IV. Mali principii malus exitus
Cosa avrebbe dovuto fare? Imprigionata in un luogo ostile e lontano, gli dei avversi a lei e alle Sabine, era come bloccata in uno stato di apatia, in cui non riusciva a piangere, gridare, agire. Voleva crogiolarsi nell'illusione che il dio Somnus avesse deciso di farle uno scherzo e che tra poche ore si sarebbe risvegliata nel suo letto, a casa. Chiudendo gli occhi, era sicura di riuscire a percepire il profumo dei capelli di sua madre e il calore del suo abbraccio: le sue braccia la stringevano forte, così come faceva quando era solo una bambina e aveva bisogno del suo conforto.
La realtà, però, era ben diversa: stava per sposarsi con uno sconosciuto, un barbaro reietto che l'aveva incastrata in un matrimonio senza onore, e che l'avrebbe condannata all'esilio dalla sua amata Cures.
«Domina» la voce di Alba la riscosse dai suoi pensieri «Sei davvero bellissima».
Claudia le abbozzò un sorriso genuino, senza rispondere: la vecchietta, con i suoi capelli canuti, il passo claudicante e gli occhi dolci come miele e fichi, le trasmetteva serenità e amorevolezza. Sapeva che era sincera e che era dispiaciuta per la situazione in cui era stata costretta: lo vedeva in ogni suo gesto, in ogni carezza che le aveva rivolto, in tutte le parole che avrebbe voluto esprimere ma che non poteva dire.
Poco prima, le aveva fatto indossare le vesti nuziali: una tunica bianca senza orli, lunga fino ai piedi e fissata con una cintura di lana dal doppio nodo, mentre al di sopra di essa portava un mantello color zafferano; i capelli erano acconciati in sei trecce, attorcigliate alla sommità della testa con dei nastri rossi, e un velo arancio era posato graziosamente sul suo capo. I tessuti erano di fattura pregiata e senza dubbio erano stati importati e lavorati con grande cura. Un'opera così ben realizzata richiedeva tempo e Claudia, non appena ne aveva saggiato la consistenza, si era chiesta da quanto, esattamente, i Romani stavano pianificando questo matrimonio.
«So che non hai alcun desiderio di restare qui» le disse mentre le rassettava il velo, con lentezza e delicatezza, come se stesse curando un piccolo passerotto caduto dal nido «Ma ti prometto che verrai trattata al pari di una dea e che presto Roma avrà il sapore di casa».
Claudia, nel frattempo, si stava rigirando la parte inferiore dell'abito tra le dita incerte e nervose. «Cetego è un uomo gentile?» le domandò.
«Il dominus è una persona giusta e paziente. Non ti farà mancare nulla».
«No, intendo dire...mi ascolterà? Ascolterà le mie richieste?».
Girò il volto, alzando lo sguardo verso quello della donna, che la stava osservando dall'alto con un sorriso malinconico e occhi lucidi, colmi di compassione quanto il cuore di Claudia lo era di paura. «Io...non so se me la sentirò stanotte di...capisci cosa intendo, Alba?».
Era questo che le Troiane avevano provato quando erano state prese come schiave dai Greci? L'attesa non faceva altro che aumentare la paura e aver dato voce al suo timore più grande, l'aveva reso immenso. Se il romano l'avesse fatta sua quella notte stessa, né suo padre, né i soldati di Cures avrebbero potuto salvarla: sarebbe stata in tutto e per tutto una donna di Roma, il suo dovere sarebbe dovuto andare solo al marito e alla sua nuova città. I desideri del cuore sarebbero passati in secondo piano davanti a un atto così sacro, compiuto nel nome degli dei.
«Bambina mia, questa tua ansia è comprensibile, ma vedrai che tuo marito saprà guidarti in quel momento così delicato» cercò di confortarla.
Ma la fanciulla non voleva saperne. Scosse la testa, un nodo in gola sempre più pressante.
«Non voglio» sussurrò in tono esasperato, la voce spezzata.
Alba non commentò altro, forse per non turbare il suo animo già delicato. Si limitò a darle un'ultima carezza, prima di annunciarle che era ora di raggiungere il suo promesso sposo all'esterno della casa. Allora, Claudia si alzò con gambe deboli e traballanti dal letto, e si aggrappò alla mano fragile e rugosa che le stava offrendo con tutta se stessa: temeva il momento in cui avrebbe dovuto lasciarla per una ben più grande e vigorosa, e fare così il primo passo verso la sua condanna.
Fuori, Cetego non era solo, ma era accompagnato da quattro uomini che non aveva mai visto. Non appena la notò, incurvò le labbra verso l'alto, deformando così la cicatrice in una linea ancor più grottesca e frastagliata.
Le offrì il braccio. La ragazza l'afferrò titubante e iniziarono ad incamminarsi, mentre gli altri quattro romani li seguivano come ombre, silenziosi ma presenti.
«Sei bellissima, Claudia, una visione per gli occhi. Gli dei mi sorridono» le sussurrò all'orecchio.
Claudia tenne la testa basta e non fiatò, troppo avvilita e mortificata per poter rispondere a un complimento che aveva il sapore di uno schiaffo.
«Lo sai dove stiamo andando?» rincarò la dose.
Scosse il capo.
Il romano sospirò. «Non ti mangio se parli, lo sai, vero?».
Claudia lo sapeva bene. Le pareva che l'uomo, così entusiasta di essere in procinto di sposarsi, non stesse aspettando altro che un suo gesto di apprezzamento, un sorriso più dolce che dimostrasse l'accettazione a cuor leggero di quella nuova vita. La sconfitta – inevitabile – sarebbe arrivata, ma non appena giunta, avrebbe trascinato dietro di sé le catene della frustrazione, non della speranza.
«No, non so dove stiamo andando» replicò dunque piccata, alzando un poco il viso.
Parve ignorare completamente il suo tono scontroso. «Stiamo andando nel Foro. Prima ci sarà un discorso del re e poi tutte le nozze verranno celebrate con il rito della confaerratio. Alla fine, ci sarà un grande banchetto per festeggiare il giorno più importante della storia di Roma».
Claudia non commentò ulteriormente, ma incominciò a guardarsi intorno. La via che stavano percorrendo aveva un aspetto desolato, con ciottoli sparsi nel mezzo della strada e case povere, costruite in materiale deperibile, che la percorrevano ai lati. Si ritrovò subito a rimpiangere la sua amata Cures, che con la sua impeccabile organizzazione e manutenzione era una città molto diversa.
«Queste strade devono essere ancora sistemate: non sono molto battute e la priorità del nostro re si è concentrata sul Foro» le disse Cetego, probabilmente notando il suo sguardo un po' deluso e un po' disgustato.
«Spero vengano sistemate: sono pericolose per i carri».
«Solleverò il problema al più presto. Dovremo percorrerla frequentemente e non voglio incidenti di nessun tipo».
Svoltarono in un vicolo laterale, immergendosi subito in una delle vie principali, dove il clima era completamente diverso. Se la strada precedente era battuta da pochissime persone, in questa se ne stavano riversando centinaia, e la cosa più sconvolgente era rappresentata dall'incredibile numero di ragazze che erano state lì costrette, proprio come lei. Quella vista le fece uno strano effetto. Di primo acchito, si sentì felice, consapevole di non essere l'unica a dover sopportare quel terribile affronto, ma subito dopo si vergognò di aver provato questa sensazione: non avrebbe dovuto gioire del fatto che anche altre Sabine si trovassero nella sua stessa situazione disperata. Purtroppo, non poté evitare di tirare un sospiro di sollievo nel rendersi conto che avrebbe potuto condividere il suo dolore con qualcuno.
«Per Giove, pensavo di essere anche partito in anticipo» bofonchiò Cetego, chiaramente irritato dal caos.
Nonostante la calca, fu possibile camminare fino all'ingresso del Foro, dove però le persone ammassate erano talmente tanto che a Claudia pareva difficile pure respirare; per paura di essere trascinata lontano dalla folla, si aggrappò con forza al braccio dell'uomo, premendo il viso contro il suo petto, e lui ne approfittò per stringerla a sé. Non stava apprezzando quel contatto fisico, ma la paura di morire soffocata era troppo alta per potersene preoccupare.
I quattro uomini che erano giunti con loro iniziarono a tirare spintoni e sgomitate per permettere ai due di passare in mezzo a quel mare di gente; le mani di Cetego parevano radici tanto la tenevano stretta, salde al terreno come lui lo era al suo corpo.
Allentò la presa solo quando furono in testa alla folla, circa in terza fila, dove lo spazio era ampiamente più largo. Davanti e accanto a loro c'erano uomini e fanciulle abbigliati riccamente, presumibilmente la rappresentanza del ceto aristocratico di Roma, di cui era certa che anche il suo futuro sposo facesse parte – nessuno, infatti, si sarebbe potuto permettere vesti dalla fattura tanto pregiate quanto la sue, se non una persona benestante.
Dinanzi a loro si trovavano due edifici e un altare; essendo il Foro di ogni città somigliante, Claudia non ebbe dubbi nell'identificare i primi due come la curia e il comizio, due edifici sacri dalla forma rettangolare e un solo ingresso, in modo da poter controllare che nessuno spirito maligno entrasse al loro interno. La curia era il luogo in cui si riunivano i capi delle trenta curie, rappresentati il consiglio del re: era più piccola rispetto al comizio ma situata in posizione sopraelevata, a simbolo della sua superiorità; nel comizio, invece, si ritrovava il comitium curiatii, il popolo riunito in curie.
«Stai bene?» le domandò con voce preoccupata Cetego.
«Sì, sì. Mi sono solo spaventata per la ressa».
Il romano annuì, percorrendo con gli occhi la sua figura e probabilmente verificando che fosse realmente incolume.
«Sono partito prima volutamente per evitare il caos, ma credo che tutti abbiano avuto la stessa idea. Ora dovremo aspettare un po' prima dell'arrivo di re Romolo».
«Va bene».
Un silenzio opprimente si distese fra di loro. La sabina, nel frattempo, incominciò a guardarsi intorno, per cercare di riconoscere qualche viso famigliare ed evitare lo sguardo di Cetego.
«Allora, Claudia» esordì nuovamente per riempire il vuoto «Immagino tu sappia dove ci troviamo. Questi edifici ci sono anche a Cures, no?».
La ragazza gli lanciò un'occhiata tagliente. «Vivo a Cures, Cetego, non in mezzo a una foresta».
«Sì, giusto» osservò lui, chiaramente a disagio. Si passò una mano sul viso e bofonchiò qualcosa che suonava molto come un'imprecazione. Claudia non riuscì a evitare che un sorrisetto si allargasse sul suo viso, trovando l'imbarazzo dell'uomo esilarante.
«Ridi di me?» le domandò, con uno sguardo sornione e giocoso.
Si pentì subito di essersi lasciata andare a un gesto tanto spontaneo e si irrigidì, granitica.
«Hai un bellissimo sorriso. Non devi trattenerlo per colpa mia».
Nell'udire quell'apprezzamento, Claudia si ritrasse ancora di più nella sua cupa pretesa di indifferenza, non volendo mostrarsi accomodante fino a quel punto.
L'uomo sospirò sconsolato, ma non demorse. «L'altare, invece? Scommetto che è diverso da quello di Cures».
«Non lo so, può essere...è per Giove?».
«È il Volcanan, l'ara per il dio Vulcan: esisteva già da prima della fondazione di Roma. Re Romolo ha solo deciso di onorare il dio e lo spazio sacro: ha monumentalizzato l'area e ne ha fatto il fulcro della città» rispose lui, con tono orgoglioso. Era evidente quanto fosse fiero di quello che erano riusciti a creare.
«È stato un uomo saggio per aver deciso di non rischiare di incorrere nell'ira del dio».
«Il nostro re è un uomo saggio e cerca sempre l'approvazione degli dei prima di agire. Non siamo uomini sconsiderati: prima di rapirvi, abbiamo cercato il loro consenso. Non avremmo mai operato contro di loro».
L'ansia si fece ancora più pressante, dopo quell'affermazione. La ragazza era incredula nel costatare come le divinità stessero favorendo fino a quel punto i Romani, abbandonando di conseguenza le Sabine, che sempre si erano mostrate pie e devote. Non capiva che percorso il Fato avesse destinato per lei, o meglio, perché il Fato la stesse indirizzando verso un cammino così scosceso e tortuoso.
«Non ti dico queste parole per farti soffrire» le disse il romano, notando il suo viso angosciato «Ma per farti capire che il tuo posto è a Roma e non lo penso solo io, ma anche gli dei».
Claudia sapeva che era convinto di quelle parole: quando parlava era talmente sicuro di sé da far vacillare anche lei nei suoi pensieri, ma non riusciva ad abbandonare la fievole speranza che qualche divinità – per lo meno Giunone, protettrice di Cures – la stesse ancora proteggendo.
«Non mi interessa» pronunciò decisa «Voglio tornare a Cures».
Cetego aprì la bocca per replicare, ma proprio in quel momento, la folla posta dietro di loro iniziò a mormorare; entrambi si girarono, per cercare di capire cosa stesse succedendo, e man mano che la folla si dipartiva, poterono scorgere due figure, prima punti indistinti, camminare al centro dello spazio libero che si era creato.
«È re Romolo, con la donna che prenderà in moglie» le sussurrò Cetego all'orecchio.
Quella del futuro marito era stata solo una conferma, perché Claudia aveva già intuito chi fosse l'uomo: era pervaso da un'aura di superiorità, data dalla testa portata alta, lo sguardo fiero dipinto sui lineamenti duri e severi. La donna insieme a lui, invece, nonostante l'aspetto giunonico, appariva piccola e spaesata accanto al re, che la offuscava con la sua imponente personalità. Non sembrava più una fanciulla, ma una donna ben formata, ben oltre l'età da matrimonio.
Si posizionarono davanti all'altare, su un palchetto di legno che era stato posto lì davanti, in modo che, dalla propria posizione sopraelevata, tutta Roma potesse osservarli. Il re alzò una mano e tutte le persone iniziarono ad ammutolirsi: l'ordine attraverso tutta la piazza, come un'onda, che raggiunse anche l'ultimo degli uomini posizionato in fondo al Foro.
Quando il silenzio fu assoluto, finalmente parlò:
«Miei cari cittadini, siamo qui riuniti per festeggiare un grande giorno: la nascita della nostra città e del nostro futuro!».
Tutti gli uomini eruppero in grida di giubilo, mentre la sabina percepì nuovamente un senso di nausea pervaderle il corpo.
«Avevamo giurato di prendere solo le ragazze nubili ed Ersilia, già unita in matrimonio con un altro uomo, è stata rapita per errore. Me ne assumo tutte le colpe e per riparare al torto subito, la renderò mia regina!».
Il suo cuore pianse per lei: non solo era stata strappata con forza dalla propria patria, ma anche dal proprio marito, dai figli che forse aveva.
«Ora, mi rivolgo soprattutto a voi, dolci fanciulle: so che in questo momento siete adirate con noi, ma dovete realizzare che questo gesto è stato compiuto a causa della superbia dei vostri padri».
Fece una breve pausa, per rendere più significative le sue parole; mentre scandagliava con lo sguardo la folla, vari mormorii di assenso si diffusero tra i Romani.
«Si sono rifiutati di stabilire legami di matrimonio con noi! Non avevamo cattive intenzioni: avremmo stretto accordi che avrebbero reso più ricchi loro e più felici noi! Hanno rifiutato di donarci qualcosa che ci spettava di diritto: un futuro, in cui avremmo potuto vivere come alleati! È stato a causa della loro hybris che si è resa necessaria questa azione, non perché proviamo piacere nel rapire ragazze la cui unica colpa è avere padri sconsiderati».
Romolo era un abile oratore e Claudia avrebbe scommesso che il suo discorso aveva già iniziato a insinuarsi nella mente di alcune donne, facendone dubitare molte delle proprie convinzioni. Claudia sapeva che il re avrebbe potuto farla dubitare di molte cose, ma mai della propria famiglia: era convinta – e lo sarebbe sempre stata – che l'unica colpa dei suoi genitori era stata amarla troppo e dunque cercare di proteggerla da un matrimonio con un uomo dalla fama poco raccomandabile.
«Voglio chiarire che sarete mogli legittime: avrete una piena cittadinanza e nulla vi sarà negato! Il nostro unico scopo nella vita sarà rendervi felici. Vi esorto dunque a concederci una possibilità: addolcite l'ira e concedete agli uomini il vostro cuore. Non ve ne pentirete!».
In tante iniziarono a guardarsi intorno, per cercare negli occhi delle altre un sostegno, e Claudia non fu da meno: incrociò lo sguardo con una fanciulla dai lunghi boccoli castani che si trovava alla sua destra e nelle sue pupille riconobbe un riflesso delle proprie emozioni. Poteva vedere la rabbia per essere stata presa con la forza, la sofferenza per essere stata separata dalla propria famiglia, la speranza di poter comunque avere una vita normale e più di tutte, il senso di colpa che stava provando per voler disperatamente credere alle belle parole del re. Quanto sarebbe stato bello abbandonare ogni proposito, dimenticarsi dell'onore che doveva portare alla gens Claudia, del dolore che aveva patito, e abbandonarsi tra le braccia di una nuova vita, dimentica di ogni dovere che doveva a quella passata.
«Gli dei ci insegnano che spesso da un'offesa nasce l'amore» continuò Romolo «Proserpina è stata rapita da Plutone, ma ha imparato ad amarlo e ora regna felice e innamorata accanto al sovrano degli Inferi. Se anche la regina di fiori è riuscita ad accantonare l'odio per l'affronto subito e a diventare regina dell'Erebo, sono sicuro che anche voi potrete imparare a donarci il vostro amore, perché posso assicurarvi che il cuore di ogni romano batte solo per la propria prescelta, sin dal momento in cui ha posato gli occhi su di lei».
Non appena il discorso terminò, Cetego non aspettò oltre. Le afferrò le mani, cogliendola di sorpresa, e si pose davanti a lei, la schiena incurvata in modo da essere quasi alla sua altezza. Il suo sguardo si era addolcito, tanto che pure la cicatrice sembrava meno grottesca.
«Claudia, lo so che il mio comportamento ti ha spaventata e che non avresti meritato di essere rapita e ferita in questo modo» le disse, sfiorando con un dito la ferita che aveva sulla fronte «Ma ti prego di darmi una possibilità, una sola: non ti deluderò. Il rapimento è stato fatto esclusivamente per desiderio d'amore: io, al pari di tutti gli altri, volevo solo una donna da poter amare e con cui costruire una famiglia, e questa possibilità mi era stata negata. So che le belle parole non possono cancellare quello che hai subito, ma ti scongiuro di darmi un'occasione per dimostrarti con i fatti che nel nostro matrimonio ci potrà essere tanto amore, felicità e complicità».
Avrebbe mentito se non avesse ammesso che le sue parole l'avevano colpita: dopo una giornata così estenuante, la tentazione di cedere alle lusinghe era alta, ma ancor di più lo era il suo orgoglio.
«Io credo a quello che hai detto, Cetego, ma non posso darti così, su due piedi, una possibilità. Avete combattuto contro i nostri genitori e i nostri fratelli solo ieri: ho una dignità e non posso buttarmi a capofitto tra le tue braccia. Inoltre, cosa ne penserebbe la mia famiglia, i miei antenati?».
«Lo capisco e ti rispetto: sono fiero di aver scelto una donna così ricca di valori. Non pretendo che tu ti apra con me subito, so che è irrealistico, ma vorrei chiederti di provare a farlo: non ora, non oggi, ma in futuro. Si dice che il tempo lenisca le ferite e che la cura migliore per un animo triste siano delle dolci premure: permettimi di provare, per favore».
Claudia voltò la testa, combattuta su cosa rispondere. Era stufa di sentir l'uomo insistere e di percepire quel peso sul petto, il nodo alla gola, il senso di colpa per quello che inevitabilmente sarebbe successo di lì a breve. Voleva che tutto finisse al suo presto, che il rito si svolgesse, per poi andare alla dimora del romano e supplicarlo di non consumare immediatamente quel matrimonio, sperare così di avere ancora un briciolo di onore in sé.
Cetego le alzò il mento e la costrinse a guardarlo negli occhi.
«Avrò una possibilità in futuro?».
Fu così che, esausta, decise di mostrarsi accondiscendente.
«Sì, l'avrai».
Mai bugia fu più dolce.
SPAZIO AUTORE
Anche in questo capitolo mi sono presa una libertà storico-artistica.
La storia è ambientata nel 749 a.C., e nell'VIII sec a.C. le case erano generalmente capanne composte da uno o massimo due ambienti, ed erano fatte di materiale deperibile.
Troviamo il primo esempio di casa a 3 ambienti affiancati, aperti su un portico/cortile antistante tra il 750 e il 725 a.C., a Roma, e si tratta della Domus Regia, la residenza del re.
Era situata nel santuario di Vesta, ed era articolata in 3 ambienti, di cui quello centrale era aperto con due colonne in legno, e su questo spazio era strutturato un cortile.
Le case ad atrio compaiono a Roma solo nel 530 a.C. ca., durante la monarchia etrusca, e si trovavano sulle pendici settentrionali del Palatino, lungo la Via Sacra.
Nella mia storia, ho anticipato la presenza di case più grandi al 749 a.C., quindi molti dei miei protagonisti non vivranno in capanne.
Spero che la mia breve lezione di storia (tratta dal corso di archeologia romana che ho frequentato il semestre scorso) vi sia piaciuta! E anche il capitolo!
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top