Passato ✸ Capitolo 04 / La stella di Cecilia

Non riesco ancora a realizzare che domani partirò per Barcellona con gli altri. Mi sembra assurdo uscire dall'Italia da sola, senza mamma e papà, e dormire in una stanza con Futura e Ludovica senza che ci sia un adulto a dirci cosa dobbiamo fare e cosa no.
Cioè, in realtà i professori lo faranno di sicuro ma non credo si metteranno a far storie se alle tre di notte saremo ancora sveglie a chiacchierare...
Cinque giorni, cinque meravigliosi giorni in Spagna a visitare musei e a fotografare spiagge e paesaggi. Non vedo l'ora di usare la macchina fotografica che papà mi ha portato dal suo ultimo viaggio di lavoro. Devo ancora ben capire come funzioni, ma mi hanno spiegato che è una di quelle "istantanee" , che scatta e stampa subito.
Apro lo zainetto dove mamma ha infilato una quantità indescrivibile di cibo e merendine, e frugo con la mano alla ricerca di quel foglietto che Tomei mi ha passato durante l'ora di storia questa mattina stessa. Beh, in realtà non me l'ha proprio passata, diciamo che l'ha appallottolata e me l'ha tirata in testa.
Eccolo, sento la carta stropicciata sotto le dita e per qualche motivo vengo scossa da un fremito di eccitazione. È come se le farfalle nello stomaco si fossero risvegliate di colpo dal loro lungo letargo, le sento scuotere fragorosamente le ali, scombussolare le mie emozioni, creare caos nei pensieri.
Perché ora lo so e non riesco più ad ignorare quella tremenda ma meravigliosa emozione che mi pervade ogni volta che Tomei è nei paraggi. Più passa il tempo e più mi rendo conto che diventa difficile fingere che sia solo un amico...
Tiro fuori il foglio e lo spiego con cura, lisciando delicatamente i bordi e facendo attenzione a non strapparlo. Poche righe scritte con una calligrafia scomposta, disordinata. È quel tipo di scrittura che molti chiamano "a zampa di gallina" ma che il Ricci, simpaticamente, ha ribattezzato definendola "calligrafia da ricetta medica".
In effetti è vero, Tomei possiede la calligrafia più brutta del mondo e non si impegna neanche un po' a cercare di migliorarla. A lui comunque non importa nulla, dice che gli sta bene così ed è un problema del Ricci se non è in grado di leggere i suoi temi.
La parola "Barcellona" spicca su tutte le altre, scritta in maiuscolo proprio al centro. Le lettere non sono allineate e "Barcellona" tende verso il basso, rimpicciolendo sempre di più verso le ultime lettere.
Sotto, in un corsivo frettoloso, un breve messaggio: "Cecì, domani partiamo. Ti dovrai ubriacare con la Sangria!".
Quando quella palla di carta è volata sul mio banco, lui mi ha rivolto un'occhiata divertita ed io ho storto il naso. Faccio la stessa cosa anche adesso mentre leggo quell' "ubriacare con la Sangria": lui sa perfettamente quanto io non ami l'alcol ma s'è messo in testa quest'idea e vuole a tutti i costi vedermi su di giri. Il pensiero di brindare e bere insieme a lui però mi diverte e forse potrei anche rivalutare la mia campagna anti-alcol.
Rimango immobile ad osservare il messaggio ancora un po' per imprimere quelle parole nella mia mente.
«Cecilia! La cena!» ignoro mamma che per la terza volta reclama la mia presenza a tavola e m'impegno a piegare per bene il foglio.
«Cecilia, quante volte ancora devo...» la porta si spalanca e mia madre piomba in camera proprio mentre sto infilando il quadratino di carta in mezzo alle merendine.
«Uh-uh!» esclama asciugandosi le mani sui jeans «C'è qualcuno che ti manda dei bigliettini d'amore!».
Si avvicina a me e si china sullo zaino per ficcanasare in mezzo alle mie cose ma io sono più veloce ed infilo il foglio nella tasca dei pantaloni.
«Ma quali bigliettini d'amore...» borbotto offesa a bassa voce ma, non appena pronuncio quella frase, ho un tuffo al cuore.
«E dai, dimmi almeno chi te l'ha mandato!»
«No» in genere amo confidarmi con mia madre, ma questa volta preferisco tenere il mio piccolo segreto tutto per me.
«Che antipatica che sei!» sbotta alzando gli occhi al cielo. Si alza e sul suo viso compare un sorrisetto soddisfatto che non fa presagire nulla di buono.
«Tanto ho già capito di chi è...»
«Non è vero!»
«Sì, lo so, lo so,...» cantilena per prendermi in giro.
«No dai!» sono esasperata, non è possibile che lo abbia capito veramente! Ho messo via il biglietto ancor prima che...
«È di quel... Come si chiama? Ah sì, Tomei!»
Vorrei protestare ma la sua affermazione mi lascia così sorpresa che non so proprio cosa dire.
«Come... Come hai fatto? Quando hai letto il foglietto?»
«No, non l'ho letto» risponde semplicemente stringendosi nelle spalle «Sono tua madre, alcune cose sono in grado di capirle da sola!»
Cosa vuole dire? Sgrano gli occhi e scuoto il capo ma lei prende parola ancor prima che io abbia il tempo di replicare.
«Avanti Cecilia, solo un tonto non si accorgerebbe che sei cotta di lui!»
Istintivamente abbasso lo sguardo e mi sento avvampare: se l'ha capito mia madre come può non averlo fatto lui stesso?
«Spero vivamente che lui non lo sappia» soffio piano più a me che a mamma. Lei mi guarda torva, inclina il capo ed incrocia le braccia al petto. Probabilmente sta per tirare fuori una delle sue perle sull'amore e sulla vita, consigli spassionati che raramente sono in grado di seguire.
«E perché no? Magari invece lo sa e sta soltanto aspettando il momento giusto per agire. Sai, Cecilia mia, che l'amore spesso è imprevedibile ed i luoghi in cui risiede...» ma prima che possa propinarmi il resto della morale, la interrompo scattando in piedi e dandole una leggera pacca sul braccio.
«Sì, okay, d'accordo. Non era pronta la cena?»
Lei mi scocca un'occhiataccia ma non prova minimamente a protestare perché sa di aver ragione e sa perfettamente di aver fatto centro.
Mi dirigo in salone senza neanche aspettarla, non voglio affrontare il discorso "Tomei" con lei finché anche io non avrò le idee chiare. Questa situazione è imbarazzante, sembra quasi che tutti sappiano ciò che voglio.
Tutti tranne me.
A tratti Tomei mi sembra solo un amico, magari più stretto rispetto agli altri compagni di classe, mentre altre volte - che rappresentano la maggioranza - lui è... Ecco, non saprei neanche come spiegarlo. So soltanto che ogni cosa trova il suo posto nel mondo solo quando lui è accanto a me.
Evito di pensarci e mi siedo a tavola attendendo con pazienza che mamma arrivi. Accendo la tv, mi servo un po' di pollo con le patate e verso l'acqua nei due bicchieri di plastica. Come ieri sera, anche oggi mio padre sta facendo tardi al lavoro, motivo per cui si tratterrà in ufficio fino a chissà che ora della notte. So che a mamma manca il rapporto che c'era prima tra di loro, quando lui era molto più presente in casa, ma non ne parla mai e continua a fingere che sia tutto sotto controllo. Io non voglio indagare troppo, ho il terrore di scoprire cosa sia successo effettivamente tra i miei genitori. Non ho voglia di vedere la vera realtà dei fatti e, proprio come mia madre, continuo a fingermi cieca di fronte ai loro problemi.
«Allora sei proprio sicura di non voler parlare di quel ragazzo?» incalza immediatamente lei mentre scosta la sedia e si sistema accanto a me.
Corrugo la fronte ed aggrotto le sopracciglia mentre addento un pezzetto di pollo.
«Assolutamente no!»
«Va bene, va bene. Sei emozionata per domani?»
Oh Dio, domani! La partenza sembrava non arrivare mai ed invece eccola, domani!
«Beh, ecco,...» comincio impacciata mentre sorseggio l'acqua «Sì, tantissimo!»
«Mi raccomando Cecilia, vedi di stare attenta e di non andare in giro da sola. E chiama appena arrivi in hotel. Ogni sera!»
Alzo gli occhi al cielo ma non posso fare a meno di sorridere per la felicità. Questo è un periodo in cui riconosco di essere veramente contenta e, anche se non so bene il motivo principale di tutta questa gioia, non riesco a tenerla per me.
Lo sguardo di mia madre si addolcisce e mi sorride a sua volta.
«E, cosa più importante, divertiti.»
Annuisco, ritorno con l'attenzione sul mio piatto ed entrambe continuiamo a mangiare in silenzio ascoltando il telegiornale delle otto. A fine pasto mia madre si alza, sparecchia, mi dà la buonanotte e si ritira in camera sua dove l'aspetta un letto vuoto e freddo.
Mi concedo cinque minuti di silenzio per immaginare la città. Già me la vedo, con i suoi colori e la sua musica, le spiagge e i ristoranti, l'odore della salsedine, il porto e la funivia sul mare. E poi m'immagino Tomei, zaino in spalla, capelli scompigliati e sorriso sghembo.
Scuoto il capo e vado a chiudere la finestra. Non appena mi sporgo verso il fuori per tirare dentro la persiana, una stella cadente solca il cielo notturno. È questione di pochi secondi e per un attimo mi domando se me la sia soltanto immaginata.
No, era proprio lì.
Istintivamente congiungo le mani al petto e le affido il desiderio del mio cuore.
Spero davvero che quella stella mi abbia ascoltata.



Angolo autrice: dovete scusarmi, tutto qui.

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