Benedict è la mia famiglia.


James arrivò all'angolo della piazza di West Smithfield, dove sorgeva il Saint Bartholomew, determinato ad affrontare Gabe per vedere il fratello. Non provava rimorso per il suo comportamento nei confronti della moglie, ma solo un senso di inquietudine per come avrebbe reagito Margot. I Wallace erano noti per la loro arroganza e non riusciva a prevedere quale sarebbe stata la reazione di Henry al fallimento dell'intrigo orchestrato dalla figlia.

Parcheggiò l'auto e cercò di concentrarsi su Benedict.

Salì ai piani superiori, dove si trovava lo studio del dottor Fulton, il suo amato cognato furioso, che di certo si era fermato per la notte in ospedale. Bussò e, senza aspettare risposta, entrò.

Lo trovò assorto nella scrittura, con indosso una giacca che risentiva delle lunghe ore passate al Saint Bart.

Il medico alzò lo sguardo e sbuffò seccato, lasciando cadere la penna. Si appoggiò alla spalliera della poltrona, intrecciando le braccia sul petto. "Che ci fai qui? Ero stato chiaro!"

Il giovane alzò le mani in segno di resa. "Dimmi come sta Benedict e poi lasciami parlare."

"Sta bene è vigile e orientato, e se ti fa stare meglio, ha chiesto di te," sibilò lui infastidito.

Gabriel sembrava provato, la fronte solcata da rughe profonde, gli occhi arrossati, ma nonostante la stanchezza, era ancora arrabbiato.

James non si fece intimidire perché la buona notizia lo sollevò dall'ansia, tanto che sentì il cuore danzargli nel petto. Accennò che voleva sedersi.

"Accomodati, ma hai l'aria di aver combinato un altro guaio," brontolò il dottore massaggiandosi le tempie.

L'avvocato sospirò, prendendosi pochi secondi per raccogliere i pensieri, poi gli raccontò ogni cosa: dal messaggio di Margot fino a ciò che era successo quella mattina. Il cognato lo ascoltò con il volto incupito.

"So quello che pensi di me. Sono andato da mia moglie nella speranza di salvare il nostro matrimonio! Invece, il suo scopo era coprire il padre," aggiunse interdetto vedendo crescere l'irritazione di Gabriel.

In risposta, Fulton piantò i gomiti sulla scrivania e scosse la testa. "Credi davvero di aver migliorato la situazione umiliandola in quel modo? Ti avevo avvertito su che tipo di persona fosse diventata."

"Su questo avevi ragione. Non c'è più nulla che ci leghi, ora ne ho la conferma. E poi, quelle offese gratuite ad Amber!" sbuffò James toccandosi la nuca.

Il dottore, che si stava slacciando la cravatta, si fermò di colpo. "Che c'entra Amber adesso?"

Lui cercò di evitare di rispondere, ma Gabe lo incalzò. "Non proverai qualcosa per lei, vero?"

Si sentì avvampare per quella domanda che lo metteva in difficoltà. "No, che dici! La stimo come amica," balbettò poco convinto.

"Gesù, James! La stimi? Ci sei andato a letto!" esclamò Gabriel, fissandolo divertito dopo tanto tempo. "Sei un idiota!" mormorò alla fine.

Lui, già in debito d'aria, avvertì l'ennesimo crampo allo stomaco prima di rispondere.

"Beh, la sento vicina, mi capisce e mi ha soccorso senza chiedermi nulla."

Gabe brontolò. "Se è per questo, mi doveva un favore. Le ho chiesto di aiutarti."

"Poteva rifiutarsi! Invece mi ha sostenuto quando stavo male," si difese lui con troppa foga.

Il cognato si alzò turbato, piazzandosi in mezzo alla stanza con le mani affondate nelle tasche. "È una ragazza premurosa, ma non interpretare in fretta i suoi modi gentili. Anche se fa l'escort, ha un grande cuore. Non prendere le cose alla leggera."

"Lo so, non sono stupido," rispose lui distendendo le gambe e sospirando.

Fulton non si fermò. "Quello che hai fatto stamattina è stata una mossa azzardata. Non sottovalutare la reazione di Wallace."

James sentì l'ansia crescere.

"Me ne rendo conto, ma prima di andarmene ho preso le registrazioni della sorveglianza. Vengono cambiate una volta al mese e siamo agli inizi di marzo. Stavolta Margot non potrà mentire e accusarmi di violenza."

Gabe annuì. "Bravo, ti sei tutelato, ma Henry reagirà. Potrebbe dire che le hai sottratte."

Il giovane agitò la mano e rispose. "Oltre a essere il marito, risulto anche il proprietario. Le ho depositate al comando di polizia. Ho fatto tutto al meglio: quando deciderete di denunciarlo, ci sarà la prova dell'aggressione."

Il cognato socchiuse gli occhi e si pizzicò il ponte del naso, segno che un'emicrania stava arrivando. Ne soffriva da sempre e in quelle ore non si era mai preso una pausa. Lui si preoccupò vedendolo sofferente, dato che era il loro punto di riferimento. Si alzò e gli prese il braccio. "Stai bene? Il solito mal di testa?"

"Sì, quello che mi fai venire tu, ragazzo."

Gabriel si sottrasse dalla stretta e si girò verso la finestra, spalancandola per far entrare dell'aria fresca. Non si voltò, ma continuò a parlare con voce stanca.

"Sicuramente lo denunceremo. In questo caso, c'è un referto medico dell'incidente. Ma sei stato uno stronzo con tua moglie e presto Wallace saprà chi è l'escort che hai frequentato."

James lo raggiunse e cercò di spiegare le sue motivazioni. "Non hai idea delle umiliazioni che ho subito in questi mesi, di quante volte mi sono sentito inutile."

Fulton socchiuse la finestra e si voltò rassegnato. "Henry si vendicherà su Amber. Ti è chiaro adesso?"

Fu allora che l'avvocato comprese e impallidì. "Perché dovrebbe fare una mossa del genere?"

"Per come hai trattato Margot, non ti perdonerà mai di averla ferita per una... prostituta!" sbottò Gabe.

"Devo avvertirla." Esplose il giovane che in quel momento realizzò l'imprudenza della sua azione.

Il dottore lo evitò seccato e tornò alla scrivania. "Ti ridarò le chiavi di casa. Non puoi restare da lei! Chiamala e dille quello che hai fatto."

Gabe riempì un bicchiere d'acqua e, parlando più a sé stesso, mormorò: "Finisci sempre per combinare dei guai!" Aprì il cassetto e prese un blister di medicine. "Spero che imparerai, prima o poi, a non agire d'impulso! Ci sono altre persone coinvolte in questo casino."

Sbuffò, mandò giù la pillola e si abbandonò nuovamente sulla poltrona, massaggiandosi le tempie.

L' avvocato si ritrovò in debito d'aria. "Non darmi tutte le colpe! Che potevo fare se sono sterile? Mi hanno buttato fuori nemmeno fossi un appestato! Gabe, sistemerò ogni cosa, vedrai." Ammise James che uscì subito dopo dallo studio, deciso a informare Amber.

Mentre prendeva il cellulare dalla tasca rifletté che il cognato aveva ragione: la cattiveria di Henry si sarebbe fatta sentire. Eppure, l'insofferenza che aveva notato sul volto di Gabriel era difficile da digerire. Non riusciva a comprendere il suo comportamento; le sue parole lo ferivano, amplificando il suo senso di inadeguatezza.

Erano le mascalzonate dei Wallace a rappresentare la vera minaccia per le persone a cui teneva, e quel pensiero lo tormentava. Come poteva affrontare un nemico così subdolo, quando i suoi stessi legami sembravano incrinarsi sotto il peso della loro malvagità?

Contattò Amber con il cuore in gola, esponendole ogni dettaglio, fidandosi di lei. La sua reazione fu piena e comprensiva; lo ascoltò in silenzio e lui avvertì un leggero sollievo raccontandole di aver smascherato il piano di Margot. Sebbene Amber non approvasse del tutto il suo comportamento con la moglie, lo rassicurò dicendo che sarebbe stata attenta.

Tornò nello studio del cognato, che nel frattempo era riuscito a ritrovare un po' di calma.

"Non è a casa, ma da un'amica che si chiama Lise. È al sicuro. Non ho tralasciato nulla; non mi ha assolto, ma ha capito. Più tardi verrà a visitare Benedict."

Il dottore lo fissò interdetto. "Lise? Ha detto amica?"

"Sì, la conosci? Non sapevo che ne avesse." Rispose lui sorpreso da tanta attenzione.

"Ho sentito il nome, ma niente di più." Gabriel chiuse l'argomento, appoggiò il gomito al bracciolo della poltrona e si sostenne il capo tra le mani. James si sentì in colpa nel vederlo soffrire, nonostante l'uomo fosse una roccia.

"Che ti succede? Mi nascondi qualcosa?" Il giovane si avvicinò, dimenticando le loro divergenze, e strinse la spalla del cognato. "Lasciami stare con mio fratello e troverò il modo per aiutarlo."

La mano di Gabe tremò. "E come, ragazzino? Con la magia?"

James, turbato, osservò i movimenti dell'amico, che erano troppo lenti. Di solito, Gabriel era un vortice di azione e quel cambiamento lo inquietava.

"Si tratta della sua ferita?" chiese lui, la voce incerta.

"L'ematoma non si riassorbe, e se non succederà, bisognerà operarlo." Il medico scandì le ultime due parole con tale debolezza che si faticava a sentirle.

"Non pensarci nemmeno. Ben starà bene! Deve sentire che gli sono vicino." La sua risposta, carica di determinazione, colpì Gabriel, che si sollevò e lo fissò perplesso.

Lui gli sorrise, e per la prima volta da quando era arrivato, il dottore sembrava realmente vederlo con occhi diversi.

"So che hai un legame speciale con lui," farfugliò il rosso. "Forza allora, andiamo."

Il giovane si sentì almeno in parte compreso. Era pronto a prendersi cura del fratello a essere il sostegno di cui aveva bisogno.

Lasciarono lo studio e si avviarono lungo il corridoio che li avrebbe portati al reparto di rianimazione. L'aria sterile e il forte odore di disinfettante colpirono James come un pugno nello stomaco, facendolo arretrare.

"Lo so è fastidioso, ma poi ci si abitua," lo incoraggiò Gabriel con una generosa pacca sulla spalla. Rimanere in quel luogo per ore o giorni interi era un compito che metteva a dura prova chiunque.

Gabe era a conoscenza della sua avversione per gli ospedali.

Una sera, mentre cenavano tutti e tre insieme, Benedict accennò all'incidente che James aveva subito da adolescente. Non si addentrò nei dettagli, e Gabriel, comprendendo l'importanza di quel momento, si accontentò senza insistere ulteriormente.

Quando arrivarono alla porta, il medico esitò, la mano sospesa sulla maniglia.

"Ha i capelli rasati e anche i baffi, a cui teneva tanto, non ci sono più," sospirò, l'espressione che tradiva un mix di tristezza e preoccupazione. "Ha una fasciatura sulla testa e potrebbe incespicare nelle parole."

James sentì il sangue raggelarsi nelle vene, come se la realtà stesse per travolgerlo.

"Devi essere sicuro! Amber mi ha detto che sei stato male, cerca di non crollarmi proprio adesso." Il dottore afferrò il polso del giovane, stringendolo con forza.

"Stai tranquillo, posso farcela." mormorò l'avvocato.

Fulton annuì e si decisero a entrare nella stanza.

Benedict giaceva sprofondato nel letto, vicino alla finestra. I monitor emettevano un beep costante, registrando i suoi parametri vitali, mentre il braccio destro era immobilizzato da accessi per le flebo. Una vistosa medicazione copriva la sua nuca rasata e l'ematoma che si estendeva fino alla tempia era ben visibile.

Al loro ingresso, Ben girò il volto cercando di metterli a fuoco e quando vide James, si agitò subito, iniziando a iperventilare.

Gabe accorse al suo fianco, con un cenno costrinse il giovane a fermarsi e fu un bene, perché la vista di Ben in quelle condizioni lo fece vacillare.

"Benedict, ti devi calmare o lo mando via. Hai capito?" lo sgridò il dottore con gentilezza, riuscendo a mascherare l'ansia dietro la professionalità.

Il paziente annuì lentamente, mantenendo lo sguardo fisso sul fratello. Il compagno gli accarezzò il volto finché non lo vide tranquillo.

"Vieni ragazzo. Ora vi lascio da soli; fate i bravi." Gabriel uscì dalla stanza in silenzio, consapevole del momento difficile che stavano per affrontare.

Il minore gli corse al fianco e lo baciò sulla fronte. "Sono qui, Ben. Stai calmo, altrimenti mi cacciano via." Gli occhi gli brillavano di lacrime trattenute quando gli mormorò. "Ti voglio bene, scusami per quello che ti ho causato."

Si sedette su una sedia, così vicino che le ginocchia toccavano il letto. Gli prese la mano, permettendo al calore della sua, di trasferirsi su quella pallida del fratello.

"Non... hai fatto nulla... non scusare..."

Il più giovane mascherò il dolore nel sentire le sue parole biascicate, così forzate, lui che di solito parlava per ore durante le conferenze a Oxford. Gli accarezzò il capo rasato, cercando di trasmettergli un po' di conforto.

"Non ti lascio più. Tu promettimi di lottare." James strinse la sua mano con forza.

Il maggiore si sforzò di rispondergli: "Lo farò... prometto."

"Lo sai che ci conto." Le sue dita si intrecciarono con quelle di Benedict, creando un legame indissolubile.

Ben gli restituì uno sguardo colmo di affetto fraterno. James riconobbe quell'espressione preoccupata che conosceva bene e che non lo aveva mai abbandonato in tutta la vita, nemmeno quel giorno, di anni prima, quando aveva commesso un folle errore.

Lottò contro l'impulso di lasciarsi andare alle lacrime. Quante volte era stato Benedict a sostenerlo!

"Non farmi piangere o Gabe si arrabbierà." Gli sorrise, cercando di nascondere l'emozione. "Come ti senti? Hai dolore alla ferita?"

"No, poco...io meglio...tu avuto paura?"

"Sì, molta, ma so che sei una roccia. Ti ho sempre rovinato la vita: ero uno stupido ragazzino che non voleva crescere."

Benedict respirò lentamente, parlare gli richiedeva un grande sforzo.

"Mamma e papà...incidente...tu sofferto. Ho fatto mio dovere! Sei uomo ora."

Il giovane si sentì colpito da quell'ammissione, consapevole che la loro connessione era più forte di qualsiasi avversità.

"O Ben! Cosa sarei senza la tua forza? Avevi appena ventiquattro anni; ora tocca a me aiutarti."

"No. Tu stanchi...io non bisogno." Benedict si girò verso la porta, visibilmente addolorato. "Gabe...soffre...arrabbiato."

"Lo so, ma posso sopportare. Resterò fino a quando starai meglio. Ci chiariremo in seguito." Non menzionò la reazione del cognato, ma immaginò che Ben lo avesse capito.

"Mi dispiace...si sente solo...non capisce."

"Non pensarci, ora sono qui." James lo tranquillizzò e cercò di scherzare cambiando argomento. "Sei carino con questo nuovo look, sembri più giovane." Gli sorrise sentendo le loro mani stringersi con più forza.

"Io meglio prima...stupidio." 

James ridacchiò a quella parola confusa. "Lo prendo per stupido e idiota?"

Benedict provò a ridere, ma la risata si trasformò in tosse anche se riuscì a borbottare. "Tu beffare me. Ma sei mio fratellino...ti voglio bene...lo sai."

"Anch'io te ne voglio, ora riposa."

Il giovane notò la stanchezza che si rifletteva sul volto del maggiore. Lo baciò delicatamente sulla tempia scura e lui cedette, chiudendo gli occhi. La sua presa si allentò mentre si assopiva, un sorriso sereno sulle labbra.

Tutti i parametri vitali segnavano buoni valori.

Il minore continuò a tenerlo stretto cercando di fargli sentire la sua presenza.

Gabriel entrò mezz'ora più tardi e si bloccò nel vederli così vicini.

"Sta dormendo, lo puoi lasciare ragazzo." disse con voce gentile sfiorandogli la schiena.

"No, resto e non mi sposto." James si voltò a guardarlo, le lacrime gli offuscavano lo sguardo. Sussurrò con la mascella serrata. "Ben è tutto quello che mi resta della mia famiglia."

Il cognato aggrottò la fronte e capitolò.

"Non reggerai, non hai nemmeno mangiato. Dovrai prenderti delle pause."

"Le farò nel tuo studio, se me lo concedi, oppure sulla panchina di fuori. Non preoccuparti, non ho fame dopo quello che ho passato stanotte. Cenerò stasera."

Il medico brontolò. "Per ora hai vinto! Portiamo qui una poltrona anche per la notte, almeno starai più comodo. Sei testardo quanto Benedict!"

Solo allora lui si staccò, e subito il paziente emise un lamento per la mancanza del contatto.

Il dottore scosse la testa ironico. "Gli manchi di già, forse hai ragione, stargli vicino lo aiuterà."

Silenziosi, sostituirono la sedia con una poltroncina imbottita. Quando tutto fu sistemato, James riprese a tenergli la mano, calmando il suo ansimare nel sonno.

Gabe sospirò, visibilmente allibito e il giovane notò un'ombra di gelosia attraversargli il volto.

Distogliendo lo sguardo, il medico si affrettò a cambiare argomento.

"Ti lascio del tè. Fuori c'è il bagno. Cerca di dormire se puoi."

L'avvocato annuì. "Appena Amber arriva avvisami. Devo parlarle, ho delle responsabilità su di lei. Tieni lontano i Wallace da qua. Voglio soltanto che Ben guarisca."

"Lo vogliamo entrambi, ma non tirare troppo la corda. Ci sono anch'io qui!" Rispose piccato il dottore. Si girò per andarsene con le spalle pesanti.

Lui lo fermò sulla porta chiamandolo con affetto.

"Gabe, non sentirti escluso, so il dolore che provi nel vederlo così. Grazie per essere il suo compagno."

Il cognato rimase aggrappato alla maniglia. "D'accordo ragazzo, scusami, ma a volte fatico a capirti. Ora fa il bravo e non strapazzarti troppo."

Uscì scuotendo la capigliatura fulva.

Il giovane Emory percepì di avere un nuovo problema con lui, che stentava a comprendere l'affetto che lo legava a Benedict. I giorni seguenti sarebbero stati difficili, non solo per i problemi con il suo matrimonio, ma doveva stare attento a non urtare la sensibilità di Gabriel. 

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