Presente ✸ Capitolo 01
Claudia aveva deciso, di sua spontanea volontà, che il luogo più adatto per parlare del nostro futuro universitario fosse il "79", un piccolo bar/pub nei pressi della periferia di Milano conosciuto, in particolar modo, per le sue grandi bibite alcoliche a sette euro e cinquanta centesimi. Il "79" non era esattamente il tipo di locale che ero solita frequentare, preferivo di gran lunga il silenzio e la tranquillità della sala da tè di "Zia Mary", ma Claudia credeva che quel posto facesse al caso nostro. Lì, lontana dagli occhi severi dei suoi genitori, una coppia di siciliani stabilitasi a Milano quando avevano appena vent'anni ciascuno, aveva la completa libertà di fumare le sigarette senza che nessuno di sua conoscenza la notasse e facesse la spia.
Quando arrivai, con cinque minuti di ritardo ed il fiato corto, Claudia era già seduta ad un tavolino all'esterno con una sigaretta in bocca. Mi scoccò un'occhiataccia e buttò fuori il fuori il fumo dalle labbra tinte di un bel rosso scuro.
«Mentre ti aspettavo ho ordinato un caffè.» Solo in quel momento notai la tazzina vuota sul tavolino macchiata appena di rossetto.
Tipico di Claudia, pensai alzando gli occhi al cielo e dirigendomi all'interno del locale per ordinare un bicchiere di tè freddo alla pesca, fare di qualsiasi cosa un dramma.
Mentre attendevo pazientemente che il barista si accorgesse della mia presenza, troppo preso a flirtrare con una biondina per badare a me, poggiai le mani sul bancone e ripercorsi mentalmente le tappe della mia amicizia con Claudia. Lei all'inizio non mi piaceva affatto: sedeva all'ultimo banco assieme ad un certo Tobias e studiava tutti con occhio severo. Claudia parlava troppo, litigava con i professori, alzava la voce e sbatteva la porta quando veniva cacciata dall'aula per il suo comportamento inadeguato. Quella signorina Montesauri mi sembrava un po' troppo trasgressiva: lembi di pelle sempre scoperti - in particolar modo le cosce -, labbra sempre pitturate di nero o di boredaux, occhi marcati da ombretto scuro ed eye-liner e un guardaroba che avrebbe fatto invidia persino a Lady Gaga.
Claudia però aveva anche un "piccolo" difetto che non si poteva non notare: non teneva mai a freno la lingua e diceva sempre tutto quel che le passava per la testa, che fosse un insulto od un complimento sincero. Fu proprio questo piccolo particolare che mi conquistò. Lei non aveva paura a rivolgersi a me come una persona qualunque a differenza di tutti gli altri, genitori e docenti compresi, che mi trattavano con i guanti bianchi.
Claudia mi faceva sentire una persona normale nonostante il mio passato confuso e l'amnesia e non mi arrabbiavo più quando mi dava della rimbambita né quando cercava di indagare sulla storia della mia vita.
Il barista finalmente si accorse di me e liquidò l'altra cliente con un occhiolino. Io, invece, ottenni tutt'altra reazione: il ragazzo, che non poteva avere più di venticinque anni, mi rivolse un sorriso di circostanza e mi domandò seccato di cosa avessi bisogno.
I suoi occhi mi paralizzarono. Fissai per un breve istante le sue iridi chiare finché non mi costrinsi a distogliere lo sguardo. Uno strano formicolio si impossessò delle mie mani.
«Io... Io vorrei un bicchiere di tè. Pesca. Grazie.» Mi affrettai ad aggiungere.
Il barista mi osservò incuriosito senza dire nulla, si limitò a poggiare sul bancone una bottiglia di plastica ed un bicchiere di vetro.
«Niente tè alla pesca fatto in casa» spiegò semplicemente afferrando la banconota da cinque euro ed allungandomi il resto «Grazie ed arrivederci» e poi, come se niente fosse, se ne tornò dalla sua biondina.
Io me ne restai impalata lì dov'ero ad osservare le tre monete tintinnanti nel mio palmo sudaticcio. Non era stato il comportamento superficiale del ragazzo a suscitare in me tale reazione, neanche quella smania di tornarsene dalla bella cliente, ma i suoi occhi mi avevano rivelato qualcosa che non riuscivo a spiegarmi. Era come se un rimasuglio grigiastro impigliato nella mia mente avesse finalmente preso colore: celeste.
Questo però non significava nulla e, come avrebbe detto mia madre basandosi su ciò che leggeva su internet, poteva trattarsi soltanto di un shock "post-stress" o qualcosa di traumatico legato al mio incidente. Scrollai le spalle e decisi di non fossilizzarmi troppo sul barista e sui suoi occhi preparandomi, invece, alle chiacchiere di Claudia.
Quando uscii fuori la mia amica si era appena accesa una seconda sigaretta. Mi osservò in silenzio sedermi di fronte a lei e sorseggiare lentamente il tè freddo.
«Sai» cominciò piano avvicinandosi a me «Forse mi prenderò quest'anno per riflettere, al diavolo l'università! Sono appena uscita dal liceo, sinceramente non ho voglia di ricominciare a studiare...»
Sgranare gli occhi mi venne del tutto spontaneo. Sbattei con forza il bicchiere di vetro sul tavolino e scossi il capo amaramente.
«Perché? I tuoi hanno fatto di tutto per iscriverti ai test dell'università e tu li deludi in questo modo?»
Claudia mi rivolse un'occhiata gelida e sorrise maliziosa. Sapevo già cosa stava per dire e mi maledissi per essere stata tanto ingenua. Come potevo criticarla proprio io? Io che stavo per mandare a monte i piani dei miei genitori voltando loro le spalle per sempre.
«Cecilia non mi sembri nella posizione più adatta per giudicarmi», commentò velenosa «non sono di certo io quella che sta scappando a Roma senza dire niente.»
Ed eccola lì, pronta a colpire i punti deboli. Strinsi con forza la bottiglia di plastica e mi concentrai sul posacenere dove la vecchia sigaretta di Claudia, sporca di rossetto sul filtro giallo, giaceva immobile.
«Non sto scappando», precisai a denti stretti «e loro lo verranno a sapere. Credo.»
Se i miei calcoli non erano sbagliati, mia madre aveva già ricevuto la finta lettera dell'università che avevo personalmente ideato al computer. Non sapevo come affrontare il discorso "trasloco" così fingere che qualche importante docente mi volesse a Roma per seguire i propri corsi mi sembrava una mossa astuta. Mia madre avrebbe forse accettato la notizia senza troppe storie e io sarei potuta tornare a casa mia.
«Gliel'hai detto?» mi rimboccò immediatamente Claudia sputandomi del fumo in faccia.
Io tossicchiai e tentati di scacciarlo con la mano mentre sceglievo con cura le parole da pronunciare. Non volevo sembrare una codarda né un'abile bugiarda, ma la verità era che non avevo avuto il coraggio di affrontare i miei genitori a quattr'occhi.
«No, io... Beh, ecco...» balbettai «Ieri sera ho scritto una lettera al pc indirizzata a me da parte di un certo professor Ricci. Per fartela breve mi sono finta un docente dell'università interessato a me, tutto qui.» Mi strinsi nelle spalle ed attesi, sapevo che il verdetto di Claudia sarebbe arrivato da lì a poco.
«Accidenti, ti avevo sottovalutata. Sei scaltra! Ma pensi davvero che i tuoi siano così ingenui da crederci? Non tanto per tuo padre quanto per tua madre... Cose del genere succedono raramente se non mai» precisò alzando un poco la voce «e poi tu, lasciatelo dire, sei brava a scuola ma non così eccellente da far smuovere mari e monti per averti in un corso universitario.»
La sincerità di Claudia mi colpì come ogni volta. Non mi sentivo offesa ma ero comunque infastidita da quel suo tono saccente e superbo. Sapevo perfettamente che aveva ragione e che i miei genitori non avrebbero mai abboccato: io ero una studentessa nella media, non brillante, e nessuno si sarebbe scomodato per mandarmi una simile lettera.
Avevo appena fatto un enorme buco nell'acqua.
Sospirai e mi accasciai sul tavolino riempiendo lentamente il bicchiere ormai vuoto.
«Sarei una stupida se ti dicessi che ho già il biglietto del treno e che ho contattato due ragazze per l'appartamento?» domandai timidamente nascondendo il viso tra le mani.
«Oh no, assolutamente. Saresti solo la più grande stupida di sempre. Ti prego, dimmi che non l'hai fatto.»
Mi limitai a guardarla senza dire nulla.
«Ti prego, dimmelo, Cecilia...»
Ed io avrei voluto dirglielo davvero ma nei giorni precedenti ero stata così presa dall'euforia che non avevo badato a nulla se non alla mia felicità. Avevo bisogno di riprendere ciò che una volta era mio, di riscoprire lati di me stessa che ignoravo, di incontrare i miei vecchi amici e dir loro che avevo voglia di ricominciare tutto daccapo.
Ma lì, a Milano, rinchiusa nella mia bella gabbia dorata, non avevo il benché minimo potere sulle mie scelte.
«Senti Claudia, io ho dovuto», iniziai lentamente anche se dentro ribollivo di rabbia «mia madre e mio padre non hanno intenzione di raccontarmi niente della mia vita prima dell'incidente? Bene, andrò a scoprire da sola chi ero e cosa facevo. Sono stanca delle bugie...» Mi rigettai indietro sulla sedia. Era da tanto tempo che quei pensieri mi infestavano la mente ma non avevo mai trovato il coraggio di dire tutto ad alta voce. Fino a quel momento.
Per la prima volta Claudia sembrò accorgersi di quanto quella conversazione mi avesse turbato nel profondo. Schiacciò la sigarette nel posacenere e aprì la bocca per dire qualcosa ma la richiuse qualche istante dopo.
Non m'importava più neanche se avesse deciso, di punto in bianco, di disintegrarmi con le parole: stavo già male di mio, le sue chiacchiere non sarebbero state altro che un inutile rumore di sottofondo.
Claudia però allungò una mano verso di me e sorrise.
«Ma giù non avrai problemi con...?» e si toccò la testa.
Lei ancora non aveva capito completamente lo stato della mia amnesia. Sbuffai ma non potei fare a meno di ridere, almeno in parte avevamo appena chiuso l'argomento "Roma e genitori".
Mi sistemai meglio sulla sedia e, molto lentamente spiegai: «Non ho problemi ad apprendere informazioni nuove, tutto quel che non ricordo è gran parte della mia vita prima dell'incidente.»
«Ma sei sicura che...»
«Sì, non avrò alcuna difficoltà», la interruppi prima che potesse proseguire oltre «altrimenti come saprei che il giorno del tuo diciottesimo compleanno indossavi delle mutandine rosse di pizzo perché speravi di perdere la verginità con Vittorio?» Ridacchiai.
Lei sbuffò e provò a schiaffeggiarmi la mano.
«Ecco», borbottò «Magari quella parte è meglio se la cancelli di spontanea volontà» ma poi il suo entusiasmo si spense in un attimo. Mi fissò accigliata e il suo bel sorriso si piegò all'ingiù in una smorfia di sconforto.
«Sai, non avevo mai pensato seriamente al tuo problema perché beh, insomma... Ad essere sincera mi pareva un po' una cavolata. Ma ecco, ora non so cosa farei se mi trovassi nella tua situazione. Non so come ci si senta a non avere ricordi...»
«È come se la mia mente avesse innalzato un muro. Ci sono giorni in cui sento qualcosa, un formicolio, ma poi non succede nulla. Ho come l'impressione che ci siano tanti piccoli dettagli che riaccendano in me qualcosa ma mai abbastanza da poter farmi accedere alle vecchie memorie» mi strinsi nelle spalle e mi sforzai di sorridere anche se ormai quella conversazione aveva preso una piega tutt'altro che piacevole «tipo gli occhi del barista del locale. Avevano qualcosa che... Non so, mi ha fatto uno strano effetto...»
«Lo conoscevi già?»
«No, o almeno non mi pare...» mi sforzai di indagare sulle mie giornate a Roma ma più provavo ad andare indietro con il tempo, più la mia mente faceva resistenza cacciandomi via.
«Allora forse i suoi occhi ti hanno ricordato qualcuno, magari un ragazzo!» Azzardò Claudia.
Inarcai il sopracciglio destro e strinsi le labbra.
«Non saprei, i miei non mi hanno mai detto nulla riguardo i miei vecchi fidanzatini...» tentati di sdrammatizzare anche se i miei genitori, in effetti, non si erano mai lasciati scappare nulla a proposito della mia vita sociale giù nel Lazio.
Stavo per aggiungere dell'altro quando il mio telefono vibrò ripetutamente nella tasca dei jeans. Lo afferrai con cautela e mi bastò soltanto leggere il nome "Mamma" sul display e i suoi dieci messaggi scritti rigorosamente in maiuscolo per capire che ero nella merda fino al collo.
«Credo che abbia trovato la lettera...»
«E come l'ha presa?»
Le mostrai il cellulare e quei brevi SMS intimidatori.
«Molto male. È meglio che vada, mi aspetta una lunga mattinata» feci per alzarmi ed afferrai le mie cose ma Claudia mi bloccò prima che potessi allontanarmi dal tavolo.
«Cecilia, solo una cosa: quando hai il treno?»
Non c'era bisogno di dire niente, lei aveva già capito tutto. Ingoiai l'enorme groppo in gola e abbassai lo sguardo sulle scarpe da ginnastica promettendo a me stessa che una volta arrivata a Roma le avrei buttate subito nella spazzatura.
«Domani mattina alle nove e mezza...»
Lasciò andare la mia mano ed annuì.
«Allora... Allora fa buon viaggio. Buona fortuna, Cecilia» mi limitai a sorriderle appena e le voltai immediatamente le spalle. Non avevo mai visto Claudia così abbattuta e dire "addio" all'unica amica che avevo a Milano mi fece un male cane.
Percorrendo in fretta la strada verso casa decisi di concentrarmi unicamente sui miei passi: dovevo affrontare mia madre e avrei dovuto farlo a mente lucida altrimenti avrebbe vinto lei.
Angolo autrice: Hola gente! Finalmente sono qui con il primo capitolo di questa storia. Per me è una sorta di sfida perché in genere prediligo la terza persona ma per "Amnesia" era strettamente necessario che usassi la prima. Spero sinceramente che questa scelta aiuti sia me che voi a capire Cecilia perdendoci così nella sua mente confusa.
Questo piccolo capitolo quasi introduttivo ci fa capire, più o meno, come funzionano i suoi ricordi. Secondo voi Claudia ha ragione? Quegli occhi azzurri vogliono dire qualcosa? Oppure è una sensazione da ignorare?
A presto con il secondo capitolo,
aboutjune.
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