Presente ✸ Capitolo 04
Neanche il suono del campanello riuscì a trascinare mia madre fuori dalla cucina.
Dopo il nostro "piccolo" diverbio, avevo deciso di rimettere tutto in ordine e di iniziare ad infilare i vestiti in valigia. Nel mio armadio la scelta degli abiti non era molto vasta perché indossavo sempre le solite t-shirt monocromatiche e qualche felpa larga a cui abbinavo delle scarpe da ginnastica.
Finii il bagaglio in silenzio aspettando, però, che mamma facesse capolino dalla porta per chiedermi se fossi veramente sicura di quel che stavo facendo.
Continuò a fumare per tutto il pomeriggio finché la situazione non divenne ingestibile per tutti quanti: quando Roberto uscì di casa per recarsi a lavoro, restammo solo io e lei nel grande appartamento di Milano. Il silenzio era calato su di noi come un lugubre messaggio di sventura ed io non riuscivo a fare nulla se non a concentrarmi su quella quiete malata ed arrabbiata. Decisi quindi di chiamare mio padre e di pregarlo di venirmi a prendere.
Lui al telefono non mi chiese nulla anche se dal suo tono di voce si capiva perfettamente che fosse preoccupato.
Un'ora dopo era giù in strada che mi aspettava con il motore ancora acceso. Suonò un paio di volte ma quando capì che nessuno avrebbe aperto per farlo salire, se ne tornò in macchina ad ascoltare la musica alla radio.
Trascinai la valigia per tutto il corridoio e mi fermai davanti la porta della cucina. Fissai mia madre, appoggiata alla finestra a fumare, indecisa se parlare o meno.
Fu lei a rompere il silenzio.
«E così hai chiesto aiuto a tuo padre» commentò in tono mellifluo, gettando il mozzicone di sotto e voltandosi verso di me «Spero davvero che ti possa essere d'aiuto in qualche modo...»
Si strinse le braccia al petto e scosse il capo. Di nuovo, come era avvenuto qualche ora prima, mi passò accanto senza neanche toccarmi e, questa volta, senza degnarmi di uno sguardo.
«Sul tavolo ci sono cinquanta euro, spero ti bastino. Buon viaggio».
Chiuse la porta della camera con un tonfo. Trattenni le lacrime e iniziai ascendere le scale con la valigia alla mano.
Lasciai i soldi lì: avevo bisogno di conforto, non di denaro.
Mio padre mi osservò da dietro gli occhiali da sole ma decise di risparmiarsi le mille domande e di aiutarmi semplicemente a caricare la valigia in auto. Quando gli fui vicino, cintura di sicurezza allacciata e finestrino rigorosamente abbassato, finalmente parlò.
«Credo che tu debba darmi parecchie spiegazioni, signorina...»
Non era arrabbiato, non era spaventato ma solo un po' confuso. Si voltò verso di me quanto bastava per lanciarmi un'occhiatina severa - da buon padre premuroso - ma poi si sciolse immediatamente in una risata che però suonò fuori posto.
«Scusa» si sbrigò ad aggiungere mentre svoltava a destra «È che speravo che almeno questa volta tua madre mi lasciasse entrare e invece... L'hai fatta arrabbiare molto, vero?»
«Io non c'entro nulla. Lo sai che con te fa sempre così» tentai di giustificarmi.
Mio padre fece una smorfia strana - arricciò le labbra e grugnì - ma tornò subito con la sua solita espressione serena.
«Sì, è vero, ma continuo ancora a sperare che tutto torni come prima... A proposito, cosa devi fare con quella valigia? Hai deciso di prenderti una vacanza dai due psicopatici e di stare due settimane cuore a cuore con tuo papino?»
Mi piaceva quando faceva lo stupido e cercava di gettarsi tutti i problemi alle spalle. Sapevo bene che ancora soffriva molto per mamma, che quel divorzio forzato non gli era mai andato davvero giù. Ammiravo mio padre, la forza che aveva di affrontare la giornata e tutti i problemi che la separazione da mamma gli aveva causato, a partire dalla solitudine fino al mantenimento di entrambe.
«Roberto ultimamente è fuori di testa» bofonchiai «Credo sia per colpa del campionato, tu che dici?»
«Oh, brutta storia per l'Inter, tesoro mio,...»
Ridemmo insieme ed ascoltammo in silenzio una canzone alla radio - Hotel California dei The Eagles, che a lui piaceva tanto - fino a quando sputai il rospo senza quasi respirare. Gli raccontai tutto per filo e per segno: gli confessai del biglietto del treno, delle coinquiline e di quell'appartamento romano, dell'università e della sceneggiata di mamma. Per qualche oscura ragione decisi di omettere la parte delle fotografie sicura che mio padre avesse poco a che vedere con quella storia.
Mentre parlavo cercavo di guardare davanti a me - la punta logora delle scarpe da ginnastica, il tappetino dell'auto, la strada trafficata - ma non potei fare a meno di osservarlo e di notare la sua espressione sconcertata e un po' divertita.
«... E così adesso mamma mi odia e mi ha praticamente invitata a scoprire chi ero per poi piangere, questo è quanto».
Silenzio,di nuovo quel maledetto silenzio che sembrava scandire gli attimi peggiori della mia vita. Papà guidò senza dire nulla per gli ultimi due kilometri di strada quando ad un certo punto scoppiò a ridere più forte di prima.
Scosse il capo nel tentativo di darsi un minimo di contegno ma ogni volta che apriva bocca per parlare, tutto ciò che usciva dalle sue labbra erano dei sghignazzi divertiti.
«Accidenti Cecì» il suo accento romano venne fuori quando chiamò ad alta voce il mio nome «A volte ho come l'impressione che tu voglia far morire di crepacuore tua madre...»
Tirai un sospiro di sollievo: l'aveva presa bene.
«No, al contrario! Credo invece che sia lei che voglia farmi morire, ma di solitudine» era un pensiero che esternai senza cattiveria. La mia vita a Milano era progettata solo ed unicamente da mia madre nonostante avessi compiuto vent'anni durante l'estate. Era lei che decideva cosa dovevo fare e con chi, che zone frequentare e quali evitare e, sopratutto, aveva monopolizzato tutte le mie amicizie.
Per qualche oscura ragione aveva accettato Claudia anche se le piaceva poco: sosteneva che la mia amica avesse una cattiva influenza su di me con tutta quella libertà nel vestire e nel parlare. Silvia, Cristina e Laura invece erano state ufficialmente cancellate dalla sua lista di "persone okay da frequentare" privandomi, in questo modo, della compagnia di tre ragazze simpatiche, leggere e con una passione sfrenata per la musica rock degli anni Sessanta.
"Ti faranno diventare come loro" aveva detto una volta "una hippie drogata che preferisce spendere i suoi soldi in erba piuttosto che in qualcosa di costruttivo". Il discorso non fu mai più aperto ed io fui costretta ad allontanare quelle tre probabili nuove amiche con una scusa poco chiara e credibile.
Se non fosse stato per Claudia - e per la benedizione che mia madre le aveva concesso - avrei passato gli ultimi anni di scuola incompleta solitudine.
«Non essere dura con lei, lo sai che ti vuole bene...»
«Beh, mamma ha un modo tutto strano di dimostrarmelo» ribattei prontamente incrociando le braccia al petto e volgendo il viso verso il finestrino. Parlare di lei con papà non mi piaceva affatto.
«È solo che vuole proteggerti, sai, dopo quello che è successo...»
«Stai parlando dell'incidente?»
Papà sospirò.
«Non solo. Parlo anche di quello che è successo prima...» lasciò la frase sospesa nell'aria e non proseguì oltre.
Tornai a guardare il suo viso, ora non più sereno, nel tentativo di cavargli dalla bocca qualche informazione più. Cosa c'era prima dell'incidente? Che adolescente ero stata?
«Cosa vuoi dire?» domandai per esortarlo a confessare.
Lui scosse il capo ed imboccò la via di casa. Non me l'avrebbe detto.
«Non sta a me dirtelo, Cecilia. È una storia complicata... Tu eri molto» ci pensò su «vivace» concluse.
Non so se"vivace" fosse l'aggettivo esatto o se mio padre stesse soltanto sminuendo o accentuando un aspetto della mia vecchia me, l'unica cosa di cui avevo certezza era nulla.
Vacillavo sul niente assoluto dal giorno dell'incidente, il resto era solo una serie di ricostruzioni mentali che avevo fatto tramite racconti rivelati per metà.
«È tua madre la persona con cui dovresti parlarne» continuò papà dopo un momento di silenzio mentre faceva la prima manovra per entrare in un piccolo parcheggio «Lei è sempre stata con te mentre io...»
«Mentre tu cosa?» mi sembrava assurdo, non poteva essere vero. Papà era la persona con cui preferivo trascorrere il mio tempo - se non si teneva conto di Claudia -, colui che faceva di tutto per rendermi contenta. Capitavano giorni in cui faceva avanti e indietro con l'auto solo per passare due ore con me a chiacchierare in un bar o a passeggiare per le vie commerciali di Milano, tutte cose che invece mia madre dava per scontato e che, proprio per questo motivo, non faceva mai in mia compagnia.
Scosse il capo e serrò le labbra, incapace di proseguire oltre. C'era qualcosa nello sguardo di mio padre che mi preoccupava, qualcosa che lo turbava al punto tale di non aver voglia di proseguire la chiacchierata.
Girò le chiavi nella toppa e la macchina si spense con un borbottio stanco. Aprì la portiera e scese senza dire nulla, ma quando ci ritrovammo vicini, l'uno accanto all'altra davanti alla porta di casa, trovò il coraggio di confessare.
«Sai Cecilia, tu prima eri molto difficile ed io faticavo a starti dietro. Mi facevi perdere la pazienza, sul serio. C'erano volte in cui avrei voluto sbatterti al muro per quanto mi facevi perdere la testa ed era tua madre quella che si metteva sempre in mezzo per difenderti. E poi c'era di mezzo il mio lavoro, quei continui spostamenti e tutti i problemi con il mio capo...» fece una breve pausa per rivolgermi uno sguardo morbido, tenero «Ma adesso le cose sono cambiate ed io sto facendo di tutto per rimediare al passato. Evidentemente tua madre sta reagendo in modo diverso ed è capibile, per quanto detestabile.»
Si catapultò in casa e sistemò la valigia in corridoio, nello scompartimento in basso di una vecchia credenza piena di libri e cianfrusaglie.
Faticavo a credere alle parole di mio padre ed una serie di domande avevano preso vita nella mia testa: davvero ero così terribile, prima?
Non riuscivo a capire cosa facessi di tanto scandaloso per far arrabbiare così tanto mio padre. Mio padre! L'uomo che non si irritava mai e che viveva con la filosofia del "lascia scorrere".
«Davvero ero così tremenda?» gli chiesi rincorrendolo fino in cucina dove si era seduto a leggere il quotidiano.
Papà aveva appena indossato gli occhiali da lettura - troppo piccoli e stretti per un viso tondo e pieno come il suo - quando alzò lo sguardo verso di me. I suoi occhi, sotto la lente, risultarono grandi il doppio.
Sbuffò e mi fece cenno di sedermi di fronte a lui.
«No, non eri proprio tremenda. Stavi crescendo e si sa che l'adolescenza è un periodo critico per tutti» si indicò il viso e sorrise «Prendi me, per esempio, che a sedici anni avevo la faccia piena di brufoli ed i miei compagni di classe non facevano altro che prendermi in giro... Ognuno convive con i propri drammi che a quell'età ci sembrano molto più grandi di noi!»
«Stai insinuando che anche io avessi l'acne? Era per questo motivo che facevo così tanto la... Difficile?»
«No» rispose risoluto sfilandosi gli occhiali e massaggiandosi le tempie con le dita «Sto dicendo che tu eri esattamente come quelle ragazze che amavano prendersi gioco di me. A volte sapevi essere veramente crudele con gli altri...»
Rimasi di stucco. No, non poteva essere vero. Io avevo grande rispetto per gli altri, ponevo prima avanti i bisogni altrui e poi i miei e cercavo sempre di mettermi nei panni del prossimo prima di sparare sentenze a destra e manca.
«Ti stai sbagliando»
«Altroché»borbottò lui. Sembrava quasi divertito da quello scambio di battute,come se finalmente fosse arrivato il momento perfetto per sdrammatizzare ciò che un tempo invece gli aveva fatto dannare l'anima.
«Ma non è stata colpa tua, io e tua madre non ti siamo stati vicini nel momento del bisogno...»
Non sapevo cosa dire, papà mi aveva appena sotterrata con una serie di rivelazioni che mai e poi mai avrei creduto potessero uscire dalla bocca di qualcuno.
«E tu ti sei appigliata alla persona sbagliata»
«Chi? A chi...»
«Un ragazzo» rispose secco, senza troppi preamboli «Un ragazzo di cui ti sei fidata troppo e da cui non hai ricevuto lo stesso trattamento»
«E per lui che... Che sì insomma, che adesso sono qui a Milano?Parlo... Parlo dell'incidente»
Non mi ascoltò minimamente. Papà si infilò nuovamente gli occhiali e nascose il naso tra le enormi pagine del giornale. Si limitò a stringersi nelle spalle e ad assumere un'espressione seria, impenetrabile.
Mi alzai e ciabattai fino in camera da letto con quella manciata di risposte che avevano creato ancor più domande e dubbi nella mia testa.
Chi era quel ragazzo? Uno di quelli che avevo ritratto in foto?
Mi stesi sul letto con le mani dietro la nuca e gli occhi fissi sul soffitto della stanza.
Cosa ne è stato della mia vecchia me?
Con quel pensiero che fluttuava nella mente, mi addormentai.
Angolo autrice: Sì vabè ciao, questo mese voglio far nevicare! Due aggiornamenti a distanza di qualche giorno, ma stiamo scherzando?
Prima che sparisca per altrettanto tempo, sappiatelo: sto lavorando al capitolo cinque. E che dire di questo? A parte il fatto che stiamo per sfiorare le 200 visualizzazioni - adesso mi commuovo - e che Sara mi ha detto una cosa bellissima (♥ ily), sono contenta che questa storia stia andando avanti - vediamo per quanto.
La prima persona è per me una sfida, abituata a scrivere in terza. Nel frattempo continuo anche a lavorare alla playlist e a tutte quelle cosine che vi aiuteranno a vivere la storia a 360°.
Nel frattempo qualche teoria sul passato di Cecilia? Era una spia russa? L'amante di qualcuno di importante? Una semplice adolescente alle prese con la crescita?
Via al televoto.
No okay basta dai.
Grazie grazie,
Karma.
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