La parte nascosta di James
James si fermò al distributore automatico a bere un caffè cercando di attenuare la pesantezza allo stomaco. Era sempre stato il suo punto debole, dove tutte le ansie si trasformavano in malessere fisico.
Si incamminò per raggiungere il reparto di ginecologia. Una solerte infermiera lo intercettò, ma gli bastò nominare il dottor Lewis qualificandosi come compagno di Amber Clermont per ottenere l'accesso.
Sotto indicazione di Amber, Gabriel aveva garantito per James con il suo collega medico, eliminando ogni sospetto sul giovane.
Sospirò e percorse il corridoio, illuminato dalla luce crepuscolare, che si disponeva in una serie di stanze, ognuna contrassegnata da porte di un verde cupo.
Lo stomaco si strinse, i ricordi lo riportarono indietro a quel ricovero ospedaliero dopo il tentativo di suicidio.
Passarono appena tre settimane dall'incidente dei loro genitori e iniziò a soffocare nel dolore sforzandosi di sorridere a Benedict che si prese sulle spalle le incombenze della famiglia.
Dentro covava un rimorso che lo devastava.
Non si rese conto nemmeno del funerale e dei pochi parenti che intervennero.
Si tormentava nello stesso pensiero: erano morti entrambi a causa sua, per i suoi capricci riguardo a uno stupido orologio. Anche Ben soffriva, cercando di simulare una forza interiore che non possedeva, ma lo sentì singhiozzare chiuso nella sua stanza. Si persuase di non poter alleviare il suo dolore.
Il vuoto lasciato dai genitori fu insopportabile, un'assenza che non conosceva tregua. Non riusciva a trovare il coraggio di affrontare la giornata scolastica, e Ben, pur combattuto dal suo rifiuto, tentava di comprendere il suo tormento.
Si convinse che Ben non meritasse un ragazzino così inutile che aveva portato alla distruzione della sua famiglia.
Si ricordava bene quanto suo fratello avesse amato Grace, la loro madre, a cui aveva confessato la sua diversità, in una serata che allora, James ancora troppo giovane, non riuscì a comprendere.
Quel giorno, rimasto da solo, mandò giù tutte le pillole della mamma, mentre piangeva, tremava e si scusava con Ben, sentendo il bisogno di pagare per quello che sentiva come una colpa, credendo di liberarlo dal peso della sua presenza
Eseguì il piano, nulla lo fermò.
Ma Benedict ritornò a casa per prendere un libro.
Salì di sopra e si accorse che la porta della camera matrimoniale, era rimasta aperta. Si insospettì e lo chiamò. Lui, sdraiato sul pavimento, rantolava con la bava alla bocca, con la paura e il freddo che lo attanagliavano. Quando lo vide strillò: lo spirito di sopravvivenza, gli dissero in seguito
Ben si precipitò dentro e urlò disperato.
Lo sollevò da terra, lo scosse così forte da fargli male, lo prese in braccio e lo portò in bagno.
Gli spinse la testa sotto l'acqua, lo tenne fermo per le spalle, gli infilò due dita in gola.
Sentì Ben piangere angosciato, implorarlo di resistere mentre lui si lamentava e scalciava.
Finché non vomitò.
Non trovava energia e gli mancava il respiro, il fratello lo avvinghiò a sé con tutta la disperazione che possedeva.
"Cosa hai fatto? Perché stupido? " urlò e lo schiaffeggiò più volte, tentando di tenerlo sveglio. James se lo ricordava ancora il volto pallido e rigato dalle lacrime di Ben; voleva scusarsi con lui, ma non riusciva a rispondergli.
E il maggiore, vedendolo cedere, lo spronò con rabbia e urlò così forte da spaventarlo.
"Mamma, papà non adesso! Non così!" gli artigliò la nuca con le dita, baciandogli i capelli umidi e appiccicati
"Non morire ragazzino, non puoi lasciarmi."
Lo appoggiò contro il muro, piazzandogli una mano sul petto per assicurarsi che non scivolasse, poi prese il cellulare per chiamare l'ambulanza, singhiozzando e balbettando parole sconnesse, lui che era sempre stato il più affidabile.
Avvolto in una sonnolenza densa, stava per cadere ma Ben lo avvinghiò con forza, quasi lo percosse.
"Non dormire, non andartene hai capito? Risolveremo ogni cosa, abbiamo tanto tempo per stare insieme," ma lui indebolito sentiva il torpore avanzare.
"Grace ti prego non portarmelo via." Mormorò impaurito rannicchiato al suo fianco, "é tutto quello che mi resta."
Lo tenne stretto al petto e lo cullò. "Stupido fratellino mio."
Quanto dolore gli aveva inflitto! Su questo, Gabriel aveva ragione: lo aveva fatto soffrire, rendendogli i giorni seguenti un vero inferno.
Il viaggio in ambulanza lo rammentava appena, ma al pronto soccorso si agitò e si ferì nel tentativo che fecero di infilargli un tubo in gola fino allo stomaco. Urlò e chiamò il fratello senza sosta, tanto che finirono per farlo entrare. Benedict, spaventato, pallido in volto, riuscì a calmarlo con la sua pacatezza. Gli parlò con voce tranquilla ripetendogli che le cose si sarebbero sistemate, lo accarezzò sulla fronte finché la stanchezza lo vinse e si abbandonò alle cure dei medici.
Non si sottrasse al suo dovere di fratello maggiore, benché giovane e inesperto.
E lui, si aggrappò a Benedict come se fosse l'ultimo appiglio per rimanere in vita.
Il peggio arrivò dopo. La depressione fu penosa, pianse inconsolabile rendendosi conto del guaio che aveva causato mentre Ben, impotente, con gli occhi scavati, cercava di consolarlo e non lo lasciò mai, rimanendogli sempre vicino.
Le finestre dell'ospedale, in quella camera bianca, erano dotate di inferiate e si sentì chiuso in prigione.
Prendere i farmaci fu una lotta, ma smise di piangere anche se iniziò a rifiutare il cibo, passando il tempo a guardare il soffitto.
Suo fratello trascorse giornate intere con lui. Finché la psicologa, con una pazienza materna, arrivò a farlo parlare. E il maggiore seppe di quell'orologio che continuava a tormentarlo, fu allora che, il lutto oscuro che attanagliava entrambi, si squarciò.
Ben realizzò la sua angoscia, lo prese per mano e gli rivelò che i genitori si attardarono per un contrattempo dovuto a un cliente.
Il cuore di James si alleggerì, iniziò a credere in sé stesso, riuscì a elaborare la morte dei suoi cari e con l'aiuto della psicologa riprese a mangiare e a dormire.
Quattro settimane dopo, lui e Ben, si abbracciarono e piansero così forte che le infermiere li sentirono e corsero dentro alla camera allarmate, ma quando li videro, capirono, e se ne andarono sorridendo lasciandoli da soli.
Risalì lentamente alla luce, certo a volte si perdeva, ma nei mesi successivi tornò a essere il fratellino impertinente di Benedict Emory.
Questa fu la vicinanza che li unì, quella che Gabriel non riusciva a capire e non voleva accettare. Qualcosa che andava oltre.
Arrivato presso la stanza del reparto di ginecologia, allontanò i ricordi. Si allacciò il colletto, si lisciò la giacca e si stampò in volto un bel sorriso ed entrò.
"Eccomi qua, mi ero solo attardato!" La sua voce allegra alleggerì la tristezza dell'amica che giaceva nel letto guardando la finestra socchiusa. "A quanto pare risulto ufficialmente il tuo compagno!"
Lei si voltò e sorrise, gli tese la mano e lo osservò con attenzione.
"Non hai una faccia rassicurante James, anche se sai fingere. Che ti è successo?" chiese inquieta.
Non volle appesantirla con i suoi problemi. "Nulla di grave, il tempo aggiusterà i malumori di famiglia."
Amber capì che non voleva parlarne e che le cose si erano complicate. "Non insisterò, me lo dirai quando te la senti."
Il giovane si avvicinò e posò delicatamente le dita sul suo polso. "Prometto che lo farò non appena ti sentirai meglio, per ora voglio solo stare qui con te e non pensare ad altro."
Le posò un bacio sulla fronte, con il sapore di caffè tra le labbra.
Si tolse la giacca e si accomodò nella piccola poltrona vicino al letto.
"Non vorrai passare la serata qui!" esclamò lei contrariata.
"Certo che sì, non ho che te!" rispose risoluto socchiudendo gli occhi.
Quella frase le rivelò che era nuovamente in difficoltà, e lei fu accomodante.
"D'accordo resta, ma devi riposare e lì non ci riuscirai."
Lui si schiarì la voce. "Starò bene! E poi ci sono abituato e da un po' che sto qui dentro."
"Non puoi starci tutta la notte." Lo sgridò l'amica
James sorrise fiacco, il bel volto era stanco. Eppure, reagì.
"E' per colpa mia se sei qui, posso resistere anch'io."
"Non essere insensato! Va nel mio appartamento!"
"O avanti donna! Fammi restare." fece una smorfia buffa ma si toccò inavvertitamente lo stomaco scombussolato.
Sospirò rassegnata, oramai conosceva il suo punto debole.
"Non è stata una buona idea mandare giù del caffè, un buon tè ti avrebbe aiutato di più."
Arrossì, non era abituato alle sue premure.
"Sei diventata una dottoressa, mia cara?" ridacchiò lui, "Amber non è niente, mi passerà. Ma ora applichiamo la cura "Benedict," dammi la mano e teniamoci stretti. Ti darò tutta la forza che ho."
"Nelle condizioni in cui sei? Che sciocco presuntuoso! Cadrai per terra prima di me per la stanchezza e bada che non ti raccoglierò." lo minacciò ridendo per quella serietà da saputello.
"Non ti fidi di me! Non apprezzi le mie doti di guaritore? Guarda che non sono così fragile." brontolò bonariamente il giovane.
"Eccome no? Me lo ricordo quello che mi hai combinato nel bagno di casa." scherzò la donna stringendogli forte le dita.
Scosse la testa rassegnato, aveva ragione, quasi gli era svenuto sul pavimento.
"Lo so ho fatto una figuraccia! Ma rimedierò. Quindi ora riposa perché domani ti voglio carica e decisa."
"James! Non è un incontro di calcio! Non mi devi motivare!" Risero entrambi, con una strana complicità. I problemi con Gabe svanirono e lui, sopportò meglio la lontananza del fratello.
Passarono la serata a guardare un programma nella vecchia televisione della stanza.
Era un quiz e Amber si appassionò a rispondere alle domande, quando non le azzeccava si irritava così tanto che lui iniziò a prenderla in giro.
Lo stomaco smise di fargli male. Frequentarsi risultava piacevole, il suo conforto lo aiutava e lo rendeva più stabile.
Si dimostrava affettuosa, con una delicata sensibilità che faceva percepire a pochi. La osservò e la trovò di una bellezza disarmante, si stava innamorando come uno sprovveduto. Di lei adorava anche la più piccola ruga, specie quella che le si formava sulle guance mentre rideva. Si sentì arrossire e la mano gli sudò.
"Che c'è? Sei accaldato." Lo guardò preoccupata.
"No, nulla forse la temperatura è troppo alta qui dentro." rispose con le orecchie scarlatte.
Allargò gli occhi verdi, non era una stupida e lo capiva meglio di chiunque altro. Abbassò la testa.
"Va a prendere un tè, ne hai bisogno, presto spegneranno le luci!" ridacchiò accarezzandogli il polso.
"Va bene o non la smetterai." concluse per darsi un tono.
Indossò la giacca e uscì per andare nel bar della mensa. Oltrepassò il corridoio che portava alla stanza di Ben.
Titubò, ma si fece coraggio e si avvicinò, socchiuse la porta: dormiva e sembrava tranquillo.
"Notte fratellone mio, perdonami." mormorò in un soffio.
Chiuse l'uscio senza far rumore, convinto che tutto si sarebbe sistemato.
Superò lo studio di Gabe ma non filtrava nessuna luce all'interno. Pensò che se ne fosse andato a casa e sperò che superasse la situazione.
Nel bar prese un tè come gli era stato suggerito e mangiò dei biscotti.
La giornata era stata stressante per tutti. Soffriva per il rifiuto di Gabriel, per un attimo si sentì inadeguato. Ma fu solo per poco, perché c'era Amber che gli era entrata nel cuore.
Quando tornò da lei, la trovò appisolata. Aveva ceduto alla stanchezza.
Fu delicato mentre le accarezzò il volto pallido. Maledì Wallace per quello che le aveva fatto, ma mantenne la promessa di non affrontarlo, non voleva che soffrisse per il ricordo di Damien.
Si sistemò al suo fianco, distese il braccio e intrecciò le dita alle sue, si coprì con la giacca e si lasciò prendere dal sonno.
******
I primi rumori del cambio del personale lo svegliarono, anche Amber si stava stiracchiando.
"Ciao James, credo che sia quasi ora." disse sbadigliando serena.
"Non avere paura, sai che sono con te." Ma lei era rilassata forse più di lui.
"Non ho timore, ma tu fa una pausa e aspettami." rispose un pò preoccupata che andasse da Henry.
"Non andrò lontano stai tranquilla, te l'ho promesso." la rassicurò ancora assonnato.
L'infermiera entrò per prepararla e lo invitò a uscire.
Le baciò la fronte. "Ci vediamo tra poco, ragazza francese."
Lei annuì, gli sistemò la cravatta mezza storta: era una donna forte, invece lui, spesso si lasciava travolgere dagli eventi.
Cercò la sala d'attesa, la sua vita in quei giorni la passava da una poltrona a una sedia per aspettare qualcuno.
Erano state settimane intense. Si sgranchì le gambe camminando avanti e indietro, si affacciò alla finestra che dava sulla strada.
Vide Benedict che aspettava di sotto nella zona dei taxi con la borsa appoggiata sul marciapiedi.
Agì d'impulso, corse al piano terra saltando i gradini a due a due rischiando di farsi del male e uscì fuori.
"Ben, aspetta!" gridò ansimando. "Dio scusami ma ho corso." Si chinò appoggiando le mani sulle ginocchia.
"Ti avevo detto di rimanere lontano." Sbuffò il fratello seccato.
"Come potevo mancare? Tu ci sei sempre stato." Ansimò ancora. "Me lo ricordo quanto ti ho fatto soffrire mentre ero in ospedale."
Riprese fiato. "Perdonami, Ben per il mio egoismo, ho rovinato la tua esistenza, tu eri giovane e ho dato per scontato che ti prendessi cura di me."
Il maggiore lo fissò accigliato, gli occhi offuscati. "Cosa sono questi pensieri adesso? È passato tanto tempo. Va da Amber e tienila stretta, ne ha bisogno." Borbottò imbarazzato.
"Lo farò e tu non strapazzarti, vedrai che Gabe capirà, é un testone ma ti ama." Lo abbracciò forte senza dargli il modo di sottrarsi. "Ti voglio bene, grazie per avermi salvato."
Si staccò e corse via.
Esultava dentro il suo cuore per averglielo detto.
Ritornò in sala d'attesa pensando di ricucire la sua vita.
Si decise di affittare la stanza nel palazzo in cui lei risiedeva, soprattutto per non gravarla con una convivenza troppo frettolosa. In più avrebbe chiesto a Benedict di assisterla nella ricerca di un lavoro appropriato: considerando le sue competenze in lingua francese e alla sua laurea.
In quanto a lui, si sarebbe interessato a sostenerla finanziariamente, in fondo possedeva ottime capacità e diverse opportunità di impiego, infatti molti clienti della Wallace e Roberts lo stimavano e conosceva altri studi legali pronti ad assumerlo.
Inoltre il socio anziano lo stimava più del suocero e molte volte si era complimentato con lui.
Conscio delle sue decisioni si sentì motivato e pieno di energia. Aspettò con impazienza Amber che uscì verso le undici.
Parlò con il medico. L'intervento era andato bene, le ferite interne erano state suturate, fortunatamente si rivelarono di lieve entità. Le avevano dato una leggera sedazione, gli dissero che, se tutto procedeva come previsto, sarebbe tornata a casa prima di sera.
Il cuore, dopo tanto tempo, si alleggerì. Affrettò il passo desideroso di rivederla.
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