Passato ✸ Capitolo 02 / Rapporti come i Lego
Tomei è diventato mio amico.
Sembra assurdo persino pensarlo ma è così. In genere la mattina non ci salutiamo mai - lui arriva sempre tardi ed io siedo già accanto a Futura - ma il pomeriggio, quando ci spostiamo di aula oppure quando Futura si alza per andare in bagno durante il cambio dell'ora, Tomei prende posto vicino a me ignorando bellamente le proteste della mia povera amica.
L'ha fatto proprio in questo momento, un minuto dopo l'inizio della ricreazione. Futura è sparita giù in cortile in compagnia di Sara e Nicola mentre io sono rimasta qui in classe. Scuola è iniziata da due mesi ed io ancora non sono riuscita a mettere il naso fuori dall'aula se non per l'uscita. La ricreazione mi mette un po' a disagio perché per me rappresenta il culmine dei rapporti umani, il momento in cui i corpi si accalcano nel piccolo bar ed i grandi escono a fumare le loro sigarette e a fare, appunto, "le cose da grandi".
Sono troppo timida ed insicura per girovagare tranquillamente per i corridoi dell'edificio assieme alle mie piccole amiche, quindi preferisco starmene per fatti miei a non combinare nulla.
Tomei si è appena seduto accanto a me e sta poggiando la borsa di Futura sul banco dietro. No, non l'ha spostata con delicatezza, l'ha proprio lanciata.
Lo zaino della ragazza piomba a terra e i libri si sparpagliano sul pavimento facendo svolazzare una decina di fogli per aria. Tomei osserva la scena in silenzio, le cuffiette premute nelle orecchie. Odio quando non se le leva e gli parlo, non capisco mai se mi stia a sentire o meno.
«Se non raccogli tutto Futura si arrabbierà» gli dico.
Lui si stringe nelle spalle e da quel gesto capisco che mi sta ascoltando.
«Poi le passa...» mi risponde svogliatamente senza neanche guardarmi.
Tomei è un tipo in gamba, simpatico ed anche carino, ma non capisco perché in certo giorni sembri avere la testa da un'altra parte. Oggi è una di quelle giornate "no" perché è di poche parole ed i suoi occhi sono velati di una strana tristezza.
Mi volto verso di lui quanto basta per osservargli il volto: c'è un accenno di barba sugli zigomi - dei simpatici peletti che crescono a piccoli ciuffi qua e là - e ombre scure sotto le palpebre. Reprimo l'impulso di allungare la mano per sfiorargli quei cerchi violacei e faccio invece uscire la voce.
«Stai bene, Tome?»
Tome è uno stupido nomignolo che gli ho dato da quando lui ha iniziato a chiamarmi "Dodici". La cosa sembra disturbarlo tanto quanto i libri di Futura ancora sparsi per terra: assolutamente per niente.
Sbatte le palpebre e si gira verso di me accennando un debole sorriso che non mi rassicura nemmeno un po'.
«Sì certo, perché me lo chiedi?»
Non è vero, sta mentendo e anche lui sa che l'ho capito. Si sfila gli auricolari e si passa una mano sul viso come se volesse liberarsi della stanchezza con quel semplice gesto.
«No, è che è un periodo un po'...» per la seconda volta si stringe nelle spalle «Un po' così, strano.»
Si sta lentamente aprendo e per me è un privilegio. In questo breve periodo di tempo ho imparato a conoscerlo quel poco che basta per capire che, per quanto cerchi di negarlo e nasconderlo, lui è molto più timido e chiuso di me.
«È per via della scuola?» gli chiedo ma subito richiudo la bocca. È una domanda troppo irruenta che ho fatto senza pensare ed ora temo che lui possa tirarsi indietro. Invece ridacchia piano, una risata amara, di delusione, e mi si riempie il cuore di un sentimento che non so definire. Vorrei poterlo aiutare in qualche modo ma non voglio nemmeno sembrare la "Madre Teresa" o la "crocerossina" di turno, così taccio.
Voglio solo che lui capisca che ci sono.
«Me lo hai chiesto perché faccio schifo in quasi tutte le materie?»
«No, io no... Non volevo dire quello! Magari sei solo stressato perché scuola è pesante e...» e a me è andato in panne il cervello. Ero partita con dei buoni propositi e ora mi ritrovo a farfugliare a rotta di collo frasi che non avrei voluto nemmeno pensare.
Ride un'altra volta ma il suono è diverso da quello precedente: ora è divertito, allegro e più sincero. La sua reazione mi fa arrossire violentemente e distogliere lo sguardo.
«Scusa» borbotto imbarazzata mentre cerco di levarmi dalla mente l'immagine di lui che ride, gli occhi socchiusi ed i denti scoperti. Non so per quale assurdo motivo quella scena si sia impigliata nei miei pensieri e perché, soprattutto, non riesca a liberarmene.
«Te lo giuro Dodici, sei troppo buffa. E non devi scusarti, casomai sono io a doverlo fare perché ora non ho molta voglia di parlarne. Ti dispiace?»
Mi sorride e scuoto il capo. Beh, magari un po' sì, mi dispiace, ma solo perché mi preoccupa vederlo così, senza la luce che lo contraddistingue dagli altri miei compagni di classe.
«No, macché, figurati! L'importante è che tutto passi.»
La frase suona completamente ridicola pronunciata da me in questo contesto, è una di quelle cose che si dicono tanto per riempire i silenzi con l'intento di chiudere un discorso senza sembrare del tutto indifferenti. E poi è un'espressione che non sopporto perché mio padre la ripete sempre alla mamma dopo aver litigato: per quanto possa suonare come semplice augurio per un periodo migliore, detta da lui assume una nota di colpevolezza, una semplice "lavata di mani".
"Non piangere così, l'importante è che tutto passi. È solo un momento."
«Oh Dio...» esordisco dopo un breve momento di silenzio «È proprio una frase da nonna!»
«Da nonna?» Credo che Tomei faccia fatica a seguire i miei ragionamenti.
«Sì, insomma, la classica frase fatta che dicono le nonne. Dai, non guardarmi così, mia nonna lo dice sempre e dice anche cose del tipo "come fa una bella ragazzetta come te a non avere il fidanzatino"?»*
«Perché, non ce l'hai?»
«Ho cosa?»
«Il fidanzatino.»
La piega che ha preso il discorso mi sorprende: un attimo prima parlavamo di scuola e di stress mentre ora l'argomento si è spostato sulla mia inesistente vita sentimentale.
«No» gli confesso giocherellando con le sue cuffiette bianche «In realtà non l'ho mai avuto.»
Non so perché gli abbia appena rivelato questo piccolo dettaglio ma la frase mi è proprio scappata di bocca. Ecco, forse ora Tomei inizierà a considerarmi in modo diverso rispetto alle mie compagne di classe perché non solo non ho smesso di di indossare le felpe della Disney - e sì, anche di farmi le trecce - ma gli ho pure appena confessato di non aver avuto un fidanzato.
«Ah, ecco allora perché tua nonna è così scandalizzata!» Mi prende in giro tirandomi una gomitata fra le costole «Mai, nemmeno uno da piccola?»
«Alle elementari ero troppo impegnata a giocare ad acchiapparella* per pensare a voi maschi mentre alle medie, come potrai ben intuire dal mio attuale abbigliamento,» proseguo indicando la T-shirt con Pisolo che stringe una margherita gialla «non facevo parte della bambinette fighe quindi no, mai, neanche uno...»
Scuoto la testa sconsolata e mi maledico per aver parlato con così tanta impulsività.
«Eh, allora questo non va ben... Ehy, cos'è quella faccia? Sto scherzando, Dodici! Neanche io l'ho mai avuta la fidanzatina se è per questo!» borbotta infine.
Ricevere una notizia del genere un po' mi rincuora e mi fa sentire meno bambina rispetto alle mie coetanee. Io e Tomei siamo molto più simili di quanto sembri.
«Te l'ho già detto il primo giorno di scuola» mi rimbecca immediatamente scoccandomi un'occhiataccia di rimprovero «Sei giusta così.»
Per la seconda volta non capisco cosa voglia dire con quella frase ma evito di chiederglielo: temo che reagisca come due mesi fa, quando si è alzato senza dire nulla per andare a ridacchiare con Colasanti. Ma Tomei non si muove, rimane accanto a me con gli occhi incollati sul display spento del suo telefono.
«Ma la nonna che ti dice quelle cose qual è, quella di Campo Alto di cui mi hai raccontato?» domanda d'un tratto.
«Campo Maggiore» lo correggo «E sì, è proprio lei!»
«Domande scomode a parte, tua nonna sembra davvero simpatica e quel posto, quel...»
«Campo Maggiore» insisto di nuovo per imprimerglielo bene in testa.
«Sì, insomma quel posto lì sembra proprio bello da come ne parli!»
«Lo è!» convengo io annuendo per rafforzare ancor di più la mia tesi «Cioè, solo d'estate. Durante le altre stagioni non c'è praticamente quasi nessuno ma d'estate...» chiudo gli occhi e mi immagino il sole cocente sulla pelle, il frinire delle cicale, il silenzio immobile riempito dal vento che soffia fra le fronde degli alberi «E poi c'è il letto del fiume con quei bellissimo ciottoli viola, gli acquitrini con i pesci e i girini, le grotte sugli argini,...»
«Wow» esclama Tomei trascinandomi via dai ricordi di quel posto «Allora mi ci dovrai portare prima o poi. Mi piace l'idea di poter sfuggire dalla vita di città, ogni tanto.»
Apro gli occhi e mi volto verso di lui. Lo sorprendo a fissarmi con insistenza ma non gli dico nulla, non voglio rovinare il bel momento che si è creato tra di noi.
«Sì, sono sicura che te ne innamorerai»
«Del posto o di tua nonna?»
Scoppiamo a ridere di gusto ma non la smettiamo un solo momento di fissarci negli occhi.
«Di entrambi.»
E come il peggior maleficio in una fiaba, la campanella squilla e in un attimo la classe si ripopola. Io me ne torno seduta composta e ne approfitto per tirare fuori il quaderno di matematica mentre Tomei, esaurita la voglia di fare conversazione, si sta dedicando ad uno stupido gioco sul telefono.
Della strana magia che allegiava attorno a noi fino ad un attimo fa non è rimasto più nulla.
«Ma che... Ma che cazzo?» sbotta una voce lieve. È Futura che è appena entrata in classe e si è accorta del disastro della sua borsa che giace ancora a terra.
«Sei stato tu?» brandisce il dito indice sotto il mento di Tomei come un'arma mortale e pericolosa. Ha il viso in fiamme e gli occhi strabuzzati per la rabbia. Ho come l'impressione che da un momento all'altro possa saltare addosso a Tomei per staccargli la testa a morsi.
«Ho detto» urla afferrando il telefono del mio amico ed obbligandolo quindi a guardarla negli occhi «Sei stato tu?»
Tomei ignora il tono di voce con cui Futura ha formulato la domanda - piano e lentamente, come se stesse parlando ad un bambino piccolo con seri problemi di comprendonio - e si stringe nelle spalle.
«Può darsi...» ha di nuovo attivato la modalità apatia e non c'è più traccia del ragazzo allegro e chiacchierone di poco fa.
«Può darsi? Può darsi? Ma che risposta demente è? Anzi, sai che ti dico?» sbotta Futura poggiando con violenza il cellulare sul banco e chinandosi a raccogliere le sue cose «Che tu sei un demente, proprio uno stupido! Stupido, stupido, stupido!»
Afferra lo zaino e vi infila a caso quaderni, penne, astuccio e libri. Mi lancia un'occhiata furiosa e fa per spostarsi dall'altra parte dell'aula ma poco prima che scelga un posto - ed un nuovo compagno di banco -, si rivolge direttamente a me e grida: «Ma come fai ad essere amica di questo deficiente?»
Non rispondo, non me ne da neanche il tempo perché si volta e se ne va, ma tiro una leggera ginocchiata a Tomei e gli sorrido debolmente mentre Futura è ancora di spalle.
Lo so, dentro di me so perché sono sua amica.
*la frase può non suonare benissimo - me ne sono accorta mentre la scrivevo - ma rileggendola da l'impressione che a parlare sia proprio una ragazzina di quattordici anni. In fin dei conti sono due "ragazzi" e niente, volevo fare quest'appunto in generale sulla loro conversazione che, come avete letto, è molto informale e intima (:
*acchiapparella: in realtà Word e Wattpad me lo segnano come errore ma regà, vi giuro che esiste ahahah non so se dalle altre parti abbia un nome diverso ma io, il gioco in cui si corre per prendere (acchiappare, appunto) l'altro, l'ho sempre chiamato così.
Angolo autrice: e sono tornata con un nuovo capitolo! Questa volta siamo alle prese con la Cecilia di prima, quella di Roma che frequenta il primo superiore. Sono felicissima di aver introdotto un po' meglio il personaggio di "Tomei" - che tutti ricorderemo perfettamente tranne Cecilia muahah ok era cattiva questa - perché gli sono molto affezionata. Andando avanti spero di poter rendere al meglio il rapporto che si crea tra loro due.
Non vi anticipo nulla èwé spero che la lettura sia stata di vostro gradimento e boh, ci leggiamo prossimamente.
Karma.
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