XXI° Secolo; [L'Arte della Paura]
Ancora non c'è una bandiera per il mondo.
Ancora cerchiamo colori non nostri
– una lingua comune contro la paura –
per trovarci,
magari davvero,
per la prima volta,
unici ma uniti.
La Terra urla e noi corriamo
tra montagne spaccate
e città sommerse, cimiteri
– oggi – della nostra umana dignità.
Ma non basta. Non ci basta
la nostalgia di un'ombra
della nostra impotenza.
La furia della confessione,
prima, poi la furia della chiarezza:
siamo noi figli a morire
per l'arroganza dei nostri padri
e questo sì,
sembra bastarci anche oggi,
anche oggi che si spera
che non sia vera
l'oscena materia del buio.
Osserva Aleppo: scheletro.
Osserva: New York e
i film sulla guerra e la letteratura soft-porn;
il mondo piange e cerca distrazioni in
fugaci eroi e passioni coraggiose,
le uniche cose in cui
ancora
si osa pregare.
L'arte perde voce,
si sente poco nelle bare,
nei cortei e durante le onorificenze.
Ci sono medaglie per bimbi assassinati
da un adulto che non riesce a guardarli
negli occhi, perché
parlano un'altra religione.
Vuote, queste – quelle – palpebre ascoltano
il martellare di un cuore irregolare:
l'alba tarda ad arrivare
ma il cielo è sempre chiaro
– quest'odio non risparmia né uomini né dei –
mentre le passioni diventano terrori.
Abbiamo fatto del mondo un'arte, sì,
l'Arte della Paura.
Per noi, cresciuti in un mondo meno diviso
dopo l'89 e dopo le Unioni,
non c'è più vita bensì solo cantieri,
per noi – figli dei soldi ma anche della libertà –
nati in un Mondo che prova ad unirci,
e da una Società che vuole dividerci,
c'è solo paura.
Ma il più grande cataclisma,
probabilmente e senza forse,
rimaniamo noi.
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[...] Il punto
è che è tanto più facile
immaginare d'essere felici
all'ombra d'un potere ripugnante
che pensare di doverci morire.
– Giovanni Raboni, Barlumi di storia
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