I. Morrigan carne Bianca

torna amore
vela delicata e libera
che occupi
il pensiero della mia terra

sto morendo sulla grandiosità di un fiume
che è rosso di desiderio
e vorrebbe
travolgere il tuo amore.

Quando le loro vite cambiarono, il mese d'ottobre stava per giungere al termine. E i venti dell'Indiana erano più forti che mai. Ricordo assoli di chitarra e una pelle così bianca da far paura.
Ricordo le risate, la musica ad alto volume e riconosco l'amore.
Ricordo di una storia così disperata e contorta da far scrivere un libro. Ricordo di un giovane che ogni notte bramava la sua amata al chiar di luna.
E ricordo, perché io ci sono sempre, le azioni del suo cuore.
Alla quale miravano un'altra dolce fanciulla

Indianapolis
Ottobre, 1990

«Possono trovarci!»

Dietro le quinte, di un bar assai affollato, eccoli lì due ragazzi che sì concedevano.
E non importava quanto chiasso c'era fuori, l'importante era amarsi dopo tanti mesi lontani.

Eddie Munson e Chrissy Cunningham erano la coppia più strana che poteva mai formarsi.
Sì conoscevano dal liceo, quando la ragazza indossava ancora la sua stupida tutina con i pon pon e Eddie suonava nei bar con la sua band.
Non sì sa come, un mistero anche per loro, ma solo tre anni prima sì erano ritrovati dopo tanto tempo.

In un bar da quattro soldi, con Eddie che scriveva delle stupide canzoni e Chrissy che studiava in fondo seduta su un tavolo malandato.

«Smettila, Eddie!»

La ragazza amava i suoi dolci baci e le mani sul suo minuto corpo, lo adorava più di ogni altra cosa.
Ma ora non era il momento adatto per fare quasi nulla, gli amici di Eddie lo aspettavano per le prove. E non voleva essere la causa del suo ritardo.

«Sei la mia ragazza, Chrissy.»

Sì staccò dal suo collo, prima di raggiungere la scollatura vigorosa, e lanciò un sorriso alla bionda che era diventata rossa.
Chrissy era una ragazza estremamente privata, non ancora abituata al carattere estroverso e chiacchierone del corvino.

«Le prove, Eddie!» mormorò la ragazza tra le sue labbra quando il corvino sì avvicinò di nuovo.
Sussurrato lievemente perché il ragazzo non le dava via di scampo, era fermo senza nessuna intenzione di muoversi.

Eddie sì staccò lievemente prendendo il suo viso tra le mani, anche Chrissy non voleva staccarsi ma sapeva che non poteva fare tardi.

«Allora devo proprio andare...»

Quando le loro labbra sì toccarono di nuovo, lo stomaco di entrambi cominciò a nuotare.
I suoi anelli erano freddi ma alla ragazza non importava così tanto.

«Ti amo.»
Sussurrò Eddie allontanandosi del tutto da Chrissy, poi uscì completamente quasi correndo.

Le prove erano andate uno schifo e non era neanche attento a quello che stavano facendo. Aveva sbagliato accordi e stonava come mai aveva fatto.

Era confuso.

«Eddie, ma che cazzo! È la quinta volta che proviamo.» esclamò Jeff quasi esausto dopo ben tre ore in studio.

Gareth lo seguì, ancora seduto vicino alla batteria, non riusciva a tenere il conto di quante volte aveva battuto quelle bacchette.

«Scusate, non sono del umore giusto.»
esclamò quasi irritato, stanco di quella situazione.

Quello era il loro primo concerto, non poteva permettersi di stonare in quella maniera e soprattutto di essere così disattento.
Non poteva proprio permetterselo, in nessuna maniera.

«C'entra Chrissy?»

Eccolo, colpito al bersaglio.
Jeff aveva mirato il cuore, proprio nel punto giusto.

Eddie posò la sua chitarra sul divano dello studio, mentre sì buttava a capofitto sopra di esso.
La giacca di pelle ancora indosso, non l'aveva ancora levata.

«Si... no, può darsi.»
Faceva il vago, o almeno ci provava. Ma Eddie era uno specchio, se ti ci specchiavi notavi le sue emozioni a metri di distanza.

«La bionda c'entra eccome, invece.» sussurrò Gareth all'orecchio di Jeff, mentre cercava di prendere una lattina di birra sul tavolo.
Le bacchette infilate nella tasca dei pantaloni in modo svogliato.

Jeff lanciò uno sguardo comprensivo al corvino, lui era praticamente il papà del gruppo. E cercava in ogni modo di avere il benessere di tutti i suoi componenti.

Eddie sentiva come un peso nel petto e quando parlò quattro occhi furono come attirati dal suo racconto.

«Io... io, l'ho detto.»
Jeff alzò le sopracciglia seguito da Gareth che beveva confuso, più sconvolto che mai.

«Cosa hai detto?» cercò di continuare il ragazzo, lasciando stare Gareth che borbottava qualcosa contro il ragazzo.

«Ti amo...a Chrissy. Le ho detto che la amo.»
Lo sguardo di Jeff sì addolcì mentre sì avvicinava al ragazzo seduto sul divano, prese posto vicino a lui cominciando a massaggiare la sua schiena.

«Ma è meraviglioso, Eddie.»

Per Eddie non lo era per nulla e voleva cancellare tutto quello che aveva detto e ritornare indietro.

A lui piaceva Chrissy, come non poteva, fantasticava su di lei da quando avevano tredici anni. Ma non credeva di amarla.

Nei suoi venticinque anni di vita non aveva mai provato quel sentimento così grande, quello che non sai mai spiegare a parole. Perché l'amore arriva e basta, delicatamente e in punta di piedi senza dare fastidio a nessuno.
E solo dopo essere scappato dalla presa di Chrissy e dalle sue dolci labbra aveva capito cosa aveva appena detto.

Ti amo
Detto involontariamente, non lo aveva mai pensato in tutta onestà.

«E lei che cosa ha detto?» domandò Gareth, ora in piedi davanti ai suoi amici estremamente incuriosito.

«Nulla... io sono andato via, prima di ascoltare una sua risposta.»

Jeff sorrise al suo amico mentre gli scombinava i riccioli castani, era contento del rapporto che lo legava a Chrissy anche se delle volte risultavano troppo attaccati.

«Se era per le prove potevamo di certo aspettare, Eddie.» continuò Jeff con ancora le mani tra i suoi capelli, Eddie era ancora in conflitto con sé stesso.

Cosa avrebbe dovuto fare? Amava veramente Chrissy?

Era certamente legato alla ragazza e provava per lei un affetto incredibile. Uscivano insieme da tre anni ma nessuno dei due aveva fatto mai il grande passo.

Eddie sì alzò improvvisamente rubando la birra dalle mani di Gareth, ormai preso dal discorso del corvino non si accorse della sua lattina rubata.

«Dovresti parlare con lei.»

Eddie fece un sorso veloce alla bevanda, asciugando i rimasugli con il dorso della mano, «Forse ho sbagliato... insomma, lei non sì è mai fatta avanti, prima di me.»

La pioggia cominciò a scendere mentre i tre ragazzi parlavano, e non aveva intenzione di cessare con la sua potenza.

«Conosci Chrissy, amico.» pronunciò Jeff, affezionato anche lui alla ex cheerleader che era entrata piano nella sua vita.
All'inizio non credeva di sopportarla, ma poi sì era rivelato un'impresa assai impossibile. Chrissy era pura e gentile, nessuno riusciva ad odiarla.

«Quella donna ti ama, Eddie. Lo vedo... lo vediamo...» continuò Jeff indicando anche Gareth, che di risposta annuì anche se non stava capendo un bel nulla.

«Non scoraggiarti, l'hai ammesso? Qual è il problema? Nessuno! State insieme da tre anni il momento doveva pur arrivare.»
continuò Jeff mentre sì rialzava dal divano e prendeva il suo basso ancora collegato.

Il momento doveva pur arrivare.

Se i ragazzi sì stavano divertendo a strimpellare i loro strumenti, dall'altra parte della città di Indianapolis non sì poteva certo dire che le cose erano migliori.

Non per Morrigan, carne bianca, che cercava con tutta sé stessa di non piangere nel bagno sudicio della cucina di uno stupido ristorante.

«Morrigan, sono io! Sono... sono Nastia, devi aprire questa porta.»

La ragazza dietro alla porta non sembrava mollare e ricominciò a battere più forte, fino a consumare il legno della porta sotto i suoi grandi schiaffi.

La lamentela era sempre quella.

Apri Mor. Morrigan, ti prego, aprimi.

Morrigan era come imbalsamata, seduta su quel pavimento che sporcava facilmente il pantalone.

«James è molto arrabbiato! Non la passerà liscia!»

A Morrigan non importava molto e continuò a piangere sotto i suoi occhiali dalle lenti scure.
Quel poco che riusciva a vedere era diventato ancora più scuro e senza luce, la ragazza non riusciva proprio a rispondere.
Voleva soltanto tornare a casa.

Indianapolis
Settembre, 1990

Nastia e Morrigan erano tranquillamente appoggiate sul bancone del locale, Morrigan era continuamente vicino al fianco di Nastia, con in mano il suo bastone che l'aiutava a camminare. Non era completamente cieca, riusciva a vedere qualcosa, ma era quasi sempre troppo sfocato o complicato.

Gli occhiali da sole cadevano sul suo viso, coprendo in parte gli occhi. Non era molto educato presentarsi in quel modo per fare un colloquio, lo sapeva molto bene, ma ne aveva bisogno.
Sì sentiva insicura senza.

Fece un grosso respiro ingoiando il groppo che aveva in gola, strinse forte il braccio di Nastia con la mano libera.
Il cuore pompava più velocemente ora, l'ansia che diventava sempre di più aumentando secondo dopo secondo.

«Ehi, andrà tutto bene.» disse la sua amica a bassa voce mentre la confortava lisciando la sua mano chiara.

«Vado a controllare, dentro. Qui non sì vede nessuno.» continuò poi lasciando stare la mano della ragazza. Non sentì più il calore di Nastia, che ora l'aveva rimasta da sola al bancone con i suoi stupidi occhiali e il bastone stretto tra le dita.

Non aveva ragione di essere così agitata, il ristorante non era in orario lavorativo e quindi non aveva il timore di incontrare qualcuno di nuovo. Aveva solo paura per sé, e del suo problema che non la lasciava vivere.

Le superiori erano finite anche per lei, da tre mesi ormai, e voleva mettersi in gioco.
Certo, voleva sicuramente continuare gli studi all'università, ma prima doveva trovare abbastanza soldi per cominciare.

Un giorno Nastia aveva introdotto l'argomento lavoro e di come tutto il cast sì trovava in sintonia tra di loro. E in quel periodo dell'anno il locale reclamava nuovo personale, e la paga non era poi così bassa, quindi perché non mettersi alla prova?

Era tutta felice per quella nuova occasione, voleva continuare a sperare in qualcuno che non si sarebbe fermato all'apparenze. Perché Morrigan quando voleva fare qualcosa riusciva, eccome se riusciva, e non sarebbe stato il suo vedere poco il problema.

Sentì Nastia ritornare e prendere il suo braccio mentre cercava di portarla da un'altra parte.

«Dove stiamo andando?» mormorò preoccupata, mentre la ragazza sorrideva mentre sì dirigeva verso un corridoio lontano.

«James vuole incontrarti. Non temere! È un cuore d'oro ti prenderà subito.» disse eccitata stringendo la borsa di tela che cadeva dalla spalla.

«Sicura? Non sarà il mio problema a fermarlo?»

«Sciocchezze!» mugugnò ancora la sua amica mentre bussava alla porta che avevano raggiunto in un batter d'occhio.

«Avanti.»

Una voce maschile e autoritaria aveva confermato la loro entrata, Morrigan non poteva vedere lo studio ma l'odore di pino era estremamente forte e buono.

Nastia sì allontanò di nuovo, stringendo forte la mano dell'uomo che sì era alzato dalla sedia per essere di fronte alle due ragazze.
Nastia indicò con un sorriso stampato sul volto Morrigan davanti alla porta tutta tremolante.

James fu colpito dalla carnagione pallida della ragazza e dai suoi capelli bianchi come seta, sembrava un angelo nel verso senso della parola.

«James... lei è Morrigan,» prese la mano libera della ragazza tra le sue di mani e cominciò a mettere in atto una breve presentazione.
«Mor lui è James, il mio capo.»

Nastia voleva dire nostro ma sì fermò, cominciò a sorridere vedendo la ragazza che di testa sua aveva avvicinato una mano bianca aspettando solo di essere stretta.

James tentennò, guardò i suoi occhiali con le lenti scure, i capelli bianchi e per completare tutti i pezzi il suo sguardo sì fermò sul suo bastone marrone.

Lasciò stare e strinse forte la sua mano ricambiano un sorriso, che Morrigan vedeva a stento.
Non vedeva neanche bene la sua faccia in verità.

«Ciao, Morrigan. Io sono James, vuoi sederti così parliamo un po'?»

Morrigan era spaventata. Spaventata di tutto, dell'opportunità che quell'uomo le stava dando.
Non si era fermato a primo impatto, non aveva accennato per nulla il suo problema.

Annuì stringendo il suo bastone mentre James sì era allontanato e Nastia che le dava una leggera spinta come per spronare la ragazza.

«Rispondi solo alle domande, sei già dentro se fai così.» mormorò piano vicino al suo orecchio per farsi sentire solo da lei.

«Nastia!»

«Esco fuori, lo so! Ho capito.»

Alzò le mani in modo innocente, mentre usciva e accostava la porta in modo da sentire almeno un po'.

Nastia era un vortice di emozioni e la stessa cosa era Morrigan, che in una maniera aveva ottenuto il lavoro che tanto desiderava.

Il mese di prova era passato abbastanza velocemente, era quasi volato.
Morrigan non aveva avuto molta difficoltà, gli occhi erano mal funzionati ma era un asso con le orecchie.

Più che altro aiutava nella sezione bar, o almeno ci provava, delle volte diventava davvero molto rumorosa e gli epiteti che la gente le lanciava la facevano rabbrividire.

Solo il giorno prima aveva ascoltato la conversazione di due signore lontane, intenta a lavare delle tazzine per il caffè, e quello che cominciò a sentire la lasciò spiazzata.

«Ha i capelli bianchi, la vedi? Non starà bene, poverina...»

«A che razza appartiene, non ho mai visto gente così.»

«Povera figlia.»

Alcuni la chiamavano fantasma, ma non ci aveva dato tanto peso. Essere una ragazza albina negli anni novanta portava certamente dei grandi problemi, specialmente ad impatto sociale.

A scuola veniva continuamente presa in giro, rigirata come una buona a nulla.

Non aveva mai pianto per gli insulti, non davanti a chi infliggeva, era sempre rimasta zitta. Ma delle volte diventava davvero impossible non opporsi.

Quel giorno non era stato poi così diverso, anche dopo che gli insulti erano diventati meschini ed estremamente personali.

«Quante dita sono?»

Un ragazzo, venti anni circa, aveva preso una bella fissa per Morrigan quella sera. Gli aveva servito una birra, come faceva con tutti, e il ragazzo aveva fatto pressione sulla sua mano.

«Che bella pelle»

La ragazza aveva levato forte la mano, ma lui sembrava non rinunciare. Cercava più contatto, che Morrigan non poteva dargli.

«Sei così carina.»

E Morrigan non rispondeva intenta a mettere al proprio ordine dei fazzoletti e appoggiarli sul bancone.
Il ragazzo appoggiò di botto la bottiglia, quasi a rompere il vetro, stringeva il suo polso stretto. Morrigan con ancora i suoi fazzoletti tra le mani. Gli occhi lucidi non visibili per colpa degli occhiali.

«Oltre ad essere cieca sei anche sorda, brutta puttana.»

Le lacrime scendevano, non aveva fatto nulla di male per meritarsi quello che stava facendo quel ragazzo.

Non lo vedeva in faccia ma era sicura che stava ridendo, alzando soltanto le guance senza emettere nessuna risata.

Nella sua breve vita Morrigan era sempre stata insicura: di sé stessa, delle azioni che faceva e persino camminare con un bastone le dava fastidio.

Riuscire a vedere il poco indispensabile era la prima ragione, quante persone avevano riso davanti a lei a sua grande insaputa?

Molte, per non dire tutti
E no, signori, non chiedetemi perché.

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questo capitolo non era previsto, in verità neanche pubblicare la storia così in anticipo. ma... avevo questa storia veramente da troppo tempo nelle bozze ( diciamo da inizio giugno lol) e volevo pubblicarla.
al momento sto scrivendo due storie ( la morte è l'assentarsi dell'eterno e come fumo i nostri ultimi giorni) ma visto che la prima storia è quasi finita posso concentrarmi su questa <3
scusate gli errori, ma farò presto una revisione generale.

precisazioni: morrigan, la protagonista, è una ragazza albina questo spiega perché la pelle chiara e i capelli bianchi.
ricordo sempre che i due protagonisti hanno sette anni di differenza, quindi se non ti senti a tuo agio passa avanti.

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