Ritorno alla normalità

Aurora pov

I dieci giorni da mia madre sono trascorsi tranquilli e lenti, molto lenti. Sono stata benissimo con lei, mi ha coccolata in tutti i modi possibili, infatti, sarò ingrassata almeno tre chili, mi sono super riposata e rilassata ma, comunque, non vedevo l'ora di tornare alla mia vita normale!

Ho cercato di non pensare a nulla, di mettere da parte i ricordi mancanti e di non dare importanza neanche all'incubo, sempre lo stesso, che dall'incidente invade non invitato le mie notti. Oh e credo di aver fatto progressi, di aver messo a posto dei seppur piccoli tasselli del puzzle della mia vita ricordando qualcosa.

A causa di una brutta scottatura che si è procurata mia madre al barbecue, ho ricordato quanto mi piace aiutare gli altri a guarire e ho sentito nostalgia per il mio adorato lavoro!

Il neurologo è passato, con sua moglie, un paio di volte e in entrambe le occasioni mi ha visitata ma, per fortuna ha sempre detto che stavo più che bene. Con loro ho ricordato come sia piacevole stare in famiglia senza spiegarmi, però, perché li senta parte di essa.

Anche Angela e Claudio sono venuti a trovarmi, sono rimasti a cena con noi e mi hanno fatto sentire amata! Con loro ho ricordato degli episodi della mia infanzia, quando facevo danza con la sorella di Claudio e sognavo di diventare famosa ma, soprattutto, ho sentito familiari le battute del mio migliore amico.

Persino Cinzia, la mia cara coinquilina, è venuta per un weekend, perché sentiva troppo la mia mancanza. Con lei ho ricordato le tante notti insonni a guardare film romantici e a piangere come due sciocche.

Quando è arrivato il giorno di tornare alla realtà mi è dispiaciuto lasciare sola mamma e le ho fatto promettere che sarebbe venuta a trovarmi presto!

Ho chiesto la cortesia praticamente a tutti di passarmi a prendere ma hanno accampato delle scuse, facendomi sentire un po' abbandonata e anche fastidiosa.

Alla fine, su richiesta di mia madre mi ha dato un passaggio fino a casa il neurologo, che sono sicuro volesse approfittarne per controllarmi e, infatti, mi ha fatto parecchie domande.

Una volta a casa, però, ho ricevuto una bellissima sorpresa. Quei furfanti mi avevano organizzato una piccola festa di bentornato! Ho passato una bellissima serata con la mia cara coinquilina, i miei amici e le colleghe di lavoro. C'erano sicuramente tutti ma per tutto il tempo ho avuto la sensazione che mancasse qualcuno!

La notte, poi, è passata lentissima. Credo di aver dormito pochissimo e neanche a dirlo in quel brevissimo tempo sono stata tormentata dal solito incubo che questa volta mi ha portata persino a urlare dalla paura svegliando la povera Cinzia che per rassicurarmi ha trascorso il resto della notte nel mio letto, non sortendo però alcun miglioramento sul mio stato emotivo.

Mi affollavano la mente i pensieri più svariati e strani, e decine di domande senza risposta. Ho provato, in particolare, un'ansia terribile per il mio ritorno a lavoro, perché quello d'infermiera è di grande responsabilità. Credo di non aver mai avuto tanta paura di sbagliare, neanche la notte prima del mio primissimo giorno di lavoro!

Il mattino dopo, Cinzia e Angela mi hanno coccolata, incoraggiata e fatta rimpinzare. Quest'ultima si è presentata all'alba con dieci maffins caldi e ripieni di crema Kinder bueno, da far leccare i baffi e appena mi ha vista mi ha riempito di frasi strampalate del tipo: Devi solo risalire sulla bicicletta, che tu sia caduta non significa che non sia più in grado, anzi sei sempre stata un'ottima ciclista perciò non hai nulla di cui temere!

Ci pensate? Io neanche ci so andare in bicicletta, anzi, mi sono sempre rifiutata di imparare! Credo, però, di aver capito cosa volesse dirmi e l'ho dimostrato la mia gratitudine con un caloroso abbraccio.

In ospedale, poi, mi ha accompagnata Cinzia perché la mia auto è ancora sfasciata e anche con lei c'è stato un forte e rincuorante abbraccio.

Ho respirato profondamente ma non troppo come mi ha indicato di fare il neurologo quando mi prende l'ansia e via ... Sono entrata nel mio reparto decisa, dopo i saluti d'obbligo, mi sono diretta al tabellone dei turni e degli incarichi ma non ho trovato il mio nome. La caposala, probabilmente comprendendo il mio smarrimento ha raggiunta e dicendomi che ne avremmo parlato subito mi ha invogliata a cambiarmi prima. Nello spogliatoio ho incontrato un paio di colleghe che si sono dette felici di rivedermi e si sono scusate per non essere potute venire a festeggiarmi perché di turno, mi sono messa la mia bella divisa immacolata, ho preso il coraggio a due mani e dopo un ulteriore respiro profondo ho riaperto la porta della mia vita lavorativa, lanciandomi di nuovo nella mischia.

La mia enfasi, però, è stata decisamente troppa, perché mi ha portato a sbattere contro chi usciva dallo spogliatoio dei maschi di fronte. Ho preso una bella botta che mi ha fatto girare la testa e dire che il neurologo si è raccomandato di una sola cosa dicendomi: "Non fare movimenti bruschi, muoviti con prudenza e tutto andrà bene!"

Bingo, iniziamo bene!

Sollevo lo sguardo infastidita e traballante ma sostenuta da due forti braccia che sto per ringraziare, almeno quella era la mia intenzione, ma, le parole che farfuglio risultano incomprensibili perché il mio cervello si spegne nell'istante in cui mi accorgo a chi appartengono.

Uauh, è lui! Lo sconosciuto che è sempre nei miei pensieri, ancora più bello di come lo ricordassi e col camice da medico!

Trascorrono minuti che mi sembrano ore in cui ci guardiamo in silenzio, poi, lui rompe il ghiaccio salutandomi, scusandosi e chiedendomi preoccupato se andasse tutto bene.

Io resto, neanche a dirlo, imbambolata e in silenzio a fissare quei meravigliosi occhi che ancora una volta mi stanno scrutando preoccupati, persa nel suono di quella meravigliosa voce che chiama il mio nome per riportarmi alla realtà e... dopo non so quanto tempo, finalmente, mi riprendo riuscendo a pronunciare strane frasi sconnesse. Riesco, però, non so come, a fargli capire che sto bene, che è lui a dover scusare me per la mia irruenza, a ringraziarlo per non avermi lasciata cadere e a domandargli perché è lì.

Lui un po' stranito mi risponde che ci lavora come volontario per fare tirocinio e mi augura una buona giornata e un buon ritorno a lavoro, per poi allontanarsi.

Io resto ancora là imbambolata e con la mente affollata da mille domande, tra cui la più insistente è: lavoriamo insieme?

Poi c'è quella sensazione di abbandono che mi assale quando si allontana che ancora una volta mi toglie il respiro, credo proprio di essere da ricovero ma, mi faccio forza e mi avvio verso la stanza della caposala per conoscere le incombenze che mi aspettano oggi.

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