Amato da Dio

La musica per te era un culto a cui votarti. Consacrato a Dio, artigiano scalpellinante i suoni da quel blocco grezzo di note. Sezionavi i suoni con la fredda, lucida chirurgia di un dottore. Li studiavi con attenzione. Assorto. Concentrato.

Per quel ragazzino impertinente comporre era facile quasi come respirare.

Lui, sì. Proprio lui.

Il fanciullo osceno di Salisburgo.

L'amato da Dio.

Fu nome mai più profetico e calzante? Wolfgang Amadeus Mozart. Il tuo agnello sgozzato sull'altare della grandezza. O almeno così credevi. A chi aveva destinato la grandezza, l'Onnipotente? A chi aveva elargito il dono di tradurre in musica la Sua Voce con una facilità e una fluidità sconcertanti? A te, che ti eri tanto impegnato nella ricerca del sublime? O a un pagliaccio gaudente e infantile, mai del tutto cresciuto dal dolce e adorabile enfant prodige incantante le corti di mezza Europa?

A chi, Antonio?

Fissavi rapito quegli spartiti, appena potevi approfittare di un allontanamento del loro autore a palazzo. Il passo concitato di quel bambino ticchettava nei corridoi imperiali, la sua risata - quella risata! Quel trillo demoniaco! Dio e le sue beffe, Dio che, tramite Mozart, derideva la mediocrità che non ti saresti mai, mai scrollato di dosso, quella sua risatina puerile e stridula - riecheggiante a far sanguinare i timpani.

Wolfgang districava la matassa sgangherata dei rumori e la imprigionava in una gabbia d'inchiostro. Travasava un fiume in piena di note, infondendo loro spessore, profondità, instillando in loro... vita. Non erano segni e garbugli. Non erano scarabocchi e asettici tratti indicanti le tonalità.

No.

Codificando quel meticoloso, prezioso reticolo nero risaltante sul candore della pergamena ne scaturiva... la Voce di Dio udibile agli uomini.

Ma il pubblico era sordo! Inetti e arroganti, consideravano l'arte un diletto, un passatempo, un sottofondo con cui abbellire il grigiore squallido delle loro monotone esistenze, nulla di più. Un trastullo. Tutto, tranne che una vocazione. Wolfgang come la considerava? Un gioco. Un diletto. Eviscerare il suo segreto, Antonio, era diventata la tua ossessione. Perché a lui il genio e a te le briciole? Non ti saresti accontentato di raccoglierle, remissivo e mansueto. Mozart si era licenziato dal servizio presso il Principe Arcivescovo Colloredo proprio perché ripugnava l'idea di servire.

Gli artisti servono solo la loro arte.

E i geni? I geni chi servono Antonio?

Dio. Inconsapevolmente, con il loro mero respiro, lodano Dio.

Lo scopo della tua vita, verso il raggiungimento del quale avevi convogliato tutte le tue energie. Musicista di corte, nominato dall'imperatore Giuseppe II in persona. Dozzine di opere, acclamate con successo e furore di pubblico. Più di quaranta rappresentazioni. Salvo poi vedersi i piani scardinati dalla comparsa in scena di lui.

D'ora in poi noi saremo nemici, Tu e io.

Perché Tu hai scelto quale tuo strumento un vanaglorioso, libidinoso, sconcio, infantile ragazzo, e a me hai donato soltanto la capacità di riconoscere la tua incarnazione. Perché Tu sei ingiusto! Sleale! Crudele! Io ti bloccherò, lo giuro! Io ostacolerò e danneggerò la tua creatura terrena, per quanto starà in me.

Era troppo poco, poter scorgere il genio. Una scintilla che facesti di tutto per estinguere prima che dilagasse in un incendio divorante gli animi. Animi ancora ignari del fulgido astro sceso a brillare nel loro firmamento. L'avresti fermato.

Lo giurasti.

Mozart. Dio. Ognuno dei due.

Era la vanità, più che la gelosia, il tuo movente Antonio? Che senso aveva proclamare l'avvento del Salvatore, gridare nel deserto dei patetici, e poi dover cedere il passo? Che senso? Il sapore acre della sconfitta, i brandelli di un sogno.

La musica era un affare serio, per te, Antonio.

Per Amadeus era solamente un gioco.

Un gioco dove sbaragliare il regolamento, ribaltandolo, riscrivendolo da capo.

Ai tuoi occhi la musica doveva elevare l'uomo alle più nobili e sublimi vette dell'estasi, condurlo, in un moto di ascensione verticale, a espiare i suoi peccati e contemplare Dio. Cerimoniosa e regale come una funzione sacra.

Agli occhi spensierati di quel ragazzo la musica era un'umanità rinnovata, un'umanità che si ammirava nel profondo, frugava nei cassetti della sua anima, ne estraeva il bello e ne gioiva, di quel bello, come gemme picconate. Come diamanti allo stato grezzo. Mozart era capace di tramutare i diamanti grezzi in purissime pietre.

Un battesimo, la sua musica.

Tu vedevi la musica come una doverosa professione, Antonio.

Wolfgang la vedeva come tutto.

Un tutto universale.

«Vostra Eccellenza.»

Lo risenti, lui riappare. La sala delle udienze a Schönbrunn riluce di specchi intarsiati e rilievi marmoreii e il prodigio immaturo trotterella in giro, irrequieto a starsene seduto nell'attesa. Gironzola, saltella, sbuffa, iperattivo. Sgancia battutine ridicole e indecorose, tamburella le dita affusolate sulle ginocchia. Ditine tozze. Ne rimani perplesso Antonio. Un musicista provetto, specialmente un portento ai tasti, dovrebbe sfoggiare dita lunghe e flessuose, allenate dalle sessioni alla tastiera.

Dai polsini trinati sbucano dita d'un ragazzino. I lineamenti morbidi inducono a crederlo ancora un ragazzino. Ha ventisei anni e ne dimostra dieci a livello mentale. C'è un non so che di acerbo in quelle iridi castane, una commistione di tenerezza e sbruffoneria sintomatica dei giovani bramosi di mostrare il loro talento al mondo intero. Parrucca incipriata, sbarazzini ciuffi biondo cenere che sfuggono, un vestiario buffo, carnascialesco, nel complesso.

Povero bozzolo per un genio immenso, pensi.

«Vostra Eccellenza!» squittisce il petulante, giovane Mozart, fermo innanzi a te.

«Sì?»

«Sarei onorato di estendere l'invito per la prima rappresentazione del Ratto anche a voi. Ci verrete? Assisterete?»

Il Ratto del Serraglio.

«Vi prego...» implora quello sciocchino vanesio, il tricorno piumato sottobraccio, sporgendo il labbro alla stregua di un marmocchio. «Vi prego, vi prego, vi prego!»

Valuti l'individuo che, insistente, lamentoso, pesta i piedi. La cassa di risonanza dell'Onnipotente riverberante di... piagnucolii.

Venire. Se non venissi recherei torto a me stesso.

«Ovvio che verrò, mio caro amico.» gli concedi, sorridendo lusinghiero. Sul volto del fanciullo osceno e ribaldo - offesa di Dio! Altro che Voce! - si dipinge un'espressione di sincero compiacimento. «Accompagnerò Sua Maestà.»

«Oh. Certo. Siete nel corteo.» E ride, ride di quel verso tremendo!

Lo squillo della tromba fa raddrizzare Mozart come un fusto e il terrore balena sul suo viso prima che il giovane si catapulti dietro un tendaggio. Che comportamento da bambino! E adesso cosa gli prende? A grandi falcate ti approssimi al suo nascondiglio, scosti il drappeggio. Amadeus, orecchie coperte, si dondola avanti e indietro, guaendo dalla paura come un cucciolo bistrattato.

«Herr Mozart?»

«La tromba.» ti precede prima che tu possa formulare qualsiasi domanda su quel misero spettacolo. «Il suo strombazzare mi fa... mi fa o-orrore. Non lo sopporto. È mostruoso.» Mostruosa sarà la grandezza di Dio che s'abbassa a tanto. «Dissacra l'armonia la tromba E-Eccellenza. La viola. P-Porta scompiglio e-»

«Quale armonia?»

«Q-Quella che risiede qui.» Si addita alla testa, alla parrucca volutamente scapigliata e impomatata. «Qui dentro. Tutta. Non è mai disordinata, m-ma comporre mi aiuta a distribuirla m-meglio. Capite? Voi non la vedete. Ma c'è. Sempre.»

No, non capivi.

Quanto, quanto avresti desiderato riuscirci!

Hai scandagliato pagina dopo pagina dei suoi spartiti. Speravi in un errore, una dissonanza. Erano perfetti. Pentagrammi stesi di getto, senza una correzione. Precisi. Il cervello dettava e Wolgang trascriveva. Organizzate su righe e margini con puntigliosa attenzione, scritte in maniera rapida, frettolosa. Una nota incalzava l'altra, la sovrastava, la sotterrava. Rimuovi una sola nota e la struttura crolla. Sposta una virgola e s'impoverisce l'intera composizione. Cancella...

... cosa?!

Come potevi cancellare tale sublime bellezza?

Il coro degli angeli trasposto in terra.

Potevi cancellarne il compositore.

Le sue tracce. La sua vita. Attribuirtene il merito.

Oh sì, potevi.

Anche se derubare un uomo della vita non è mai un mestiere pulito.

Sfioravi gli spartiti, sognando di ricavarne almeno un lampo del suo genio. Impossibile. E allora al via la soluzione più pratica. Più sporca. Le voci correnti a Vienna, in questi giorni, dunque vantano un fondo di verità.

Hai avvelenato Mozart, Antonio.

Sì, con la tossica gelosia.

Nella tua competizione con Dio.

Ah, facile incolpare Dio, no? È l'Altissimo che ha preferito riprendersi il suo beniamino piuttosto che permettere che Antonio Salieri vincesse la partita. È Dio che ha riversato il suo barlume in quel debosciato, spocchioso bamboccio e non in te, suo devoto lacchè. A Dio va la colpa d'aver arroventato in te la smania d'essere il solo, l'impareggiabile, l'unico padrone della scena! O la tua bravura o nessuno.

Non sei stato tu a distruggerti con le tue mani, Antonio, vero?

Ma, dopotutto, chi ha architettato questo piano?...

Dio ti ha concesso una scelta: accettare oppure no. Accettare il tuo posto e lasciare che Mozart scalasse l'Olimpo degli Dei, che Mozart divenisse famoso, oppure no. Oppure opporti. Hai scelto la seconda. Eri libero di farlo.

Ma è così incredibilmente comodo incolpare il Signore della regia delle azioni umane, piuttosto che questa fallibile, contorta, umanità stessa.

Eh sì, Antonio, così comodo...

Pensasti alla musica, mentre, voltafaccia dopo voltafaccia, assistevi al disfacimento del piccolo, solare Mozart? Quell'omuncolo si fidava così ingenuamente di te. Ti soffermasti sulla tua linfa vitale, Antonio? Il lutto che avrebbe accusato quando l'avresti privata di un tale inestimabile gioiello. Il vuoto incommensurabile. L'avresti colmato tu, ti illudevi. Commissioni un Requiem a Mozart, lo uccidi e ti appropri della stesura funebre. Si può rimpiazzare un genio? Si può?

Era il bene della musica a motivarti, ti raccontavi. Eclissato l'astro di Mozart, tutto sarebbe sbiadito nell'abisso. Che senso aveva che continuasse a respirare? Stava rivoluzionando l'arte da te amata, l'asserviva al suo volere. Un cherubino volato nell'Eden a risvegliare nei mortali il dilaniante desiderio d'ali.

Ali che mai nessuno spiegherà.

Perché nessuno sarà mai Mozart.

Rubare a Mozart, però, era possibile.

Gli avresti strappato le ali, Antonio.

«Scriveva giorno e notte, dalla mattina alla sera. Un matto.»

Costanze Weber - Frau Mozart - prima che foraggiasse la popolare diceria dell'avvelenamento del marito da parte tua, deteneva buoni rapporti con te. Ricordi il salotto vuoto, Antonio, e la malinconia di quella vedova da poco non più vedova.

Le seconde nozze con il diplomatico danese Nissen l'hanno salvata dal marciapiede. Ama e custodisce la memoria del primo marito assieme alla solerzia del secondo, suo ammiratore. Cataloga e appunta composizioni e anedotti da tramandare ai posteri. Un matrimonio salvifico. Lo spettro del suo geniale consorte graverà su di lei a vita, ma, i primi tempi dopo la sua scomparsa, aveva dovuto rimboccarsi le maniche. C'erano debiti da saldare. I bambini da educare e crescere. Appetiti da saziare.

(Sopravvivrà a tutti voi, a ottant'anni esatti riabbraccerà il suo Wolfie.)

«Lavorava con ritmi insostenibili, davvero.» Nella cupezza d'autunno, in questo salotto sgombro, niente visitatori e estimatori del genio salisburghese, Costanze si apre con te, Antonio, un fazzoletto stritolato contro le labbra. «Non faceva altro che scrivere, scrivere, scrivere, le buttava giù così, all'improvviso. Oh, scommetteva anche. E beveva, tanto nell'ultimo periodo. Era... era ossessionato da quel Requiem, quel dannato Requiem. È stato quello che l'ha ucciso, lo so! Non dormiva più, non mangiava più. Il Requiem e il Flauto, il Flauto e il Requiem occupavano in continuazione i suoi pensieri. Era maledetta, quella sinfonia funeraria, me lo sento. Wolfie vaneggiava che fosse per lui. Per il suo funerale. Un sinistro presagio di morte. Pensavo che delirasse, le febbri lo perseguitavano ultimamente, sgobbava senza freni chino sul biliardo, e invece...» Un singhiozzo. «... invece...»

Un losco figuro mascherato. Un emissario dall'oltretomba. Nero il suo paludamento, imponente e autoritario il suo tono, sfila tra le vie notturne di Vienna.

Bussa a una porta d'un appartamento.

Un giovane uomo trasandato - guance non rasate, ciuffi biondicci e ribelli, camicia floscia - apre e gli spalanca gli occhi, ammutolito.

«Herr Mozart?»

Il padrone di casa, solitamente tanto loguace, è pietrificato dallo spavento.

Annuisce, deglutendo.

«Sono venuto a commissionarle un lavoro.» continua solenne lo straniero misterioso, la maschera storpiante la voce, camuffante la realtà identità. Eri tu, Antonio.

«Che lavoro?» gracchia il giovane, lo sguardo incollato.

«Una messa da morto.»

L'altro - Amadeus - perde colore. «Un morto? Chi è morto?»

«Un uomo che meritava una messa da Requiem e non ne ha mai avuta una.»

La messa da Requiem di Mozart, paradossalmente, è stata la furia degli elementi al suo funerale, oltraggiati dall'anonima, comune, sepoltura di colui che catturava i loro suoni, imbrigliandoli tra i tasti di un clavicembalo e le corde d'un violino.

È stata la fioritura perenne della sua musica, l'amore che la circondandava, nei decenni a venire. Sicuro che l'uomo privo di messa non sia tu, ora, vecchio, imbolsito, dimenticato Antonio Salieri? Chi compiange i mediocri?

«Chi siete voi?» inquisisce, sospettoso, il ragazzo sull'uscio.

«Solo un messaggero.» Del Tristo Mietitore, della mediocrità collettiva del mondo difronte alla sua genialità eccelsa. «Accettate? Sarete ben pagato.»

L'uomo mascherato allunga una sacca tintinnante di monete.

Amadeus sembra tentennare, soppesare il bottino. Vale fidarsi di questo sconosciuto ammantato di notte e segreti?

«Accettate?» lo provoca costui, stuzzicandolo con il suo tallone d'Achille.

Mozart ha disperato bisogno di soldi. Si avventa avido sul gruzzolo, si rovescia il contenuto sul palmo. Scruta l'inviato in nero.

«Lavorate in fretta.» lo avverte, atono, il tetro interlocutore. «E assicuratevi di non dire a nessuno cosa state facendo. Ci rivedremo presto.»

Sparisce, il lugubre figuro e Wolfgang trema, un tremito strisciante, come di falene zampettanti sulla pelle.

Dio trova sempre una scorciatoia per insinuarsi nei piani umani, vero Antonio? Assaporavi il retrogusto della vittoria. Mozart deperiva, si consumava - lavoro, lavoro, bisticci coniugali, Costanze che con bagagli e pargoli se ne parte per Baden, e ancora lavoro, oberante lavoro - e collassò durante il suo Flauto Magico. Tu recitando la farsa del buon samaritano, lo riportasti casa.

Ti implorò di aiutarlo a ultimare il Requiem.

E lì, Dio sferrò lo smacco finale.

«Mi vergogno talmente...»

Un letto, un giovane uomo cadaverico, esausto, il pallore della morte alitante sul suo collo, un sorriso debole, innocente, rorido di sangue.

«Di cosa?»

Wolfgang. Wolfie. Wolferl. Wofl. Wolfgangerl. Lupetto. Amadè.

Amadeus. Osannato da Dio, amato da Dio, e Suo portavoce.

Sorride esangue Mozart, moribondo, sorride nel lucore perlaceo dell'alba viennese.

Sorride a te, Antonio Salieri, ignaro di stare sorridendo al suo assassino.

«Che stupido che ero... Credevo che non le interessasse il mio lavoro, e nemmeno io... Mi perdoni... Mi perdoni...»

La creatura divina, il genio, aveva l'umiltà di implorare la misericordia di chi l'aveva condotto al ciglio di questo baratro. Avvertisti un colpo al cuore, Antonio.

Non era previsto.

La beffa finale di Dio.

La colpa scoccata con quella preghiera farcita d'innocenza.

Rimasero i bambini. Carl Thomas, quel piccino giochicchiante con le monete tra le mani inermi del padre pendenti dalla sponda del letto. Franz Xaver Wolfgang, cinque mesi appena al decesso del padre, pedinato in eterno dalla sua ombra, dalla sua leggenda, soffocato da un genitore mai del tutto conosciuto.

Wolfgang subì la severità intransigente di Leopold.

Franz sta scontando l'assenza, l'illustre assenza.

Figli schiacciati dai genitori. Il cerchio si chiude.

E tu Antonio? Da chi sei schiacciato? Dalla colpa? Dalla volontà dispotica di Dio? Da Mozart? Amadeus non morì tra le pagine del Requiem, casomai risorse glorioso.

Guardalo: vive tutt'ora.

Tu scivolerai nell'oblio, Antonio. Accogli la tua mediocrità, non rinnegarla.

Consiste in ciò che sei.

Nella tua stanza, sontuosa scatola di reliquie, indietreggi contro la parete e ti rannicchi. Tu, rugoso, burbero, pazzo Salieri.

Afferri il coltello, la lama intercetta i fasci lunari.

«Mozart! Mozart! Perdona il tuo assassino! Lo confesso!» scandisci affinchè il mondo intero appuri la verità. «Io ti ho ucciso! Sì! Io ti ho ucciso Mozart! Perdonami! Pietà! Mozart! Pietà! Perdona il tuo assassino! Perdonami Mozart!»

Il ferro incide nella carne, un taglietto alle vene.

Lieve, leggero.

Come un graffio di piuma su pergamena.

D'improvviso le finestre si spalancano, le maniglie cedono, le tende danzano e vorticano follemente e un vento fitto di nevischio sparpaglia le miriade di fogli impilati nella stanza. Una fredda sensazione ti attanaglia le viscere, mentre il sangue irrora e devasta il tappeto, profanando la trama del tessuto, la geometria, allagando, una pozza purpurea e tu gemi, rantoli. Una fredda sensazione di dita intorno al polso.

Il vibrante, giocondo, trillo della sua risata.

Volti il capo e, nel vetro della mobilia, lo scorgi. Il luccichio del suo sguardo.

Irriverente, divino, Amadeus.

«Signor Salieri!» Bussano. Sono i tuoi servitori. Colpi convulsi. «Signor Salieri! Apra la porta! La apra immediatamente!»

Non morirai stanotte. Sghignazzi. La tua condanna continua.

Dovevi afferrare subito quanto il genio debba rovesciare gli schemi. Altrimenti che genio sarebbe?

Chi ride per ultimo, Antonio Salieri?





Note

Questo è il risultato del rivedersi Amadeus, un fantastico effetto collaterale di cui vado fiera🤣Chiarisco: sono consapevole che nella realtà le cose si sono svolte diversamente tra Mozart e Salieri. I due erano estimatori reciproci, sebbene qualche sottile frecciata debba essere intercorsa.

In una lettera, riguardo all'insuccesso recepito dalla prima delle Nozze di Figaro del figlio, Leopold Mozart scrive che «Salieri e i suoi accoliti muoverebbero cielo e terra pur di farlo cadere.» Esecuzione boicottata? Non lo sapremo mai😶‍🌫️

E le voci sul presunto avvelenamento? Chiamiamo in aula la Vienna degli anni venti del XIX secolo, ritratta nei Quaderni di Beethoven e nei commenti di allora:

«Salieri sta di nuovo malissimo. È completamente abbattuto. Delira che è colpevole della morte di Mozart e che gli ha dato il veleno» riporta Beethoven nel suo Quaderno la testimonianza dell'amico Schindler. «È la verità, poiché egli vuole confessarsene; così tutto si paga». Il nipote di Beethoven, Karl, aggiunge salace: «Ora si dice apertamente che Salieri sia l'assassino di Mozart»

Importante segnalare che sia Beethoven che i due figli superstiti di Mozart, Karl Thomas e Franz Xaver Wolfgang, furono, per qualche tempo, allievi di Salieri.

(Il che, inquadrato nell'ottica del film, è ironico. Della serie: li hai resi orfani? Ora te li accolli te💀specialmente il secondo, il quale non ha mai veramente conosciuto il padre e che, soffocato dalla sua celebrità, si sminuirà in continuazione durante tutta la sua vita.)

Riguardo al comportamento stravagante e iperattivo di Mozart, invece, ricordo che era - naturalmente possiamo dedurlo solo dalle epistole e dalle testimonianze, non avendo resti umani certi da riesumare e su cui fare affidamento - dislessico, nonché, e su questo la maggioranza degli studiosi concorda, un soggetto nello spettro autistico. Si presume che Mozart fosse estremamente sensibile ai rumori forti (vedasi il suono della tromba, non me lo sono inventata, era sua fobia), avesse notoriamente una scarsa capacità di attenzione e potesse spaziare attraverso un ciclo di espressioni facciali in pochi secondi. In un incidente ben documentato, un annoiato Mozart inizia a fare capriole e giravolte sui tavoli mentre miagola rumorosamente come un gatto. Insomma, Amadeus ci ha azzeccato con l'atteggiamento burlesco e scanzonato di Wolfie, niente da contestare in merito.

Dopotutto: «Io, è vero, sono volgare. Ma vi giuro che la mia musica non lo è.»

Analizziamo però la tragica scena del trapasso di Mozart.

Salieri ha passato la sua vita ossessionandosi all'idea di voler essere riconosciuto come uno tra i più grandi di sempre, per poi scontrarsi con la realtà dei fatti, ossia che nessun Dio gli avrebbe donato ciò che a lui mancava e per il quale ha dilaniato la sua vita portando anche alla morte l'uomo che rappresentava ciò che lui avrebbe voluto sempre essere. In questa scena Salieri non si ricongiunge affatto con Dio, si rende, anzi, conto di quanto l'ossessione lo abbia logorato inutilmente, si avvede della sua mediocrità davanti a un genio che, a conti fatti, è un altro essere umano che lui avrebbe addirittura voluto uccidere per defraudarlo in modo subdolo del suo più grande lavoro. Un genio che ha l'umiltà di chiedergli perdono. Divino nella musica, umano, umanissimo ora, e, forse, proprio a causa di questo perdono, un gradino ancora sopra Salieri, che mai si sarebbe aspettato una cosa simile. Quel "fuoco" che ti dilania e che ti impedisce di osservare la realtà e di saperla accettare, perlomeno fintantoché non ti ci ritrovi davanti, incapace di stare al passo di Mozart che detta. Il fuoco della gelosia, il fuoco della scontentezza, di un'ambizione mai avuta da Amadeus. Anzi, il fuoco di quest'ultimo era la genialità, era la musica intriseca della vita, una vita che ora va affievolendosi. Mozart ha l'umiltà di chiedere perdono, non brucia più quella fiamma inestinguibile. E la conclusione è quella di un uomo, un giovane uomo qualunque, come tanti altri, sensibile e intimorito dall'incombente morte, pronto a scusarsi poiché anche lui ha sentito dentro di sé un senso di frustrazione per non essere - e qui sta il paradosso - riuscito a impressionare Salieri. Sotto l'immagine del genio irraggiungibile che dà l'impressione di guardare alla vita con goliardia, si nascondono le paure, le incertezze di un ragazzo come tutti gli altri, innumerevoli altri, persino anonimi, di cui Salieri si accorge quasi stupito poiché aveva finito davvero per ritenere Mozart la manifestazione di un Dio sadico privo di emozioni, senza accorgersi che fosse un uomo, fragile come tutti, e adesso pronto a morire. E, contemporaneamente, un emissario di quel Dio che non è crudele - Salieri si accorge d'aver causato tutto con le sue mani - perché disposto a perdonare pure il crimine più ignominioso in punto di morte. Sta qui il sottile genio di Forman: è Dio a parlare attraverso Mozart oppure no?

Quel perdono in extremis ha qualcosa d'ironico, d'amaro, di sarcastico, come lo scacco matto sulla scacchiera della gara tra Salieri e l'Onnipotente.

A presto!❤️

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