2.1 // Partenze [revisionato]

Sigga era seduta sul ponte numero tre di quelli a nord della città, faceva dondolare le gambe a picco verso il canale stagnante. Benché il Pynn in mezzo al bosco fosse ricco di acqua fresca e potabile, dentro le mura della capitale diventava torbido e maleodorante.

Everard si affacciò a osservare la corrente che passava lenta, proprio accanto a sua sorella. Il pensiero di essersi tuffato in quel brodo orribile appena qualche mese prima lo costrinse a sibilare un verso di disgusto. 

Gli schizzi dovuti al vento sferzante arrivavano sino al ponte, il legno era umido e puzzolente di muffa. Guardavano sopravento, perché i lunghi ricci di Sigga non le finissero davanti al volto.

«Ti ho cercata dappertutto» sospirò, e fu allora che catturò la sua attenzione. «Sai, se non ti va di partire non devi per forza.»

La ragazza non sollevò lo sguardo, tenne gli occhi fissi sul canale.

Sbuffò una risata. «Sì, ti piacerebbe.»

Everard non rispose. Certo che gli sarebbe piaciuto vederla restare. Aveva bisogno di lei più di quanto lei avesse bisogno di lui già da un pezzo.

Non gliel’avrebbe mai detto. Non le avrebbe mai detto di volerla accanto, e neanche le avrebbe mai ricordato di essere appena tornato da un viaggio che l’aveva quasi ammazzato e aveva paura che separarsi da lei così a lungo avrebbe significato non vederla mai più.

Non glielo avrebbe detto perché, se l’avesse fatto, lei sarebbe rimasta. E non sarebbe stato giusto.

L’idea di partire con Clarice e Amrit sino a Boireann e prendere la via del mare per poi vedere e toccare con mano l’impero di Armiral era una prospettiva tanto meravigliosa per un animo avventuriero come il suo che non sarebbe mai riuscito a chiederle di restare.

Everard si sedette al suo fianco e le passò un braccio intorno alle spalle, poi inclinò la testa da un lato e le baciò una tempia in un gesto d’affetto. «Dovrai portarmi un regalo, sai. E farai bene a impegnarti, perché sono molto viziato adesso.»

La sentì sorridere. «Ah sì? E che regalo vorresti?»

«Non lo so, non so cosa vendono ad Armiral. Qualcosa di bellissimo.»

«Va bene. Aspetterò l’ultimo giorno per essere sicura di scegliere la cosa più bella e te la comprerò.»

«E comportati bene, sai? Non vorrai farmi fare brutta figura...»

«Perché dovresti fare tu brutta figura se io mi comporto male?»

Il ragazzo si strinse nelle spalle. «Beh, dopotutto ti ho educata io. Penseranno che sei stata cresciuta dalle bestie, e io non sono una bestia. Anzi, sono molto garbato.»

«Anche io sono molto garbata!» protestò lei. «E comunque ci sarà Clarice a controllarmi.»

Everard scoppiò a ridere. «Ah, beh, c’è Clarice! Questo sì che mi fa stare tranquillo...»

Lei gli assestò una spallata. «Vedi che sei un cafone?! Cosa stai insinuando?»

«Chi, io? Niente. Ho appena detto che la presenza di Clarice mi fa stare tranquillo!»

Sigga gonfiò il petto, oltraggiata. «È una brava ragazza, e tu lo sai!»

«Non la migliore maestra di etichetta, però. Ed è una calamita per i guai.»

«Tutti noi lo siamo, mi pare» replicò, si appoggiò al suo fianco e lui la strinse più forte. «Ma staremo bene. Tu starai bene, vero?»

«Come sempre» le rispose, il che in effetti non era un affatto la stessa cosa. «E tu starai benissimo.»

«Lo so» sospirò, con un sorriso soddisfatto. «Non ho neanche mai visitato un villaggio vicino, e ora attraverserò il mare! Puoi crederci?»

«Eccome. Ho sempre saputo che l’avresti fatto.»

«Come no...»

«È vero. Era un tuo desiderio, ho sempre creduto che saresti stata in grado di realizzarlo.»

«Ho imparato dal migliore, no? Signor consigliere di corte.»

«Quello non è mai stato il mio sogno. E comunque sono più un… segretario, tutto qui.»

«Un segretario» ripeté, incredula. «Un segretario che dice al Re cosa fare.»

Fece scorrere lo sguardo lungo il canale, mentre espirava forte in preda allo sconforto. «Non è molto utile dire al Re cosa fare se poi lui fa di testa sua comunque.»

Dopo il viaggio, sia lui che Richard avevano continuato a sentirsi confusi, distanti e talvolta persino aggressivi. Solomon diceva che iniziava a diventare preoccupante, lui non aveva voglia di aver paura anche di questo.

«È un periodo di assestamento» lo rassicurò lei, «passerà.»

«Speriamo. Altrimenti vado da Michael e mi faccio assumere al forno. Sono sicuro che per fare il pane sono molto più portato…»

«Non essere sciocco, non hai mai toccato una sacca di farina in vita tua.»

«Se è per questo non ho neanche mai fatto l’alto funzionario.»

Sigga scosse la testa, arresa, e non appena lo fece i capelli le frustarono il volto. Imprecò forte. «Penso che li taglierò. Sono davvero insopportabili.»

«Sai, basterebbe legarli come fanno tutte le altre ragazze. Non è difficile.»

Non era difficile affatto. Si permetteva di parlare in quel modo perché lo sapeva. Del resto, era stato lui a insegnarle a intrecciarli, dopo che per capire come fare aveva dovuto inventarselo.

«Non posso legarmi i capelli perché ho perso tutti i lacci.»

Everard sorrise. «Se non avessi la testa attaccata al collo perderesti anche quella.»

«Un tempo me lo dicevi sempre.»

«Speravo che servisse a qualcosa, ora mi sono arreso. A proposito, tieni. Ho trovato queste nella mia stanza stamattina, devi averle lasciate tu» le disse, si frugò in tasca e e le porse due bacchette con cui a volte si legava i capelli.

La ragazza si illuminò. «Ah, ecco dov’erano! Visto? A che mi serve ricordare le cose se ci sei tu a farlo per me?»

«Io non sono sempre con te, Sigga.» Si fece forza prima di continuare. «Siete in partenza a breve, e non hai ancora preparato i bagagli. Clarice è preoccupata, è stata lei a mandarmi qui. Credo che dovresti andare.

«Non c’è niente da preparare, butterò qualche vestito in un sacco e sarò a posto.»

«Beh, quei vestiti in quel sacco dovrai buttarli adesso, perché partirete tra meno di un’ora.»

La ragazza saltò in piedi, barcollò all’indietro ma Everard la seguì e prima che potesse cascare nel canale l’afferrò.

«Perché non me l’hai detto subito?!»

«Tanto senza di te non partono comunque…»

Sigga si avviò verso il castello borbottando improperi. Everard in due passi la raggiunse di nuovo, così lei sbuffò. «Senti, vuoi sabotare il mio viaggio o cosa? Fammi andare, dai, sono in ritardo!»

«Già, e di chi è la colpa?»

«Si può sapere che vuoi?!»

Lui scosse la testa e prese fiato, non aveva intenzione di discutere. «Prima che tu vada devo… devo darti una cosa. Ci vorrà un minuto.»

Lo sguardo di sua sorella si accese di curiosità, velato dalla preoccupazione. Prima di dirle ciò che serviva, si mordicchiò il labbro e le guance gli pizzicarono per l’imbarazzo.

«Everard, cosa c’è?»

Attese che fosse lui a spiegarsi, e dopo un lungo sospiro il ragazzo si infilò la mano in tasca e le porse un sacchetto di monete fresche di conio. 

«Che c’è, mi dai la paghetta adesso?» chiese, con un ghigno. «Soldi? È questo che dovevi darmi?»

Lui si fece più piccolo. «Non sono soldi, sono... i nostri soldi. Quelli che ho trovato la Notte delle Fiamme, che ti avevo nascosto. Beh, una metà. L’altra l’ho tenuta io, sono stato io a trovarli, mi sembra il minimo.»

Il volto di Sigga si pietrificò. «Avevi detto che–»

«Che volevo tenerli da parte in eredità per te se io non ci fossi stato più.»

«Perché me li stai dando adesso? È successo qualcosa?»

Già. Normale reazione, se l’era aspettata. L’ultima volta che glieli aveva consegnati era stato convinto di stare per morire. Ma quel giorno era diverso.

«Perché devo essere io a tenerli? Sono anche tuoi. Credevo di farlo per te, di nasconderli nel caso in cui potessero servirti, ma perché devo decidere io quando ti servono? È sciocco. Sei grande, stai andando via… quindi ora ti do la tua parte.»

Lei lo guardò per qualche secondo in silenzio. Qualcuno che non misero a fuoco attraversò il ponte e li salutò in tono formale. Nessuno dei due rispose al saluto.

«Prendili, forza. Hai dieci secondi, altrimenti li tengo e me li bevo tutti in vino, ti avviso!»

Lei li afferrò svelta e li infilò in una tasca della gonna. «Non ci provare!»

Dopo un attimo di esitazione gli buttò le braccia al collo. Lui ci mise un po’ a restituire la stretta, ma quando lo fece fu tanto forte che la sollevò da terra. 

«Tornerò per le feste per il nuovo anno.»

«Lo so. Io sarò qui ad aspettarti.»

«Lo so.»

Non erano mai stati lontani così a lungo, e ancora una volta Everard desiderò essere un egoista e chiederle di restare. Il vento sempre più forte spingeva la ragazza verso di lui, ma lei aveva i calzari ben piantati per terra. «Scommetto che non vuoi che dica nulla.»

«Non c’è nient’altro da dire. E tu sei in ritardo.»

«Giusto» sospirò. «Buona fortuna con Richard e tutto il resto.»

«Buon viaggio, e comportati bene!»

«Sì, papà» rispose con il tanto di sarcasmo giusto per non metterlo in imbarazzo. Gli rivolse un ultimo sorriso e si voltò, poi si mise a correre in direzione del vento.

Restò a guardarla per tutto il tempo che fu nel suo campo visivo, la osservò mentre scartava i passanti che le rivolgevano occhiatacce ogni volta che rischiava di finire addosso a qualcuno, poi svoltò l’angolo e scomparve.

Appena fu certo che se ne fosse andata chiuse gli occhi e sospirò, massaggiandosi le tempie per scacciare il mal di testa. Restò immobile sinché la voragine che gli si era aperta nel petto non si assestò. Sapeva che la sensazione sgradevole sarebbe rimasta sino al suo ritorno, quindi tentò di non darle troppo peso, si sarebbe abituato col tempo.

Aprì gli occhi e si schiarì la voce, tentando di darsi un contegno. Non c’era tempo per i sentimentalismi. Aveva troppo, troppo da fare.

Quando giunse di nuovo al castello, la carovana era nel bel mezzo degli ultimi preparativi. Evitò Amrit, avrebbe provato imbarazzo nel salutarlo e non avrebbe saputo cosa dire. Qualche funzionario lo fermò per richiedere servizi che non aveva alcun interesse a fornire e per chiarire dubbi a cui non avrebbe saputo rispondere.

Riuscì a superare le stanze periferiche e sospirò di sollievo, diretto ai suoi alloggi. Non dormiva tutte le notti nella camera che gli era stata assegnata, ma stava sempre lì quando aveva lavoro da fare. La camerata per i senzatetto che aveva obbligato Richard a mettere insieme era troppo chiassosa e i bambini riuscivano sempre a convincerlo a fare una pausa per giocare.

«Signor Danneville! Vi ho cercato dappertutto! La missione diplomatica sta per partire!»

Si fermò con una smorfia. Non c’era proprio modo di trovare pace, quella mattina. «Oh, davvero?» domandò, a mezza bocca. «Non me avevo idea...»

La donna che l’aveva chiamato lo guardò per qualche attimo cercando di capire se scherzasse. Prima dell’arrivo di Richard i funzionari della corte erano stati solo uomini, e l’apertura delle posizioni senza vincoli di sesso era stato uno dei primi cambiamenti dopo l’incoronazione.

Thelia, la donna che aveva davanti, era un po’ meno svampita della maggioranza delle persone di cui si era circondato Richard.

Ma solo un po’.

«È filato tutto liscio come l’olio, ormai dovrebbero partire a minuti.»

«Tutto è bene quel che finisce bene» commentò lui, asciutto. «Ora, se non ti dispiace…»

«I moduli per la partenza» incalzò la donna. «Dovreste compilarli voi.»

Everard si accigliò. «Che moduli?»

«Sì, insomma, le identità dei viaggiatori, il periodo di permanenza all’estero, un sigillo ufficiale. Sapete, nel caso ci siano problemi.»

«Problemi? Quali problemi?»

«Ecco, se li trattenessero all’ingresso di Armiral dovremo essere in grado di confermare che il viaggio è autorizzato.»

Allargò le braccia, incredulo. «E non sarebbe stato meglio compilare questi moduli prima di questo momento?»

«Immagino di sì» rispose lei. «Ma non ci ha pensato nessuno. Sapete, il castello è in nuova gestione. Stiamo ancora prendendo la mano.»

Non riusciva neanche più a infastidirsi per quel disastro. Era solo sconfortante, ecco tutto. «Bene. Compilerò questi moduli il prima possibile. Grazie mille.»

«Figuratevi, signore, scusate per lo scarso preavviso.»

Ormai certo di averla scampata, qualcuno lo chiamò di nuovo.

«Riri! Dov’eri finito? È dall’alba che ti cerco!»

Everard ebbe l’impulso di iniziare a correre e dirigersi il più lontano possibile, di raggiungere Sigga e partire per Armiral, di infilarsi sotto il letto, di buttarsi nel pozzo del rifugio, poi ricordò il richiamo che aveva sentito e si calmò.

Non era l’ennesima faccenda di cui non gli importava niente. Era solo il suo Freddie.

Il resto avrebbe sempre potuto aspettare, ma non Sigga, non Solomon, e non Frederick. Loro mai.

«Ehi» salutò, e si voltò a guardarlo. Prese fiato per chiedergli che gli servisse, ma la domanda gli si seccò in gola. «Perché hai una bisaccia? Dove vai?»

Il suo amico lo raggiunse. Accennò un sorriso, ma il suo sguardo era sfuggente. «Da nessuna parte. Solo ad Armiral.»

Everard dovette schiarirsi la voce perché d’un tratto non aveva fiato. «È... è una battuta, vero?»

«Vorresti che lo fosse?»

Quella domanda era molto subdola, e lo sapevano entrambi. Diceva chiedimi di restare e resterò, ma fai in modo che ne valga la pena.

Non gli diede la soddisfazione di rispondere. «Non puoi decidere di partire così su due piedi. Ci sono dei protocolli da rispettare.»

Lui fece una smorfia. «Figurati, non abbiamo neanche dei veri documenti di viaggio. E comunque ho deciso che sarei partito da prima che tu tornassi da Beltann.»

Sentì qualcosa dietro lo sterno che scricchiolava. «Perché me lo dici solo adesso?»

«Neanche tu mi hai detto di aver deciso di lasciare la strada. Un giorno hai preso Sigga e te ne sei andato.»

«Quindi questa cos’è? Una ripicca?»

«No.» Frederick si decise a guardarlo, ed Everard desiderò non l’avesse fatto. «Amrit è bellissimo, dolce, e un principe di un regno esotico e lontano. Mi ha chiesto di andare via con lui e ci vado. Questo non ha niente a che fare con te.»

«Allora perché me l’hai nascosto? Hai detto che non è una ripicca.»

Lui spalancò gli occhi, incredulo. «Io non ti devo niente, Everard.»

Perché la gola aveva iniziato a fare così male? «Hai ragione. È vero.»

Frederick sospirò e parve calmarsi. Allungò la mano e gli diede un buffetto affettuoso. «Ti lascio in buone mani. Spero che lui ti renda più felice di quanto l’abbia mai fatto io.»

Piegò appena il labbro all’insù. «Lo fa. Solomon è la mia famiglia, adesso. Quando sono con lui... quando sono con lui, ogni problema si può risolvere o sopportare. Spero che anche per te sarà così ad Armiral.»

«Lo spero anch’io.» Frederick esitò, prima di continuare. «Voglio che tu sappia che farò di tutto perché Sigga sia al sicuro. La proteggerò io per te.»

«Mi fido. Ti voglio bene. Spero che tornerai anche tu, ma se dovessi scegliere di restare ad Armiral, voglio che tu sia felice, come io mi impegnerò per essere felice qui. Io amo Solomon, ma so stare bene con lui perché ho imparato a stare bene con te.»

Il ragazzo gli sorrise. «Resterà sempre un mio gran vanto.»

Everard si sporse in avanti e gli baciò la guancia. Lo sentì trattenere il fiato almeno sinché non lo lasciò andare. «Corri, ora. Il tuo principe ti sta aspettando.»

«Oh, Riri, il mio principe non mi aspetta più da un pezzo» rispose e, prima che lui potesse chiedergli cosa intendeva, Frederick se ne andò.

Note autrice
Ebbene, questo libro inizierà seguendo più storyline: siamo arrivati alla prima biforcazione,  con Sigga/Clarice/Frederick/Amrit in viaggio e Everard/Solomon/Hildebrand/Dameta nei luoghi che già conosciamo. Ci sarà presto un’altra biforcazione che dividerà ancora i gruppi, non vi anticipo chi si separerà ma si scoprirà già in questo capitolo. Chiaramente, a un certo punto tutte quante le sottotrame convergeranno nella trama principale.
Chi siete più curiosi di seguire, al momento?
Everard intanto, in questo capitolo, ha avuto due chiusure importanti. Ha consegnato a Sigga metà del patrimonio di famiglia, riconoscendo finalmente che loro due sono pari e lui non ha più la responsabilità della sorellina; e ha salutato Frederick accettando che hanno avuto qualcosa di importante e proprio per questo ora sono pronti ad amare qualcun altro.
Nel prossimo episodio tornerà Solomon e ci sarà un po’ di bordello... entriamo nel vivo della storia, che ci voleva proprio.
A presto ~

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