10.

Il 27 dicembre tutti e quattro i ragazzi ritornarono nell'appartamento.
Anche se Melissa era cambiata, con il suo atteggiamento più partecipe e meno apatico, si poteva ancora leggere nei suoi occhi una profonda tristezza. Non traspariva sempre: quando rideva e scherzava, prendendo in giro ora Luke per la barba, ora Ash per i capelli troppo lunghi, forniva a tutti loro l'immagine di quello che doveva essere stata prima, cioè una ragazza solare, dinamica, allegra. Nemmeno quando ascoltava, o interagiva (o era impegnata a fare qualcosa, o a studiare) si notava il suo stato d'animo. Era palese soltanto quando si estraniava, la mente catturata da qualcosa che le aveva fatto tornare alla memoria quello che era successo; una frase, una situazione, un riferimento. Allora tornava ad essere per un momento la ragazza completamente alienata che avevano conosciuto quel primo giorno in aula magna, quando era il guscio vuoto di una persona.
La sua tristezza era più come una patina invisibile, che la smorzava leggermente: era una pennellata sempre cupa nei suoi occhi, come un lampo di rabbia; era un tono meno gioioso nel suo sorriso. Chi le stava accanto se ne poteva accorgere.
L'unica cosa che riusciva a cancellare quasi del tutto questo malessere era la presenza di Michael. La rasserenava. Era il suo antidoto contro la tristezza.
Ne era spaventata, a volte: era diventata dipendente dalla sua presenza, e spesso la rifuggiva, per svincolare da quel circolo vizioso; poi tornava sui suoi passi, accanto a lui, senza mai opprimerlo. Un passetto alla volta verso la luce.

Era ormai febbraio, e tutti loro erano immersi fino al collo negli esami.
Melissa aveva dato parecchi esami, superandone alcuni e provandone soltanto altri, mentre continuava a lavorare al negozio; Michael si era dato da fare all'ultimo momento, con risultati piuttosto scarsi, come Luke.
Cal ed Ashton erano invece quasi al passo, nonostante lavorassero. Tutto procedeva senza grossi intoppi.

Quel mattino di febbraio Melissa era in negozio. Di lì a poco sarebbe arrivato Ashton, nel negozio a fianco; erano d'accordo di aspettarsi e tornare insieme, finendo lui un'ora dopo di lei.
Quando il ragazzo entrò in negozio, Melissa capì subito che fosse successo qualcosa. Faceva fatica a contenere l'entusiasmo.
-Che succede, Ash?-
-Mel...non ci crederai. Sai i video che carichiamo su YouTube? È un po' che stanno avendo un discreto successo...-
-Sì, lo so. Siete davvero bravi. Ed allora? Racconta!- Lo spronò lei, mentre il ragazzo non stava nella pelle.
-Melissa..ci ha notati Louis Tomlinson.-
Mel sgrano' gli occhi. Era senza parole. Si portò le mani alla bocca.
Ash scoppiò a ridere, sollevandola da terra e gridando un "Siiii'!" che fece voltare più di qualche cliente che passeggiava nella galleria del centro commerciale.
Mel non osava chiedere altri dettagli, emozionata e felice per gli amici, non osando sperare, ma volendo sperare che fosse...
-Ci ha contattato la loro agenzia. Vogliono che apriamo i loro concerti-
Mel era totalmente scioccata.
Ashton era fuori di sé. Il sogno di una vita stava iniziando ad avverarsi.

Ridendo e sclerando insieme, saltellando sul posto ed abbracciandosi, Melissa ed Ashton sfogarono un po' di tensione.
-Ma ci pensi? E praticamente non abbiamo ancora nemmeno un nome- rise il riccio, con gli occhi luccicanti.
-Cavolo.. si esibiscono negli stadi, Ash.. ci sono migliaia e migliaia di persone.. aiuto.. che emozione!- Continuava a ripetere Mel, strabiliata.
-Senti, ora chiedi di poter staccare. Devi parlare con Mike- disse Ash, improvvisamente serio.
La frase fece ripiombare nella realtà la ragazza, realizzando solo ora che tutto ciò avrebbe implicato soltanto una cosa: li avrebbe persi di vista.
Sentendosi sprofondare il cuore sotto alle scarpe, cercò di darsi un contegno e sorridergli ancora, mentre dentro si sentiva morire. Mike se ne sarebbe andato, lasciandola sola, e lei non glielo avrebbe impedito. Era il suo sogno, e lei lo avrebbe facilitato in ogni modo.
Staccò da lavoro con una scusa, facendosi sostituire; camminò fino a casa lentamente, preparandosi mentalmente tutto un discorso, alzando delle barriere attorno al suo cuore.
Appena Mike le aprì la porta, però, tutte le sue difese crollarono come se fossero state un castello di carte: Mike era lì, davanti a lei, che le correva incontro e la abbracciava, emozionato. Luke non riusciva a stare fermo; Cal era al telefono, che rideva e parlava animatamente.
Erano stravolti e felici.

Michael corse ad abbracciarla e la sollevò da terra, mormorandole:
-Non vado da nessuna parte senza di te-
Melissa sentì le lacrime agli occhi mentre scuoteva la testa.
Forse le cose non sarebbero andate poi così male, dopotutto.

Melissa non li seguì; la sua presenza non aveva senso, e poi doveva concludere gli studi. In qualche modo il tempo passò lo stesso, tra telefonate quotidiane ad orari impossibili per via del fuso orario, a videochiamate via Skype, a ridere di gusto nel vedere quanto, nelle interviste, fossero fondamentalmente rimasti sempre gli stessi quattro ragazzi chiassosi, veri, con quella lieve aria da sfigati che però, in realtà, ora li faceva apparire fighi. Soprattutto Luke, che si atteggiava un pochino, e che puntualmente gli altri smontavano in due nanosecondi.

Passarono alcuni mesi, e finalmente arrivò un momento di pausa del tour; i ragazzi avrebbero trascorso qualche giorno a casa. Michael l'avrebbe raggiunta nel giro di tre giorni.

E finalmente, quel giorno arrivo'.
Melissa era nervosissima.
Si erano visti quotidianamente via Skype, ma gli era mancato più di quanto osasse ammettere.Voleva soltanto abbracciarlo ed affondare il viso nel suo collo, per sentire di nuovo il suo odore.
Erano d'accordo di non vedersi in aeroporto: c'era il rischio che i giornalisti, anche se in maniera ancora blanda, fossero presenti, e loro non volevano tutto questo.
Michael arrivò direttamente all'appartamento, prendendo un taxi.

Mel aprì la porta, e se lo trovò di fronte. Aveva i capelli verdi. Non vide altro, perché tutto il suo spazio vitale fu invaso dal ragazzo, che la strinse a sé in un abbraccio stritolante, buffo, sincero ed entusiasta.
-Mi sei mancata- fu la sua ovvia constatazione, e poi non ci fu più spazio per le parole, perché c'erano solo loro due, c'era solo la bocca dell'uno sull'altra, c'erano solo visi da accarezzare e pelle da assaggiare, nel sapore emozionante e carico di tenerezza della loro prima volta.

Si ritrovarono avvolti dalle sole lenzuola con Mike che scherzava:
-Wow, che accoglienza!-
Mel rise:
-Idiota-

Lui si girò, con un sorriso che non voleva saperne di andarsene dalla sua bocca, e le accarezzò la guancia. Mel era a pancia in giù, abbandonata sul cuscino, con la schiena scoperta, che lo guardava con quegli incredibili occhi marroni e verdi.

Lo guardava con una strana espressione, che lentamente penetrò nello stato di beatitudine del ragazzo, facendolo tornare su questo pianeta.
-Che hai, bimba?-
-Ti devo una storia. Te l'ho promesso-

Lui era J. Era per metà kiwi e per metà neozelandese, ed assomigliava a Calum; agli occhi di Melissa era il ragazzo più meraviglioso dell'intero universo. Si erano frequentati assiduamente per qualche mese, condividendo insieme la loro prima volta.
Mano a mano che il tempo passava, però, Melissa si rendeva conto che, in realtà, J. non faceva per lei. Era bello, simpatico, divertente, affettuoso, ma non le accendeva più quella scintilla nel cuore come all'inizio; il tempo di maturare la decisione di lasciarlo, e si era resa conto di essere "in ritardo".
Avevano acquistato due test di gravidanza: due positivi, secchi. Nero su bianco. Una mazzata per le famiglie e per loro; quella di J. , che era stato adottato, propensa ad aiutarli; quella di Melissa completamente annichilita.
Mel aveva discusso con J.
Aveva fissato un appuntamento al consultorio, contro il parere del ragazzo, ed aveva fatto una serie di colloqui propedeutici ad una interruzione volontaria di gravidanza.
J. non era d'accordo; per qualche giorno non si parlarono più.
Arrivata ad un passo dall'intervento, Melissa aveva iniziato ad avere dei dubbi; aveva iniziato a pensare che, forse, sarebbe stato uno sbaglio. Il tempo di maturare la decisione, però, ed all'ecografia un medico con scarsa attitudine alla compassione le aveva rivelato brutalmente di aver avuto un aborto interno: l'embrione non era più vitale. Devastata, aveva rifiutato le chiamate di J. , che pensava avesse portato avanti la sua decisione.
Quel pomeriggio aveva rifiutato una ventina di chiamate; aveva spento il telefono. Voleva elaborare il lutto in solitudine.
Quando lo riaccese, la madre adottiva di J. le aveva comunicato che il figlio si fosse gettato sotto ad un treno.

Michael la ascoltò sciorinare senza emozioni una frase dietro l'altra, rendendolo partecipe del suo grande rimpianto, quello di non aver risposto al telefono.
-Se l'avessi saputo, oh Mike..se l'avessi saputo, sarei corsa a tirarlo per una manica.-
Seguì un silenzio carico di tristezza.
-Mi dispiace che tu abbia dovuto affrontare tutto questo- mormorò infine Michael, abbassandosi a sdraiarsi accanto a lei, tirandosela sul petto.
-Non ci pensare. È andata così. Alcune volte non si può fare nulla, e va solo accettato quel che viene.-
-Ora capisco perché mi hai detto che avresti voluto svegliarti un mattino ed aver dimenticato tutto. Mi hai fatto venire un'idea. Vieni-
La tirò giù dal letto, nuda così com'era, mentre lei afferrava il lenzuolo e cercava di non inciamparvi sopra mentre lui la trascinava nella stanza delle prove:
-Ma sei pazzo?! Che fai?!-
-Ssst, zitta ora. Vieni qui.-
Se la attirò addosso, facendola sedere a terra e sdraiare sulle sue gambe; imbracciò la chitarra e le appoggio' sopra al petto uno spartito.
-Ehi!-
-Zitta- l'ammoni' lui, e lei tacque.
Lo lasciò lavorare, con la matita tra i denti mentre provava un accordo, scribacchiando sui fogli a tratti.
Melissa si addormentò.
Si risvegliò un paio d'ore dopo, con le labbra di Michael che le sfioravano la gola, le spalle, le braccia, ricominciando a rabbrividire di piacere e condividere attimo di paradiso insieme.

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