Amber è in pericolo
James trascorse i giorni successivi al Saint Bart. La sua dimora era diventata la stanza di Benedict, che si lamentava sempre più spesso, sentendosi oppresso dalla sua presenza.
"Posso restare da solo qualche volta? Non sono un invalido!" gli urlava esasperato ora che aveva recuperato la parola.
Il giovane gioiva e ridacchiava sentendolo parlare in modo fluente.
"Tra poco tornerai a casa e allora sarai libero di goderti tuo marito." lo stuzzicava lui, prendendolo in giro.
In realtà era soddisfatto dei progressi del fratello, ma ancora non si sentiva pronto a lasciarlo.
Si concedeva mezza giornata di pausa, tornava alla villetta e riordinava le stanze; si ripuliva e cambiava, per poi tornare subito da Ben. Aveva scelto di fargli compagnia, per stimolarlo nella lettura e nella conversazione.
Era pur vero che, a volte, Gabriel sembrava innervosirsi; James capiva quanto fosse pesante per lui la mancanza di libertà con il compagno, ma sapeva che alla fine il cognato tollerava la sua presenza purché Ben guarisse."
L'avvocato aveva imparato a concedere alla coppia la giusta privacy e se li vedeva brontolare, inventava una scusa per uscire e lasciarli soli.
Quando Benedict riposava, lui passeggiava nel giardino dell'istituto. Così godeva di un momento di pace, che gli permetteva di pensare ad Amber. Sperava ogni giorno che si facesse viva, ma lei preferiva chiamare Gabe per avere notizie sulla degenza di Ben.
Col tempo, iniziò ad avvertire il peso dell'indifferenza della donna, sentendosi messo da parte. Il suo rifiuto gli pesava, anche se cercava di mascherare la sua vulnerabilità crescente. Continuava a mandarle messaggi e vocali, ma lei rispondeva con poche parole di circostanza dicendogli che andava tutto bene. Gli mancava terribilmente, ma non riusciva a dirglielo, temendo di pressarla troppo e rispettando la sua scelta di mantenere le distanze.
Attraverso il cognato, aveva saputo che lei si era allontanata dal suo scabroso lavoro, il che lo aveva rassicurato. Sperava che l'ira del vecchio Wallace, per ciò che aveva fatto a Margot, si fosse placata. Tuttavia, il dubbio che la moglie avesse parlato al padre della presenza di una donna nella sua vita, anche se solo un'amica, non lo faceva stare tranquillo.
Soprattutto, temeva che Henry scoprisse la verità su Amber e della sua attività di escort. La possibile reazione dell'anziano lo tormentava da giorni. Infatti, qualcosa tramava, visto che non si era mai fatto sentire per sincerarsi delle condizioni di Benedict.
In questo stato di ansia, la settimana volse al termine. Il venerdì mattina, Gabe rispose a una chiamata dell'amica, e lui si allontanò di qualche passo per non infastidirlo.
Il dottore gli rivolse uno sguardo ironico mentre parlottava con lei davanti alla porta dello studio. Dopo aver riposto il dispositivo, esplose in una risata.
"Sta bene. Dovrai deciderti prima o poi a parlarle da uomo," brontolò, sistemandosi il camice mezzo storto.
"Da uomo?" chiese lui sorpreso.
"Sì, devi dirle quello che provi! Non far passare dei mesi," lo redarguì il medico piccato. "Non aspetterà in eterno."
James non replicò e, senza troppa eleganza, Gabe lo spinse verso la camera di Ben.
"Sembri avere della segatura in quella testa!" mormorò il dottore, contrariato per l'indecisione di James.
"Gli parlerò appena Benedict torna a casa," rispose deciso, poi cambiò argomento. "E dei Wallace? Non si è saputo più nulla?"
"Non si sono fatti sentire, ma la denuncia per l'incidente è partita d'ufficio due giorni fa," disse Gabriel, stringendo la maniglia della porta. "Quando Henry ne verrà a conoscenza, di sicuro reagirà."
Lui sospirò, massaggiandosi le tempie. "Sarà uno scontro complicato," mormorò.
Gabe lo trattenne per il braccio. "Vedremo come si comporterà, ma la parte lesa è tuo fratello, non scordarlo."
"Lo so che non riesci ad assolvermi del tutto, ma ora Ben sta meglio e presto mi allontanerò per lasciarti spazio."
"Cerca di non fare di testa tua e andremo d'accordo," rispose Fulton sospirando.
Il professore, ignaro dei loro dissapori, sorrise vedendoli entrare.
Gabriel incoraggiò il paziente a compiere qualche passo per la stanza, per tenersi in esercizio.
"Se gli esami di domani vanno bene, ti riporto a casa. Che ne dici?" annunciò il medico con un sorriso luminoso.
Benedict si appoggiò al compagno e lo sfiorò con un bacio. "Ho voglia di rivedere la nostra villetta e dormire nel mio letto."
James si tenne in disparte, sentendo di aver terminato il suo compito. Con una scusa, uscì per andare a pranzare e lasciarli da soli.
Si recò in mensa, dove consumò un pasto in religioso silenzio. Si sentiva di nuovo un intruso, la stessa sensazione che lo aveva tormentato quando suo fratello aveva iniziato a convivere con Gabriel.
Infatti, un mese dopo, si trasferì in una stanza a Oxford, non volendo sentirsi un terzo incomodo. Fu una decisione dolorosa, mascherata dall'alibi degli studi. Nonostante frequentassero lo stesso college, lui come studente e Ben da docente e si vedessero spesso, James decise di mettere da parte i propri desideri per il bene del fratello.
Forse fu proprio l'impulso di trovare qualcuno che lo amasse e alleviasse la sua solitudine che lo spinse verso Margot. Era una ragazza ambita, con molti pretendenti, e lui si sentì lusingato quando lei scelse di frequentarlo.
E ora eccolo qui, a fare i conti con una terribile realtà: la fine del suo matrimonio.
Rifletteva che, con la guarigione ormai certa di Ben, fosse arrivato il momento di ricomporre i frammenti della sua esistenza e cercare di andare avanti. Presto si sarebbe ritrovato senza lavoro e senza un tetto: doveva decidersi in fretta nel trovare un appartamento dove vivere.
Il desiderio di rivedere Amber cresceva ogni giorno.
I vestiti sporchi, lasciati da lei settimane prima, sembravano la scusa perfetta per contattarla. Mentre stava per fare la chiamata, un messaggio lo colpì come un pugno. Quando lo lesse, dovette appoggiarsi alla parete del corridoio per non cadere.
"Carina la tua puttana."
Era di Henry Wallace!
Il cuore gli accelerò in petto, una forte ansia lo prese al pensiero che si trattasse di lei. Non perse tempo e la chiamò subito. La risposta arrivò al terzo squillo.
"Ciao Amber, stai bene?" cercò di mascherare la sua agitazione, tentando di darsi un tono. "Non ti ho più sentito. Vorrei riprendere gli abiti che ho lasciato da te."
"Non adesso. Sono occupata." La sua voce era soffocata, il respiro affannato.
"Vengo da te e salgo solo un attimo, prendo le mie cose e me ne vado. Non voglio fermarmi." sentì la gola seccarsi, ma non riuscì a smettere di parlare.
"Non ora, non ho tempo." La sua risposta sembrava forzata, lui percepì un brivido lungo la schiena. C'era qualcosa che non andava.
"È con te? C'è lui, vero?" La domanda gli uscì angosciata, il suo cuore stretto da una premonizione.
"Non ti riguarda, so fare da sola." La voce di Amber tremò, ma lo mascherò bene. Lui sentì la paura e un'inquietante sensazione di pericolo.
"Dimmi se quel bastardo è con te!" il suo tono era carico di rabbia, lei rimase in silenzio per un istante che sembrò eterno. Poi, nel sottofondo, avvertì una frase che lo trafisse quasi fosse un coltello.
"Allora? Quanto devo aspettare? Mandalo al diavolo, chiunque sia! Io ti pago di più."
Era la voce del suocero.
"Maledetto!" gridò lui dentro al cellulare, incapace di trattenersi.
"Non crearmi problemi. Me la caverò come ho sempre fatto." Amber sussurrò poche parole incerte. "Stai calmo e non richiamarmi."
Poi riattaccò, in quel momento James sentì il suo cuore spezzarsi. Un colpo gelido lo attraversò, il freddo del muro gli penetrò nelle ossa mentre l'aria sembrava sfuggirgli dai polmoni.
Quando finalmente riuscì a riprendere fiato, corse dritto nell'ufficio di Gabe. Era l'ora del pomeriggio in cui il cognato stava rivedendo i suoi impegni.
Spalancò la porta, ancora con il telefono in mano.
"Ma che succede?" esplose Fulton appena lo vide, il volto teso dalla sorpresa.
Il giovane cercò di parlare senza riuscire a comporre una frase che avesse senso. Le pulsazioni del cuore gli martellavano nelle tempie.
Gabe lo raggiunse e lo afferrò per un braccio. "Ti calmi e mi spieghi?" lo strattonò, ma già aveva capito qualcosa. "Si tratta di Amber, vero?"
James annuì confuso, cercando di farsi capire. "Wallace è da lei... è spaventata, anche se ha negato."
"Siediti e raccontami tutto," gli ordinò Gabriel con tono fermo, la preoccupazione ormai chiara nei suoi occhi.
Lo spinse sul divano e gli porse un bicchiere d'acqua. Lui lo bevve d'un fiato, purtroppo non bastò a calmarlo. Balbettando raccontò della conversazione, e il dottore rimase per un lungo momento in silenzio, camminando nervosamente per lo studio con le mani infilate nelle tasche dei pantaloni.
"Cosa faccio?" implorò il giovane. "E se fosse in pericolo?"
Fulton si fermò, trattenendo una smorfia. Le labbra si strinsero in un ghigno sottile. "Se ti ha risposto, vuol dire che sta bene. Ora calmati."
James si alzò, spinto dal rimorso e fissò il vuoto. "Devo andare da lei."
"Non ci andrai da solo, basta con i casini! Verrò con te. Prima avverto Ben, si preoccuperebbe se non ci vedesse entrambi. Aspettami di sotto."
L'avvocato annuì senza aggiungere una parola e lo seguì di fuori mentre Gabriel si dirigeva verso la stanza di degenza.
Indossò la giacca tremando e scese le scale non vedendo nemmeno i gradini di marmo. Dentro di sé, un caos di emozioni: rabbia, sconforto, impotenza. Una danza macabra che sembrava non voler finire.
Come era finita Amber in una situazione del genere? Sapeva che aveva smesso con il lavoro di escort. Quel maledetto doveva averla ingannata.
Fu raggiunto dal medico in pochi minuti.
James lo interrogò senza preamboli. "Cosa hai raccontato a Ben?"
"La verità. L'ho avvertito che dovevamo assicurarci che Amber fosse al sicuro, visto che non la vedevamo da tempo. Ho solo omesso di parlare di Henry."
Fulton stringeva la borsa medica con una forza insolita, quando il giovane la vide, un'onda di nausea lo travolse. Il cognato se ne accorse.
"La porto sempre con me. Non farti prendere dal panico." Lo rassicurò lui.
Iniziarono a camminare velocemente verso l'auto.
"Guido io! Stai tremando giovanotto!" lo sgridò il dottore, notando la sua agitazione.
Lui non protestò. La tensione lo aveva reso così rigido che non riusciva nemmeno ad allacciare la cintura di sicurezza, le sue mani tremavano troppo.
Il silenzio che regnò durante il tragitto aumentò il peso dell'attesa. James osservò di soppiatto il volto incupito di Gabe, ma la preoccupazione che leggeva negli occhi dell'uomo non faceva che aumentare la sua angoscia. Si sentiva sempre più lontano da lui, come se tra loro si fosse creato un abisso che stentava a colmare.
Arrivarono all'edificio di Main Street e fecero un giro dell'isolato. La Jaguar di Wallace non c'era.
"Sembra che se ne sia andato." Gabe lo guardò serio. "Tu cerca di calmarti. Non voglio che succeda nulla."
Parcheggiarono e scesero di corsa. Il cellulare dell'avvocato vibrò di nuovo, era un altro messaggio dal suocero. Lo aprì, e si sentì gelare. Le parole erano un colpo secco.
"Avevano ragione, è una grande puttana. Mi è piaciuto godere con lei, soddisfa tutto quello che le chiedi. Te la meriti, stronzo. Alla prossima, Margot ti ringrazia."
James vacillò, il mondo sembrò cadere con lui. Gabriel, che lo stava osservando, lo vide barcollare. In un attimo gli strappò il telefono dalle mani e lo sorresse.
"Quel bastardo si è vendicato per come hai trattato sua figlia. È stato lui a imbeccare Margot. Saliamo in fretta." Spinse il giovane da parte e prese la valigetta medica.
Salirono le scale di corsa, l'ascensore avrebbe impiegato troppo tempo. Prima di bussare, il medico gli afferrò il braccio. Entrambi ansimavano per la tensione.
"Cerca di stare calmo, ragazzo! Vediamo in che condizioni è!"
Bussarono più volte. Fu il cognato a parlare: "Amber, sono Gabe. Puoi aprirmi? Stai bene?"
La porta si schiuse lentamente. La donna apparve pallida e incerta, avvolta in un plaid azzurro che teneva stretto con le mani tremanti. Aveva un segno scuro sulla guancia, alcuni sulle labbra, i capelli scomposti, e non riusciva a reggersi sulle gambe nude.
"Per tutti i santi." sibilò Fulton, appoggiato allo stipite.
James lo superò, afferrandola con delicatezza e sollevandola da terra.
"Amber, cos'è successo? Cosa ti ha fatto quel bastardo?" La osservava, cercando di valutarne lo stato.
Lei si lasciò andare al suo abbraccio, riuscendo a mormorare: "Wallace è arrivato con l'inganno. Ho aperto a un fattorino e lui è apparso alle sue spalle."
"Le spiegazioni a dopo, ora portiamola in camera!" ordinò Gabriel con l'autorevolezza della sua professione.
"Non nella matrimoniale," si lamentò lei.
La stanza, che James conosceva bene, era stravolta dal disordine.
La portò nella cameretta degli ospiti, pulita e accogliente. La stese sul letto e la sistemò con delicatezza, facendo attenzione a non causarle ulteriori problemi. Le sue gambe erano irrigidite e le dita sporche di sangue rappreso.
"Lurido schifoso," sussurrò tra sé.
Il medico si incaricò del primo soccorso. "Me ne occupo io. Portami dell'acqua, degli asciugamani puliti e un cambio, visto che conosci la casa."
James annuì, cercando di tranquillizzarla. "Fidati di Gabe," le disse ancora in affanno.
La donna socchiuse i begli occhi verdi. "Mi dispiace," mormorò affranta.
"E di cosa? Del pericolo in cui ti ho messo?" protestò il giovane, stringendo le dita sulle tempie.
Amber alzò il braccio per fermarlo. "Promettimi di non reagire James, non è colpa tua." Aveva le lacrime che le rigavano il volto e lui si sentì morire.
Gabriel, seccato da quella frase, li interruppe perentorio. "Vai a fare quello che ti ho detto."
L'avvocato rassegnato non replicò e uscì, lanciando un'ultima occhiata ad Amber per tranquillizzarla. Trovò il necessario e tornò nella stanza a testa bassa.
Si chinò per prenderle la mano pallida e lei non si oppose, ma ancora una volta il cognato intervenne.
"Esci, lasciaci soli. Ci penso io! La devo esaminare." Gabriel non riusciva più a mascherare la sua crescente irritazione per tutto ciò che era successo.
James intuì che doveva lasciargli smaltire la rabbia. Prima di andarsene, si concesse di dare alla donna, un bacio sulla fronte.
"Non abbandonare l'appartamento, ho bisogno di te qui," gli ringhiò il medico.
Lui, che aveva imparato sulla pelle del fratello cosa significasse reagire alle provocazioni di Wallace, rimase in cucina, camminando avanti e indietro, perso nel dolore di Amber e nella furia di Gabe. Per distrarsi, decise di sistemare la stanza matrimoniale. Aprì la finestra per arieggiare, sfilò le lenzuola e le buttò nella cesta del bucato. Ne trovò di nuove e pulite e le cambiò, ma il doloroso rimpianto di aver causato problemi a chi amava, soprattutto a lei, non si dissipò.
Aspettò che Gabe avesse finito, temendo una sfuriata difficile da contenere. Quando il medico uscì con il volto segnato dalla stanchezza, alzò le braccia e fermò l'avvocato sulla porta.
"Lasciala riposare. Ora dorme," sibilò Gabriel, afferrandolo per il braccio e trascinandolo in cucina. "Sai mettere sul fornello un caffè?" gli ordinò perentorio.
James annuì silenzioso. Aveva visto Amber preparare la colazione, sapeva come muoversi. Gabe si sedette e appoggiò le dita sulle tempie, sfregandole con forza.
"Cosa ti succede?" chiese lui preoccupato, appoggiando la bevanda sul tavolo.
"Tuo suocero è stato un animale," rispose il medico, scostando le braccia e afferrando la tazzina. Sembrava infastidito dalla sua presenza. "Le ha imposto un rapporto brutale, ha dovuto subirlo. Ha delle ferite interne." La tazza ondeggiò pericolosamente nelle sue mani.
"Quel bastardo l'ha violentata?" sibilò James con la gola secca.
Fulton scosse la testa silenzioso. "Non proprio, era consenziente, ma l'ha costretta a fare ciò che voleva. Amber lo ha assecondato per paura che andasse oltre."
Gabriel lo guardò con rancore. "È una difesa che adotta per controllare l'aggressività che ci mettete quando fate sesso per sfogarvi dalle vostre paranoie!" Trangugiò il caffè. "Lo hai fatto anche tu quella volta, non te lo scordare." Sbatté la tazzina sul tavolo, fissandolo rabbioso.
L'accusa indignò l'avvocato, che non replicò, aspettandosi il resto. E infatti, Gabriel non si fermò, infierendo ancora.
"Henry si è vendicato per punire l'affronto che hai imposto a Margot. Causa e reazione. Non avete avuto rispetto! " sbottò furioso.
"Non paragonarmi a Henry, non sono come lui. Le ho chiesto scusa!" gridò James con tutto il fiato che poteva raccogliere. "Vuoi farmi passare per un mostro? Sai qual è stato il motivo che mi ha spinto a comportarmi in quel modo!"
Cercò di riprendere il controllo, ma la persona che aveva davanti era irriconoscibile. Non sembrava più il Gabe rassicurante che conosceva e a cui voleva bene. Le sue insinuazioni gli provocavano un dolore quasi fisico. Non riusciva più a sopportare il suo atteggiamento. Consapevole che si sarebbe inimicato Ben, esplose.
"Ora basta! Smettila di accusarmi di ogni cosa. Non sono io la causa di quello che è successo. Se Henry non fosse il bastardo arrogante e vendicativo che è, non saremmo qui adesso. Né Benedict in ospedale."
Fulton rimase in silenzio, la fronte solcata da rughe profonde.
James continuò, incapace di trattenersi: stava andando oltre e sapeva che ne avrebbe pagato le conseguenze.
"Sai che ti dico? Sembri quasi contento di buttarmi addosso tutta la tua gelosia. Perché è di questo che si tratta!"
Le mani del dottore si strinsero in due pugni pericolosi.
Ma lui non si fermò. Lo aggredì ancora.
"Soddisfa la tua curiosità malata, vai da Ben e chiedigli cosa lo preoccupa per me. È il suo affetto incondizionato che ti infastidisce, vero?"
"Bada, James," sibilò Gabriel, ormai al limite della sopportazione.
"No, ora devi ascoltarmi," rispose il giovane, senza lasciarsi intimidire. "Io ti ho accettato, con il cuore che mi andava in pezzi quando me l'hai portato via, ma ti ho spalancato le braccia nel vedere mio fratello sereno dopo tanto tempo."
Si fermò, fissandolo come se fosse diventato un avversario.
"Pensaci Gabe," disse con voce carica di tensione, "a quello che posso provare io, che mi trovo in questa merda in cui sono finito mio malgrado. Non sei l'unico a soffrire!"
Il volto di Gabriel, cupo, sembrò distendersi, e cercò di smorzare la discussione. "Ricorda che ho sempre fatto del mio meglio per esserti d'aiuto."
James lo fissò sprezzante. "Allora qual è il motivo della tua gelosia? Non puoi darmi la colpa di tutto! La mia sterilità ha causato il divorzio! Non ho più un lavoro, né una casa. E poi, voglio bene ad Amber, pur sapendo le difficoltà che mi aspettano."
Il dottore esitò, prendendo la tazza vuota e rigirandola tra le mani, sorpreso dalla difesa accanita del cognato. I suoi occhi si fecero più attenti.
"Che c'è che non so?" chiese a voce bassa, con una punta di preoccupazione. "Cosa mi ha taciuto Benedict su di te?"
Il giovane sbottò: "Chiedilo a lui, digli che hai il mio consenso! Poi fai come vuoi. Ma non trattarmi più così, Gabe. A lungo andare rovinerai i sentimenti di mio fratello."
Il medico accusò il colpo e alzandosi lentamente, si lasciò sfuggire in un sussurro.
"Fai riposare Amber e dopo cena portala al Saint Bart. Ha bisogno di una visita ginecologica, parlerò io con il collega, Amber non vuole sporgere denuncia." Prese la borsa, la chiuse, ma le mani gli tremavano e aggiunse, "con il lavoro che fa non se lo può permettere."
James sospirò comprendendo la situazione delicata e abbassò il tono.
"Bene, la porterò in serata. Tu racconta a Ben cosa è successo, digli la verità. Capirà, perché ti ama molto più di quanto tu possa immaginare. Da oggi sarà solo tuo. Godrai del tempo che ti serve."
Il dottore evitò di guardarlo negli occhi, non aggiunse altro e si allontanò in silenzio.
Appena sentì chiudere la porta, James si accasciò sul tavolo, la testa china tra le braccia. Il suo corpo tremava, mentre un groppo alla gola lo soffocava in un misto di vergogna e rimpianto per un periodo della sua adolescenza in cui aveva rischiato di perdere tutto, compresa la vita. Quella scelta sbagliata gravava su di lui tanto quanto un macigno.
Non riusciva a immaginare quale sarebbe stata la reazione di Benedict dopo la loro lite, né come Gabriel avrebbe reagito venendo a sapere di ciò che aveva fatto anni prima. Il senso di disperazione lo paralizzava. Sapeva che non restava altro da fare che aspettare, temendo che il tempo, invece di lenire le ferite, le rendesse solo più profonde.
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