lei o me ma intuisco che la fiducia di Silvia nei miei confronti è contagiosa. E le sono ancora una volta grata, perché anche se lei stessa è poco convinta della cosa, ha deciso di darmi davvero una possibilità.
Le sorrido con gratitudine e lei continua. «In ogni caso, siamo pronti a vincere?»
Anna, Giulia ed Enrico annuiscono con entusiasmo, io scrollo la testa sentendomi subito una maestrina. «Frena frena, cos'è questa retorica del vincere?» la sgrido, fingendomi molto contrariata. Le agito anche un dito davanti al viso, per enfatizzare la cosa. «Primo punto del manuale, il punto a mio avviso essenziale: a D&D non si vince nulla.»
«Ah no?» chiede Giulia, visibilmente delusa.
Io scrollo la testa, sorrido. «Non nel modo canonico, almeno. Non ci sono premi, non ci sono vincitori o vinti al tavolo. L'unica vittoria è il divertimento collettivo. Se raccontiamo una buona storia, se riusciamo a viverla e respirarla con ogni fibra del nostro essere, se tra una sessione e l'altra non possiamo fare a meno di continuare a pensare a quello che è successo al tavolo, allora abbiamo vinto. Ho vinto io come master, perché sono riuscita a trasportarvi nel mio, anzi nel nostro mondo, e avete vinto voi come giocatrici e giocatori.»
«Mi piace questa cosa» dice Anna. «Ho sempre odiato i giochi in cui si perde.»
«Quello perché sei scarsa, tesoro» ribatte Giulia, ma lo dice con uno sguardo tenero e di nuovo ridiamo tutti insieme.
Guardo il mio party e sento dentro un'energia unica, che solo un tavolo di sognatori pronti a vivere una nuova storia può farti provare. Dallo zaino tiro fuori il manuale e una cartellina, metto tutto al centro del tavolo. Apro il manuale e lo ruoto perché possano vedere l'interno. «Questa è la nostra guida, la nostra Bibbia. Qui ci sono le regole che ci aiuteranno a rendere la nostra storia plausibile e coinvolgente.»
Sui loro volti passa un'ombra di terrore. Fa sempre questo effetto, il manuale, ed è una cosa comprensibile: oltre trecento fitte pagine di regole, tabelle e statistiche possono far venire il mal di testa a chiunque, ma il trucco è approcciarle nel modo corretto. «Ovviamente, all'inizio non c'è bisogno che impariate le regole a memoria, chi mastera serve anche a questo. Cominciamo scoprendo razze e classi, ovvero ciò che determinerà chi siete e come vi muovete su questo mondo. Ah, e ovviamente, non può esserci una storia senza un mondo dove giocarla.»
Dalla cartellina estraggo un foglio A3 ripiegato su sé stesso, il frutto di una mattinata intera a frastimare su Inkarnate. Lo apro con fare teatrale e osservo con soddisfazione i loro occhi brillare, e le bocche aprirsi leggermente dallo stupore. «Questa è Rüssen, terra di antiche leggende in cui molte razze convivono pacificamente. O almeno, questa è l'apparenza...»
La mappa è a colori e ritrae il mondo che ho creato con l'aiuto di Diego, e che accoglierà il nostro romanzo e questa campagna. Vedere Rüssen prendere vita al tavolo grazie alle avventure del party mi permetterà di calibrarne gli aspetti, di verificarne la plausibilità e la funzionalità prima di riversarla su carta. E la renderà vitale, pulsante, tangibile.
Lascio la mappa al centro, così che possano sporgersi e apprezzarne meglio i dettagli. Ci ho messo ore a disegnare la confederazione di stati al centro delle storie, a immaginare e tracciare i confini, a caratterizzare popoli e culture. È sempre stata la mia parte preferita, sia in D&D che nella scrittura, quella in cui il mondo si agita dentro di me e prende forma e colore man mano che lo sogno e lo disegno.
Mi prendo questo tempo per osservare Anna, Giulia, Enrico e poi Silvia, per immaginare che tipo di giocatori saranno, quali aspetti di Rüssen enfatizzare per rendere la campagna su misura per loro, quali lasciare da parte per non turbarli. Ancora li conosco poco, ma le vibrazioni che avverto sono positive e mi mettono addosso un'energia pazzesca.
Sto per riprendere parola e distribuire le schede quando il mio telefono squilla. Approfitto della loro concentrazione sulla mappa per prenderlo e guardare il messaggio che mi è appena arrivato e mi serve uno sforzo incredibile per non sussultare visibilmente quando leggo il mittente: Marco.
Ciao rospetta, come va?
È un casino che non ci sentiamo, ho visto sul tuo IG che ora sei a Pisa. Quando ci becchiamo così mi racconti la tua nuova avventura?
Rospetta... Mi chiamava sempre così, alle superiori, e ora leggerlo dopo quello che è successo a Capodanno mi provoca una contrazione davvero poco piacevole allo stomaco. Sono passati sei mesi e ancora l'imbarazzo per la mia figuraccia non è passato. Chissà se sta ancora con la stessa ragazza, chissà se ridono di me nei loro momenti di intimità. Il solo pensiero di Marco con un'altra è sufficiente a rovinare tutto il buon umore di questa serata.
Silvia deve accorgersi di qualcosa dalla mia espressione, perché mi poggia una mano sulla spalla e sussurra: «Tutto bene? Sei pallida.»
«È Marco» mormoro, e non riesco a dire altro ma è sufficiente perché lei capisca e prenda la situazione in mano.
«Allora» dice a voce alta, attirando l'attenzione del trio su di sé. «Che ne dite di ordinare qualcosa da sgranocchiare mentre Ale riordina le idee e si prepara per la nostra avventura?»
Tutti annuiscono convinti, Silvia si alza e li scorta verso il bancone. Torna indietro giusto per chiedermi: «Ti porto qualcosa? Di forte, magari?» e quando le rispondo: «Non saprei...» sparisce dalla sala esclamando: «Lascia fare a me!»
Torna con due bicchieri strapieni di quello che sembra cuba libre, che non è proprio il massimo quando si dovrebbe essere lucide per masterare una campagna ma in questa situazione è una benedizione. Poi sparisce di nuovo e ricompare con un toast, che mi mette davanti con un sorriso.
«Pronta?» chiede a voce alta, e io guardo lei e i nostri tre nuovi compagni di avventura e capisco che non c'è tempo e spazio per leccarsi le ferite. Butto giù tutto il dispiacere per Marco con una lunga sorsata di cuba libre, e con uno sforzo sovrumano sorrido ed esclamo: «È il momento di decidere chi sarete in questo nuovo mondo!»
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