Presente ✸ Capitolo 07
Nonostante avessi studiato giorno e notte le immagini dell'appartamento - e del palazzo - trovate sui siti di annunci online, non avevo capito perché mai una stanza tanto grande, a due passi dalla metro e vicinissima al centro città, avesse un affitto così contenuto.
Mi fu chiaro non appena entrai nell'androne dell'edificio, un minuscolo atrio spoglio con le pareti impregnate d'acqua. Mi guardai attorno cercando di notare qualche altro "piccolo difetto" e realizzai, con immenso dispiacere, che l'umidità non era la cosa peggiore perché l'ascensore batteva negativamente sia gli scalini stretti e ripidi che quell'odore pungente di muffa.
L'ascensore era piccolo, claustrofobico e sembrava incastrato in una sorta di gabbia bianca di metallo proprio al centro del vano delle scale. Avevo come l'impressione che fosse decisamente più moderno rispetto al vecchio palazzo nonostante il meccanismo ed i cigolii suggerissero una cattiva manutenzione e poca attenzione durante la realizzazione.
Avrei potuto trascinarmi su per i gradini, ma la valigia mi era d'intralcio e iniziavo ad accusare i primi sintomi di stanchezza.
Spaventata, ma troppo scansafatiche per affrontare sei rampe di scale, mi infilai nel piccolo ascensore pregando che il peso del bagaglio non ostacolasse eccessivamente quella tanta agognata salita. Quando chiusi la porta e premetti il tasto numero tre, l'elevatore scattò pigro tra cigolii e lamenti meccanici e salì su per un periodo di tempo che mi parve infinito.
Un segnale acustico, una sorta di allarme antifurto con un volume troppo alto, mi avvisò del termine della corsa. Per il momento potevo ritenermi salva.
L'interno della mia futura casa era il numero undici, quello senza zerbino e con gli adesivi di Natale ancora incollati sulla porta. Mi pentii immediatamente di aver scartato la seconda opzione, un bilocale a Lucio Sestio da dividere con un venticinquenne di Taranto, e di aver optato per quell'appartamento con due coinquiline tanto distratte. O pigre. O semplicemente sporche.
Sulla maniglia d'ottone c'era depositato uno strato di polvere chissà da quanto tempo mentre sulla superficie di legno si potevano distinguere chiaramente delle ditate oleose. Sì, decisamente le mie coinquiline non avevano molto a cuore la pulizia della casa - cosa che invece mia madre mi aveva inculcato nella testa fino a farla diventare quasi una dottrina sacra da seguire.
Prima che le mie gambe avessero il tempo di mettersi in moto per trascinarmi via di lì, il mio dito indice aveva già premuto il campanello.
Conto fino a cinque, mi dissi trattenendo il fiato e stringendo con forza il trolley, se non aprono me ne vado. Sì, ma dove?
In quel momento la risposta non mi importava poi tanto perché il mio unico pensiero era andarmene via da quella casa, lontana da quelle ragazze sporche, ma ancora intenzionata a vivere la mia avventura romana.
Uno, due, tre, quattr...
Improvvisamente la porta si spalancò rivelando una figura tutta intenta a studiarmi dalla testa ai piedi. Quella ragazza - leggermente più alta di me e con una lunga chioma bionda - restò ferma impalata dov'era a far scivolare i suoi occhi sul mio corpo. Quell'eccessivo contatto visivo mi mise così in imbarazzo che mi costrinsi a parlare pur di rompere quel silenzio imbarazzante - e quella breve ma dettagliata radiografia.
«Ciao, sono Cecilia!» Non trovai nient'altro di più intelligente da dire.
La biondina accennò un sorriso, aprì un po' di più la porta - il giusto per far si che sbirciassi oltre la sua spalla - e sbadigliò.
«Sì, beh, l'avevo immaginato.»
La sua risposta mi lasciò spiazzata: non solo non si era presa il disturbo di presentarsi, ma il tono che aveva usato era stanco ed annoiato quasi a farmi intuire che io lì non ero la benvenuta.
«Non hai passato il test, riprova con qualcun altro, sarai più fortunata» e così dicendo mi chiuse la porta in faccia.
Rimasi ferma sul pianerottolo a fissare sbigottita le impronte oleose sulla superficie scura pregando che fosse soltanto un brutto sogno.
Quella tizia, quella biondina dall'aria antipatica, mi aveva appena tagliata fuori dall'appartamento senza troppi preamboli.
Dove sarei andata?
Avevo abbastanza soldi per pagarmi un motel ma non così tanti da poterci vivere. Certo, avrei potuto cercare lavoro - rinunciando così all'università - e trovare un'altra casa - magari da sola - e... Santo Cielo, quella ragazza aveva appena mandato a monte tutti i miei piani di vita!
Sopprimetti l'impulso di piangere, anche se sentivo il nodo in gola farsi sempre più grande, e richiamai l'ascensore quando la porta si aprì nuovamente.
«Ah, ti prego di scusarmi, era solo uno stupido test per vedere i tuoi livelli di psicopatia. A quanto pare sei a posto, forse un po' troppo melodrammatic... Ehy, stavi per caso andando via?»
Ma che razza di domanda era? L'ascensore salì fino al terzo piano e di nuovo partì l'allarme antifurto mentre riflettevo se era il caso di scappare - anche senza valigia - o di aggredirla verbalmente.
Optai per il silenzio.
«Davvero, devi scusarmi ma era una cosa di vitale necessità. C'è Gaia, quella bestia della mia coinquilina, che ha il brutto vizio di chiudere la gente fuori casa quando ci litiga e volevo simulare la situazione» abbassò lo sguardo sui piedi ed abbozzò un sorriso «Non è affatto piacevole sentire il campanello suonare ripetutamente alle tre di notte, specie quando vorresti fare qualcosa e invece quella stronza minaccia anche te.»
Bene, dovevo per forza essere finita in un covo di pazzi o in una sorta di clinica psichiatrica, non c'era altra spiegazione logica.
«Dico sul serio, Cecilia! E poi sì, lo ammetto, morivo dalla voglia di farmi due risate! Però non andartene, ormai ci sei dentro fino al collo. Vedrai, ti piacerà stare qui con noi. Beh, forse con Gaia un po' di meno, ma ti assicuro che io...»
«D'accordo, d'accordo!» Quella ragazza era logorroica e buffa al limite del possibile. Mi voltai verso di lei e provai a sorriderle ma tutto quel che mi uscì fu una strana espressione di imbarazzo misto a gioia.
«Davvero questa Gaia è così tremenda?»
«Quando vuole sa essere veramente cattiva, sì, ma tu non badare troppo a lei e vedrai che avrai vita facile» detto questo, mi aiutò con la valigia e richiuse la porta di casa - questa volta con me dentro.
Mi guardai attorno cercando di indovinare dove fossero collocate le stanze. Certo, l'antisalone era un piccolo rettangolo occupato da una libreria e da una toeletta di legno, ma sperai che le camere fossero un pochino più grandi, magari con un balcone o con delle finestre ampie e pulite. Immaginavo già un ambiente luminoso, vetri alti nascosti da tende leggere, pareti color pastello e soffitto bianco, tappeti chiari sul parquet di legno e le mie fotografie appese in giro per la stanza grazie ad un cordino di caucciù e qualche molletta.
«Questa è casa» sospirò la ragazza passando la mano sui dorsi dei libri «Ed io sono Diana, scusa se non mi sono ancora presentata e sì, sono una gran chiacchierona incline agli scherzi.»
Sembrava la caricatura angelica di Claudia: Diana aveva la pelle candida, grandi occhi verdi, una cascata di capelli biondi ma la lingua taglia e cuci degna soltanto della mia amica milanese... Solo un po' meno velenosa. I commenti di quella ragazza erano velati di sincera ironia, parlava come se non avesse filtri e, al tempo stesso, come se non si rendesse conto di quel che diceva. Aveva descritto Gaia definendola "una bestia" e "una stronza" ma nella sua voce avevo avvertito una nota di divertimento, come se chiamarla in quei modi fosse pura abitudine.
Magari quella Gaia non era neanche poi così tanto male...
«Da quella parte ci sono le camere, il bagno e la cucina, mentre qui» proseguì indicando una porta situata al lato meridionale dell'atrio «C'è il salone!»
Dovetti rifletterci un attimo su prima di parlare.
«Il... Il salone? Allora l'annuncio che ho letto è sbagliato! C'era scritto tre camere più bagno e cucina abitabile»
«Infatti è così»
«Non capisco! Se c'è il salone vuol dire che c'è una camera in più!»
«No-o» cantilenò e lo sguardo che mi lanciò parlò da sé: ero stata fregata e qualcuno era costretto a condividere la stanza.
«Vuol dire che ci sono tre camere ma una è adibita a salone e al momento nessuno ha intenzione di renderla una stanza da letto... A meno che tu non abbia abbastanza soldi per parcheggiare da qualche parte il tavolo, il divano, il mobile e la televisione, e comprarti un materasso e anche un armadio»
«Ma... Ma questa è...»
«Una truffa? Una stronzata? Una cosa da non fare assolutamente? Sì, lo so»
Esaminai la sua espressione, terribilmente seria e concentrata, e inaspettatamente scoppiai a ridere scuotendo il capo.
«Dai, stai scherzando, sono sicura che...»
Nessun cambio d'espressione: Diana non mentiva.
La piantai lì e mi affrettai a spalancare le due porte per controllare con i miei stessi occhi. Le due vetrate, opache e decorate finemente, cigolarono sotto quel gesto improvviso rivelandomi uno scenario che mai e poi mai avrei voluto vedere - non in una situazione come quella. C'era proprio tutto: il divano, un ampio tavolo di legno in arte povera, quattro sedie, un mobile lungo e perfino un bel televisore al plasma!
«È un divano letto?»
Dì di sì, dì di sì.
Scosse il capo energicamente e si strinse nelle spalle: «No, ma se vuoi provare a dormire lì puoi farlo anche se te lo sconsiglio. L'ultimo coinquilino, Tommaso, ci ha passato due settimane prima di rendersi conto che questa casa non faceva per lui. Boh, so' strani i maschi eh?»
«Allora io dove dovrei dormire?»
«In camera con me, ovviamente. Su, non fare quella faccia! Prima di decidere se dartela a gambe o meno, vieni almeno a dargli un'occhiata e poi decidi che cosa fare!»
Non aveva tutti i torti ma proprio non riuscivo a togliermi quell'espressione ferita, arrabbiata ed indignata che avevo assunto non appena scoperto quel maledetto raggiro.
Seguii Diana a testa bassa per tutto il lungo corridoio passando davanti ad una porta chiusa che la ragazza, tra una risatina e l'altra, mi indicò come "la tana di Satana". Probabilmente si trattava dell'esclusiva stanza da letto di Gaia.
«Eccoci qui» annunciò gettandosi dentro una grande abbastanza dalle pareti bianche e le ampie finestre. Non era proprio come l'avevo immaginata, ma si avvicinava molto alle mie fantasie ed aveva perfino il balcone e delle belle tende arancioni.
La camera però sembrava essere stata pensata e progettata per due fratelli: c'era un unico grande armadio ad angolo, una sola scrivania con un computer ed un letto a castello, uno di quei modelli alti il cui letto di sotto ha le rotelle e si estrae e ripone secondo l'evenienza.
«Accidenti...» Non sapevo cos'altro dire. Ero sbalordita, stordita ma anche un po' divertita da tutta quella stramba situazione.
Dormire nella stessa stanza con una sconosciuta rientrava nei miei piani? Decisamente no, ma l'alternativa del divano sembrava tutt'altro che allettante. E poi in fin dei conti avevo sempre desiderato qualcuno, un amica del cuore, un fratello o una sorella, con cui organizzare pigiama party e condividere storie ed ambienti, stanza compresa.
«Sei ancora sicura di volertene andare?»
No, decisamente. Dentro di me si era radicata l'idea di dare una possibilità a quel posto e a Diana.
«Forse potrebbe quasi piacermi...» Ammisi arrossendo lievemente cercando di evitare lo sguardo trionfante della ragazza.
«Bene, sono davvero felice! Ti giuro, mi ero troppo stancata di condividere la stanza con finti macho man!» bofonchiò arrampicandosi su per il letto di sopra.
«Hai sempre dormito con maschi?»
«Diciamo di sì ma ci sono state anche un paio di ragazze: ad una puzzavano i piedi mentre l'altra si è presa per i capelli con Gaia»
«Hanno litigato?»
«No, no, intendo proprio prese per i capelli. Se le sono date di santa ragione e oh, non c'è stato verso di dividerle. Alla fine Gaia ha avuto la meglio e Laura è stata sbattuta fuori casa...» Si strinse nelle spalle e mi sorrise «C'est le vie»
Oh Dio, Gaia non era cattiva, era proprio tremenda!
«Non preoccuparti, se non le darai problemi lei non ne darà a te. Anche se credo soffra di manie di protagonismo del tipo "Oh no, tutti vogliono provarci con me"» imitò con la vocina «Oppure "Accidenti! Tutti ci provano con il mio ragazzo, maledette signorine facili gnegnegne". Che poi il ragazzo è... Cioè sembra Topo Gigio, devi vedere come s'arrabbia quando lo chiamo così o "Faccia di topo"».
Tutte quelle chiacchiere, nonostante il soggetto fosse tutt'altro che piacevole, mi misero di buonumore.
Scostai la sedia dalla scrivania e mi ci sistemai sopra, curiosa di saperne di più su tutta quella faccenda.
«E tu come ne sei uscita? Cioè perché Gaia ti ha lasciato in pace?»
Diana ridacchiò e si abbandonò indietro, sdraiandosi sul letto e calciando le scarpe da ginnastica da qualche parte sul pavimento. Si tirò su di lato e poggiò la testa sul pugno chiuso mentre ancora rideva allegra.
«Perché ho subito messo in chiaro che non volevo avere niente a che fare né con il suo ragazzo, né con i suoi dubbi esistenziali. Penso che abbia apprezzato la sincerità... A me ha detto bene ma tu fa attenzione a come ti muovi! Purtroppo casa è di suo padre e basta un "papino quella mi tratta male" per buttarti fuori senza troppi complimenti.»
«Come sarebbe a dire che casa è di suo padre? Anche lei è di Roma come te?»
Diana sbuffò e si mise a sedere sul bordo del letto per ciondolare le gambe avanti e indietro.
«No, mi pare che Gaia sia tipo di Palermo. O Salerno... O forse di Crotone, non ricordo mica. Comunque come sarebbe a dire "di Roma come te"? Perché, tu da dove vieni? Il tuo accento suggerisce una cosa ma il tuo modo di comportarti un altro...»
Mi interessava sì scoprire qualcosa in più su quelle due ma non avevo voglia di raccontare la mia storia. Come potevo spiegare ad una ragazza appena conosciuta che avevo cambiato casa - e città - dopo uno sfortunato incidente d'auto? Un attimo prima abitavo a Roma, quello dopo ero a tutti gli effetti una milanese quasi D.O.C.
«I miei sono di Roma ed ho vissuto qui fino ai tre anni, dopo di che hanno deciso di trasferirsi a Milano» mentre pronunciavo quella bugia inventata su due piedi, mi assicurai di guardarla dritta negli occhi e di non tradirmi con movimenti tesi o frasi farfugliate. A sostegno di quella falsa confessione, abbozzai un sorriso e proseguii: «Non ricordo quasi nulla di questa città ma non vedo l'ora di riscoprire tutti i suoi luoghi magici grazie ad una serie di foto scattate dai miei durante una vacanza qui a Roma...»
Diana però sembrava aver perso qualsiasi interesse verso di me e la mia storia preferendo invece concentrarsi sul display del telefono. Io la mia parte l'avevo fatta, ora volevo sapere qualcosa in più su di lei e sul suo conto.
«E tu come mai sei qui e non a casa dei tuoi genitori?»
Ma la ragazza si era completamente disconnessa da me e da quella conversazione incentrata sulla nostra vita privata. Non mi guardava più, continuava a fissare divertita il cellulare, eppure qualcosa dentro di me mi suggerì che stava solo fingendo per evitare la mia domanda.
«Figo, figo» bofonchiò scendendo dal letto e scuotendo allegramente il capo.
«È quasi arrivata l'ora» annunciò poi in tono solenne rivolgendomi un'occhiata che per qualche assurdo motivo mi lasciò addosso una brutta sensazione.
«L'ora di che?» Non appena finii di parlare, il campanello trillò facendomi sobbalzare dalla sedia. Gli occhi di Diana parlavano da soli, era un silenzio che non andava spiegato ed io, seppur a malincuore, avevo capito tutto.
«Satana è appena tornato.»
Angolo autrice: fra mezz'ora devo andare al lavoro ed ho la stessa voglia di quando la mattina mi suona la sveglia alle cinque e mezza per avvertirmi che la pacchia è appena terminata. Bene così.
L'aggiornamento non era previsto per oggi e anzi, più passava il tempo e più domandavo quando mi sarei messa davanti al pc a dedicare un po' di tempo a ciò che amo di più. Il capitolo stava marcendo su questo portatile da settimane ed io ho continuato a fare avanti e dietro sui mezzi, con un quadernino sempre in borsa, in attesa di tornare a scrivere. Non so cosa mi stia succedendo esattamente in questi ultimi tempi, ma sono esausta. Vorrei mettermi a scrivere in ogni momento libero che ho ma, non appena trovo quei venti minuti di libertà, preferisco crogiolarmi nell'ozio e poi lamentarmi che non ho tempo.
A parte questi deliri pre-lavoro (per favore qualcuno mi salvi), ecco a voi il settimo capitolo di Amnesia. Ho una domanda che mi preme e che devo farvi: come immaginate Gaia?
Ah, vorrei ringraziare tutte quelle persone che hanno continuato ad inserire la storia tra gli elenchi di lettura e tutti quelli che mi seguono/hanno continuato a seguirmi nonostante il mio silenzio qui su Wattpad. Sono un casino, sono ritardataria e un sacco bradipo, però grazie a voi penso che quel che sto facendo non è proprio uno schifo.
Grazie di cuore,
Karma.
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