1.

Asciugandosi le mani sui jeans, Melissa maledì la propria debolezza. Era certa di essere rossa in viso, e poteva chiaramente sentire il battere forsennato del cuore in gola. Fece un profondo sospiro, chiudendo per un attimo gli occhi, mentre appoggiava la mano sul maniglione della porta, tremando.
Era arrivata al punto di non ritorno: se avesse aperto, si sarebbe lasciata definitivamente tutto alle spalle, ed avrebbe ricominciato da zero.
Era l'ultima occasione per rinunciare, e lei non ne aveva alcuna intenzione.
Degluti', e spinse la pesante porta di vetro oscurato, entrando nell'aula magna.

Era talmente gremita di gente che a Melissa parve di essere al mercato del centro storico all'ora di punta.
Si appoggiò con le spalle alla porta, facendo maldestramente scivolare a terra la tracolla coi libri, ma il rumore non suscitò alcun interesse, coperto com'era dal brusio. Si abbassò a recuperare la borsa, cercando di arginare il panico crescente.
"Ok..posso farcela" si disse, ma le gambe non le obbedirono. Sentiva le ginocchia di gelatina ed un senso di vuoto allo stomaco. Degluti' di nuovo il nulla, perché aveva la bocca asciutta, e strinse con forza la cinghia della borsa fino a sbiancare le nocche.
Era terrorizzata.
L'improvviso tocco di una mano sulla propria spalla la fece sobbalzare violentemente: si girò a guardare lo sconosciuto con gli occhi sbarrati, maledicendosi di nuovo per non sapersi dare un contegno, e dovette alzare la testa per incrociarne lo sguardo, perché la sovrastava in altezza.
-Tutto bene? Sei pallida come un fantasma-
Lei annuì, arrossendo furiosamente.
-Cerchi un posto? Vieni con me- disse lo sconosciuto, un ragazzone dai riccioli biondi, appoggiandole le mani sulle spalle e dirigendola giù, lungo la gradinata, mentre le gambe di Melissa ricominciavano a funzionare per forza di cose.
Con un prepotente senso di irrealtà, si avvicinò sempre più al centro dell'aula. Se le mani del ragazzo non l'avessero sostenuta e sospinta in avanti, avrebbe forse fatto retro-front e sarebbe scappata fuori, rinunciando per davvero.
Ma ormai era arrivata ad una serie di tre posti liberi, praticamente gli unici di tutto l'auditorium. Un ragazzo biondo seduto lì a fianco alzò gli occhi dal cellulare in loro direzione.

Melissa abbassò immediatamente lo sguardo, col cuore a mille, cercando di reagire in qualche modo.
Sentendosi piccola ed insignificante come mai prima d'ora, incrociò le braccia tenendosi lo stomaco, ed alzò finalmente lo sguardo da terra, incontrando tre sorrisi.

Un ragazzo dai lineamenti dolci e dai capelli di un improbabile rosso fuoco allungò una mano e gliela posò sul braccio, richiamando la sua attenzione.
Lei si voltò a guardarlo di sfuggita, e le parve impossibile di trovare conforto in quel viso sconosciuto, eppure così era. Si calmò leggermente, tornando ad avere l'uso della parola.
-Ciao. Io sono Mike- la salutò infine.
Melissa si ritrovò a stringere quattro mani sconosciute: quella di Mike, poi quella del biondino col cellulare, che si chiamava Luke, ed infine quella di Calum.
Girandosi indietro si presentò al ragazzo che l'aveva accompagnata giù per la scalinata: Ashton.

Mel li vide per quello che erano: dei ragazzi un po' strani, con una lieve aria da sfigati, e pensò che avrebbe provato a sedersi in uno di quei posti vuoti.

-Ash, ma questa dove l'hai pescata?- Bisbigliò Calum indicando con un cenno la ragazza. Il docente era arrivato, e nell'aula magna stava lentamente cessando il brusio.
-Era sulla porta con l'aria di un cucciolo smarrito- rivelò Ashton, sbirciandola di sottecchi.
Calum annuì, tornando a prestare attenzione al proiettore che il professore aveva appena acceso.

Melissa si asciugò ancora i palmi sudati sui jeans, e poi estrasse con difficoltà un blocco per gli appunti ed una penna.
Il docente presentò sbrigativamente l'argomento del convegno e subito si addentrò in merito. Il suo intervento fu lungo e laborioso, e Melissa si perse nei meandri della prolissa argomentazione vagando col pensiero a cosa avrebbe potuto prendere per pranzo.
-Pss! Ehi!-
Si riscosse, girandosi verso il biondino. Solo allora si accorse che il ragazzo avesse un piercing al labbro. Non l'aveva ancora osservato, perché la sua timidezza le impediva di guardare qualsivoglia persona direttamente in viso.
-Hai una gomma?- Le bisbigliò, facendole sbattere più volte le palpebre, disorientata.
-Ci sei?- Ribadì il ragazzo, sventolandole una mano davanti al viso.
Melissa si riscosse ed arrossi' furiosamente, abbassandosi a cercare nell'astuccio una gomma. La porse a Luke, che la ringraziò con una strana espressione e la passò a Michael, il quale iniziò a cancellare sulla tavoletta della sedia. Melissa, da due posti a lato, poté solo scorgere che la superficie dell'intera tavola era ricoperta di parole e segni a matita.
Un colpetto al fianco la richiamò alla sua sinistra: era Ashton che le indicava verso la cattedra, e confusa tornò a guardare davanti, per scoprire con orrore che il relatore la guardava.
Di nuovo arrossi' fino alla radice dei capelli e si fece piccola nel suo posto. Il docente proseguì, e lei tirò un sospiro di sollievo.
Se l'avesse chiamata in causa, sarebbe morta.

Il congresso, che si svolgeva su due giorni, vide il susseguirsi di vari relatori, più o meno incisivi ed interessanti; quel primo giorno, all'intervallo per il pranzo, Ashton chiese cortesemente a Melissa se volesse unirsi a loro per andare alla mensa universitaria.
Melissa lo ringraziò con un mormorio indistinto e rifiutò l'invito, sgattaiolando via velocemente.
-Ch tipa strana- commentò Luke.
Ash alzò le spalle. Gli aveva fatto tenerezza, e si era sentito in dovere di essere gentile con lei. I quattro amici raggiunsero la mensa.

Nel piccolo parco adiacente alla sede universitaria, accoccolata su una panchina nascosta dalla vegetazione, Melissa veniva a patti con la sua claustrofobia. O meglio, col suo terrore della folla in spazi chiusi.
Aveva ancora il respiro accelerato e le mani sudoranti; lo spazio aperto ed il leggero vento, però, avevano un effetto calmante, e poco a poco l'ansia che provava si allentò.
Estrasse un bicchiere di carta dalla borsa e contò venti gocce da una boccetta, diluendole con un po' d'acqua, e le assunse.
Il farmaco contribuì ulteriormente a calmarla, e le placò il tremore delle mani.
-Sono un fottuto casino- si commisero', prendendosi la testa fra le mani e rannicchiando le ginocchia al petto.
Era vero.
Ma non era sempre stato così.

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